Erano da poco passate le cinque del mattino quando lo smartphone di Luca si mise a cantare. Una svisata di chitarra elettrica, accompagnata da un rullo di tamburi. L’inizio di Money for Nothing dei Dire Straits attutita dalla distanza perché proveniva dal corridoio dabbasso.
Luca spalancò gli occhi e saltò letteralmente fuori dal letto. Doveva affrettarsi perché non voleva che Claudia e Matteo si svegliassero. Passando davanti alla cameretta del figlio, con la coda dell’occhio si accorse che Buc aveva alzato la testa.
Non si era infilato le ciabatte e non aveva nemmeno acceso la luce. A metà scala si rese conto che riusciva a vedere perché il chiarore dell’alba stava già filtrando attraverso le finestre. Raggiunto il corridoio, accese comunque la luce, e mentre gli ultimi brandelli di uno strano sogno che aveva come protagonista ancora suo padre stavano sfilacciandosi velocemente via dalla sua mente, allungò un braccio e raccolse il cellulare dalla mensola vicino all’armadio chiuso. Con il cuore in tumulto, guardò il display (e il suo cuore in quel momento sembrò saltare un battito) e con un dito ne sfiorò la superficie per rispondere.
Mark Knopfler aveva appena iniziato a cantare la prima strofa quando si interruppe di colpo, facendo piombare di nuovo la casa nel silenzio.
Luca si portò il telefono all’orecchio. «Pronto», disse, cercando di essere il più naturale possibile.
Per alcuni interminabili secondi udì solo il rumore del suo respiro reso pesante dalla corsa, ma anche – e forse soprattutto – dall’ansia.
«Luca, mi dispiace chiamarti a quest’ora», rispose la voce grossa del commissario Battistini.
«Non si preoccupi, commissario, mi dica: ci sono delle novità?»
«Sì», confermò il commissario rimanendo poi in silenzio per qualche secondo, e chissà perché, Luca pensò che il Mostro avesse deciso di costituirsi.
Ma quando il commissario proseguì, si diede dello stupido.
«Abbiamo ricevuto una segnalazione: è stato trovato il corpo di un altro bambino.»
«Cazzo…» si lasciò sfuggire a denti stretti. In quel momento gli tornò in mente un brandello del sogno che aveva fatto: c’era suo padre, sì, che lo guardava con il volto serio, ma c’erano anche dei bambini, che però gli davano le spalle. «Arrivo subito in questura.»
«No, ci troviamo sul posto.»
E mentre il commissario Battistini gli spiegava come raggiungere il luogo del ritrovamento, Luca vide sua moglie scendere le scale, l’espressione preoccupata.
«Dieci minuti e sono lì», disse, chiudendo la comunicazione.
Claudia si fermò a pochi passi da lui. «Hanno trovato Stefano?» gli chiese con gli occhi già umidi di pianto e la voce tremante.
Luca rifletté un attimo, ma non sapeva in che altro modo dirglielo. «Hanno trovato il corpo di un altro bambino.»
«Oh, cielo…» Claudia si portò una mano alla bocca. «Stefano… Stefano è stato… ucciso?»
Luca aprì l’armadio e cominciò a ricomporre la Beretta per poi infilarla nella fondina ascellare appesa a una gruccia. «Non so se sia lui… potrebbe essere anche un altro bambino.» Prese la giacca da un’altra gruccia e fece per indossarla, rendendosi conto solo in quel momento di essere ancora in pigiama.
Claudia gli si avvicinò e lo toccò su una spalla. «Aspetta, ti prendo i vestiti», disse con voce più ferma, sparendo poi in un’altra stanza.
Luca fece un profondo sospiro.
Stai calmo e usa la testa, pensò, iniziando a sfilarsi il pigiama.
Sei un ispettore di polizia, fai il tuo dovere, lo rimproverò il ricordo della voce di suo padre.
Claudia ricomparve in corridoio con in mano i suoi abiti. «Avete ricevuto delle altre denunce di scomparsa di bambini?»
