Los Angeles, 25/8/1968

Elenchi:

Abbonati a pubblicazioni razziste, partecipanti a convegni di argomento razzista, appassionati di vignette che fomentano l’odio razziale.

Controlli incrociati di:

Elenchi di pregiudicati, elenchi della motorizzazione, elenchi di gruppi sovversivi.

Controlli incrociati di:

Le pubblicazioni razziste stesse. Le copie omaggio. Tutta la merda odio-l’uomo-bianco. Controlli incrociati fra i destinatari neri e quei fottuti elenchi.

Dwight lavorava nell’ufficio di copertura. Aveva accumulato mucchi di fogli presi dall’archivio segreto del dottor Fred e copie carbone del dipartimento di polizia di Los Angeles e della motorizzazione civile della California. Odio, odio, odio. Enormi pile di carta: l’Himalaya dell’Odio.

Ci stava lavorando dalla puntata a Vegas. Aveva cominciato dalle informazioni riservate del locale distretto di polizia. Cercava poliziotti neri maschi con esperienze d’infiltrazione. Non ne aveva trovati. Era tornato agli elenchi degli abbonati. Aveva fatto una cernita dei documenti che si era procurato e aveva montato alcuni scaffali dove sistemarli. Dava la caccia al nome di un negro. Doveva trovare un negro razzista, reclutarlo, costringendolo o incastrandolo, e insegnargli a odiare di nuovo.

La lista dei nomi era interminabile. Le pubblicazioni e le foto razziste strappavano qualche risata. Bianchi con cazzi minuscoli, neri con cazzi enormi, la diaspora delle dimensioni falliche definiva la storia della gente di colore. Medici ebrei che diffondevano l’anemia falciforme. Audrey Hepburn che aveva un figlio nero da Jim Brown. Lawrence Welk che in realtà era nero. Count Basie che in realtà era bianco. John Glenn, il primo astronauta negro della storia.

Dwight dava la caccia a un nome. Dalla A alla Z, e poi da capo. Un diamante in una valanga di spazzatura, U, V, W, X, Y, Z e di nuovo la A.

Arthur Atkinson era un nazista nero. Willis Barrett un abbonato alla rivista “Caccia ai bianchi”. Ricky Tom Belforth a “Lo voglio nero. Troie bianche sbavano per uomini veri!”. Bistrip, Blair, Blake, Bledsoe... alt: e questo chi è?

Marshall E. Bowen/5652 South Denker, Los Angeles. Abbonato a opuscoli antisemiti, ’65-66.

Il nome suonava familiare. Dwight prese gli elenchi della motorizzazione e saltò alla B. Eccolo: Marshall Edward Bowen/maschio nero/altezza 180 cm, peso 80 kg, nato il 18/5/44. Pat. n. 08466. Precedente indirizzo: 8418 South Budlong. Nota sul fascicolo: selezione preliminare per l’ammissione all’Accademia del dipartimento di polizia di Los Angeles, 11/3/67. Indirizzo attuale… tombola: di nuovo 5652 South Denker.

Anomalia. Incongruenza. Abbonato a pubblicazioni razziste contro i bianchi, probabile poliziotto di Los Angeles.

Già, e il nome che suonava così familiare.

Dwight esaminò l’elenco dei gruppi sovversivi. Di nuovo tombola: riecco Marshall E. Bowen.

Aveva partecipato a riunioni di musulmani neri. A riunioni di comunisti del Black Snake Bund. Oooooh, cattiiiivo fratello!

Dwight chiamò il dipartimento di polizia di Los Angeles. Conosceva un tale che lavorava all’ufficio del personale. Il tizio spifferava informazioni riservate. Dwight se lo fece passare e gli sparò il nome di Marshall Bowen. Aveva inoltrato domanda al dipartimento nel marzo del ’67. Era stato arruolato?

L’altro disse che avrebbe controllato. Dwight aspettò al telefono sei minuti. Il tizio tornò tutto eccitato. Terza tombola: Marshall E. Bowen era in forze al dipartimento di polizia di Los Angeles.

