Erano quasi le otto di sera quando l’ispettore Luca Giatti, alla guida dell’Alfa, svoltò in via Del Melo, in una zona periferica di Ferrara appena fuori le Mura cittadine. Era in quel quartiere che lui e Claudia erano riusciti a trovare una buona offerta per la villetta a schiera dove poi sarebbero andati a vivere. Lì non erano certo in centro, ma nemmeno troppo lontani; c’erano tutte le necessità che volevano, tutti quei piccoli negozi che avevano resistito alla nascita dei grandi centri commerciali prima, e alla forte crisi economica che doveva ancora risolversi dopo. Ma forse e soprattutto erano riusciti a farsi concedere un mutuo – a tasso fisso – che i loro stipendi potevano benissimo sopportare. Era vero anche che da quando era nato Matteo, le entrate di Claudia si erano notevolmente assottigliate, ma allo stesso tempo Luca era stato promosso a ispettore, e quindi continuavano a farcela benissimo lo stesso. E anche se così non fosse stato, avrebbero tirato la cinghia comunque, perché l’arrivo di Matteo era stato una vera e propria benedizione, capace di far superare qualsiasi momento buio. E non è forse vero che si cerca di fare di tutto per i propri figli?
Luca allungò una mano verso il cruscotto e mentre rallentava pigiò il tasto di un piccolo telecomando. Un’intermittente luce arancione cominciò a lampeggiare pochi metri davanti a lui. Sincerandosi che non giungesse nessun veicolo davanti e da tergo, compì una larga manovra per fermarsi perfettamente di fronte al cancello elettrico che si stava aprendo.
Ed eccola, quella che loro due chiamavano la loro piccola casetta: una villetta di circa centoventi metri quadrati alla testa di un blocco quadrifamiliare che si sviluppava su due piani, circondata da una siepe di lauro, la quale, in quei primi giorni di giugno, stava forse crescendo un po’ troppo rigogliosa rispetto al tempo che lui poteva dedicare a stringere tra le mani una cesoia.
Troverò il tempo anche per questo, si ripromise, entrando con l’auto nel vialetto e fermandosi quasi subito dietro alla Toyota Yaris nera di Claudia.
Scese dall’auto e, mentre attendeva che il cancello elettrico si richiudesse, si concesse qualche secondo appoggiando la schiena alla portiera dell’Alfa. Il sole non era ancora tramontato – quelle erano le giornate più lunghe dell’anno – ma il cielo si stava comunque tingendo di rosso. Nell’aria si rincorrevano i garriti delle rondini e i richiami più squillanti e modulati dei merli. Luca respirò a pieni polmoni l’aria del giardino, carica dei pollini dei fiori delle varie aiuole che Claudia teneva con cura.
Ecco, rifletté non per la prima volta, perché tutto non può essere così perfetto e sereno?
Quella giornata era stata lunga, carica di orrori che un uomo dovrebbe vedere ben poche volte nella vita, ma che nel suo lavoro erano purtroppo frequenti, specialmente in quel periodo buio. A suo modo, quella domanda serviva a mettere un punto fermo, a rimettere le cose nel giusto ordine; un modo anche per ricaricarsi.
Sentì la porta d’ingresso che si apriva.
«Vuoi cenare lì fuori?» gli chiese Claudia dall’uscio. A braccia incrociate, era appoggiata con la spalla a uno stipite.
Luca sorrise, e con uno scatto si sollevò dall’Alfa avvicinandosi alla moglie. «Non sarebbe una cattiva idea», le rispose, appoggiandole una mano su un fianco e baciandola sulle labbra. «Ma per questa sera credo che passerò.»
Claudia sorrise a sua volta. «Forza, sbirro», scherzò. «C’è un bravo bambino che ha già cenato e che non fa che chiedere del suo papà.»
E Luca, mentre entrava in casa raggiante, sapeva bene che l’altro modo per ricaricarsi era quello di stare con la sua famiglia.
* * *
Non appena richiusa la porta dietro di sé, Matteo gli corse incontro gridando a tutto spiano: «Papà!»
Luca si abbassò, lo prese tra le braccia e, quando lo sollevò per la prima volta in aria, Buc cominciò a girare intorno a loro, abbaiando.
