I giorni seguenti li passai a non pensare a nulla e a non fare assolutamente nulla, tra maratone di film, giri senza meta per mercatini, e serate perse in conversazioni futili con i clienti del pub di Didì. Era come una vivere in una bolla di inconsapevolezza, che non mi faceva pensare o ricordare, e che ovviamente prima o poi sarebbe scoppiata. Cosa che accadde puntualmente la domenica mattina, quando, svegliandomi, mi resi conto di essere terrorizzata all’idea di aver perso per sempre l’estasi sessuale provata a Stoccolma. Di non sentirmi mai più così, con nessuno.

L’umore già nero peggiorò ulteriormente al rintocco delle campane della vicina chiesa. In un attimo i pensieri andarono a lui, che molto probabilmente, in quel momento, era su un altare a promettere a un’altra amore e fedeltà.

«Buongiorno», disse Didì.

«Buongiorno», mugugnai.

Didì si stirò sollevandosi sulla punta dei piedi e dietro di lei comparve l’ex meteora e ormai onnipresente Ethan che abbracciandola le diede un bacio sul collo. Didì sorrise di gioia e tenerezza. Nascosta dietro la tazza del tè osservai la scena e per un attimo li invidiai.

Per l’intera domenica, tanto per farmi male, ascoltai a ripetizione i The Lumineers, e tra pensieri e qualche lacrima alle undici me ne andai a dormire. L’indomani mi diede il buongiorno una voce svedese al telefono. Era Mr. Swego. Aveva saputo delle mie dimissioni da Eran, che ormai faceva coppia fissa con Kajsa. Passai una mezz’ora a discutere sulle mie motivazioni, poi cedetti alle sue insistenze. Giovedì sarebbe passato a Londra per definire i piani con la Preston Air Filter e voleva assolutamente che ci fossi anch’io. Non potei rifiutare. Accettai pensando che le due settimane di congedo matrimoniale di «Mister Stronzaggine» mi assicuravano almeno la sua assenza.

E così il giorno stabilito mi presentai alla sede della Preston in anticipo. Passai da Vivienne per firmare i documenti convalidati dall’agenzia del lavoro e poi andai a salutare Katerin alle prese con la nuova ragazza del recupero crediti: giovane e con occhi sgranati da primo impiego. Finalmente alle dieci si palesò Preston, tutto sorrisi, e subito dopo Mr. Swego, accompagnato da Eran.

Dopo un po’ di convenevoli ci spostammo in sala riunioni. Osservai l’assistente di Preston distribuire tazze di caffè e bottigliette d’acqua. Quando la vidi adagiare una tazza di caffè, un bicchiere e bottiglietta di acqua davanti alla sedia vuota accanto alla mia rimasi pietrificata. Il tempo di chiudere gli occhi e in un batter di ciglia fece il suo ingresso Aidan. La sua fede brillava talmente tanto da accecarmi. Fa paura la mano di un uomo con la fede. Soprattutto quella di colui cui sai di appartenere.

Mr. Swego per prima cosa ringraziò Bennett per la sua presenza e per aver rimandato la luna di miele. Già, bell’idea, pensai. Tradussi, fissando la fede che aveva al dito. Lui di rimando rispose che era solo un piacere e non un dovere partecipare all’incontro. Nelle due ore successive, ogni volta che spostavo lo sguardo su Bennett, lui faceva due cose: sfiorava la cravatta lisciandola o si trastullava con la sua dannata fede. Fu un’agonia, che non so come riuscii a gestire. A fine riunione ci furono le solite strette di mano, pacche sulle spalle e l’invito per la famosa cena da Cipriani organizzata per la sera stessa. Usai la scusa di un impegno già preso, ma Eran, in virtù di nuovo fidanzato di Kajsa, insistette talmente tanto, davanti a tutti, che dovetti acconsentire. Che altro potevo fare? Avrei passato la serata a chiacchierare con lui, tutto sommato non era così drammatico.

Una volta a casa raccontai a Didì dell’incontro, per filo e per segno, ma lei stranamente non commentò, anzi si eclissò silenziosamente davanti alla televisione, senza produrre nemmeno un qualche aforisma, nemmeno un commento molesto. La sua reazione, confesso, mi inquietò un poco.

«Scusa?» chiesi.

«Cosa?» disse senza alzare gli occhi dalla televisione.

«Questa cosa che hai appena fatto.»

«Cosa?»

«Didì, ti conosco troppo bene, ti rode dentro qualcosa e non la dici.»

«Non è vero.»

«Vabbé quando vorrai rendermi partecipe me lo dirai.»

