Il Mostro non ha la Beretta con sé. Quella mattina ha deciso di lasciarla nell’appartamento, e non tanto per il sogno che ha fatto il pomeriggio precedente, quanto perché girare per Ferrara con una pistola in auto potrebbe essere molto pericoloso, se lo scoprissero…
Non è ancora venuto il momento che mi mostri alle genti, pensa. Non sono pronti.
E tu lo sei? gli chiede una vocina.
Ogni giorno Dio mi dà la forza per andare avanti.
Sta per aggiungere che Dio gli dà anche una ragione per andare avanti, ma scaccia questo dettaglio dalla mente, perché vorrebbe dire tornare a quei giorni confusi in cui l’unica soluzione sarebbe stata quella di puntarsi la canna in faccia e…
Il Mostro fa schioccare con forza la lingua sotto il palato.
Sta guidando su viale Cavour, si è lasciato alle spalle il Castello Estense. Si ferma a uno dei numerosi semafori che interrompono il flusso veicolare sulla via. Diverse persone in bicicletta gli sfilano ai fianchi, altrettanti attraversano le strisce pedonali.
Un lieve brontolio allo stomaco gli fa temere il peggio. Non se la sente di tornare indietro. Fortunatamente la sua deve essere solo fame. È quasi metà mattina. Quando si è svegliato (dopo una nottata questa volta priva di sogni), ha bevuto solo un caffè, dopo che la sera precedente si era accontentato di un riso in bianco. Ma non gli interessa mangiare. Una parte di sé gli dice che forse dovrebbe preoccuparsi un po’ di più dell’alimentazione, perché ciò che gli è successo il giorno precedente (e non era la prima volta) ne è la dimostrazione.
Davanti a lui il semaforo passa al verde. Riparte.
Nei giorni confusi aveva sofferto di continui mal di pancia, mangiava poco, aveva perso peso, si era ridotto a uno straccio.
Sì, certo, ma non tanto quanto…
Frena bruscamente. Un ciclista ha attraversato la strada senza guardare. La cosa tuttavia è stata provvidenziale, perché ha contribuito a interrompere quei pensieri.
Riparte.
Decide che è meglio allontanarsi da quella strada così trafficata. Il prossimo semaforo è verde. Inserisce la freccia e svolta a destra, in via della Cittadella. Il ticchettio dell’indicatore di direzione gli fa pensare al ritmico rumore di un orologio, e quindi al tempo che passa.
Dopo poco si trova alla fine della via, dove c’è un altro semaforo, anche questo è verde.
È come se Lui non volesse farmi perdere altro tempo.
Svolta ancora a destra, in corso Porta Po, che poco più avanti – superato un altro semaforo verde – diventa corso Rossetti. Dopo pochi metri accosta vicino al marciapiede, dietro a una lunga fila di automobili. Spegne il motore.
Si è fermato a debita distanza dall’ingresso dell’asilo, anche se riesce a vederlo benissimo da lontano. Dall’altro lato della strada, lungo un alto e vecchio muro in pietra a vista si apre una piccola entrata con l’arco a volta, chiusa da un cancelletto in ferro. C’è un cartello bianco appeso appena a destra dell’ingresso, e anche se da lì non riesce a leggerlo, ricorda bene cosa c’è scritto: SCUOLA DELL’INFANZIA ROSSETTI.
Il Mostro sa che nella struttura o nel grande giardino interno sta scorrazzando un’altra piccola bestia del Maligno. Glielo ha detto Lui. E il Mostro deve eliminarla.
* * *
Un paio d’ore prima il Mostro si trova nel suo studio. È inginocchiato di fronte alla porta. Sopra a essa campeggia un grande crocefisso, con un Cristo dagli occhi spalancati che guarda supplichevole verso l’alto. Il Mostro si fa il segno della croce.
«Io sono le tue mani, mio Signore. Dammi la forza», sussurra e abbassa lo sguardo.
Dopo qualche secondo si segna ancora, si rialza, si gira e va a sedersi alla scrivania, occupata da diversi raccoglitori blu ad anelli, una bibbia e un crocefisso da tavolo. Da sotto un raccoglitore spunta una cartina stradale di Ferrara aperta a metà. La luce del sole del primo mattino penetra dalla finestra alle sue spalle, proiettando delle lunghe ombre davanti a lui. Sfiora con una mano il simbolo sacro e poi si bacia le dita. Apre uno dei raccoglitori, dove, inseriti nelle varie buste trasparenti, ci sono diversi ritagli di giornale. Stralci di notizie da «La Nuova Ferrara» e «Il Resto del Carlino». I suoi occhi saltano velocemente da un titolo all’altro: Ritrovato il corpo di un altro bambino, Il Mostro fa un’altra vittima, Il Mostro terrorizza Ferrara…
Lo sfoglia fino a una pagina vuota. A quel punto spazia con lo sguardo nella stanza: a sinistra, dove si trova una poltrona di finta pelle chiara. La parete su quel lato è ricoperta da alcuni quadri rappresentanti il Castello Estense, il Palazzo dei Diamanti e altre vie di Ferrara disegnate a mano. Poi sposta lo sguardo verso destra, sfiorando ancora per un attimo con gli occhi il crocefisso appeso sopra alla porta. Il muro su quel lato è nascosto da una vetrinetta, contenente diversi piatti e bicchieri, e da una libreria. Ma ciò che cerca non è nemmeno lì.
