Los Angeles, Las Vegas, Washington, DC,
6/11/1968-24/12/1968
Nervosismo, circonvoluzioni mentali, sonni intermittenti, mescolati a immagini caleidoscopiche di Memphis. Un drink e una pillola non bastavano, facevano effetto a singhiozzo. Il Lorrain Motel cambiava forma. Vignette razziste si trasformavano come d’incanto. Doccioni neri con cappucci del Klan.
Karen era preoccupata. Lo vedeva farsi del male ma non poteva fermarlo. Come-Si-Chiama era una presenza costante, e rovinava il tempo che trascorrevano insieme. La gravidanza era in stato avanzato, doveva fare altre visite mediche, e per Natale aveva riportato la famiglia all’Est. Il fatto che lui fosse stuzzicato da Joan Klein stuzzicava lei.
Wayne stava lavorando alle revisioni sul fascicolo di Joan. Il ragazzo era un genio: forse sarebbe riuscito a leggere sotto le cancellature. Aveva mostrato a Joan la foto del pedofilo pestato a sangue. E lei, come Karen Sifakis, gli aveva ricambiato il favore. Gli aveva consegnato una banda di Cleveland che spediva pacchi bomba, una delle più ricercate. “Grazie, Miss Klein” le aveva detto. “Non c’è di che, Mr Holly” aveva risposto lei.
L’informazione aveva entusiasmato Hoover, ma era durata poco. La sua capacità di concentrazione si era ridotta a dimensioni fumettistiche. La sua monomania era cresciuta in proporzioni da romanzo russo. Odiava i militanti neri così come odiava i comunisti nel 1919. Parlava della calamità rappresentata dai militanti neri mescolando realtà e fantasie sfrenate. Si abbandonava ad accessi di tosse e a deliri nevrotici. King, con il suo santo culo nero, se la rideva di lui in paradiso. Il capo dei negri era risorto come tutti i negri reali e immaginari, e la vecchia checca era impotente.
Ma era ancora pericoloso. Aveva sempre i suoi schifosi dossier su tutti, cazzo, incluso Dwight Holly “il castigamatti”.
Hoover era soddisfatto dell’OPERAZIONE CATTIIIIVO FRATELLO. Dwight gli aveva detto che Marsh Bowen era corteggiato dall’ATN e dall’FLMM, ma non di aver pagato due poliziotti per prendere a calci il suo culo nero. Bowen a lui non aveva detto nulla del pestaggio e lo aveva evitato fino a quando le ferite non erano guarite. La vanità era la chiave di accesso alla personalità di fratello Marshall E. Bowen. Il disprezzo era solo un aspetto secondario. Lui era la diva con l’assoluto bisogno di un pubblico e il disprezzo che vi si accompagna. Era un attore brillante e brillantemente complesso. Seduceva, tradiva e irretiva con insolenza e un savoir faire della serie: “lo spettacolo deve continuare”.
Sembrava che il pestaggio avesse toccato il suo ego e instillato in lui una maggiore circospezione. Dopo le percosse, fratello Bowen aveva assunto quella certa andatura impettita e solenne tipica del southside. Ora serviva un collegamento per manovrare fratello Bowen giorno dopo giorno. Esaminò i risultati dei pedinamenti di Don Crutchfield: fratello Bowen stava rigando diritto. A quel punto la domanda fondamentale era: il cammino di fratello Bowen s’incrocerà con quello della compagna Joan Klein?
Lui la chiamava “Miss Klein”, ma quando pensava a lei era “Joan”. Quella donna cambiava identità a seconda del nome. Le omissioni nel fascicolo che la riguardava e la riluttanza a parlare del passato stuzzicavano la sua curiosità. Quella donna aveva viaggiato parecchio. Appoggiava gli invasati di sinistra di tutto il mondo. Organizzatrice, fiancheggiatrice, sospetta rapinatrice. Autrice di opuscoli, informatrice, accademica eterodossa.
Dimmi quello che voglio sapere.
Non so perché, ma ho bisogno di saperlo.
