Las Vegas, 14/6/1968
EROINA:
Aveva attrezzato un laboratorio nella suite dell’albergo dove alloggiava. Becher, alambicchi e becchi Bunsen riempivano le mensole alle pareti. Su un fornello a tre piastre c’erano i recipienti per la raffinazione. Stava preparando un antidolorifico. Era dai tempi di Saigon che non raffinava stupefacenti.
Una suite allo Stardust, ospite di Carlos Marcello. Carlos sapeva che Janice aveva un cancro allo stadio terminale, e che lui con la chimica ci sapeva fare.
Nel primo becher Wayne unì la morfina grezza all’ammoniaca. Riscaldò il tutto per un paio di minuti, finché rimasero piccoli cristalli brillanti e sedimenti di sabbia. Portò la temperatura dell’acqua in un altro recipiente a ottantatré gradi, aggiunse dell’anidride acetica e unì questa soluzione al residuo secco del primo becher. Dalla mistura si formò un nuovo precipitato organico. A questo addizionò infine una soluzione di diacetilmorfina e carbonato di sodio. Wayne mescolò e spense le altre due piastre.
Lanciò un’occhiata alla suite. La cameriera aveva dimenticato un giornale. Tutti i titoli riguardavano lui.
La morte di Wayne Senior in seguito a un “attacco cardiaco”. James Earl Ray e Sirhan Sirhan in gattabuia.
La prima pagina, tutta per lui. Il suo nome non figurava. Carlos aveva sistemato il caso di Wayne Senior, Hoover gli strascichi degli omicidi di King e Bobby.
Wayne osservò la massa schiumosa del prodotto finale che cresceva. Quella mistura avrebbe semianestetizzato Janice. Si stava dando da fare per farsi assumere da Howard Hughes, roba grossa. Hughes era dipendente dai barbiturici, e lui poteva preparargli un intruglio personalizzato e portarglielo la prima volta che l’avesse ricevuto.
Dal liquido emersero grossi cristalli. In seconda pagina, Wayne vide le foto di Ray e Sirhan. Lui aveva partecipato all’omicidio di King. Ci aveva lavorato ai piani alti. Freddy Otash aveva usato Ray come capro espiatorio per King, e Sirhan come capro espiatorio per Bobby.
Squillò il telefono. Wayne afferrò il ricevitore. La linea era disturbata dal ticchettio del dispositivo per cifrare la comunicazione. Doveva essere Dwight Holly che chiamava da un telefono sicuro dei federali.
«Sono io, Dwight.»
«L’hai ammazzato?»
«Sì.»
«“Attacco di cuore.” Cazzo, sarebbe stato più opportuno “colpo apoplettico”.»
Wayne tossì. «Carlos se ne sta occupando personalmente. Sa come mettere tutto a tacere qui.»
«Non voglio che Hoover si agiti per questa faccenda.»
«È tutto a posto. La domanda è: “E gli altri?”.»
«Si parla sempre di complotti» rispose Dwight. «Quando fai fuori un personaggio pubblico queste stronzate tendono a venire a galla. Freddy manovrava Ray di nascosto e Sirhan apertamente, ma è dimagrito e ha cambiato aspetto. Tutto sommato, direi che possiamo stare tranquilli su entrambi i fronti.»
Wayne guardava il composto in preparazione, mentre Dwight gli snocciolava altre novità. Freddy O. aveva acquistato l’hotel-casinò Golden Cavern da Pete Bondurant.
«Dimmi che stiamo tranquilli, Dwight. E convincimi.»
Dwight rise. «Mi sembri un tantino nervoso, ragazzo.»
«Sì, sono un po’ teso. Il parricidio è una cosa strana.»
Dwight fece un verso di disgusto. La droga nel becher cominciò a bollire. Wayne spense tutto e si mise a guardare la foto sullo scrittoio.
Janice Lukens Tedrow, sua amante nonché ex matrigna. Scattata nel ’61. Sta ballando il twist al Dunes. È senza cavaliere, ha perso una scarpa e le si è scucito il vestito.
«Ehi, ci sei?» chiese Dwight.
«Ci sono.»
«Mi fa piacere. Come mi fa piacere sapere che per quanto ti riguarda stiamo tranquilli.»
Wayne fissava la fotografia. «Mio padre era tuo amico. Non mi sembri molto scosso.»
«Cazzo, ragazzo. Ti ha mandato a Dallas.»
La Big D. Novembre del ’63. Lui era lì in quel Gran fine settimana, aveva afferrato la Grande occasione e aveva fatto il Gran viaggio.
