La guerra finì per Barga, dopo le ultime granate tedesche cadute il 18 aprile, e il paese cessò di essere una cittadina martoriata da fuoco nemico e da fuoco amico. Ero contenta all’idea di tornare ma anche triste pensando che avrei lasciato Nozzano, che era stata un’isola di pace e una casa per me, e a maggio era tutta una fioritura dai prati agli alberi, con il radicchio e gli erbi nei campi che la mamma cucinava. A Barga cosa avrei trovato? Dall’aprile del ’44 a quello del ’45 era stato un anno terribile per il mio paese tra deportazioni, perdite, fame e distruzioni, e dopo sette mesi di lontananza non mi sentivo più “la bimba” che l’aveva lasciata quasi contenta, ma una figlia grande in ansia per il futuro. Ce l’avremmo fatta a ripartire senza paure e angosce? Le notizie di mio padre che era già tornato più volte non facevano prevedere molto di buono. Non tutto era stato limpido e solidale, neppure sotto i bombardamenti.
La prima cosa che notai al nostro arrivo, quando il camioncino che ci aveva riportato da Nozzano si fermò in fondo alla via del Fosso, fu che la casa della Luciana, la mia compagna di scuola, non c’era più. Di quella bella casa, una villa bianca a tre piani, con le persiane verdi e i piccoli balconi, un po’ discordante così in mezzo al paese vecchio, rimaneva solo un angolo acuto e alto, come una torretta squarciata e le viscere in mostra. Poi vidi la voragine che si apriva al posto dei ponti o piuttosto vidi le macerie lasciate dai ponti. Lo sapevo che erano stati distrutti dai tedeschi alla fine di settembre, quando noi eravamo in montagna, ma guardare con i miei occhi fu un’altra cosa. Dove una volta si intravedevano solo cime verdi, e non si riusciva a scorgere il fondo della vallata tanto gli alberi così alti e fitti lo nascondevano, ora c’era un cratere di sassi e pietre. Il fondo era quasi a portata di mano. E mi sembrava di accettare la distruzione del ponte nuovo, largo, adatto ai mezzi di trasporto, ma non quella del ponte vecchio, antico, dove solo mezzi ridotti potevano passare, non certo quelli da battaglia, e dove avevo giocato tanto. Il ponte antico per me era come il nonno di quello grande. La nostra casa si trovava proprio lì con il vuoto davanti. Mi venne da piangere, lacrime a pioggia tra lo sgomento dei miei genitori.
Poi li aiutai a portare in casa quel poco che avevamo con noi. La casa stranamente non aveva risentito molto della guerra eccetto per i vetri alle finestre e qualche danno minore che mio padre aveva già sistemato. Non mancava niente di quello che vi avevamo lasciato. La famiglia nostra amica al piano di sopra era stata quasi sempre presente, i genitori vecchi non si erano voluti spostare, quando c’era maggior pericolo o paura scendevano giù per una scala interna nella bottega che era mezza interrata ed era servita da rifugio.
C’era invece un problema grande per mio padre. Una delle prime cose di cui si era reso conto durante i suoi ritorni era che qualcuno si era approfittato di ciò che aveva lasciato accuratamente nascosto nei fondi. All’inizio del ’44, quando si era capito che la guerra sarebbe stata ancora lunga e sanguinosa, aveva cercato di salvare ciò che di maggior valore aveva in bottega e tutta la famiglia lo aveva aiutato in questo impegno. La bottega consisteva in una parte centrale suddivisa in vari reparti: ferramenta, mesticheria, casalinghi, frequentatissimi da artigiani e operai e dalle famiglie bene del luogo. I pezzi di porcellana pregiata erano sempre stati un suo vanto. C’erano, inoltre, tre o quattro fondi per i materiali edili, dislocati nei vicoli vicini, che servirono per nascondere e sotterrare le merci migliori e più costose, anche chiudendo alcuni spazi difficili da raggiungere. Per lui scoprire che tutto questo era stato portato via con danni agli edifici fu terribile, non solo per il valore degli oggetti e per la fatica fatta a suo tempo, ma soprattutto per la ferita inferta ai suoi sentimenti, al suo senso di onestà. Da alcuni vicini seppe inoltre chi era stato, ma non l’ha mai voluto dire a noi, suoi figli. Questo uomo, che dopo tanti anni ricominciò da zero, senza un lamento o una parola di troppo e con una dignità che ancora oggi mi commuove, era mio padre.