«Audrey, Audrey, sveglia», disse in tono allarmato Aidan.

Mi svegliai di soprassalto.

«È tardissimo», fece lui, mentre si abbottonava la camicia. «Dobbiamo andare, tra mezz’ora arriva il taxi, io devo ancora preparare la valigia.»

Scombussolata saltai fuori dal letto. M’infilai slip e maglietta e presi a setacciare la camera per raccogliere l’inferno di cose sparse, gettandole al volo dentro la valigia.

«Io vado, ci vediamo dopo», disse Aidan sulla porta.

«Okay», risposi mentre, piegata a terra, controllavo sotto il letto.

Un istante dopo ero sola, ancora tramortita dal brusco risveglio. Non sono una gran mattiniera, e mi ci volle un po’ per riattivare i neuroni e realizzare che avevo pochissimo tempo per vestirmi, lavarmi, fare la valigia e naturalmente prepararmi a rivedere Aidan in tutt’altro contesto, anche se avevo ancora in mente tutta la dolcezza della notte precedente.

Non molto dopo, ero nella hall, dove incontrai Preston davanti alle porte girevoli. Il tempo di un saluto e il portiere ci avvertì che il taxi era in arrivo. E in quell’esatto istante arrivò anche Aidan, con la sua imperscrutabile maschera da manager. Un attimo dopo eravamo in taxi con Preston seduto fra di noi.

Per colpa di uno sciopero dei mezzi arrivammo all’aeroporto giusto in tempo per infilarci in aereo e decollare. Avendo una prenotazione separata da Bennett e Preston, fui sistemata in coda mentre loro se ne stavano beati in prima classe. Per fortuna, il tempo di decollare ed ero già sprofondata nell’oblio del sonno. Mi risvegliai solo al momento dell’atterraggio. E, travolta dalla massa, mi trovai nei corridoi di sbarco.. Finalmente, davanti al nastro delle valigie, mi ritrovai Aidan accanto.

«Buongiorno», dissi sorridendogli con aria complice al pensiero della notte insieme.

Ma subito notai in lui un’espressione preoccupata e stranamente agitata. In un attimo mi sentii davanti a un precipizio. «Audrey», disse, «devo dirti una cosa». Fece un sospiro e non proferì parola. Il mio sorriso si spense, come tutte le mie speranze.

Cercai di simulare contegno, e decisi di parlare per prima. «Ho capito... siamo a Londra... è stato un intermezzo.»

Lui scosse la testa. «No, Audrey», disse. Gettò un occhio a Preston a un paio di metri da noi e mi spinse in là di qualche passo per poter parlare più tranquillamente nascosti da un pilastro. «Non so come dirtelo, Audrey… Io sono fidanzato e la settimana prossima mi sposo.»

Improvvisamente l’aeroporto mi sembrò trasformarsi in un ghiacciaio, terribilmente freddo. Tramortita, fissai le sue labbra da cui pochi secondi prima era uscita quella frase mortale. Nella mente una valanga di pensieri era pronta a straripare.

«Audrey», disse sfiorandomi le spalle. Riportai i miei occhi nei suoi.

«E me lo dici ora?» chiesi basita, senza fiato.

«Volevo dirtelo ieri sera, ma...»

«Ma cosa?», chiesi. «Cosa? Aidan, mi hai giudicato quando pensavi avessi un uomo. Con quale coraggio mi dici adesso che...», mi mancava il fiato per dirlo. «Ti sposi…»

«Audrey, ascoltami!»

Per fortuna avvistai la mia valigia rossa. Ero troppo scioccata per ascoltare una qualsiasi giustificazione, perché la verità è che non esisteva alcuna scusante. «Non voglio sapere altro, potevi anche non dirmelo, sapevi che lunedì me ne sarei andata, potevi dirmi che era stato solo un intermezzo, ma questo non me lo dovevi dire. Ti avevo sottovalutato, non sei uno stronzo, non ce n’è abbastanza di insulti per uno come te!»