Era sergente al dipartimento di polizia di Las Vegas. Sposato, una laurea in chimica. Suo padre era un facoltoso mormone, un pezzo grosso. Wayne Senior aveva legami con i fanatici della destra. Organizzava spedizioni del Klan per conto di Hoover e di Dwight Holly. Faceva ottimi affari con pubblicazioni che incitavano all’odio razziale. Cavalcava lo zeitgeist dell’estrema destra e si teneva informato su tutto. Sapeva dell’assassinio di JFK. Aveva le mani in pasta ovunque: esuli cubani, canaglie della CIA, mafia. Wayne padre comprò al figlio un biglietto per Dallas.
Un lavoro di estradizione, con un ordine: eliminare l’estradato.
Il dipartimento di polizia approvava l’incarico. Un pappone negro di nome Wendell Durfee aveva accoltellato il gestore di un casinò. L’uomo era sopravvissuto. Non importava. Il Consiglio dei gestori di casinò voleva Wendell morto. Di incombenze del genere si occupava la polizia di Vegas. Erano lavoretti speciali che fruttavano parecchia grana. Erano test. Il dipartimento voleva verificare se avevi le palle. Wayne Senior aveva una certa influenza su quel dipartimento. Sapeva dell’attentato a JFK. Per questo Wayne padre aveva mandato lì il figlio. Wendell Durfee era andato a Dallas in aereo da Vegas. Wayne Senior dubitava che il figlio avesse i coglioni. Pensava che dovesse eliminare un nero disarmato. Wayne arrivò in aereo a Dallas il 22 novembre 1963.
Non aveva intenzione di uccidere Wendell Durfee. Non sapeva dell’attentato a JFK. Faceva coppia con un collega che si occupava di estradizioni. Il poliziotto si chiamava Maynard Moore, prestava servizio presso il dipartimento di polizia di Dallas. Era un bifolco psicopatico con un ruolo secondario nell’attentato.
Wayne si scontrò con Maynard Moore e cercò di non uccidere Wendell Durfee. Si ritrovò invischiato nel complotto e nel precipitare degli eventi che seguirono l’omicidio. Collegò Jack Ruby con Moore e quel mercenario fascista di Pete B. Vide in diretta tivù Ruby accoppare Lee Harvey Oswald.
Lo sapeva. Ma non immaginava che suo padre sapesse. Quella domenica andò tutto storto.
JFK era morto. Oswald era morto.
Stanò Wendell Durfee e gli disse di filarsela. Maynard Moore si mise in mezzo, Wayne lo ammazzò e lasciò scappare Durfee. Wayne non ci rimise le penne grazie all’intercessione di Pete B.
Pete reputava saggio il proprio atto di clemenza, ma sconsiderato quello di Wayne. Lo avvertì che prima o poi Wendell Durfee si sarebbe rifatto vivo.
Wayne tornò a Vegas. Pete B. si trasferì a Vegas per un lavoretto su commissione di Carlos Marcello. Si mise a indagare su Durfee e raccolse delle soffiate: era un negro con il vizio dello stupro e anche peggio. Era il gennaio del ’64. A Pete giunse voce che Wendell Durfee era tornato a Vegas e informò Wayne, che si gettò sulle sue tracce. Tre tossici neri si misero in mezzo. Wayne li ammazzò. Wendell Durfee stuprò e uccise la moglie di Wayne, Lynette.
Da lì iniziò la sua caduta. Era cominciata a Dallas e continua ancora Oggi.
Wendell Durfee se la squagliò. Wayne Senior e il dipartimento di polizia si diedero da fare per far scagionare Wayne Junior dall’omicidio dei tossici. Hoover era disponibile. Dwight Holly, vecchio amico di Senior, no. All’epoca, Dwight lavorava per il Federal Bureau of Narcotics. I tossici spacciavano eroina e furono fatti passare per colpevoli. Dwight si lagnò con il procuratore federale: Wayne Junior aveva mandato a puttane la sua inchiesta, pretendeva che fosse incriminato e processato. Il dipartimento di polizia fabbricò delle prove e si lavorò il gran giurì. Wayne fu scagionato. Quella faccenda lo lasciò svuotato. Lasciò la polizia ed entrò nella Vita.
Soldato di ventura. Trafficante di eroina. Assassino.
Lynette era morta. Lui giurò di scovare e uccidere Wendell Durfee. Lynette era la sua migliore amica e il suo tesoro, un freno all’amore che provava per la seconda moglie di suo padre. Janice era più anziana di lui, l’aveva visto crescere, stava con Senior per i soldi e per il potere. Janice ricambiava l’amore di Wayne. Si desideravano; lungi dal diminuire, la passione continuava a crescere.
