«Ma perché cazzo sono venuti a sporgere denuncia solo oggi?» chiese l’ispettore Giatti a un agente Vincenzi fermo sulla soglia del suo ufficio. Era persino più stupito di lui.
«Ispetto’, non lo so neppure io», rispose l’agente, vistosamente a disagio. «Mi è sembrato di capire che marito e moglie non vadano troppo d’accordo.»
«E che c’entra?» sbuffò Luca alzandosi dalla scrivania e facendo quasi rovesciare la sedia dietro di sé. Non era da lui essere volgare, eppure… «Che c’entra quando ci sono dei bambini di mezzo?» ripeté in modo più esplicito. Senza attendere un’ulteriore risposta dall’agente, girò attorno alla scrivania, si infilò la giacca a coprire la pistola e si fermò davanti a Claudio. «Che stiamo aspettando?» gli chiese, sempre più impaziente. Più rimanevano lì a cincischiare e più quei poveri bambini…
Claudio, infatti, lo aveva appena informato che l’uomo e la donna che ora si trovavano nella stanza degli interrogatori erano venuti a denunciare la scomparsa dei due figli. E se dietro al presunto rapimento c’era la mano del Mostro, sarebbe stato il primo duplice omicidio di due fratellini.
«Allora?» lo incalzò Luca.
«Sta arrivando anche il commissario Battistini», rispose l’agente. «Ha detto che il caso Manfredi è praticamente chiuso, ispetto’, e che quindi il Mostro diventa la sua priorità.»
Tutti danno per scontato che sia stato il Mostro. Luca lo guardò ancora per qualche secondo negli occhi scuri. «Forza, andiamo», disse infine, appoggiando un braccio su una spalla di Vincenzi.
Questi si scostò e insieme si infilarono nel corridoio.
Mentre camminava, Luca rifletté che praticamente chiuso poteva voler dire un sacco di cose, ma di certo non che fossero vicini alla chiusura definitiva del caso: in quelle ore stavano formalizzando ufficialmente le accuse a Piotr Lusescu, i suoi compari in Romania dovevano essere ancora arrestati ed era appena stata disposta l’autopsia sul corpo di Filippo Manfredi. Insomma, c’era ancora tanto da fare, eppure il commissario Battistini lo aveva ufficiosamente esonerato da quell’indagine.
Devo prendere quel bastardo, pensò fermandosi davanti alla porta della stanza degli interrogatori.
Fece un respiro profondo e senza bussare aprì.
La prima cosa che avvertì entrando nella stanza fu la puzza di fumo, sotto la quale aleggiava un lieve odore rancido di alcol. La seconda fu che l’uomo che si trovava davanti, seduto dietro la scrivania con la donna, non si lavava i pochi capelli che gli rimanevano da diversi giorni. Gli scendevano ai lati della testa quasi a toccargli le spalle, neri con alcuni fili grigi, unti e molto sottili. Era talmente magro che la tuta da ginnastica bianca e blu che indossava – che di sicuro aveva visto giorni migliori – quasi gli si afflosciava addosso in mille pieghe. Non si era fatto la barba, o forse se ne era dimenticato, e con una mano picchiettava nervoso sul tavolo, le dita gialle macchiate di nicotina. Gli occhi erano nervosi e, per quanto si fossero soffermati su di lui appena era entrato, ora continuavano a girare per la stanza come se fossero in cerca di qualcosa.
La donna, di contro, era in sovrappeso, i capelli tagliati in un caschetto che non andava più di moda da tempo. La pelle grassa del viso era costellata da alcuni brufoli rossi che aveva cercato di nascondere con il fondotinta, andandoli invece a evidenziare ancora di più. Indossava un largo vestito smanicato blu a fiori. Non guardava il marito e gli occhi erano umidi di pianto.
Anche l’agente Vincenzi entrò nella stanza, chiudendo la porta dietro di sé.
«Buongiorno», disse Luca accomodandosi di fronte a loro.
L’agente Vincenzi rimase in piedi vicino alla porta.
«’giorno», risposero i due quasi in coro.
«Sono l’ispettore di polizia Luca Giatti», si presentò. «E lui è l’agente Claudio Vincenzi.»
«Buongiorno», replicarono ancora entrambi, questa volta con un tono quasi intimorito.