Raggiunsi il nastro, agguantai la valigia e mi spinsi verso l’uscita del terminal alla velocità della luce. Complice lo spirito cosmico, ad aspettarmi c’era Didì, puntuale per la prima volta in vita sua. Ero talmente sconvolta che mi fiondai in auto senza neanche salutarla.

«Allora com’è andata?» chiese.

«Didì, è fidanzato e settimana prossima si sposa, detto questo, per favore, fino a casa silenzio!»

Didì obbedì e non proferì parola per tutto il tragitto dall’aeroporto a casa, e non imprecò nemmeno come suo solito per il traffico caotico. Intanto io nella mente riascoltavo quella frase: sono fidanzato e la settimana prossima mi sposo, sono fidanzato e la settimana prossima mi sposo, sono fidanzato e la settimana prossima mi sposo. E dentro di me era una lotta continua tra rabbia, delusione, frustrazione, rancore, rammarico, vergogna. Troppi sentimenti contrastanti per riuscire a piangere e sfogarli. Arrivate a casa, lasciai a Didì la valigia e mi precipitai sotto la doccia per levarmi di dosso ogni traccia di lui. Cercai di ricordare tutti gli istanti, tutti i dialoghi delle notti appena trascorse, momenti perfetti in cui avrebbe potuto confessare la verità. Quando riemersi dal vapore del bagno, andai in camera e, sul letto ad aspettarmi c’era Didì. Senza parole, mi misi accanto a lei affondando nel suo abbraccio.

«Allora mi dici cosa è successo?» chiese.

Rassegnata, tra un respiro e l’altro, le raccontai tutto, e alla fine chiesi: «Aforisma?»

«Direi di non citare alcuna massima illuminante per uno stronzo del genere», disse sospirando Didì. «Si è fatto la scopata prima della morte. È solo una merda, come tutti gli uomini, non ci pensare più.» Poi si avvicinò alla finestra, tirò le tende e mi strinse forte in un abbraccio sincero. Mi addormentai quasi subito. Era l’unica cosa da fare, chiudere gli occhi e spegnere il cervello.

Grazie a Didì, e una buona dose di alcol, trascorsi il weekend annebbiata ed euforica, ma in balìa di una sfilza di perché ripetuti all’infinito. Perché era così stronzo? Perché non me lo aveva detto? Perché si era preso male quando aveva creduto che avessi già una storia? Perché venirmi a cercare ancora? Perché e perché. Risposte? Solo ipotesi.

Mi chiedevo se la passione potesse spingersi a tanto. Probabile, se anche lui era caduto nella stessa spirale in cui ero stata risucchiata io nel momento stesso in cui mi aveva baciato. Fino ad allora, per un uomo non avrei affrontato nemmeno la pioggia, ma per essere sua mi sarei arrampicata a mani nude sulla montagna più alta del mondo. Scorticata mani, piedi e gambe se sulla cima ad aspettarmi ci fosse stato lui. Era questo che mi faceva più paura: perché io non sono così, tentenno sempre, non sono certo una avventata, una che si fa travolgere dalle passioni. Forse anche a lui era lui accaduto lo stesso. Una semplice spirale incontrollabile. Ma questo non lo giustificava. Aveva una donna e stava per sposarsi: non avrebbe dovuto fare quello che aveva fatto, soprattutto uno come lui, sempre così ligio e irreprensibile.

Quando arrivò lunedì, affrontai il mio ultimo viaggio verso la Preston Air Filter. Per darmi la carica, prima di uscire di casa, cercai dal manuale di sopravvivenza shakespeariano una frase di incoraggiamento. Fruscio di pagine e zac: Gli uomini sono come l’aprile quando fan la corte e come dicembre quando sono accasati8.

«Ma vaffanculo!» sbraitai.

Quindi, nuovo fruscio e zac: Per i nemici non riscaldate tanto la fornace da bruciarvi voi stessi9.

Esatto, dovevo andare avanti, far finta di nulla, essere superiore e farmela passare. E cominciare in santa pace il resto della mia vita. Quindi, armata e carica, affrontai la city e la sua metropolitana.