Wayne prese a frequentare Pete e sua moglie Barb. Pete era in rapporti stretti con un avvocato della mafia, Ward Littell. Ward era un ex agente dell’FBI e uomo di punta nell’omicidio di JFK. Lavorava per Carlos Marcello e Howard Hughes, e faceva il doppio gioco nelle retrovie, in prima linea e trasversalmente. Pete e Ward furono per Wayne dei maestri. Da loro imparò la Vita. In un batter d’occhio, li surclassò.
Pete era fissato per la causa degli esuli cubani. La situazione in Vietnam era sempre più calda. Howard Hughes accarezzava la folle idea di comprarsi tutta Las Vegas. Wayne Senior entrò a far parte della guardia mormone di Hughes. In Ward Littell nacque un risentimento nei confronti di Senior. Un agente deviato della CIA reclutò Pete perché immettesse sul mercato di Vegas un flusso costante di eroina proveniente da Saigon, i cui proventi sarebbero stati destinati alla causa cubana, come promesso da Carlos Marcello. Pete aveva bisogno di un chimico per raffinare la droga e assoldò Wayne. L’odio di Ward verso Wayne Senior crebbe. Decise di fotterlo: rivelò a Wayne che era stato suo padre a spedirlo a Dallas.
Per Wayne fu un duro colpo. Annaspava, andava avanti a malapena. Si scopò Janice nella casa del padre, facendo in modo che Wayne Senior li vedesse.
“La Vita”, una parola. Rifugio di fanatici mormoni, chimici al soldo degli spacciatori, killer negri.
Wayne Senior divorziò da Janice. La pestò a sangue con un bastone dalla punta d’argento per rifarsi del costo degli alimenti. Janice rimase zoppa ma continuò a giocare a golf da professionista. Ward Littell vendette Las Vegas a Hughes ai prezzi gonfiati imposti dalla mafia e allacciò una relazione occasionale con Janice. Wayne Senior aumentò il suo ascendente su Hughes e si mise a leccare i piedi all’ex vicepresidente Dick Nixon. Dwight Holly lasciò il Bureau of Narcotics e rientrò nei ranghi dell’FBI. Hoover gli assegnò il compito di spazzare via Martin Luther King e il movimento dei diritti civili. Dwight utilizzò Wayne Senior per organizzare frodi postali ai danni del Klan, un contentino per le pappemolli del dipartimento di Giustizia.
Wayne raffinava eroina a Saigon e la mandava a Vegas. Diede la caccia a Wendell Durfee per quattro anni. Il paese era sconvolto da rivolte e da una violenta ondata di odio razziale. Da un punto di vista morale King batteva Hoover su ogni fronte, e il vecchio si logorava per il solo fatto che quell’uomo esistesse. Hoover le aveva provate tutte. Si lamentò con Dwight dicendo di aver fatto quanto era in suo potere. Dwight capì l’antifona e si rivolse a Wayne Senior. Questi voleva coinvolgere il figlio, ma riteneva che qualcuno lo dovesse convincere a partecipare. Dwight si mise in moto e rintracciò Wendell Durfee.
A Wayne arrivò una soffiata apparentemente anonima. Scovò Wendell Durfee in un quartiere malfamato di Los Angeles e lo uccise, nel mese di marzo. Era una trappola. Dwight raccolse prove sufficienti per incastrarlo e lo costrinse a far parte del piano per l’attentato. Wayne lavorò con il padre, con Dwight, Freddy Otash e Bob Relyea, un killer professionista.
A Janice venne diagnosticato un cancro allo stadio terminale. Le lesioni provocate dalle percosse avevano impedito una diagnosi precoce della malattia. Il gruppo che gestiva l’affare del traffico di droga da Saigon si divise in due fazioni e scoppiò il caos. Da una parte mafiosi sanguinari e folli esuli cubani, dall’altra, Wayne, Pete e un mercenario francese, Jean-Philippe Mesplede. Tra aprile e maggio la situazione precipitò. Le elezioni erano nell’aria. King era morto. Carlos Marcello e i Ragazzi decisero di accoppare Bobby Kennedy. Pete fu obbligato a partecipare. Freddy O. si era tirato fuori con disinvoltura dall’omicidio di King. Ward Littell continuava a lavorarsi Carlos e Howard Hughes. Aveva ricevuto in eredità un dossier contro la mafia. Lo affidò a Janice.