«Ti ricordo che Matteo ha appena mangiato», gli disse Claudia da dietro. «E lo dico per il tuo bene.»
«La mamma ha ragione», disse Luca, baciando Matteo su una guancia e rimettendolo a terra. La stanchezza sia emotiva che fisica di quella giornata gli era scivolata via come d’incanto. «Dammi il tempo di mettere qualcosa sotto i denti e sono subito da te, va bene?» aggiunse, strizzando l’occhio a Matteo.
«Va bene», rispose il bambino, correndo verso lo studio. «Vieni, Buc!»
Il cane abbaiò l’ultima volta e lo seguì lungo il corridoio.
«Dai, togliti il giubbotto. Ti aspetto in cucina», gli sussurrò Claudia, baciandogli una guancia e accarezzandogli l’altra con la mano. Poi si allontanò anche lei, lasciando dietro di sé un dolce profumo.
Luca sospirò, poi aprì un armadio a destra della porta d’ingresso, rivelando un attaccapanni e un porta-scarpe verticale. Si tolse il giubbotto, rivelando la fondina ascellare di pelle agganciata sopra la camicia. Sfilò la Beretta. Con un gesto veloce staccò il caricatore e lo ripose in un piccolo cassettino nascosto nel porta-scarpe. Rimise la pistola nella fondina, quindi si slacciò quest’ultima e l’appese a una gruccia vicino al giubbotto. Richiuse l’armadio, appoggiò lo smartphone su una mensola lì accanto e mentre si avviava verso la cucina il suo viso si incupì. Non poteva evitare che la sua mente corresse ai fatti di quella lunga giornata.
Andò in bagno e si lavò le mani e il viso. Si guardò allo specchio mentre ancora le goccioline d’acqua scendevano in piccoli rivoli lungo la barba di due giorni. Aveva gli stessi lineamenti di suo padre: gli zigomi alti e il naso affilato. L’acqua dal rubinetto continuava a scorrere. Il vapore cominciò ad alzarsi dal lavandino andando a condensarsi sulla specchiera. Mise ancora le mani a coppa, raccolse altra acqua e si sciacquò il viso per l’ultima volta.
Chiuse il rubinetto, prese l’asciugamano e se lo passò sul viso e poi sulla specchiera, appendendolo infine a fianco del lavandino. Ora vedeva soltanto gli occhi scuri di un uomo stanco. Tirò le labbra in un sorriso forzato. Poi pensò a Matteo che lo attendeva di là e il suo volto si illuminò.
I cattivi ora dovranno attendere per un po’, pensò. Poi spense la luce e uscì dal bagno.
* * *
Un paio di ore più tardi, Luca aveva appena fatto addormentare Matteo nella sua cameretta. Buc era già sdraiato ai piedi del letto. Poco prima il bambino aveva atteso paziente che suo papà portasse in giardino il cane per fare i suoi bisogni (che puntualmente Luca raccoglieva per evitare che il loro prato diventasse una fogna a cielo aperto, con il rischio di pestare e portare in casa quelle che Matteo aveva ribattezzato come le caccone di Buc). Luca si era reso conto che nell’attesa Matteo era quasi crollato dal sonno. Ma aveva resistito, riuscendo quindi a dargli la buonanotte e assicurarsi che Buc fosse lì al suo fianco.
Luca uscì dalla cameretta e seguì la luce soffusa che proveniva dalla stanza da letto. Claudia era già sotto le lenzuola. L’abat-jour sul comodino era accesa, e lì accanto era appoggiato un grosso libro con un nastro rosa che spuntava tra le pagine. «Si è addormentato?» gli chiese Claudia.
«Certo», rispose Luca, infilandosi tra le coperte. Le si avvicinò, sistemandosi su un fianco, una mano a sorreggere la testa. Sua moglie non si era raccolta i capelli in una coda, come di solito faceva quando andava a letto, ma li aveva lasciati sciolti, aperti come un ventaglio castano sul cuscino.
Girò lo sguardo serio verso di lui. «Ti ringrazio», disse.
Luca sorrise. «Prego, e per cosa?»
«Perché riesci a tenere lontano da Matteo il male del tuo lavoro.»
