C’è una stanza segreta dentro la mente del Mostro. Una stanza la cui porta non è ancora stata chiusa a chiave, ma forse presto lo sarà. Lì dentro sono nascosti i suoi ricordi più belli, ma anche quelli tragici. Steso sul suo letto, in procinto di addormentarsi, si sente avvolgere dal fumoso abbraccio del dormiveglia. In quello stato, la realtà si mescola al sogno, il presente al passato.
Non è ancora notte, ma lui prima di stendersi ha chiuso la finestra, ottenendo una penombra più che apprezzabile. Ha gli occhi chiusi, le braccia abbandonate lungo i fianchi. Indossa solo le mutande e una maglietta. Ad ogni secondo che passa sente il respiro farsi più pesante. Nella sua testa passano per un attimo le immagini dell’ultima purificazione che ha compiuto: dopo aver estirpato il Maligno dalle due piccole bestie, si è subito reso conto che non è ancora finita.
Fa un respiro più profondo degli altri: si chiede quando la sua caccia avrà termine. Tuttavia si pente quasi subito di aver espresso quel pensiero, perché è come mettere in dubbio il volere del Signore.
Il dubbio è figlio del male, ricorda a se stesso. Non lasciare che ti avveleni l’anima.
Per cui scaccia questi pensieri, assieme ai visi dei due fratellini.
La sua coscienza scende un altro gradino. Il respiro è ancora più pesante.
Ora non è più nella sua camera da letto, nell’appartamento di un condominio in Contrada della Rosa vicino al centro di Ferrara. E non è nemmeno più a Ferrara. Senza quasi rendersene conto, è scivolato dentro la sua piccola stanza segreta.
È in auto. Sta attraversando gli spazi aperti della campagna. Il grano tinge d’oro il paesaggio attorno a lui. Il finestrino è un po’ abbassato, e il profumo dell’erba appena tagliata sulle banchine al lato della strada penetra nelle sue narici. E insieme a esso l’essenza dolce che Marta si è spruzzata sul collo. Si gira verso di lei. L’aria che entra dal finestrino le fa ondeggiare i lunghi capelli castani attorno al profilo del viso. Nell’abitacolo risuona la risata di Mattia dai sedili posteriori. Anche Marta si mette a ridere, girando il viso verso Giuseppe
(sì, Giuseppe, io sono Giuseppe),
e questi osserva come gli occhi verdi di lei quasi luccichino.
Giuseppe si gira indietro per guardare il figlio, anche se qualcosa dentro di lui gli dice che non dovrebbe farlo perché sta guidando,
(ma sto sognando)
eppure adesso sta osservando Mattia, legato nel suo seggiolino, i riccioli neri che si agitano nella brezza.
«Aspetta, forse è meglio se chiudo il finestrino», dice Giuseppe, tornando a girarsi verso la strada.
Ma quando lo fa si rende conto di non trovarsi più in auto.
È seduto a terra su un tappeto da picnic tutto colorato steso su un prato perfettamente curato. Alle orecchie non gli arriva più il rumore del vento, ma il canto di numerosi uccellini. Oltre al profumo dell’erba, respira ora l’odore fumoso di carne alla brace e quello dolce di zucchero filato.
Mattia gli passa davanti correndo e ridendo: sta inseguendo una piccola farfalla bianca. I folti riccioli neri saltellano assieme a lui.
Ma perché continuo a guardare i suoi capelli? si chiede.
Qualcosa dentro di lui conosce perfettamente la risposta, ma la allontana da sé, semplicemente… semplicemente perché sa che gli farà male. Preferisce guardarlo correre felice…
«Attento a non cadere», gli urla dietro Marta ridendo.
… come se quella felicità non dovesse mai avere fine.
«Sì, Mattia, da’ retta alla mamma», gli dice anche lui, sentendo nella propria voce una riscoperta serenità.
Mattia si ferma davanti a lui, con il fiatone e un sorriso che mette in mostra tutti i dentini. Per quel giorno così speciale Marta lo ha vestito con un paio di pantaloncini di jeans, scarpette da tennis gialle e rosse, e una maglietta a maniche corte raffigurante La casa di Topolino con tutti i suoi personaggi; legato al collo ha un fazzoletto rosso.