Me ne andai in camera a scegliere il vestito per la cena e dopo qualche minuto Didì apparve sulla porta.

«Si lisciava la cravatta e giocava con l’anello mentre ti parlava?» chiese.

«Sì», risposi cercando nel cassetto un paio di collant neri.

«Conosci i segnali di comunicazione non verbale?»

«Più o meno», risposi controllando l’unico paio senza smagliature.

«Si dice che se un uomo discute con una donna e ripetutamente si tocca la cravatta, significa che è sessualmente attratto da lei.»

«Ah, ah», risposi senza dare peso.

«Cercare di sfilarsi l’anello, invece, è un segnale di carenza sessuale.»

«Ah, ah», mormorai alzando gli occhi al cielo.

«Mi ascolti?» chiese.

«Sì, ti ascolto e l’ho capito. Mi vuole scopare di nuovo», dissi.

«Bene», disse, «basta saperlo».

«Certo.»

Didì colse il mio nervosismo e mi lasciò da sola a imprecare contro i collant.

Aidan Bennett provava attrazione sessuale nei miei confronti? Aveva una carenza sessuale con la sua nuova mogliettina? Con queste stupide domande nella testa mi presentai alla cena da Cipriani e volutamente, per tutta la serata, parlai con tutti tranne che con lui. Solo quando uscimmo dal ristorante tornai a respirare. Per rilassarmi un po’ decisi di andare a piedi fino alla fermata della metropolitana. Indossai le cuffie e mi persi nelle note della mia playlist. Dopo qualche minuto mi accorsi di un’auto che a passo d’uomo mi seguiva., Buttai un occhio preoccupata e, al volante, colsi la sagoma di Aidan. Mi fermai e sostenni il suo sguardo.

«Hai bisogno di un passaggio?» chiese.

«No», risposi. «Sto andando a prendere la metropolitana».

«Ti accompagno?» chiese.

«Non c’è bisogno», dissi voltandomi a guardare l’orizzonte buio. «Non è molto lontana.»

A quel punto Aidan scese dalla macchina, lasciandola lì, accanto al marciapiede, e mi raggiunse.

«Ti accompagno a piedi», disse deciso.

Mi lasciai andare a una risata. «Facciamo che non ce n’è bisogno.»

«È tardi», insistette.

«Sono solo le undici.»

Aidan si infilò le mani in tasca e ne fui felice, almeno non vedevo la sua maledetta fede. Alzai gli occhi su di lui. Ci fissammo per qualche minuto.

«Cosa ci fai qui?» chiesi con fermezza «Sei sposato, Aidan. Sposato, ammogliato, accasato. Dovresti essere già a casa a svolgere i tuoi doveri di bravo marito e darti da fare per la conservazione della specie.»

«Hai ragione, dovrei», rispose dietro un sorriso. «E invece sono qui.» I suoi occhi mi tagliarono l’anima in due. Dentro di me l’indecisione e la paura mi contorcevano le budella. Non farlo, non farlo, non farlo, non darmi spiragli dove non ci sono.

«Sei stata molto brava stamattina», disse, forse con l’intenzione di prendere alla larga il motivo che l’aveva spinto a seguirmi e presentarsi davanti a me sull’orlo di un tracollo emotivo.

«È andato bene il matrimonio?» chiesi, decisa a ricordargli di non oltrepassare il confine.

«Ti interessa davvero saperlo?» rispose.

Sorrisi. «Sì, molto.»

«Non è vero», disse. «Non penso proprio.»

«Allora raccontami della prima notte di nozze», chiesi.

Aidan sorrise e scosse la testa. «Se non fossi sposato, cosa faresti Audrey?»

«Cosa mi stai chiedendo?»

«Ti sto chiedendo: se non fossi sposato, se non esistesse nessun’altra, adesso te ne staresti lì a due metri tutta impettita e rancorosa?»

«Dove vuoi arrivare? Giri la frittata? Guarda che il problema non è mio, semmai è tuo, anzi tuo e di tua moglie, io non c’entro nei tuoi problemi sentimentali.»

«E se ti dicessi che non c’è alcun problema?»

«Scusa?» chiesi basita.

«Non c’è alcun problema Audrey», disse portandosi improvvisamente vicino. «Non c’è alcun problema», ripeté lambendomi la guancia con le dita. Quel gesto mi colse di sorpresa, mi spostai di due passi.

«Cosa vuol dire?» chiesi confusa. «Cosa siete, una coppia aperta?» aggiunsi ironica.

