Quella stessa mattina il Mostro è chiuso in macchina in una via poco fuori le Mura della città. Ha seguito la famiglia delle due bestioline fino a casa. Sono vestite proprio come il giorno prima – jeans e maglietta bianchi – quando le ha osservate scorrazzare impunemente davanti alla casa del Signore. Quasi aveva sperato che una folgore scendesse dal cielo a incenerirle per quanto si erano dimostrate blasfeme. Ma no, certo, non poteva accadere, perché la folgore – la mano di Dio sulla Terra – era lui stesso.
Non avere fretta, attendi il momento giusto, si era sentito recitare per l’ennesima volta dentro la sua testa, e ormai non sapeva più se era la sua voce o quella di qualcun altro.
E così aveva fatto, seguendo i loro spostamenti.
Cercali nella normalità, nell’indifferenza, quasi nell’indigenza, si ripeteva ultimamente. Così come l’Altissimo era nato e cresciuto in una famiglia povera, così il Maligno, in una sorta di blasfema imitazione, avrebbe nascosto i suoi semi.
Ed eccoli, ripensa ora per l’ennesima volta, non possono essere che loro. Poco più di un anno di differenza l’uno dall’altro, entrambi frequentano un asilo comunale di Ferrara. L’uomo, quasi calvo, ha i capelli tenuti lunghi ai lati della testa che gli toccano quasi le spalle. Indossa una tuta da ginnastica bianca e blu. Quello che il Mostro ritiene essere il padre dei bambini parcheggia la vecchia Opel Astra blu davanti al giardinetto del condominio, un vecchio stabile il cui colore marrone chiaro è scrostato in più punti; di contro, su quasi ogni balcone è presente una parabola. L’uomo, con una sigaretta accesa tra le labbra, scarica i due bambini, tenendone uno in braccio e trascinando quello più grande per una mano. Suona quindi al citofono e, quando la megera si affaccia a un balcone, le grida qualcosa che il Mostro, alla distanza a cui si trova e chiuso nell’auto, non capisce. Poi senza attendere che la donna scenda, spinge i due bambini all’interno del giardinetto e, in una nuvola di fumo, si gira, sale sulla vettura e riparte quasi sgommando.
«Ora», sussurra il Mostro senza attendere oltre.
Mette in moto e si avvia anche lui. Sa che questo è il momento più rischioso di tutta l’operazione perché, per quanto all’apparenza non sembri esserci nessuno in giro, qualcuno potrebbe comunque notarlo. E sa che non si tratta solo di occhi umani.
Ma lui ha preso le sue precauzioni, oltre ad avere dalla sua la protezione del Signore, ovviamente.
«Tu sei la mia strada, la mia verità», recita a fior di labbra, stringendo con forza le mani sul volante. I guanti neri che indossa emettono un lieve scricchiolio. Mentre avanza lentamente si guarda allo specchietto retrovisore. Si aggiusta gli occhiali scuri sul naso e una ciocca della parrucca in testa.
Dopo pochi secondi accosta piano davanti al giardinetto del condominio. Lascia il motore acceso, raccoglie un oggetto rosa dal sedile di fianco e scende. Entra nel vialetto d’ingresso dello stabile. Il bambino più grande è appoggiato al tronco di un alberello, mentre quello più piccolo è seduto a terra e sta giocando con alcuni sassi bianchi.
«Ciao, piccoli», dice il Mostro abbassandosi e mostrando loro il peluche di Peppa Pig.
Le due bestioline lo guardano un po’ dubbiose, ma quando spostano l’attenzione sul peluche sgranano gli occhi. Il fratello più piccolo si alza subito da terra, molla i sassi e gli va incontro a braccia spalancate. L’altro sembra più incerto.
«Forza, in macchina c’è anche George che ci aspetta», lo incita e intanto ha già preso in braccio il fratellino.
Senza aggiungere altro il Mostro si gira ed esce dal giardinetto. Apre la portiera posteriore destra dell’auto e carica la bestiolina.
«Mamma sta arrivando», dice la bestia più grande giunta dietro di lui, sebbene alle sue orecchie suoni più come alliuando.
Anche lui parlava così quando era piccolo, gli sussurra una voce interiore. Tuttavia il Mostro stringe con forza i denti.
È solo il Maligno che cerca di confondermi, si impone, facendo al contempo schioccare la lingua per schiarirsi le idee.
Poi si sposta dalla portiera aperta dell’auto, in modo che il bambino possa vedere cosa c’è all’interno. «Ecco, George ti aspetta», dice, compiendo un gesto d’invito con la mano aperta.
Il bambino se ne esce con un «oohhh» di stupore, perché sui sedili posteriori dell’auto non c’è solo il suo fratellino che ride e George, ma tutta la famiglia di Peppa Pig al completo.
Il Mostro sente lo scatto della serratura del portone d’ingresso del condominio. La sua espressione si incupisce e non perde altro tempo. Prende da sotto le ascelle il demone, il quale non emette più nessuno stupido squittio, e lo infila in macchina, chiude la portiera e sale a sua volta alla guida. Preme un tasto sul cruscotto facendo scattare la chiusura centralizzata dell’auto e riparte, questa volta quasi sgommando.