Il sorriso sul volto di Luca scomparve. «Mmh, però non è sempre facile.»
«Lo so, lo capisco. Ma è comunque importante che Matteo non senta certe cose… almeno per il momento», rispose Claudia spostando lo sguardo verso il soffitto.
«Cos’hai?» le chiese intuendo il suo sconforto.
«Oggi Matteo si è messo a giocare con il telecomando ed è finito su un telegiornale proprio mentre stavano parlando del ritrovamento di un altro bambino ucciso dal Mostro.»
Gli occhi di Claudia si girarono per un attimo verso di lui… e lui distolse lo sguardo. Luca si sdraiò. Poi incrociò le mani dietro la nuca ed emise un lungo sospiro.
«Mi dispiace, non voglio farti sentire in colpa», si affrettò ad aggiungere Claudia. «So bene quanto ti stai impegnando per cercare di catturare quel… quel maledetto bastardo, ma ecco, io…»
«Si chiamava Giovanni Lombardi», la interruppe Luca. «E aveva solo sei anni.»
Tra i due calò il silenzio. Luca percepì un movimento della moglie. Si girò verso di lei. Claudia aveva tirato fuori un braccio dalle lenzuola e si stava facendo un veloce segno della croce sulla fronte e sulle labbra. «Arrivo subito», disse poi scoprendosi del tutto e scendendo dal letto.
Mentre usciva dalla stanza, Luca si sedette sul materasso e alzò una mano verso di lei. «Aspetta», sussurrò senza troppa convinzione, perché sapeva dove stava andando, e lui non poteva certo impedirglielo, anzi.
Tuttavia, non poteva permettersi di metterla così in agitazione.
Dopo nemmeno un minuto Claudia rientrò nella camera da letto. Si distese di nuovo di fianco a lui. Aveva gli occhi lucidi.
No, non è giusto che lei stia così, pensò allungando una mano sul suo viso. «Scusami», le disse.
«Matteo sta dormendo così serenamente», affermò Claudia appoggiando una guancia sulla mano del marito. «Mio Dio, penso a quanto deve essersi sentito solo e impaurito… penso al dolore dei suoi genitori. No, io… io credo che non sopporterei un dolore così grande.» Mentre parlava aveva lo sguardo perso nel vuoto e gli occhi le si stavano di nuovo inumidendo.
Luca le si avvicinò ancora di più. «Ascoltami. Presto quel pazzo sarà dietro le sbarre. Purtroppo non possiamo fare più nulla per quei poveri bambini.»
«Lo so, scusami», rispose lei asciugandosi gli occhi. «E so anche quanto sei bravo nel tuo lavoro.»
«Forse non come vorrei», disse Luca a malincuore. «Non riesco a capire ancora il nesso tra i vari omicidi.»
«Forse perché non c’è e quel pazzo agisce solo proprio perché è un pazzo.»
Quella frase suonava artificiosa, pronunciata molto probabilmente solo per rinfrancarlo di quel suo parziale insuccesso.
«Niente capita per caso, ogni cosa ha la sua ragione d’essere.»
«Sì, è vero, lo diceva sempre anche tuo padre.»
Luca abbozzò un sorriso. «Sì, e lui in qualche modo sapeva sempre trovarle queste ragioni.» Il ricordo di suo padre fu immediatamente associato agli avvenimenti di quella stessa mattina, e Luca, senza quasi rendersene conto coscientemente, vi si appigliò. «Ti ricordi quel pensionato scomparso da casa sua a Corlo?»
«Certo.»
«Be’, purtroppo questa mattina abbiamo trovato il suo corpo.»
«Ah, capisco. Ma c’era da aspettarselo, non è vero?»
«Purtroppo sì», rispose Luca, raccontandole poi della visita assieme all’agente Vincenzi al Grattacielo, dell’incontro con il ragazzo rumeno e infine del ritrovamento del cadavere del Manfredi abbandonato in quella stalla. «Una volta in questura abbiamo chiamato l’avvocato Bolognesi», disse infine.
«L’avvocato d’ufficio. È un bravo ragazzo.»
«Sì, proprio lui. È stata messa nero su bianco la deposizione del Lusescu.»
«E gli altri rumeni?»