Diplomato all’Accademia nel giugno del ’67. Assegnato di pattuglia a Wilshire, dove prestava tuttora servizio. Eccellenti note di servizio.

Marshall, sei cattiiiivo.

Perché:

Sei abbonato a pubblicazioni razziste. Hai partecipato a riunioni di comunisti. Fratello, sei proprio cattiiiivo. Potrebbero cacciarti dalla polizia prendendo a calci il tuo culo nero.

Sei cattiiiiiiiivo. Ti si può ricattare, metterti in mezzo, puoi perdere il lavoro. Il tuo culo nero mi appartiene.

Dwight chiamò Freddy Otash a Vegas. Freddy era un ex poliziotto del dipartimento di Los Angeles. Conosceva i suoi polli.

Otash rispose al nono squillo. «Chi è?» abbaiò in tono brusco.

«Sono Dwight, Freddy.»

«Oh, cazzo» fece Otash. «Non dirmelo. La Grapevine.»

Dwight rise. «L’ATF si farà presto da parte. Poi credo che toccherà a noi.»

«E il 30 ci vedremo con Wayne?»

«Sì, e penso che noi due dovremmo incontrarci prima.»

Otash sospirò. «Wayne è pronto per questa cosa?»

«Credo di sì» rispose Dwight.

«Gesù, Wayne Junior. Non puoi farcelo entrare, ma non va mai lasciato fuori.»

Dwight si accese una sigaretta. «Devo chiederti una cosa sul dipartimento di polizia di Los Angeles.»

«Ti ascolto.»

«Riguarda le selezioni preliminari di chi fa domanda di arruolamento. Ho sotto mano un ragazzo di colore che si chiama Marshall Bowen. Ha partecipato a riunioni di rossi e l’anno scorso è entrato nella polizia di Los Angeles. Dimmi com’è potuta sfuggire questa storia dei comunisti.»

Otash sbadigliò. «Conosco Bowen. Era una spia di Clyde Duber. Clyde l’ha infiltrato e l’ha messo in contatto con certi gruppi di rossi.»

«Freddy, tu sei un bianco» disse Dwight.

«No» replicò Otash. «Sono un fottuto libanese.»

Marshall Bowen, sei cattiiiiiivo.

Clyde indicò le foto sulla parete. Dwight le esaminò. Erano raccolte in una bacheca, mostravano la rapina al furgone blindato di Los Angeles. Cadaveri carbonizzati, banconote macchiate d’inchiostro, smeraldi. Un poliziotto robusto che malmenava due negri.

Dwight starnutì. Nell’ufficio di Duber c’era una temperatura quasi polare. La poltrona invitava al sonno.

«Quel caso è un mio hobby» disse Clyde. «È allora che ho conosciuto Marsh.»

«Ne so qualcosa. Jack Leahy ha diretto la filiale del Bureau per una decina di secondi.»

«Esatto. Il caso è rimasto insoluto, e da allora nel ghetto compaiono banconote macchiate d’inchiostro. Ogni tanto la polizia di Los Angeles torchia quelli che becca con quei soldi, tanto per non perdere la mano. È ciò che accadde con Marsh: lui cambia innocentemente un biglietto da venti e ops, ecco Scotty Bennett.»

Dwight sbadigliò. Il culo gli stava sprofondando. Quella maledetta poltrona era soporifera.

«Continua.»

Clyde sbuffò degli anelli di fumo. «E così Scotty si attacca al collo di Marsh e lo torchia, e Scotty Bennett che ti torchia non è un bello spettacolo. Marsh si rivolge a un amico, che mi chiama. Ho tirato Marsh fuori dalla merda con Scotty e l’ho usato come spia. L’ho infiltrato in una mezza dozzina di strampalati gruppi sinistroidi e di gente di colore, e Marsh si è rivelato una talpa dannatamente in gamba. È un tipo a cui piace l’azione, così ha fatto domanda per entrare nella polizia di Los Angeles ed è stato arruolato, nonostante le proteste di Scotty.»

Dwight sbadigliò. «Parlami delle sue idee politiche. Non può essere di sinistra o uno che odia i bianchi, altrimenti la polizia non l’avrebbe preso.»