Arrivata alla Preston mi presentai nell’ufficio del personale per consegnare la lettera di dimissioni. Vivienne, dopo una serie interminabile di domande e la compilazione di diversi moduli, mi invitò a raggiungere il responsabile per definire il passaggio di consegne. Quando chiesi chi fosse mai questo responsabile di cui non conoscevo l’esistenza, Vivienne con i suoi occhioni neri sorrise e disse: «Aidan Bennett. Adesso lo chiamo». Subito dopo alzò il telefono e, telegrafica, comunicò le mie dimissioni. Dopo un: sì, uhm, no, perfetto, grazie riattaccò e disse: «Ti aspetta nel suo ufficio».

Tramortita chiesi: «Aidan Bennett è il mio responsabile?»

«Sì, è il tuo responsabile», confermò lei.

«Perfetto», mormorai.

«Visto che vai da lui, fagli firmare questi moduli, così avvio la pratica con l’agenzia del lavoro.»

Presi i documenti e affrontai il corridoio a passi pesanti. E ora? Mentre ero lì a pensare, sopraggiunse Mark Preston.

«Buongiorno Audrey, si è riposata? Fatto buone ferie?», chiese giulivo.

«Sì, e lei?»

«Tutto bene, grazie, ha visto che bellissima giornata?»

«Meravigliosa», risposi trattenendo il nervoso.

«Audrey, sono felice di averla incontrata. Le devo parlare», disse facendosi serio e professionale. «Venga nel mio ufficio.»

«Signor Preston, in realtà sto andando da Bennett per...», e non riuscii a terminare la frase che mi prese sotto braccio trascinandomi con sé. «Meglio ancora», esultò, «Andiamo!»

Giunti davanti all’ufficio di Bennett, Preston spalancò la porta ed entrò deciso, mentre io, seminascosta dalla sua mole massiccia, lo seguii trattenendo il respiro.

«Bennett, buongiorno! Passato un buon week-end?» chiese Preston.

«Perfetto», rispose lui.

Pian piano uscii allo scoperto e a fatica alzai lo sguardo per cercare i suoi occhi bui da direttore commerciale, in cui non c’era più alcuna traccia dell’uomo che mi aveva scopata per due notti intere. Bennett strinse la mano a Preston e si rivolse a me con quella sua maledetta aria professionale: «Buongiorno Audrey».

«Buongiorno», risposi. Il cuore si piantò in gola e per concentrarmi dovetti abbassare lo sguardo qualche secondo.

«Audrey, si accomodi sul divano», disse Preston sedendosi pesantemente nella poltrona. Ma prima che introducesse il discorso che vagamente sospettavo riuscii ad anticiparlo.

«Signor Preston, ho appena rassegnato le dimissioni, ero venuta qui per...»

«Ma come?» chiese sorpreso. «Audrey!»

«Sì, ho deciso di dedicarmi ad altro, signor Preston. Era già nelle mie intenzioni, ancora prima del viaggio. E venerdì quando sono rientrata ho trovato un’offerta che non potevo rifiutare.»

«Che tipo di offerta?» chiese.

E che ne sapevo. Non ero brava a fingere, tanto meno a mentire. Sparai la prima cosa che mi venne in mente.

«È nel campo delle traduzioni.»

«Ah!» disse. «Be’, questa notizia mi coglie impreparato. Perché sa, dopo l’ottimo lavoro con gli svedesi ora più che mai abbiamo bisogno di lei. Volevo proporle il ruolo di assistente alla direzione commerciale.»

Com’era ovvio tentennai con un: «Maaaa….», belante.

«Quanto le offrono per le traduzioni?» chiese Bennett.

Lo fulminai con lo sguardo. Perché farmi una domanda del genere quando sapeva benissimo che mentivo?

«Bravo Bennett», disse Preston. «Le offro il doppio!»