Luca lanciò uno sguardo ad alcuni fogli sulla scrivania, dove erano già stati annotati i dati anagrafici dei coniugi. «Signor Paolo Massarenti e signora Iole Bellagamba, i vostri figli Andrea, di poco più di cinque anni, e Nicola, di quasi quattro, sono scomparsi ieri. Almeno è quanto avete riferito all’agente poco fa. Eppure siete venuti a denunciare la cosa soltanto oggi. Come mai?»
Il viso di Iole Bellagamba si trasformò nella frazione di un secondo, assumendo i connotati di un cane rabbioso. «L’è tuta colpa tò!» sbraitò in dialetto nei confronti del marito. «Ti e la t’ho voja sempar ad zugar!»
«Sta’ zita!» la fulminò Paolo Massarenti con altrettanto odio.
«Ehi, stiamo calmi e parliamo in italiano, qui dentro», disse Luca, alzando le mani. «Signora, perché dovrebbe essere colpa di suo marito e che c’entra la voglia di giocare?» chiese poi, sapendo molto bene a cosa si stesse riferendo la donna.
La signora Bellagamba diventò gentilissima. «Mi scusi, dottore.»
«Ispettore», puntualizzò Luca.
Lei proseguì come se non lo avesse sentito. «Mio marito ha il vizio del gioco, capisce? Butta via tutti i nostri soldi in quelle maledette macchinette…»
«E tu non compri quegli stupidi gratta e vinci, forse?» la interruppe il marito.
La donna fece un gesto con la mano, come a scacciare una mosca fastidiosa. «E lo sa, dottore, che mentre i nostri bambini venivano rapiti, lui», e puntò un dito contro il marito senza guardarlo, «era dentro una sala slot?»
«Se tu fossi scesa subito quando ho suonato il campanello non sarebbe successo nulla», la accusò il marito con poca convinzione.
La signora Bellagamba aprì la bocca con faccia disgustata per rispondere ancora al marito, ma Luca le chiese in tono gentile: «Signora, mi può spiegare cosa è successo?»
Il viso di lei tornò ad addolcirsi. «Mio marito era andato a prendere i bambini all’asilo, li ha portati a casa, ma invece di salire con loro li ha lasciati nel giardino del condominio e se n’è andato per i fatti suoi… a giocare.»
«Ho suonato il campanello», aggiunse il signor Massarenti, sulla difensiva. «E tu dovevi scendere subito come facevi sempre.»
«Ah, è così? Adesso vorresti dare la colpa a me, vero?»
Stavano per riprendere a litigare, ma Luca li interruppe. «E lei, signora, ha sentito il campanello? È scesa?»
Luca non poteva vedere le mani della donna perché erano sotto al tavolo, tuttavia dalle grosse braccia ne poté immaginare un movimento nervoso. «Sì, sono scesa», rispose timidamente.
«E non ha trovato nessuno?»
La donna abbassò leggermente il capo, gli occhi rivolti alla scrivania. «No, non c’era più nessuno.»
«Ha visto, ispettore? E adesso di chi è la colpa?» domandò l’uomo, agitandosi sulla sedia.
Luca lo guardò un attimo, poi riportò l’attenzione sulla donna e ancora più gentilmente le chiese di nuovo: «Se i bambini sono spariti ieri, perché siete venuti solo oggi a sporgere denuncia?»
Il labbro inferiore della signora Bellagamba cominciò a tremolare. «Non li ho visti e credevo che lui li avesse portati via», rispose indicando il marito con un cenno del capo.
«Ah, ancora con ’sta storia! Ma la vot smètar?» sbottò l’uomo, alzando le mani davanti a sé. «Io non ho fatto niente, non è colpa mia.»
«Cosa vuol dire che pensava che fossero con suo marito? Lui non li aveva appena portati a casa?» volle sapere Luca.
«Maledetta quella volta che ho messo la pentola sul fuoco…» sussurrò la donna tra i denti.
«Prego?»
«Ho tardato a scendere perché ho messo una pentola sul fuoco», ripeté a voce più alta. «Dovevo pur preparare da mangiare ai miei figli, no? E quando nel giardino non ho visto nessuno ho creduto che Paolo ci avesse ripensato e che li avesse portati da sua madre.»
Iole Bellagamba aveva pronunciato la parola madre a denti stretti.
L’ispettore Giatti assunse un’espressione dubbiosa e la donna proseguì nella sua spiegazione.
«Era già successo altre volte che li portasse da lei senza dirmi niente. E se ne stavano là tutto il giorno e ci passavano anche la notte.»
«Brava, brava, tiri fuori sempre mia madre quando ne hai bisogno, eh?» la rimproverò il marito.
«Signor Massarenti, per cortesia», lo richiamò Luca.
