Las Vegas, 5/11/1968
Dick l’imbroglione vinse. Di stretta misura, ma senza incertezze. Qualcosa in più della classica vittoria per un pelo di fica.
Carlos diede una gran festa. La suite in finto stile romano, gangster e mormoni, i risultati elettorali alla tivù. Le squillo raccontavano dei pompini a JFK. Farlan Brown disse che Dick non era tipo da pompini. Era più schiavo stile sadomaso. Avrebbe gettato gas chimici e bombe su qualche cesso del Terzo Mondo. Avrebbe arrostito qualche bambino e poi insabbiato tutto. Si sarebbe portato a casa una pollastra pervertita armata di frusta che l’avrebbe rimesso al mondo.
Gli ospiti sobri sventolavano bandierine. Quelli ubriachi portavano cappelli giganteschi. Dagli alberghi di Hughes furono sparati fuochi d’artificio che disegnavano nel cielo la scritta “Viva Nixon!” in rosso, bianco e blu.
Wayne girava fra gli ospiti. Farlan Brown gli mostrò un biglietto di ringraziamento di Dracula che ne elogiava il duro lavoro e l’assistenza prestata in campo chimico. Accennò ai voli charter della sua compagnia aerea verso i luoghi dei casinò da costruire all’estero: cominciamo subito.
Altri fuochi d’artificio. All’ingresso del Landmark c’erano luci al neon raffiguranti il volto di Nixon. «Lo stronzo ha sempre la barba lunga» osservò Farlan.
«I luoghi dei casinò» disse Sam G. «Dobbiamo mandarci subito Mesplede.»
«Il Nicaragua tende al comunismo» disse Santo T.
«Dick ci piazzerà un fantoccio filoamericano» ribatté Carlos. «Sa che c’è bisogno di un uomo forte per dare il colpo di grazia ai rossi.»
«La Repubblica Dominicana è l’ideale» disse Sam. «Hanno un governo stabile dalla guerra del ’65. Il nuovo jefe è un nano finocchio. Non vuole altro che i dindi americani e un paio di scarpe con il rialzo.»
«Quella dominicana tiene Sam legato per l’uccello. Gli ha fatto credere che i dominicani sono bianchi.»
«Celia è una fornace. Se ne va ad Haiti a prendersi le mazze nere» ironizzò Carlos.
Sam si afferrò l’inguine. «Gli italiani ce l’hanno più lungo dei musi neri.»
«Chi te l’ha detto?» chiese Carlos.
«Gliel’ha detto papa Giovanni XXIII» disse Santo scoppiando a ridere. «Frequentavano un bordello di monache negre.»
Carlos porse a Wayne una scatola di ciambelle. «Grazie di tutto, paisan. Hughes, Nixon, ogni cosa.»
Il tragitto di ritorno non finiva mai. Gli alberghi erano in subbuglio per Nixon e avevano affisso cartelli. Il traffico era impazzito. Dick l’imbroglione era in mano ai mormoni e alla mafia. Era un buon presidente per gli affari. I Ragazzi si erano assicurati quattro anni di vacche grasse.
Lo Stardust era inebetito dai festeggiamenti per Nixon. I legislatori raccontavano storie personali su Nixon e vomitavano nelle vaschette delle slot machine. Wayne salì le scale. Nel corridoio sentì squillare il telefono. Le tre del mattino: oh, cazzo.
Corse a rispondere. Sentì Mary Beth in camera da letto.
«Wayne Tedrow. Chi parla?»
«È un’interurbana, signore. La metto in comunicazione con il neopresidente Nixon.»
Wayne restò senza fiato. Due clic sulla linea. Wayne sentì degli schiamazzi in sottofondo e la voce dell’Uomo.
«Grazie per il duro lavoro che ha svolto. Le garantisco la mia collaborazione.»
Clic. Che cosa? Era vero?
Wayne andò in camera da letto. Mary Beth stava guardando la tivù. L’Uomo faceva il segno della vittoria. Un bottone della camicia saltò.
Lei aveva tolto l’audio. «Chi era a quest’ora?»
«Non mi crederesti.»
Lei sorrise e indicò la scatola di ciambelle. Wayne la gettò sul letto. Ne fuoriuscirono cinquantamila dollari. Mary Beth fece un gridolino e si tappò la bocca.
«Sono i fondi per l’operazione trova-tuo-figlio.»
Lo splendido smeraldo era sul cuscino di lei. Mary Beth lo gettò nella scatola insieme ai soldi.