Wayne andò a trovarla il 4 giugno. Il cancro l’aveva sfibrata rendendo informe il suo fisico tutto curve. Fecero l’amore per la seconda volta. Lei gli rivelò ulteriori particolari sul dossier di Ward. Lui frugò nell’appartamento e lo trovò. Conteneva accuse dettagliate su Carlos, denunciandone le attività a New Orleans. Wayne lo mandò a Carlos, con un biglietto.
“Signore, mio padre stava progettando di ricattarla con questo dossier. Ne possiamo parlare?”
Robert F. Kennedy venne assassinato due ore dopo. Ward Littell si tolse la vita. Howard Hughes offrì a Wayne Senior di assumere le mansioni di Ward, cioè faccendiere e intermediario con la mafia. Il primo incarico: comprare la fedeltà del candidato di punta del partito repubblicano, Dick Nixon.
Carlos chiamò Wayne e lo ringraziò per averlo messo in guardia. «Vieni a cena da me» gli disse.
Wayne decise di ammazzare il padre. L’avrebbe ucciso Janice, a colpi di mazza da golf.
Carlos aveva una suite in falso stile romano al Sands. Un idiota vestito da centurione accolse Wayne. Nella suite c’erano colonne pseudoromane e quadri che rappresentavano il sacco di Roma. Cartellini dei prezzi pendevano dalle modanature alle pareti.
Era stato imbandito un buffet. L’idiota fece accomodare Wayne a un tavolo laccato con le lettere SPQR in rilievo. Entrò Carlos. Indossava pantaloncini di seta e una camicia da smoking macchiata.
Wayne si alzò. «Comodo» gli disse Carlos. Wayne si sedette. L’idiota servì due piatti colmi di pietanze e svanì. Carlos versò del vino.
«È un piacere, signore» disse Wayne.
«Non fare finta che non ti conosca. Sei un uomo di Pete e di Ward, e hai lavorato per me a Saigon. Sul mio conto sai più di quanto dovresti, a parte tutta la merda che c’è in quel dossier. Conosco la tua storia, tu sì che ne hai da raccontare, non come tutti quei coglioni di cui ho sentito parlare di recente.»
Wayne sorrise. Carlos tirò fuori dalla tasca due pupazzi con la testa ciondolante: uno raffigurava RFK, l’altro King. Sorrise e li decapitò.
«Salud, Wayne.»
«Grazie, Carlos.»
«Sei in cerca di lavoro, giusto? Non ti ho fatto venire qui per stringerti la mano e sganciarti una bustarella.»
Wayne sorseggiò il vino. Era di un’annata recente ma pregiata, una bottiglia acquistata in enoteca.
«Voglio assumere il ruolo di Ward Littell nella sua organizzazione, e la posizione che mio padre ha ereditato da Ward nell’organizzazione di Hughes. Ho capacità e conoscenze adeguate, sono pronto a favorirla nei miei rapporti d’affari con Mr Hughes, e so bene quale punizione lei riserva ai traditori.»
Carlos infilzò un’acciuga. La forchetta scivolò e dell’olio d’oliva schizzò sulla camicia elegante, macchiandola.
«E tuo padre che ruolo avrà in tutto questo?»
Wayne fece cadere il pupazzo raffigurante RFK. Un braccio di plastica si staccò. Carlos s’infilò le dita nel naso.
«Okay, sono dannatamente sensibile ai favori e tu mi sei anche simpatico, ma per quale motivo Howard Hughes dovrebbe rinunciare a tutti i leccaculo della sua organizzazione che lo fanno dormire fra due guanciali per assoldare un ex poliziotto fuori di testa che se ne va in giro ad accoppare negri per divertimento?»
Wayne trasalì. Afferrò il calice di vino e per poco non ne spezzò lo stelo.
«Hughes è un tossicomane xenofobo, tutti sanno che si inietta la droga in una vena dell’uccello, e io sono in grado di preparare...»
Carlos fece un gesto di disgusto e diede una manata sul tavolo. Il suo calice si rovesciò. Pezzi di peperone volarono via, l’olio d’oliva schizzò ovunque.
«... stimolanti e calmanti che ne ottunderanno le facoltà mentali al punto da renderlo molto più malleabile nei rapporti d’affari che intrattiene con lei. So anche che lei ha in serbo una consistente bustarella per Richard Nixon, se diventerà presidente. Hughes ci metterà il venti per cento, e io ho intenzione di saccheggiare il gruzzolo di mio padre e assicurarle altri cinque milioni.»