«Andiamo al tiro a segno?» gli chiede Mattia con la sua voce squillante. La pronuncia della R è un po’ strascicata, ma il suo bambino a quattro anni parla già molto bene. E poi, senza attendere risposta, il piccolo prosegue: «A mangiare zucchero filato e a vedere i cavalieri?»
«Mamma mia, quante richieste!» esclama Giuseppe.
«E noi faremo tutte queste cose, non è vero?» esclama anche Marta di fianco a lui. Giuseppe si gira verso di lei: il viso di sua moglie è illuminato, e non solo dalla luce di quella meravigliosa e calda giornata di giugno.
«Andiamo, andiamo!» urla Mattia davanti a loro, porgendo in avanti le manine aperte.
Giuseppe e Marta le afferrano con delicatezza e si alzano in piedi. Tutti e tre assieme si avviano calpestando la soffice erba verso il primo sentiero che li condurrà a visitare le meraviglie di quella rievocazione storica.
In quel momento risuonano nell’aria i rintocchi di una campana. Giuseppe si gira indietro e, al di sopra delle persone che girano nel prato e attorno al laghetto o che affollano gli stand, svetta il campanile dell’Abbazia. Mentre pensa a quando si faranno anche una bella scarpinata per salire tutti quei gradini fino in cima, la mano di Mattia diventa fredda.
Torna a girarsi verso il bambino, ma sia lui che Marta sono spariti.
In mano stringe la sua Beretta.
Mentre se la punta davanti agli occhi, avverte una forte stretta allo stomaco.
* * *
Spalanca le palpebre nella penombra. Qualcosa di duro gli preme contro la guancia sinistra. Un brivido freddo gli attraversa tutto il corpo: è dovuto al sudore, di cui è completamente ricoperto, che gli si sta asciugando addosso. Si rende subito conto di non essere più nel suo letto, ma nel soggiorno. Con le mani spinge sul legno freddo del tavolo e solleva la testa. Mentre si massaggia la guancia indolenzita, guarda la fievole luce che filtra attraverso la finestra e capisce anche che il pomeriggio ha già lasciato il posto alla sera. Gli sembra di avvertire per un attimo ancora un lieve profumo di zucchero filato, ma è solo uno strascico del sogno che ha fatto…
(no, non era solo un sogno)
… prima di svegliarsi.
Sente il bisogno di farsi un’altra doccia, e non solo per lavarsi via il sudore di dosso. Si alza in piedi. Le cosce umidicce producono un lieve rumore di strappo mentre si staccano dall’imbottitura in pelle della sedia. Avverte di nuovo quella fitta allo stomaco…
(anche questo non era solo un sogno)
… che lo fa quasi piegare in due.
Quando compie il primo passo per dirigersi in bagno, con un piede nudo sbatte contro qualcosa di freddo e duro che rotola lontano, accompagnato da un rumore stridente di ferro sulla ceramica. I suoi occhi seguono la corsa della Beretta che scivola fino alla porta che dà sul corridoio.
Che ci fa lì per terra? si chiede, mentre rivede con gli occhi del sogno-memoria il foro nero della canna della pistola davanti al viso.
Ma un’altra fitta accompagnata da un brivido non lascia più spazio alle indecisioni. Si lancia a passi svelti in avanti, scavalcando la Beretta, attraversando il corridoio e infilandosi in bagno.
Mentre, seduto sul water, libera gli intestini doloranti, pensa al fatto di essersi addormentato in camera da letto per poi risvegliarsi in soggiorno; al fatto che la sua pistola giace sul pavimento tra il soggiorno e il corridoio e lui non ricorda assolutamente di averla impugnata.
Tuttavia può esserci solo una spiegazione: il Signore è venuto ancora in suo aiuto. Come quella prima volta di tanto tempo prima, quando si era ritrovato a un passo da un baratro nero, anche adesso Lui è giunto in suo soccorso. Ma non solo. Il messaggio che il Signore vuole dargli è più chiaro che mai: lo sta spronando a proseguire, perché la sua battaglia contro il Maligno è solo all’inizio.