«No, Signor Preston, è gentile, ma davvero non è il caso. In più questa nuova opportunità mi permetterebbe di lavorare da casa.»

«Anche noi te lo permetteremmo», intervenne di nuovo Bennett. «Potrai lavorare da casa e la tua presenza sarà richiesta solo al bisogno e in presenza degli svedesi.»

«Sì», confermò euforico Preston.

Stavo per dire qualcosa, ma Bennett intervenne di nuovo. «Non ti sarà richiesto altro, solo mantenere rapporti con e-mail, qualche telefonata e interpretariato quando necessario.»

«Su, che ne dice, Audrey?» chiese Preston entusiasta.

«Non lo so, è comunque un lavoro molto impegnativo, e non sono un’interprete professionista.»

«Sei molto abile con la lingua», disse Bennett, ma dopo un attimo dovette rendersi conto del doppio senso, perché fece una faccia contrita.

«Forza Audrey, non ci può lasciare proprio adesso», disse Preston.

«Ehm…» tentennai e in quel momento pregai l’Entità Suprema dell’Universo di tenermi in piedi, e di farmi reagire. La voragine nello stomaco mi stava risucchiando tutta l’aria nei polmoni. Mi girava la testa e volevo andarmene. Cercai un briciolo di risolutezza dentro di me facendo leva sulla rabbia. Dovevo imparare a essere stronza come lui. Non avevo alternative. Così risposi, decisa. «Vi ringrazio, ma avevo già preso la decisione, voglio fare tutt’altro. Il commercio non mi interessa, ho una laurea in lettere e ora ho finalmente l’occasione di fare quello per cui ho studiato.» Ecco lo avevo detto.

«Capisco», disse Preston abbassando le spalle «Anche io da giovane avrei voluto fare il musicista, ma la vita mi ha portato a fare l’installatore termotecnico e poi senza nemmeno rendermene conto mi sono trovato nel commercio delle bocchette.»

«Mark», intervenne Bennett, «lasciami parlare con Audrey, proverò a convincerla io».

Preston, scoraggiato, fece un sorriso mesto. «Non vedo come tu possa riuscirci. Comunque, Audrey, io le sono debitore e per qualsiasi necessità non si faccia problemi a chiamarmi. La ringrazio ancora di tutto», disse. «Di tutto!»

Appena la porta si richiuse, parlai prima che lo facesse lui.

«Vivienne mi ha chiesto di consegnarti questi moduli e farteli firmare», dissi lasciandoli cadere sulla scrivania. Aidan raccolse i documenti, li sfogliò velocemente e poi mi squadrò.

«Come stai?» chiese.

«Come pensi che stia?»

«E tu come pensi che stia?»

«Sinceramente non riesco a immaginarlo, ma posso dirti quello che penso a proposito della tua bella rivelazione di venerdì.»

«Ti ascolto.»

«Penso che sei un pietoso fedifrago, e all’alba del matrimonio hai pensato bene di toglierti lo sfizio prima della galera.»

Aidan rise. «Ah, la pensi così?»

«Assolutamente sì», risposi.

«Te l’ho già detto a Stoccolma, non sono pentito.»

«Io invece lo sono, è contro i miei principi.»

«Principi?» chiese «Cosa sono i principi Audrey? Regole etiche, morali che uno è libero di seguire… oppure no.» Strabuzzai gli occhi quasi certa di non aver capito il senso della sua risposta. «Cosa credi? Che non sia andato contro i miei principi? Credi che vada in giro a cercare storie ogni due per tre? È successo e non ho potuto, anzi non ho voluto, resistere», disse. «Audrey, volevo dirtelo quando sono venuto in camera tua, ma tu non mi hai fatto parlare.»

Sorrisi. «Già, è stata colpa mia, ora? Non sei riuscito a dirmelo nemmeno quando hai pensato che avessi già una storia, nemmeno tra una scopata e l’altra? La verità è che non volevi dirmelo!»

«E come facevo a dirtelo?» disse. «Non ce la facevo.»

«Perché?» chiesi. «Spiegamelo. Io davvero non capisco.»