Aveva dato a Joan un telefono con un dispositivo per cifrare la comunicazione. Le sue telefonate non lasciavano traccia. Lo chiamava per lo più di notte. Quando parlavano della loro vita privata osservavano il protocollo che regolava i rapporti informatore-operatore. Lui non descriveva il legame profondo che aveva con Karen Sifakis. Joan non nominava mai Karen. Non parlavano di affari. Riservavano quegli argomenti alle conversazioni dai telefoni pubblici. Joan gli aveva detto che aveva del denaro da dargli. “Che denaro?” aveva chiesto lui. Lei aveva spiegato che Leander Jackson aveva guadagnato dei soldi con la cocaina dell’agente Holly. La compagna Klein pensava di dover restituire la sua percentuale. Lui le disse di tenersi il denaro, lei lo ringraziò. Cazzo, tutto si svolgeva all’insegna del massimo decoro.
Quando discutevano di politica si beccavano. Lui buttava lì domande indirette sul suo passato e sulle vecchie frequentazioni. Joan vi si sottraeva con insolita rudezza e con umorismo pungente. Lo sbirro che era in lui le stava con il fiato sul collo. Per il resto esitava e si teneva mezzo passo indietro. Joan aveva gestito dei covi, di certo esclusivi e ben camuffati. Aveva scampato la galera. Su di lei dovevano esserci altri documenti raccolti dalla polizia. Lui frugò nei fascicoli dei suoi precursori di sinistra senza trovare nulla.
Karen gli comunicava quel poco che sapeva di Joan con risentito distacco. Dwight era certo che Joan sapesse di lui più di quanto lui sapesse di lei. Quella sproporzione gli dava l’angoscia.
Faceva incursioni a Negropoli. Wayne aveva introdotto Milt Chargin nella Black Cat per aiutare il grassone nella gestione della compagnia. Come soci d’affari il cabarettista bianco e il mastodontico nero andavano d’accordo. La polizia di Los Angeles insabbiò le indagini sull’attentato alla compagnia di taxi Big Boy: il proprietario era un ricettatore di auto rubate e non si sprecò l’occasione per toglierlo di mezzo. L’omicidio del dottor Fred finì in secondo piano. Jack Leahy aveva unto dei giornalisti con i fondi del Bureau dicendo loro: “Lasciate perdere, okay?”. Quello pubblicato sul “Los Angeles Times” fu l’ultimo articolo di un certo rilievo. Wayne organizzò un incontro con il presidente della Peoples’ Bank. Le cose potevano mettersi male. I Ragazzi rivolevano la loro banca. I federali volevano informazioni.
Certe notti girava per Negropoli. Gli dava la carica e lo sfiniva, e così a volte riusciva a addormentarsi prima dell’alba. La vita notturna nel ghetto era affascinante nella sua inespressività. Gli agenti della Buoncostume indossavano guanti di gomma per strapazzare i travestiti che battevano. I negozi di dischi suonavano musica zulu e vendevano maialini con la divisa della polizia di Los Angeles. Erano i poliziotti stessi a comprarli, per appenderli alle antenne delle loro macchine. Ascoltava stazioni radio che incitavano alla rivoluzione. Emittenti clandestine trasmettevano da bar e moschee musulmane. Aveva detto a Joan che la sua canzone preferita era Blue Genocide di Muhammad Mao and the Pig Hunters. Joan aveva risposto: “Stai imparando, compagno Dwight”.
A volte vedeva Scotty Bennett in perlustrazione. Scotty adorava il cibo dei neri e al Sister Sylvia’s Kitchen glielo davano gratis, ma lui lasciava sempre laute mance.
Bisogna che scoppi una guerra tra l’ATN e l’FLMM. Marsh Bowen dovrà favorirla. La causa principale sarà la droga. Non dovrà essere catastrofica, Karen non glielo avrebbe perdonato, ma violenta sì. Dovrà garantire i risultati che gli è stato ordinato di raggiungere e coinvolgere la compagna Joan. Dovranno entrare in intimità, solo così lei gli parlerà di sé e gli rivelerà quello che sa.