Sbuffando si alza in piedi. Gira attorno alla scrivania ed esce dallo studio, attraversa il corridoio ed entra nella sala da pranzo. Sul tavolo è appoggiata la Beretta, mentre su una sedia leggermente scostata c’è un quotidiano.
«Eccolo», sussurra tra i denti.
Lo raccoglie. Si tratta di un numero de «La Nuova Ferrara», già aperto alla pagina dove parlano di lui. Tra il fruscio secco della carta, lo ripiega con forza, quasi con nervosismo, una volta di più tra le mani e si dirige di nuovo verso lo studio.
Devi mantenere la calma, si impone. Ma con queste sue disattenzioni non è facile, e lui non può permettersele.
Poco prima di rientrare nella stanza avverte un vuoto allo stomaco. Un lieve capogiro lo fa fermare sui suoi passi e appoggiare una mano allo stipite per sorreggersi. Chiude gli occhi, reclinando il capo verso il basso. Tuttavia, invece di sentirsi preoccupato per questo malessere improvviso, sente le labbra tirarsi in un sorriso, perché ciò che gli sta nuovamente accadendo è una benedizione.
«Sono pronto, mio Signore», dice riaprendo gli occhi ed entrando nello studio.
La luce che inonda la stanza ora è più vivida. Un leggero pulviscolo galleggia nell’aria davanti a lui: riesce a cogliere le diverse sfaccettature scintillanti di ogni singolo granello di polvere. Compie solo un paio di passi, poi si ferma, sentendo uno sguardo che gli brucia la pelle della schiena. Lascia cadere a terra il giornale. Si gira molto lentamente e, senza alzare lo sguardo, si inginocchia sul pavimento.
«Sia fatta la tua volontà, mio Signore», dice facendosi il segno della croce. «Io sono solo un peccatore tra i peccatori, ma la mia mano sarà la Tua mano contro il Maligno.»
Poi alza la testa per guardare il crocefisso sopra la porta: gli occhi del Cristo appeso sono puntati su di lui. Il Mostro sente una fitta allo stomaco, ma non può distogliere l’attenzione da quella meraviglia. Il sangue che sgorga dalle ferite del corpo martoriato del Signore sembra luccicare. Le costole sporgenti e i muscoli tesi nell’agonia della morte sono ancora più in rilievo.
A quel punto la vista del Mostro si inonda di lacrime, trasformando in una miriade di prismi colorati il miracolo che si sta compiendo davanti a lui. È costretto a passarsi un braccio sulla faccia e, quando torna a guardare il Cristo, questi ha di nuovo gli occhi supplichevoli rivolti verso l’alto e le Sue sacre carni sembrano essere tornate della consistenza legnosa di cui sono costituite.
Forse è sempre e solo stato così, gli suggerisce una voce timida.
No, non è vero, la scaccia lui con forza.
Si rialza in piedi. Uno sciame di lucciole gli esplode davanti, ma questa volta sa che è dovuto solo alla pressione del sangue, che ora gli pulsa con un fruscio grave nelle orecchie.
Tuttavia compie un paio di passi indietro, urtando la scrivania. Vi si appoggia con entrambe le mani.
Quando ritrova l’equilibrio e la vista si è schiarita, torna a osservare il Cristo, ma è ancora immobile come prima.
Eppure Tu mi hai detto qualcosa, pensa, girandosi verso la scrivania. Il crocefisso da tavolo è rovesciato.
Sei stato tu quando hai urtato il tavolo, gli dice subito quella vocina.
Ma io non ho sentito rovesciarsi proprio nulla, si risponde subito.
La vocina tenta un’altra sortita, ma lui la blocca per l’ennesima volta sul nascere.
«Sì, mio Signore», dice a voce alta osservando come il crocefisso sia rovesciato su una parte della cartina stradale. Il Mostro gira attorno alla scrivania ma non si siede. Solleva il crocefisso, se lo avvicina al viso, lo guarda per qualche secondo, quindi lo bacia e lo rimette giù. Allunga le braccia davanti a sé, sposta il raccoglitore e sfila la mappa della città. La spiega completamente sul tavolo. Una parte però rimane sollevata, perché appoggiata sulla catasta dei raccoglitori. Ed è proprio lì che cade un’ombra. Il Mostro fa un passo indietro per lasciare che il sole illumini meglio ciò che lui ha già intuito. Il crocefisso da tavolo proietta una lunga ombra acuminata, la cui punta termina proprio su quella parte di cartina sollevata. Come un sottile dito piegato a circa quarantacinque gradi, l’ombra, o meglio la croce di Cristo, o meglio… il Signore stesso, gli sta indicando la zona attorno a corso Rossetti.
Per il Mostro non c’è più nulla da aggiungere: sa dove deve andare, dove Lui vuole che vada.