Luca cominciò a vestirsi in fretta. «No. Ma ci sono genitori che non denunciano subito la scomparsa dei loro figli», replicò, pensando per un attimo ai coniugi Massarenti.
«Non ci posso credere», disse Claudia. «E perché dovrebbero fare una cosa del genere?»
Luca si strinse nelle spalle, non sapendo sinceramente come risponderle.
«Non so cosa sperare», ammise Claudia, guardando in basso. «Vorrei che non fosse Stefano, ma allo stesso tempo vorrei che non fosse nessun altro bambino, eppure…»
«Vorrei anch’io che non si trattasse di nessun bambino… se poi li conosciamo è ancora più difficile da accettare», concluse Luca, finendo di vestirsi. Quella frase suonò un po’ cinica alle sue stesse orecchie e l’espressione assieme preoccupata e dubbiosa che si dipinse sul volto di Claudia sembrò dargli conferma. Fece un passo verso di lei. «Anche se so che sarà difficile, cerca di dormire un po’.» Protese le dita e le accarezzò una guancia.
Claudia gli prese la mano e gliela baciò, l’espressione del viso almeno un po’ più serena. «Quando puoi, cerca di dirmi qualcosa.»
Luca le strinse a sua volta le mani. «Va bene. Stai vicino a Matteo.»
* * *
L’aria del primo mattino era fresca, entrava dal finestrino aperto dell’Alfa scompigliandogli i capelli. Luca era partito da casa così, con il cristallo abbassato, e non tanto perché lo aiutava a svegliarsi meglio (dal momento stesso in cui era suonato lo smartphone era già molto vigile), ma quanto perché aveva bisogno di schiarirsi le idee. L’aria profumava di verde e di rugiada. La respirò a pieni polmoni. Si passò una mano sul viso, avvertendo il pizzicore della barba di due giorni sulle dita. Non aveva trovato il tempo di radersi, e non sapeva nemmeno quando lo avrebbe fatto.
Riportò la mano sul cambio, scalando di marcia mentre si immetteva nella stessa rotonda della sera precedente, al di là della quale si trovava il cimitero di Quacchio. Ma stavolta prese l’ultima uscita, immettendosi in via Pomposa.
Erano da poco passate le 5:30, in giro c’erano poche auto. Ferrara si stava svegliando in quel momento. La luce del primo mattino donava alle vie della città una strana atmosfera, e donava a lui la sensazione che tutto stesse procedendo per il meglio, che non ci fosse nessun malvivente da catturare, nessun Mostro da assicurare alla giustizia. Era la stessa sensazione che aveva provato diversi anni prima, quando non era ancora ispettore e faceva il turno di notte: quando il chiarore dell’alba svegliava la città, l’idea era che questa vivesse di vita propria, completamente indifferente ai problemi delle singole persone.
Eppure la città siamo tutti noi, gli aveva detto una volta suo padre quando gliene aveva parlato. Sta a noi renderla buona o cattiva.
Certo, papà, si rispose Luca, lasciandosi alle spalle il cartello di Ferrara. E adesso è diventata cattiva, concluse in modo cinico passando sopra al Po di Volano.
Ripensò per l’ennesima volta a tutti quei bambini che erano morti
(che erano stati uccisi)
e al perché il Mostro agisse così. Non lo avrebbe mai ammesso con Claudia, ma una parte di lui sperava che il bambino ritrovato fosse proprio il piccolo Stefano, perché altrimenti voleva dire che la lista di sangue innocente si stava allungando a dismisura. Se invece era lui, allora voleva dire che il Mostro si stava facendo prendere la mano, con il rischio di commettere errori e facilitare la sua cattura.
Non puoi aspettare che il Mostro faccia delle cazzate per sbatterlo al fresco! lo redarguì una vocina, ma questa volta non era suo padre.
No, certo! Alzò il finestrino e pigiò sul pedale dell’acceleratore.
