DOCUMENTO: 18/11/71. Dal diario segreto di Karen Sifakis.

Los Angeles,

18 novembre 1971

L’azione a Media si è svolta otto mesi fa. I miei compagni e io non siamo stati arrestati; nessuno ha tradito; la sorveglianza illegale dell’FBI nei confronti delle organizzazioni politiche, dei gruppi che si battono per i diritti civili e dei dissidenti è diventata di pubblico dominio grazie a una raffica di reportage giornalistici, rabbiosi editoriali, trasmissioni televisive e radiofoniche. La rivelazione è passata senza suscitare eccessive reazioni. Il COINTELPRO è stato portato a conoscenza del popolo americano, che in larga parte ha scelto di ignorarlo. Nei dossier pubblicati non erano menzionate le operazioni dell’FBI più draconiane e segrete. Ho l’impressione che a Dwight e Joan la cosa abbia fatto piacere. Riesco a leggere nel pensiero a Dwight. È contento che la guerra mirata dell’FBI al movimento dei diritti civili e ai gruppi militanti neri non sia rientrata direttamente sotto l’ombrello del COINTELPRO.

Non voglio sapere cosa stanno progettando Dwight e Joan; temo che lo apprenderò dai mezzi d’informazione e comincio a nutrire il sospetto che sarà un evento di enorme risonanza. A Media è stata posta in essere una tattica diversiva e/o è stata intrapresa una fase preliminare. Le conseguenze dell’unico mio intervento attivo in appoggio a Dwight e Joan diverranno evidenti nel tempo. Tutto questo non m’interessa. Loro lo sanno e non mi mettono a parte dei loro piani. Ho pregato e ho giurato di continuare ad amarli, malgrado l’orrore e il caos che le loro azioni potranno generare.

Non ci incontriamo mai tutti e tre. Joan è ricomparsa nella mia vita; ci vediamo due o tre volte la settimana per prendere un caffè o per pranzare insieme, sempre qui a Silver Lake o a Echo Park. Discutiamo incessantemente di politica. Possiamo parlare per ore di Nixon, del Vietnam, dei problemi dei lavoratori e del declino che interessa il movimento dei militanti neri. Joan è dimagrita, e si lancia in invettive rabbiose, per quanto pienamente coerenti, inframmezzate da acuti monologhi politici. Le belle ciocche grigie che la contraddistinguono si stanno imbiancando, e screziano la sua chioma scura. Temo stia diventando paranoica – dice che a volte ha la sensazione di essere seguita – e parla spesso della sua compagna-amante Celia, che si trova ad Haiti o nella Repubblica Dominicana e di cui non ha più notizie. Una volta Celia le ha detto di non cercarla se fosse scomparsa. Quante volte Joan ha ripetuto ai suoi amanti/compagni la stessa cosa? Ora è lei ad essere stata abbandonata, e il legame che ha stretto con Dwight Chalfont Holly l’ha condotta al punto da non riuscire a tenere nascosto il dolore.

Fuma in continuazione e ingerisce pozioni a base di erbe haitiane che si prepara da sé. Inghiotte capsule delle stesse erbe durante i pasti, in orari precisi della giornata. Le ho chiesto perché, e mi ha risposto che sta cercando di rimanere incinta. Vuole avere un figlio.

Non ho indagato sulla ragione. Sapevo già che, se le avessi chiesto ulteriori perché, mi avrebbe risposto: “Non voglio dirtelo”. Una donna della sua età non può pretendere di avere figli. Non sembra consapevole di quanto sia improbabile. Non dice, malgrado sia un’indiscutibile verità, che il figlio lo vuole da Dwight.

Joan e io siamo sempre state reticenti l’una con l’altra. Siamo entrambe compromesse e ipocrite; viviamo in un mondo mendace che abbiamo il dovere morale di minare e sovvertire. Potrei dirle l’unica cosa che non ho mai detto a Dwight. Forse potrebbe ferirla, o forse no. Ma so che effetto avrebbe su Dwight: temo un ulteriore tracollo, che lo porterebbe a prendere una grave decisione.

DOCUMENTO: 18/11/71. Dal diario di Marshall E. Bowen.

Baldwin Hills,

18 novembre 1971

Credevo che l’omicidio commesso mi avrebbe nuociuto di più, che avrebbe dolorosamente monopolizzato il mio corpo e la mia mente. Non è stato così. Ho assunto il ruolo dell’assassino e ho agito come un killer alla prova del fuoco, deciso a sopravvivere. Mi sono preso qualche giorno per ristabilire il mio equilibrio mentale. Ho immaginato gli esiti delle mie azioni mentre Scotty si occupava degli affari. Abbiamo cenato spesso a tarda notte da Ollie Hammond’s. Abbiamo bevuto un po’ e mangiato sandwich con bistecche. Scotty mi ha fatto la predica. Sopravviverai. Hai agito come dovevi; lo rifarai, se sarà necessario. Va meglio, ora?

Sì, come adesso. Nella nostra società a due sono io a prevalere. So un paio di cose che lui ignora: Reginald Hazzard e gli smeraldi sono ad Haiti. La donna è Joan Rosen Klein.