«Non mi vuoi Audrey?» chiese piegandosi su di me. «Non pensi a me in continuazione, a noi due in quella stanza? Perché io ci penso di continuo. Penso ai tuoi occhi, alla tua bocca, a volte cerco di ricordare il sapore della tua pelle e mi trovo senza respiro.»

Rigida e con i denti serrati, tenevo lo sguardo basso, puntato a terra. Le sue parole mi stavano trafiggendo. Mi prese il viso tra le mani. «Audrey, non riesco a togliermi il pensiero di te dalla testa, e se non è così anche per te, giuro che non ti cerco più, ma se anche tu hai sentito qualcosa di eccezionale e unico...», premette la fronte contro la mia. «Sento il tuo profumo e non desidero altro che toccarti ancora», i pollici lambirono il mio labbro inferiore. «Anche solo baciarti», sussurrò.

A occhi chiusi, mi aggrappai alla sua cravatta e appoggiai la testa al suo petto, sospesa e in agonia.

«Cosa mi stai chiedendo?» chiesi senza fiato.

«Evasione», rispose in un sussurro. «Tornare in quella stanza e dimenticare tutto il resto.»

Nella mente mi si materializzò una lavagna. Ed eccoli lì, schierati in due colonne, tutti i pro e i contro.

 

Negativi

Positivi

Mi innamorerei, perdutamente

Ci ameremmo follemente, anche se da clandestini

Sarebbe comunque suo

Sarà un po’ anche mio

Non avrei che attimi di lui

Vivrei intensamente ogni istante

Non avrei nessuna sicurezza

Mi appagherebbe come nessuno mai

Nessun futuro

Solo presente

«Non è giusto», dissi sganciandomi dalla sua cravatta e liberandomi dalle sue mani.

«Lo so», disse afferrandomi di nuovo «Ma cosa posso fare Audrey? Ci sono dentro, cosa posso fare? Mi hai completamente sedotto.»

Semmai era l’esatto opposto, pensai. Era stato lui, solo lui.

«È il contrario, sei stato tu a fare il primo passo, e se avessi saputo io non...» scossi la testa. «Vai via, Aidan, per favore, vai a casa, non provarci, qui è tutto diverso e tu sei...» Lo spinsi contro la sua auto e improvvisamente mi trovai avvolta nel suo abbraccio, completamente sovrastata dal suo corpo. «Non dirlo, ti prego, non dirlo», chiuse gli occhi e deglutì.

Nella mia testa, razionalmente, sapevo che tutto quello era sbagliato, ma il mio corpo diceva l’esatto contrario. Alzai di nuovo gli occhi e, davanti alle sue labbra e a quel respiro sempre più affamato, la risposta fu lampante: la porta della felicità era spalancata, a un passo da me. A quel punto cosa potevo fare? Entrare, saltare, oltrepassarla, fiondarmici dentro, e lo feci... Con tutta me stessa.

Perché quando desideri un uomo non esiste nessun’altra donna che si possa mettere di mezzo, da qualunque parte tu stia. È meschino, lui è meschino, tu sei meschina, ma cosa ci puoi fare, reprimerti? Struggerti? Perderti in falsi moralismi? È più forte di tutto, ti viene offerta una possibilità, e la devi prendere al volo o te ne pentirai tutta la vita. Sapevo che sarebbe rimasto con lei, perché è sempre così, anche in tutti i melodrammi, ma in quel momento non importava, in lui vedevo la mia fiamma gemella nel tempo sbagliato. Esisteva, ora ne avevo la prova. E meritavo di averla anche solo per qualche attimo. Potevo farmelo bastare. E averlo davanti a me, pieno di desiderio, mi spinse a oltrepassare le mie paure, e i miei principi. Ora, adesso, né prima né poi. Ora.

«Vuoi evasione?» chiesi.

«Sì», rispose ingabbiando il mio respiro nel suo e le sue labbra tornarono a consumare le mie in un bacio sognato, immaginato, atteso e agognato da giorni.

Dopo quel bacio di fuoco, andammo verso la macchina. Aidan aprì lo sportello e mi fece salire. Senza fiato sprofondai nel sedile e mi obbligai a fissare il parabrezza per non guardare nell’abitacolo e cogliere tracce di lei che chissà cosa stava facendo adesso. Me la immaginavo a casa, distesa sul divano a guardare la televisione, in attesa che lui tornasse per andare a dormire e finire insieme un’altra giornata della loro vita insieme. Aidan si accomodò al volante, e partì.

Abbiate pietà di queste anime dannate, abbiate pietà di noi per questo peccato. E in quel momento ricordai l’aforisma di Shakespeare letto solo due settimane prima: Ama, ama follemente, ama più che puoi e se ti dicono che è peccato, ama il tuo peccato e sarai innocente10. E un po’ mi allietò.

