Lo chiamano il Mostro, ma è un angelo.
Ci sono giorni in cui si guarda allo specchio e stenta a ricordare il proprio nome. In quelle occasioni osserva come i suoi occhi siano di un azzurro molto chiaro e non gli piacciono, perché vorrebbe che fossero più anonimi. Forse è proprio per distogliere l’attenzione dai suoi occhi che tempo addietro – non ricorda più quando – ha deciso di farsi crescere il pizzetto, ormai bianco. Si passa una mano sulla testa rasata. Nella sua mente è netta l’immagine del bambino, anche lui con la testa calva. In altre occasioni le dita sarebbero scese ad asciugare le lacrime dalle guance, ma ora non più: i suoi occhi già da parecchio tempo si sono inariditi.
Fa schioccare la lingua sotto al palato, un gesto che spesso lo riporta alla realtà. Giuseppe, sì, ecco, Giuseppe Pozzati. Il cognome non ha più molta importanza, ma il nome sì, eccome se ne ha!
Forse non a caso Dio ha scelto proprio lui. E ora si trova nella Sua casa, nel Duomo di Ferrara.
È domenica mattina e sta assistendo alla funzione. Non c’è molta gente, anche le panche attorno a lui sono vuote.
«Hanno perso la fede», sussurra.
Nessuno lo sta guardando, ma lui cerca di vedere tutto. Si inginocchia, le mani strette a pugno sotto al mento, l’attenzione rivolta all’altare in fondo alla lunga navata centrale.
Le sue labbra si muovono appena. «Tutti loro non sanno, mio Signore, perdonali. La Tua volontà si è quasi compiuta.»
Non partecipa all’Eucarestia, perché si sente impuro.
La mia anima non è ancora pronta per accoglierti dentro di me, mio Signore. Fin quando il Male che combatto non sarà annientato, attenderò.
Si fa il segno della croce, si rialza e si incammina verso l’uscita. Appena fuori dal Duomo, vede i due fratellini che giocano attorno ai leoni a sostegno dell’ingresso. Così vestiti sembrano quasi due gemelli, entrambi con jeans e magliette bianche.
«Il Mentitore può assumere le forme più innocenti», mormora tra i denti il Mostro, contraendo con forza le mascelle, mentre scruta i bambini che ridono.