La mia vita è una sequenza da teatro delle ombre, piena di situazioni assurde. Dirigo l’ufficio detective della stazione di Hollywood. Vado a feste di gente dello spettacolo e mi godo le reazioni contrastanti suscitate dalla mia presenza. Tre anni fa ero un poliziotto che, picchiato e ostracizzato, si era convertito alla fede della militanza nera. Ciò mi aveva procurato un certo prestigio nel mondo dello spettacolo. Adesso, è risaputo che sono un poliziotto con un passato da infiltrato, che esalta i valori dell’autoritarismo in conferenze prestigiose e si pavoneggia con la divisa. Alla gente dello spettacolo piacerebbe accusarmi di essere un venduto, ma non può. Ho vinto la partita e ho l’aria di passarmela proprio bene.

Ho bazzicato feste e conosciuto persone, tra cui un attore molto attraente, Sal Mineo, che ha recitato in numerosi film importanti sui giovani arrabbiati negli anni Cinquanta. Anche Sal ha quelle tendenze, ed è deciso a portarmi a letto. Si è incapricciato di me; ci incontriamo, ci sentiamo al telefono, flirtiamo, prendiamo il caffè insieme, ma non lo faccio. Sal ci prova con insistenza, ed è un vero tesoro, ma sono troppo occupato per farmi un amichetto, anche part-time. È strano. È una sorta di telepatia. Parlo con Sal al telefono, e cinque minuti dopo aver attaccato mi chiama Scotty. Ha sistemato l’affare Thornton/fratelli Bostitch con grande stile e ha fatto trapelare una serie di notizie raccolte dalla divisione Intelligence a dimostrazione che Mastro Lindo era, in pratica, un burattino in mano alla mafia. Giornalisti agguerriti si sono buttati sulla storia; a Los Angeles sono apparsi alcuni articoli che hanno prodotto una certa eco in tutta la nazione. Scotty diffama i nostri morti mentre noi annaspiamo a caccia di indizi sui nostri vivi. Abbiamo preso in considerazione la possibilità di mettere le mani sul dossier dell’FBI riguardante le soffiate di Thornton, ma Scotty è convinto che sia troppo rischioso. Vorrei trovare il modo di dargli un’occhiata per conto mio, ma non so come fare.

Ho tenuto per me le informazioni di cui sono in possesso: Reggie è ad Haiti e la donna è Joan. È l’amante di Dwight Holly, e questo la rende inavvicinabile. Se rompiamo il cazzo a Dwight Holly, lui farà saltare il nostro accordo in men che non si dica.

Già me lo immagino: finte, colpi di disturbo, trattenute e diversivi.

Non rivelo a Scotty quello che so. Ho cercato inutilmente di mettere le mani sui vari fascicoli di Reggie redatti dalla dogana. Per accedervi dovrei avere un mandato. La mia reticenza è motivata da puro orgoglio e da puro odio razziale. L’OPERAZIONE CATTIIIIVO FRATELLO mi ha insegnato alcune cose. Merito di Mr Holly: ho superato l’egoismo patologico del mio essere attore. Sono diventato più radicale.

Scotty Bennett rappresenta il mondo bianco che mi distrugge con l’indifferenza. Non posso permetterlo. Scotty è l’oppressore bianco, e non mi sottometterò a lui. Non ci spartiremo i soldi e gli smeraldi. Devo impossessarmene prima di lui, e ucciderlo prima che lui uccida me.

Ho fatto tre puntate ad Haiti. Le ho organizzate in corrispondenza dei viaggetti di una settimana che Scotty si concede per andare a pesca con i suoi amici poliziotti. Sal è stato ad Haiti per le riprese di un film e mi ha parlato di quel posto meraviglioso e primordiale. Ho preso l’aereo per Port-au-Prince. Ho visitato Haiti come un turista della borghesia nera, che parla correntemente il francese. Ho mostrato in giro la fotografia di Reggie Hazzard e ho fatto domande. Non ho scoperto niente di concreto ma ho subodorato che Reginald deve trovarsi lì, come immaginavo.

Haiti è un posto primitivo e seducente. Ho avuto l’impressione di regredire. È stato come il processo di immedesimazione di un attore. Ho visitato taverne di sette vudù e ho bevuto il kleren. Ho sognato uomini con ali al posto delle braccia. Ho assistito ad alcune cerimonie vudù e ho ingerito delle erbe. Sono uscito dallo stato di trance e mi sono ritrovato a danzare con uomini che indossavano maschere di legno. Mi sono svegliato da un trip provocato dalle erbe e mi sono accorto di avere le mani insanguinate. L’uomo nel letto accanto a me mi ha detto che avevo divorato un gallo appena ucciso.

La mia personalità versatile mi è stata utile ad Haiti. Mi sono spacciato per un turista francese, cosa che mi ha aiutato nelle ricerche di Reginald. Non ho incontrato nessuno che lo conoscesse. In molti mi hanno raccontato storie sul defunto Wayne Tedrow e sulle sue gesta a favore degli haitiani. Cosa ne direbbe il povero Wayne? La gente va in giro con la sua fotografia appesa al collo. Avrò sentito la storia della sua morte venti o trenta volte. I particolari variavano. In parecchi mi hanno detto che erano venuti a prenderlo uomini alati. Wayne e io condividevamo il concetto di stato onirico. Lui lo metteva in relazione alla chimica. Riconduceva tutto a un’eterna rinascita di anime predestinate.

Sono stato ad Haiti tre volte. Ci tornerò. Reginald Hazzard dev’essere lì.