Dopo una decina di minuti entrammo nel parcheggio sotterraneo di un hotel. Scesi dall’auto, Aidan mi prese per mano e andammo alla reception. In stanza cercò di baciarmi di nuovo, ma lo trattenni.

«Stabiliamo delle regole», dissi.

«Regole?» chiese incerto.

«Non mi telefonerai mai e ci incontreremo solo in giorni stabiliti, sempre nello stesso posto, decidi tu dove, va bene anche qui. E se ci fossero degli impedimenti mi invierai una e-mail di lavoro con le scuse per ritardi di spedizione.».

«Audrey», disse Aidan sedendosi sul letto.

«E farai di tutto perché lei non lo venga a sapere», dissi ancora.

Aidan allungò la mano. «Audrey, vieni qui», disse.

Mi avvicinai e presi la sua mano. «Prometti che farai di tutto perché lei non lo sappia mai.»

«Non lo saprà mai, mai», disse, baciandomi le mani. «Lo giuro, ma...»

«Allora spogliati.»

«Se tu lo farai insieme a me.»

Acconsentii. Poteva sembrare una cosa da pazzi, ma in quel momento non c’era alcuna passione a comandare gli istinti, tutti e due dovevamo essere consapevoli e aver chiaro il confine che stavamo oltrepassando. Forse, così, avremmo potuto scongiurare il rimorso, o semplicemente sentirci meno pazzi nella follia.

Aidan si levò la giacca sistemandola sulla gruccia, io scesi dai trampoli. Poi allentò la cravatta sfilandosela e l’adagiò sullo schienale della poltrona, mentre io mi tolsi il foulard. Sbottonò la camicia e io mi tolsi il vestito. Aspettai che si allentasse la cinghia dei pantaloni e slacciai il reggiseno. Appena se li calò, lo lasciai cadere. Ripiegati i pantaloni si tolse gli slip, io feci lo stesso. Si levò un calzino e io un’autoreggente. Si tolse il secondo, io lo seguii. Solo quando ci trovammo uno di fronte all’altro, nudi come madre natura ci aveva fatto, gli sorrisi. Gli accarezzai con le mani il petto, scivolai adagio nel suo abbraccio e di nuovo fummo Yin e Yang, fusi. Lentamente ci riversammo sul letto immergendoci nella nostra bolla di passione. Ci perdemmo a lungo in baci e carezze sulla pelle. I nostri corpi aggrovigliati premevano, urlando la loro volontà di appartenersi. Respiravo il suo odore, e assaporavo la sua lingua. Mi sarebbe bastato quello.

Aidan fu ancora più passionale di quando eravamo a Stoccolma. Non aveva fretta, mi baciava e mi scrutava con quegli occhi indiscreti. Mi venne quasi da piangere, per la felicità di averlo e allo stesso tempo per lo smarrimento e il senso di colpa per quello che stavamo facendo.

«Ti ho pensato così tanto, Audrey», sussurrò.

«Non parlare», dissi. «Non svegliarmi.» Chiusi gli occhi e affondai nel suo abbraccio per nascondermi da lui.

I baci sul collo diventarono in un attimo devastanti, tanto da annientare ogni forma di energia e coscienza.

«Sei bellissima», mormorò.

Abbassando la testa verso il mio petto, con le mani mi cinse i seni e li sollevò fino alle proprie labbra. Solleticò i capezzoli con i denti e con le dita, poi se ne avvolse uno nelle labbra e cominciò a succhiarlo con forza, mentre stimolava l’altro con la presa dolce e decisa delle sua dita. Inarcai la schiena e mi lasciai colmare da quel piacere fitto e violento. La sollecitazione si propagò impetuosa al clitoride, e dovetti stringere le cosce per non venire subito. Aidan con il ginocchio divaricò le gambe e lambì le labbra del mio sesso con le dita. Per riaffiorare da quell’estasi affondai le mani nei suoi capelli e lo tirai verso di me, avevo bisogno delle sue labbra, avevo bisogno del suo respiro. La testa di Aidan si risollevò e tornò sulle mie labbra. Mentre la sua mano scese libera fino al fondoschiena, e con una leggera pressione mi strinse a lui. Ormai ansimavo senza controllo e così cercai il suo pene per toccarlo e concentrarmi su altro, ma Aidan allontanò la mano, e l’accompagnò al mio sesso.

«Ora ricevi», disse da perfetto dominatore. «Poi prendo io.» E sorrise, un sorriso che sanciva il suo controllo su di me, e per un attimo ebbi paura, ma poi le labbra tornarono a scaldare le mie e mi tranquillizzai. Poi si spostò al mio orecchio.