Poco più avanti rallentò e girò a destra, e, seguendo le indicazioni che gli aveva dato il commissario Battistini, svoltò quasi subito a sinistra, inoltrandosi in una stretta via che ben presto lasciò il posto a una strada sterrata. Attorno a lui, i campi di grano ormai maturo si agitavano sospinti dalla brezza del mattino, facendo somigliare quella distesa a un mare dalle onde dorate. Alcune centinaia di metri davanti a lui sorgeva un casolare dai mattoni rossi, seminascosto da alcuni grandi alberi. Tra questi ultimi spuntavano il bianco e il rosso di un’ambulanza, i cui lampeggianti erano spenti. Luca guardò lo specchietto retrovisore e vide un grosso nuvolone di polvere che l’Alfa stava alzando dietro di sé. Rallentò ulteriormente.
Quando fu più vicino vide che c’erano anche due utilitarie e un’auto blu della polizia ferme in uno spiazzo tra gli alberi. A passo d’uomo entrò quindi in quella che doveva essere stata una volta una grande aia. Poco più avanti si ergeva un casolare semi diroccato. Fermò l’auto e scese. Fortunatamente il nuvolone di polvere si dissipò lontano, sospinto dalla brezza.
La prima persona che vide fu il commissario Battistini, che con la sua grossa mole gli si fece incontro facendo scricchiolare la ghiaia sotto i piedi. Alle sue spalle un agente stava tirando un nastro segnaletico davanti alla porta del rudere, da cui in quel momento uscirono due sanitari. Si guardò attorno, ma non vide l’agente Vincenzi: giusto, perché a quell’ora non era ancora entrato in servizio ed evidentemente non era stato necessario richiamarlo prima. Sulla sua destra vide un uomo, probabilmente un contadino che stava parlando con un altro agente. Ed era proprio da loro due che il commissario Battistini si era staccato per raggiungerlo.
«Buongiorno», lo salutò, fermandosi davanti a lui.
«Buongiorno, commissario. Si tratta di Stefano Bruni?» domandò Luca andando subito al punto.
Il commissario ebbe soltanto una lieve incertezza, ma non abbassò lo sguardo. «Sì, mi dispiace.»
Luca sentì una fitta allo stomaco. Strinse forte i pugni e serrò con decisione la mascella. «Rapito appena ieri… questo vuol dire che lo ha ucciso quasi subito», ragionò tra sé e sé a voce alta, guardando un punto nel vuoto. Poi tornò a mettere a fuoco il commissario davanti a sé. «Si tratta sempre del Mostro, non è vero?»
«Stesso modus operandi: un colpo alla testa», rispose il commissario, lapidario.
«La madre è stata avvisata?»
«No, e forse sarebbe meglio che tu lo faccia prima che qui si riempia di giornalisti.»
«Certo, voglio vedere prima il bambino», disse, cominciando ad avanzare verso il casolare.
Il coinvolgimento emotivo che Luca aveva con la vittima avrebbe dovuto far ricadere la scelta di chi dovesse avvisare la madre della tragedia su qualcun altro. Ma evidentemente il commissario sapeva bene che, se anche consigliato in tal senso, lui si sarebbe opposto comunque.
«I ragazzi dell’Analisi del Crimine Violento sono stati avvisati e stanno arrivando», gli disse il commissario Battistini, seguendolo.
«È stato il contadino a trovare il corpo?» Luca accennò con il capo all’uomo che stava parlando con l’agente.
«Sì, ma non è stato casuale», rispose il commissario, sbuffando.
Luca rallentò il passo e si girò verso di lui. «Che intende?» Con la coda dell’occhio vedeva già una piccola sagoma adagiata a terra all’interno del casolare.
Il commissario Battistini tornò ad affiancarlo. «Quell’uomo si chiama Buzzi, Arnaldo Buzzi, e abita poco lontano da qui. Questa vecchia casa era quella dei suoi genitori. Ci ha raccontato che durante la notte ha sentito dei rumori, è sceso in giardino e ha visto i fari di un’auto allontanarsi da qui.»
«Qui attorno ci abita solo lui e quindi si è insospettito?» ipotizzò Luca. «Ma avrebbe potuto essere semplicemente qualcuno che aveva sbagliato strada, no?»