L’idiota vestito da centurione entrò nella stanza. Aveva in mano una spugna e in un battibaleno ripulì lo sporco. Carlos schioccò le dita. L’idiota si dileguò.
«Torniamo a tuo padre. Che farà Wayne Tedrow Senior mentre Wayne Tedrow Junior glielo ficca in quel posto?»
Wayne indicò i pupazzi, poi il cielo. Carlos fece scrocchiare le nocche.
«D’accordo, ci sto.»
Wayne sollevò il calice. «Grazie.»
Carlos sollevò il calice. «Prenderai il due e cinquanta all’anno più gli spiccioli, e subentri da subito nelle mansioni di Ward. Voglio che tu sovrintenda al rilevamento delle attività legali avviate con i finanziamenti del fondo pensioni dei Teamster, che potremmo usare per il riciclaggio trasferendo i proventi in un fondo segreto destinato alla costruzione di hotel-casinò in qualche posto dell’America centrale o dei Caraibi. Sai di cosa abbiamo bisogno. Ci serve un tipo malleabile, anticomunista, un jefe che esegua i nostri ordini e metta la sordina a tutte le cazzate dei dissidenti hippie. In questo momento se ne sta occupando Sam G. Abbiamo ristretto il campo a Panama, al Nicaragua e alla Repubblica Dominicana. Questo sarà il tuo fottuto compito. Datti da fare e assicurati che il tuo tossico continui a comprare i nostri alberghi, poi fa’ in modo che ci siano sempre nostri infiltrati, potrebbero darci una mano con la scrematura.»
«D’accordo» rispose Wayne.
«Tuo padre non deve sapere che sei dei nostri.»
Wayne si alzò troppo in fretta. Intorno a lui il mondo pseudoromano vorticò. Carlos si alzò. La camicia macchiata ormai grondava.
«Vedrò di garantirti una copertura.»
Janice occupava una suite in stile casbah al Dunes. Wayne pagava delle infermiere per assisterla notte e giorno. Ormai Janice non lasciava più l’albergo.
L’infermiera del turno pomeridiano era fuori in terrazza a fumare. La stanza era illuminata solo a metà, l’altra parte era avvolta da una caligine desertica. Janice era a letto tutta infagottata, con il condizionatore al massimo. Il suo organismo reagiva in maniera schizofrenica: o era semiassiderata o moriva di caldo.
Wayne le era seduto accanto. «C’è una partita di golf in tivù.»
«Mi sa che con il golf per un po’ ho chiuso.»
Wayne sorrise. «Touché.»
«Quando andrai da Hughes?»
«Tra qualche giorno.»
«Ti prenderà. È convinto che tu sia un mormone, e che tuo padre ti abbia trasmesso qualche insegnamento.»
«Be’, l’ha fatto.»
Janice sorrise. «Chi sarà presente? Cioè, chi è lo scagnozzo di Hughes?»
«Un certo Farlan Brown.»
«Lo conosco. La moglie era campionessa del club al Frontier, ma l’unica volta che ho giocato con lei l’ho battuta nove a otto.»
Wayne rise. «Nient’altro?»
Janice rise. Per lo sforzo cominciò a tossire e a sudare. Scostò le coperte. La camicia da notte si sollevò con uno svolazzo. Wayne notò che il suo corpo era diventato più flaccido e incavato.
Janice si asciugò la fronte con la manica della camicia da notte. Gli annusò il braccio e lo mordicchiò per gioco. Wayne simulò una smorfia di dolore.
«Stavo per aggiungere che beve e va a caccia di donne, come tutti i buoni mormoni. Uomini del genere venerano la trinità: ballerine, cameriere da cocktail bar e hostess.»
Nella camera si gelava, ma al solo parlare Janice sudava copiosamente. Si morse un labbro. Le tempie le pulsavano. Si toccò l’addome. Wayne riconobbe la sequenza del dolore.
«Merda» esclamò Janice.
Wayne aprì la sua valigetta e preparò una siringa. Janice stese il braccio. Wayne trovò la vena, strofinò la pelle e strinse con la mano a mo’ di laccio emostatico. Ago, puntura, ecco fatto.
In un attimo...
Janice s’irrigidì e poi s’acquietò. Sbatté le palpebre. Fece uno sbadiglio e s’addormentò.
Wayne le misurò il polso. Il battito era lieve ma regolare. Il braccio era leggero come una piuma.
Sul comodino era aperto il “Los Angeles Times”. C’erano tre foto: JFK, RFK, King. Wayne ripiegò il giornale per non vedere le foto e si mise a contemplare Janice che dormiva.