«Toccati, Audrey. Toccati, mentre ti raggiungo», sussurrò.

Succube di quelle parole e delle sue labbra, assecondai la sua richiesta. Ero già sull’orlo del tracollo, sarebbe bastato un soffio per accendere il fuoco del mio orgasmo. Iniziò a disegnarmi con le labbra una scia di baci giù per il collo, sul petto, stuzzicò ancora i capezzoli e piano scese al ventre. Lì leccò la mia mano, succhiò le dita e si sostituì a loro. Con la lingua si concentrò sul clitoride ormai incandescente. Si scostò un poco e soffiò e dopo avermi penetrato con un dito tornò a leccarmi. Il suo tocco delicato d’un tratto divenne divorante e spasmodico. Feci uno sforzo per non serrare le cosce. Mi lasciai consumare, tra il piacere e il dolore di dovermi abbandonare all’orgasmo. Avrei voluto che non smettesse mai, per vivere in balìa di quella potente sensazione che m’invadeva la carne, le viscere. Niente di meglio al mondo che godere, niente, niente. Se di solito l’orgasmo clitorideo mi prendeva violento oggi lo lasciai scorrere, avvertii le scariche sprigionarsi, invadere l’inguine, salire al ventre, ed esplodere in tutto il corpo. Fu un orgasmo straordinario. Subito dopo provai un senso di gratitudine e una tristezza colossale. Mi trovai a piangere e a ridere allo stesso tempo. Aidan si risollevò guardandomi negli occhi. Lo baciai, succhiai la sua lingua e con le dita gli asciugai i miei umori intorno alle labbra.

«Sei una meraviglia quando vieni», disse. Disarmata l’abbracciai, nascondendo il mio imbarazzo nell’incavo del suo collo.

Con un abbraccio deciso, Aidan mi trascinò sopra di lui, raccolse i miei capelli in una coda di cavallo obbligandomi ad alzare il viso perché lo guardassi.

«Mi piace», disse. «Non ti devi nascondere. Nessun giudizio qui. Solo io e te!»

Frenai la voglia di dirgli quanto era magico il suo tocco, quanto era magico lui. Mi accarezzò il viso e tutto a un tratto volevo piangere per la vergogna, la colpa, il peccato di aver ceduto a un uomo che non era mio e mai lo sarebbe stato. Credo che Aidan lo intuì, perché subito mi serrò il viso tra le mani. Nell’avvertire il metallo gelido della sua fede sulla guancia abbandonai la fronte al suo petto.

«Audrey, sono qui con te e voglio te», mi diede un bacio. «Ti voglio così tanto… Ti prego non pensare, non farlo, immagina di essere a Stoccolma.»

Ma come cazzo faceva? Che uomo era?

«Vuoi solo evasione?» chiesi.

«Voglio stare con te», disse.

Scossi la testa. «No, Aidan tu vuoi evasione, quindi non illudermi.», dissi, arrabbiata.

Mi sollevai e mi portai cavalcioni su di lui. Aidan mi accarezzò i fianchi, intrecciò le dita con le mie e di nuovo avvertii quel maledetto anello.

«Ti prego, togliti la fede», dissi esasperata.

In silenzio se la sfilò e l’appoggiò sul comodino.

«Vieni qui, ora io sono io a prendere», disse.

«Prendi tutto quello che vuoi», dissi stringendomi a lui.

E di nuovo naufragai nei suoi baci e nelle mani prepotenti, precipitando nel piacere. Aidan scartò un preservativo. Da dove diavolo fosse spuntato lo sapeva solo lui. E anche questa volta mi tornò alla mente Didì e la sua verità. Sorrisi per quanto quella stronza avesse sempre ragione!

Divaricai le gambe. Aidan piegandosi sul mio corpo si spinse dentro di me fino al congiungimento naturale dei nostri corpi, delle nostre essenze. Mi aggrappai a lui accogliendolo con tutta me stessa. Le spinte si fecero in un attimo più intense. Sollevandomi una gamba se la portò al fianco facilitando i propri movimenti. D’improvviso le unghie si piantarono nella carne delle natiche e il respiro di Aidan si fece rovente e spasmodico. Provai una gioia immensa nell’accogliere il suo orgasmo. Restammo abbracciati per un tempo infinito, tra soffi per rinfrescarci, baci delicati e carezze.

Eravamo di nuovo noi, due fiamme gemelle che niente e nessuno avrebbe potuto spegnere.

10. William Shakespeare, Romeo e Giulietta.