«Se ne sono tornati in Romania, ma sappiamo dove si trovano e con l’aiuto del servizio di cooperazione internazionale è stata contattata la polizia locale ed emesso il mandato d’arresto europeo.»
«Vedi, te l’ho detto che sei bravo», ripeté Claudia, carezzandoli una guancia.
«Noi la nostra parte l’abbiamo fatta», le rispose raccogliendo la mano della moglie nella sua. «Ora tocca alla giustizia.»
Fece una piccola smorfia che sottintendeva per entrambi una lunga conversazione sulla legge in Italia che avevano affrontato già diverse volte in passato. Anche se Luca credeva fortemente nella legge e nella sua applicazione,
(è il lavoro che ti sei scelto)
(ma il mio non è solo un lavoro)
ora non gli andava proprio di affrontare ancora quell’argomento.
«Hai notato la coincidenza?» le chiese Claudia.
Ed evidentemente anche lei non ne voleva sapere. «Quale?»
«Il luogo del ritrovamento: sia il signor Manfredi che il piccolo Lombardi sono stati… uccisi in un casolare abbandonato.»
«Sì, lo avevo notato, ma si tratta appunto di una coincidenza, non c’è nessun nesso tra i due delitti. Il Mostro non ha un luogo di preferenza dove uccide le sue vittime. Basta che sia appartato, lontano da occhi indiscreti. Il primo bambino è stato ritrovato in una discarica, il secondo in un canale di irrigazione…» Mentre parlava si rese conto di stringere le dita di Claudia con sempre più forza. «… il terzo…» A quel punto si bloccò, allentando la stretta e guardando la moglie, dai cui occhi traspariva preoccupazione. «Scusami, mi sono fatto prendere la mano… letteralmente.»
«No, non ti devi scusare, perché è proprio questa tua determinazione che ti farà catturare il Mostro.»
Luca si rilassò, come sempre quando Claudia gli parlava a quel modo.
Ora però doveva smetterla di parlare solo di sé. «Oggi quindi hai tenuto Matteo a casa con te.»
Claudia abbozzò un lieve sorriso a quel cambio di argomento. «Sì, domani e per il resto della settimana, però, lo riporto alla Rossetti.»
«Ma dimmi un po’, ormai sono già passate un paio di settimane, com’è stato il tuo rientro in Università?» Luca sapeva bene quanto lei ci tenesse a quel posto di lavoro, che da quando avevano avuto Matteo – con la gravidanza prima e con alcuni problemi di salute del piccolo dopo – era stato sempre un po’ altalenante. Era anche vero che Claudia all’inizio aveva deciso di licenziarsi per seguire costantemente il bambino. Per fortuna le cose poi si erano risolte per il meglio, ma non tanto per rientrare all’Università. Ora l’avevano riassunta con un contratto a tempo determinato un po’ più lungo.
«Che vuoi che ti dica, in una segreteria dell’Università sono due le cose che abbondano: le scartoffie e i pettegolezzi sui professori.»
Claudia si mise a ridere e Luca fu felice di quella serenità ritrovata. «Sshh, svegli Matteo», le sussurrò lui, ridendo a sua volta.
Claudia chiuse la bocca, facendo spallucce, come una bambina beccata con le mani nella marmellata. Gli occhi le luccicavano.
«Ma raccontami un po’ di questi pettegolezzi dei professori», continuò Luca avvicinandosi ancora di più fino ad abbracciarla. «Girano voci di qualche festino a luci rosse?»
«Ma che dici?»
«Vecchi professori puzzolenti con giovani studentesse disinibite?» continuò con voce tragicomica Luca.
«Ah, certe cose non si possono dire, lo sai, vero?»
«Attenta, che chiamo l’ispettore Giatti a interrogarti…»
«Smettila di fare lo stupido», lo interruppe lei, chiudendogli la bocca con le sue labbra.
Luca si abbandonò a quel lungo bacio, accarezzando il corpo di Claudia, insinuandosi nel calore sotto al pigiama. Allo stesso tempo anche le mani di sua moglie erano scese a svestirlo.
Poco prima di abbandonarsi del tutto, e non per la prima volta, Luca ringraziò il Cielo di aver potuto conoscere una donna come Claudia, e di vivere la sua vita con lei e Matteo.