Las Vegas, 20/6/1968
Altra suite d’albergo. Altro pessimo pasto servito in camera.
Hoover gli aveva detto di rimanere appostato a Vegas. L’omicidio di Wayne Senior lo aveva contrariato. Voleva che Wayne Junior venisse ammorbidito e messo alla prova. Ecco perché quella cazzo di sosta. E il tempo passato al dipartimento di polizia di Vegas. E l’insalata vizza e l’orribile bistecca.
Dwight allontanò il piatto. Il cibo lo appesantiva. Gli rallentava i riflessi e attenuava la carica che gli davano nicotina e caffè. Lo Stardust apparteneva ai Ragazzi di Chicago. In teoria l’FBI combatteva la mafia, e invece avevano una suite in quell’albergo. Hoover non usava i muscoli contro la criminalità organizzata. Solo Bobby K. la vedeva come una bestia nera e una iattura. Hoover odiava i rossi, i negri e i rompiscatole di sinistra. Probabilmente adorava l’insalata vizza e le orribili bistecche.
Quel fottuto Stardust. Quattromila slot machine e suite con le pareti imbottite di velluto. I Ragazzi di Chicago non vedevano l’ora di mollare la baracca a Howard Hughes. Il conte Dracula non vedeva l’ora di comprarla. I Ragazzi avrebbero fatto la scrematura a sua insaputa.
E Wayne Tedrow Junior stava facilitando l’affare. Wayne si scopava la matrigna che aveva un piede nella fossa. Insieme avevano fatto fuori Wayne Senior. Dwight e Senior si conoscevano da una viiiiita. A Dwight, Junior piaceva perché era un veeeeero fenomeno. Adesso doveva tirare fuori dai guai Junior per l’Omicidio Numero Uno.
Un casino dopo l’altro.
Fuori c’erano quarantacinque gradi. I condizionatori a parete sprizzavano ghiaccio. Mentre misurava a grandi passi la suite, Dwight avvertì la sensazione claustrofobica che gli davano gli alberghi.
Le seccature continuavano a incrociarsi. Buddy Fritsch era troppo nervoso. L’agente responsabile dell’ufficio di Vegas aveva detto che le voci sull’omicidio di Senior commesso da Junior stavano ammorbando l’aria del deserto. Hoover smaniava. Fino a un certo punto ancora reggeva. A Los Angeles Sirhan Sirhan schiumava rabbia. Jimmy Ray schiumava rabbia e lottava contro l’estradizione. La faccenda della Grapevine Tavern stava trapelando. Quella mattina aveva visto un telex dell’ATF – l’agenzia per il controllo di alcol, tabacco e armi da fuoco – trasmesso da Hoover in un momento di nervosismo. L’ATF avrebbe potuto mettere la Grapevine sotto sorveglianza, nel locale bazzicavano bifolchi che vendevano droga e armi. Rogne tra agenzie. Le cimici alla Grapevine si erano rivelate controproducenti, e ispiravano voci su complotti. In genere simili voci non preoccupavano, ma questa sì, e probabilmente andava bloccata. Cosa impossibile con l’ATF di mezzo.
Prossimità. I vaniloqui di Jimmy Ray, i vaniloqui alla Grapevine. Vaniloqui fondati: il fratello di Jimmy Ray era comproprietario di quel locale.
Un casino dietro l’altro.
Aveva i nervi a pezzi. Dormiva poco. Ogni notte alle tre si riaffacciava il ricordo di Memphis. I rumori delle automobili risuonavano come spari. A letto avvertiva delle fitte come se qualcuno lo stesse picchiando.
Dwight si avvicinò alla finestra della stanza da letto. Quando si trovava nelle suite d’albergo gli mancava Karen. Quelle suite lo irritavano, desiderava una vera camera da letto. Aveva rovistato in casa di Karen una mezza dozzina di volte. Voleva fermarsi lì quando lei non c’era. L’istinto lo spingeva a cercare prove che lei non lo tradisse. Aveva trovato la tranquillità e le conferme che cercava. Una volta lei aveva perquisito la sua suite di Washington. Lui aveva trovato segni di effrazione, si era messo a cercare le impronte e aveva scoperto una Karen Sifakis che non conosceva. Lei aveva notato il suo libretto degli assegni anonimo e aveva letto il suo diario. Appena due giorni prima lui ci aveva scritto: “L’amo da morire”.
Senza confessarlo apertamente, si erano detti: “Ho ficcato il naso tra le tue cose”. Lui aveva letto il suo diario. Probabilmente Karen nascondeva le pagine che non voleva fargli leggere. Lo aveva assillato per quegli assegni. Un giorno, forse, le avrebbe detto la verità.
Dwight si versò prima del solito l’unico drink che si concedeva la sera. Venne il crepuscolo, poi calò il buio. Nel cielo scuro palpitava il brulichio di luci al neon di Vegas.
Gennaio del ’57. Strade ghiacciate sulla Merritt Parkway. Dirigeva l’ufficio di New York. Guidava ubriaco una macchina del Bureau, diretto a Cape Cod per trascorrere un fine settimana con la sua ragazza. Finì contro uno spartitraffico e investì una macchina che sopraggiungeva in senso contrario. Nello scontro persero la vita le due figlie adolescenti di Mr George Diskant e sua moglie.
Lui se la cavò con qualche graffio. Hoover insabbiò le indagini della polizia del Connecticut. Dwight fu ricoverato in una casa di cura dalle parti di New Caanan. Alternava accessi di pianto a lunghi periodi di silenzio. Rimase al Silver Hill per un mese e quattro giorni. Riacquistò l’equilibrio e tornò al lavoro. Si tenne lontano dalle donne fino a quando incontrò Karen.
Dwight sorseggiò lentamente il suo drink. Quel cielo cominciava a irritarlo. Riprese il dossier sui militanti neri.
La seconda lettura confermò le sensazioni della prima. Le Pantere e gli US: troppo in vista e troppo infiltrati. L’Alleanza della Tribù Nera e il Fronte di liberazione Mau-Mau: poco conosciuti, con un notevole potenziale di indagine.
Karen poteva trovargli una talpa. Maschio o femmina, bianco o nero. Chiunque fosse, poteva estorcere informazioni politiche a entrambi i gruppi. L’infiltrato doveva essere un maschio nero. Avrebbe fornito informazioni su tutte le azioni criminose con un movente politico.
Magari un poliziotto. O un ex poliziotto. Magari un poliziotto o un ex poliziotto con un passato equivoco. Di nuovo quell’idea: controllare l’indirizzario degli abbonati alle pubblicazioni razziste.
Wayne Junior aveva accesso agli elenchi di Wayne Senior. Sosteneva di non occuparsi dell’affare delle pubblicazioni razziste. Il dottor Fred Hiltz era un informatore del Bureau. Era in stretti rapporti con l’investigatore privato di Los Angeles Clyde Duber. Clyde era in stretti rapporti con l’agente responsabile dell’ufficio di Los Angeles.
Nell’atrio suonò un campanello. Dwight sobbalzò.