* * *
E ora si trova proprio lì, poco lontano dall’ingresso dell’asilo. Molte altre auto nel frattempo si sono parcheggiate. Diversi genitori in bicicletta e altri a piedi sono giunti ad attendere l’uscita dei figli. Ci sono anche numerosi nonni che sono venuti a prendere i nipoti.
Una marea di bambini comincia a defluire dalla piccola apertura nel muro di pietra. Prima uno o due alla volta, poi sempre più numerosi, come un flusso inarrestabile di formiche che escono dal formicaio per assalire e smembrare una piccola preda caduta lì accanto. E i genitori o i nonni pronti ad acchiapparli per portarseli via.
Il Mostro decide di scendere dall’auto. Non indossa parrucca; si è infilato solo gli occhiali scuri. Richiude la portiera dietro di sé e preme il piccolo pulsante sulla chiave, facendo chiudere la serratura centralizzata.
Si trova sul marciapiede opposto. Comincia a camminare spedito in direzione dell’entrata, senza mai guardarla direttamente. Gli occhi fissi davanti a lui, come se fosse un passante qualunque, perso nei propri pensieri. Di tanto in tanto abbassa la testa sul marciapiede per evitare di inciampare in qualche grande mattonella sconnessa. Alle sue orecchie giunge il vociare chiassoso dei bambini che urlano saluti tra di loro, alcune portiere delle auto che si aprono e si richiudono, lo scampanellio delle biciclette, il rombo di uno scooter che riparte, il clacson di un’auto che probabilmente richiama l’attenzione di un ragazzino. In quella larga via di Ferrara regna un certo caos e il Mostro, non attendendo altro, vi si infila dentro.
Ora si trova all’altezza dell’entrata dell’asilo, ma ancora non la guarda. Di fianco a lui sfilano alcuni bambini tenuti per mano dai genitori, ed è proprio adesso che comincia a osservarli. Sarebbe meglio non indossare gli occhiali scuri, ma un minimo di “protezione” – se così la può definire – è necessaria. Il sole ha da poco passato lo zenit e le ombre dei piccoli che corrono o saltellano con loro sono già ben visibili. Ne supera uno che, con la sua ombra normale, sta salendo su un’auto. Poi uno che gli corre a fianco, poi un altro e un altro ancora. Ha camminato ormai oltre l’entrata dell’asilo, quando il Mostro si decide a lanciare un’occhiata in quella direzione. Il sole picchia molto forte sulla sua testa, si sente accaldato.
L’ingresso sembra vuoto.
Possibile che mi sia scappato?
Un brontolio dello stomaco accompagna la sensazione di delusione da cui si sente invadere. Si ferma e si toglie gli occhiali da sole un attimo per asciugarsi il sudore. Sta per allontanarsi da lì quando altri due bambini accompagnati dalle mamme escono dall’asilo.
Questa volta il Mostro deve rischiare: inforca gli occhiali e torna indietro sui suoi passi.
Uno dei due ha i capelli castani, tenuti un po’ lunghi, mentre l’altro è biondo, rasato ai lati e ha un ciuffo, che sembra quasi una cresta, scolpito con il gel sul davanti. Tutti e quattro attraversano la strada salendo sul marciapiede a pochi metri da lui. Il Mostro abbassa lo sguardo e rallenta i passi. I due bambini si salutano. La mamma del castano – una giovane anche lei dai capelli castani lunghi e vaporosi – fa salire il figlio su una Yaris nera, mentre la mamma del biondino, una bruna un po’ in sovrappeso, quasi trascina il bambino, che si lamenta, ancora più avanti.
Il Mostro si sente avvolgere da una sensazione di déjà-vu, perché ha già visto quella scena, o meglio, ha già visto quell’ombra. Infatti, è solo un attimo, ma prima che anche il biondino salga sull’auto, il Mostro ha visto chiaramente la sagoma di una lunga coda ondeggiare sul marciapiede alle spalle del bambino: una lunga coda simile a un serpente pronto ad attaccare.
Il Maligno è salito su una Punto nera e il Mostro memorizza immediatamente il numero di targa. Ora accelera leggermente per non dare nell’occhio e superare l’auto il più velocemente possibile. Tuttavia, quando vi passa accanto, non può evitare di lanciare un’occhiata sui sedili posteriori: il bambino biondo lo sta guardando. Sta sorridendo, gli occhi sono due fessure nere e dalla bocca spunta una lingua biforcuta.
Il Mostro prosegue cercando di far finta di niente, ma se avesse avuto la pistola in quel momento gli avrebbe sparato senza esitare.
Ringrazia ancora Dio di non averla portata con sé, perché l’impulso di un istante avrebbe vanificato tutto il suo operato, che non deve ancora essere rivelato.
Quando è in prossimità della sua vettura, viene investito da un altro forte capogiro. A tentoni sale in macchina e richiude la portiera. Ha il fiatone. Dopo qualche secondo il mondo attorno a lui smette di girare. Senza togliersi gli occhiali accende il motore e riparte, dirigendosi di nuovo verso il traffico di Ferrara con un solo pensiero fisso: il Maligno si è di nuovo mostrato, e lui lo scaccerà.