Clyde si accese un’altra sigaretta, subito dopo aver spento la prima. «Quali idee? È un giocatore. Vive per giocare, ed è tutto un gioco. I soli stronzi che non lo sanno sono questi facoltosi fanatici di destra che mi pagano per piazzare le talpe. È una miniera d’oro. Tiro su settantacinque verdoni all’anno da Fred Hiltz e Charlie Toron.»

Dwight si stropicciò gli occhi. «Ho appena concluso un affare con il dottor Fred.»

«Un mio uomo, Don Crutchfield, in questo momento si trova a Chicago sulle tracce di una testa di cazzo mormone per suo incarico.»

«Un mormone di sinistra?»

«Un mormone di destra a caccia di passera che si scopava la stessa passera che si ingroppava Fred. Gesù, che ne so. È tutta l’estate che questa faccenda va avanti, e da sola mi ha fruttato trenta verdoni.»

Dwight sollevò il ricevitore del telefono sulla scrivania. Clyde annuì, fa’ pure. Dwight chiamò il tizio che conosceva all’ufficio del personale della polizia di Los Angeles. Il tizio aveva ancora sulla scrivania il fascicolo di Marsh Bowen. Dwight gli chiese dov’era di servizio in quel momento, e il tizio gli disse che era andato a Chicago a trovare il padre malato.

Clyde soffiava anelli di fumo verso l’alto. Dwight agganciò.

«È andato a Chicago, e io non posso muovermi. Puoi farlo pedinare dal tuo uomo, quel Crutchfield? Voglio capire che tipo è, prima di avvicinarlo.»

«Certo, ma mi piacerebbe sapere di che si tratta.»

«Hoover vuole gettare un po’ di merda sui negri.»

Cenarono davanti alla tivù. Sullo schermo si susseguivano servizi sull’imminente convention. Uno spettacolo raccapricciante. Il sindaco Daley sembrava parecchio infastidito. Hubert Humphrey sembrava sconfitto in partenza. La telecamera inquadrava giovani capelloni fuori dalla hall. Avevano sguardi ostili. Fischiavano contro gli agenti schierati in tenuta antisommossa. Gli agenti parevano doccioni appostati lungo il percorso.

Karen seguiva le immagini, tutta assorta. Dwight piluccava dal piatto. Dina stava disegnando su un album da colorare. Disegnava sempre motociclette e macchine della polizia. Karen s’incazzava di brutto.

Le immagini ronzavano. Gli slogan macabri sembravano gridati da disc jockey fuori di testa. La telecamera fece una panoramica su un folto gruppo di negri. Una donna divorava patatine fritte.

Wayne era al Tahoe, diretto a Chicago. Era “il truffatore”. Dracula e Farlan Brown erano folletti malvagi. Il truffatore era un intrepido. Lo spettacolo deve continuare. Si sarebbe lasciato alle spalle l’ultimo fiasco con i negri e avrebbe continuato la recita.

Le immagini ronzavano. Dina stava colorando un cane sorridente e gli disegnò delle zanne. Karen stringeva il ginocchio di Dwight, e si sforzava di non fumare.

Un grassone di colore fece il panegirico di King. Si accese una discussione. Le luci si abbassarono e furono mostrate delle foto. L’immagine di King riempì lo schermo. Dwight chiuse gli occhi. Il polso accelerò. Fece dei respiri profondi e cercò di riacquistare il controllo. Karen gli appoggiò la testa sul petto.

«Ultimamente sei preoccupato.»

«Dormo uno schifo.»

«Quando sei preoccupato, lo sono anch’io.»

Dwight aprì gli occhi. «Non esserlo, va bene?»

Karen sorrise. «E come faccio?»

Dwight schiacciò un tasto sul telecomando. Il televisore si spense. Dina non vi fece caso. Karen gli accarezzò la gamba.

«Dovrei essere a Chicago.»

«Gesù, piccola.»

«Ho voglia di far saltare qualche statua fascista.»

«Non sarò io a fermarti.»

«Forse ho l’informatore che cercavi. È una donna, si chiama Joan.»