«È così, ispettore, quando si sente in colpa tira fuori sempre mia madre.» E poi, rivolto alla moglie: «Ti senti in colpa, vero? È per questo che accusi me e mia madre…»
«Smettiamola di parlare di colpe», lo interruppe Luca, deciso, e poi, più calmo: «Ma signora, non ha nemmeno provato a fare una telefonata a suo marito o a sua suocera?»
Due grosse lacrime sbocciarono dagli occhi della donna. «No, le ho già detto che era successo altre volte, e poi… la sera è tornato tardi e io… io stavo già dormendo…»
«Sì, certo, con una bottiglia vuota di vodka accanto», la schernì il marito.
La donna scoppiò a piangere. «Quando stamattina mi sono svegliata, lui dormiva e i bambini non c’erano…» Un lungo lamento accompagnò le ultime parole.
Con la coda dell’occhio Luca vide l’agente Vincenzi agitarsi sulla porta. Anche lui cominciava ad averne abbastanza di quei due che tutto dovevano fare nella vita tranne i genitori.
Sei solo un ispettore di polizia, lo redarguì la voce di suo padre. Fai solo il tuo lavoro e non giudicare!
«Va bene, basta così», disse, alzando le mani. «Signora Bellagamba, si calmi. E lei, signor Massarenti, per prima cosa poteva aspettare che sua moglie scendesse quando ha portato i bambini a casa e la sera controllare che stessero dormendo nei loro letti.»
«Ma io… io…» balbettò l’uomo.
Lo stai facendo ancora, gli ricordò la vocina.
Luca fece un profondo respiro. «Si calmi», ripeté alla donna. «Senta, quando è scesa nel giardino condominiale, ha notato qualcosa di strano, ha visto per caso una macchina allontanarsi a forte velocità?»
«No, non ho visto nulla», rispose timidamente.
«E lei, signor Massarenti, quando ha portato i bambini a casa ha visto qualcuno nelle vicinanze, o una macchina parcheggiata lì vicino che non conosceva, magari con qualcuno a bordo?»
Luca sapeva già che quell’uomo poteva essere tutto tranne che un buon osservatore.
«No, niente. Ma sa attorno al nostro palazzo quante macchine ci sono che non conosco?» ribatté infatti il signor Massarenti, mettendosi ancora sulla difensiva.
La donna tirò su con il naso, e con voce spezzata gli chiese: «Dottore, e se li ha presi il Mostro?»
Luca rimase per un attimo senza parole, perché la signora Bellagamba aveva pronunciato quella frase come una bambina che parli dell’Uomo Nero. E non era forse ciò che stava diventando il Mostro per la città di Ferrara e i suoi abitanti? Anche il viso del signor Massarenti cambiò, diventando improvvisamente serio, come se solo in quel momento avesse afferrato la gravità della situazione. Allungò addirittura una mano su una spalla della moglie, accarezzandola, ma non disse nulla.
Luca cercò di dosare nel modo migliore le parole. «Cerchiamo di non parlare del Mostro, va bene? Adesso l’importante è trovare i vostri bambini. Le foto sono già state distribuite ai nostri uomini, non è vero?» Lanciò uno sguardo all’agente Vincenzi, il quale assentì immediatamente. «Per cui cercate di stare calmi e di non litigare: fatelo per loro.»
Luca questa volta non sentì nessuna vocina rimproverarlo per quel suo atteggiamento paternalistico.
Altre lacrime sgorgarono dagli occhi della donna. Tirò fuori un fazzoletto dalla borsa, si asciugò gli occhi e si soffiò il naso. «Grazie», disse soltanto.
«Interrogheremo i vostri vicini», continuò Luca, «per sapere se hanno visto qualcosa. Nella zona ci sono sicuramente delle telecamere: richiederemo subito le registrazioni per vedere se hanno raccolto qualcosa di importante. Faremo tutto il possibile per riportare a casa i vostri bambini.» Avvertì un nodo allo stomaco nel pronunciare quelle parole: in una situazione del genere, con quel pazzo che girava libero per le strade, non poteva essere sicuro di nulla. Tuttavia non poteva non lasciare un barlume di speranza a quei genitori.
«Siamo nelle vostre mani», disse Paolo Massarenti.
E l’ispettore Luca Giatti, come mai prima di allora, si sentì inadeguato di fronte alla fiducia che i coniugi dimostravano di riporre in lui: sentì che quelle semplici parole gli si riversavano addosso come una doccia fredda.