Aidan si sedette nella poltrona portandosi le mani al viso. «Sto insieme a Zoe da sette anni e mai, mai, mai…» fece un sospiro. «E mai…»

«E mai, l’ho capito», lo interruppi, annoiata dal suo atteggiamento colpevole.

«Credi sia facile? Credi che non mi senta un verme?»

«È il minimo», dissi.

«Esatto è il minimo, mi sento un verme, nei confronti di Zoe.»

Scossi la testa esasperata. Sai quanto me ne fregava della sua Zoe.

«Ma anche nei tuoi confronti», aggiunse. «Verme per averti deluso, Audrey. La cosa che mi fa più male di tutte è che tu stia soffrendo, ma te lo giuro, quei baci erano sinceri. Audrey, io non so cosa sia successo in quella stanza fra noi, so solo che per me è stato il paradiso. Non volevo essere in nessun altro posto se non lì con te», si voltò, dandomi le spalle. «Tutto il mondo si è fermato in quella stanza, Audrey, il resto me lo sono dimenticato.»

A quelle parole la mia tristezza si fece ancora più profonda. Allora era vero. Era esattamente quello che avevo provato io in quel trasporto appassionato.

«È stato lo stesso per te?» chiese senza voltarsi.

Mi morsi le labbra. «Se anche fosse, rimane il fatto che sei fidanzato, Aidan, e tra poco ti sposi», dissi. «Quando?»

«Domenica», disse.

Mi veniva da vomitare. Il tempo sbagliato, l’uomo giusto, pensai.

«Domenica», ripetei con una risata amara. «Sai cosa penso? Che è tutto molto più semplice di quanto lo stiamo facendo sembrare. È un classico: la scopata appassionata, l’ultimo desiderio del condannato a morte, che adesso cerchi di riempire di significati mistici.»

Aidan si avvicinò e con le dita mi sfiorò la guancia facendomi naufragare nei ricordi delle sue mani sul mio corpo. «No, non lo credo», disse.

Mi spostai di un passo. «Per favore, stai lontano», dissi reprimendo la voglia di cadergli tra le braccia. «Non te ne faccio una colpa, ti basta la tua e credo che faccia più male. Per me è acqua passata, è stata solo una storia, e tu farai quello che credi. Sei adulto e rispondi solo a te stesso, io sono di passaggio.»

Non so quale dio mi abbia dato la forza di essere così cruda, e di violentare così brutalmente i miei stessi desideri.

«Avrei voluto un risveglio diverso venerdì», fece lui.

«Anche io», risposi.

«Ma non sarebbe stato lo stesso se tu avessi saputo.»

Già, pensai, non mi sarei lasciata andare in quel modo, aprendomi a lui come non avevo mai fatto con nessuno prima di allora.

Feci un bel sospiro. «Allora, congratulazioni, Bennett e… Che altro dire? Figli maschi…» dissi. Raccolsi dalla scrivania la lettera di dimissioni. «E ora, ti prego, firma la mia lettera di dimissioni, lo sai, lo avevo deciso da prima, voglio semplicemente fare altro.»

«Lo so», rispose. «Dimissioni accettate, Audrey», mi sfilò dalle mani la lettera e la controfirmò.

Allungò la mano per stringere la mia e controvoglia gliela porsi, resistendo al contatto della sua pelle e delle sue dita che solo pochi giorni prima mi avevano portato in paradiso.

«Buona fortuna», dissi.

«Buona fortuna», rispose. E tornammo due entità separate.

Uscii dal suo ufficio, schiacciata da un senso di smarrimento e vertigine. Cercai di ricompormi e andai a salutare il povero Preston. Dopo un abbraccio e un augurio per il mio futuro, finalmente me ne andai da quel tempio dell’agonia e tutto sommato, la sensazione di ritrovata libertà, placò, in parte, il senso di perdita per quell’amore disonesto.

8. William Shakespeare, Aforisma.

9. William Shakespeare, Aforisma.