«Be’, sì, è quello che gli ho detto anch’io, ma lui mi ha risposto che ultimamente ci sono stati dei ragazzacci, come li ha definiti lui, che venivano qui a fare delle schifezze.»
In un’altra occasione Luca si sarebbe messo a ridere, ma la vicinanza della morte non glielo permetteva. «Quindi è un ritrovo di coppiette.» Tornò a girarsi verso l’ingresso del casolare e avanzò di un altro paio di passi, fermandosi a pochi centimetri dal nastro segnaletico.
Il commissario Battistini gli stava dicendo qualcos’altro, ma lui non riuscì ad afferrare le parole.
L’interno della costruzione era in penombra. Sul pavimento in vecchie piastrelle scure erano sparsi un po’ ovunque mattoni, pietre e calcinacci. Più o meno al centro della stanza, giaceva supino a terra il corpo del piccolo Stefano. Indossava jeans e una maglietta blu. Le braccia bianche erano distese lungo il corpo, il viso ceruleo inclinato un po’ dall’altra parte, un ciuffo biondo che svettava in cima alla testa.
Alle sue narici arrivava un forte odore di verde, di polvere e muffa. Fortunatamente non sentiva ancora il fetore della decomposizione.
È morto solo da poche ore, gli ricordò una vocina.
E tu non sei riuscito a impedirlo.
Luca sentì un nodo cominciare a chiudergli la gola. Strinse con forza i pugni. A quel punto, forse perché il suo cervello era tornato a elaborare quello che il commissario gli stava dicendo, cercando di mantenere la voce salda, domandò: «Non è che abbiamo a che fare con un guardone?»
Mentre dentro di sé pensava: Mio Dio, è proprio Stefano.
Anche adesso non capì subito la risposta che il commissario gli diede, perché per un attimo aveva immaginato che al posto di Stefano ci fosse suo figlio.
Cosa saresti in grado di fare se succedesse qualcosa a Matteo?
Quel pensiero lo lasciò disarmato, perché non era la prima volta che lo faceva.
Sono un ispettore di polizia, si impose, schiarendosi le idee e girandosi verso il commissario.
«Se quel contadino è un guardone, potrebbe aver visto molto di più di quello che dichiara», disse con un filo di speranza.
Il commissario Battistini si schiarì la voce forse un po’ troppo rumorosamente. «Non mi stavi ascoltando.»
E Luca si sentì uno stupido. «Mi scusi, commissario», disse subito, girandosi verso il suo superiore e dando così quasi completamente le spalle all’ingresso del casolare.
«No, figurati, posso capire il momento.»
Il commissario attese qualche secondo, e Luca si accorse solo ora di come stesse giocherellando con una sigaretta nella mano destra.
«Stavo dicendo», proseguì Battistini, «che non credo che Buzzi sia un guardone. Quando ha visto i fari dell’auto allontanarsi si è precipitato quasi subito qui con la sua macchina: aveva paura che accendessero dei fuochi attorno alla casa, se non addirittura dentro. È già successo, abbiamo controllato. Quando poi ha scoperto il corpo del bambino, ne è rimasto sconvolto. Buzzi è padre di due bambini piccoli.»
«E a che ora è arrivata la sua telefonata?» chiese subito Luca cercando di rimediare alla sua disattenzione.
«Verso le tre e mezza del mattino.»
Luca aprì la bocca per chiedergli un’altra cosa, ma il commissario sembrò leggergli nella mente e aggiunse: «A un primo esame obiettivo dei sanitari, la morte del bambino risulterebbe avvenuta più di otto ore fa. Ma attendiamo il parere del medico legale per essere più sicuri.»
«Ma è una buona indicazione», disse Luca facendo un rapido calcolo mentale, «e ciò vuol dire che il Mostro lo avrebbe ucciso più o meno alle dieci di ieri sera.»
«Esatto. E questo cosa ti fa pensare?»
«Che ha fatto qui il Mostro fino alle tre del mattino?» chiese a sua volta Luca.
«Giusto. Perché dovrebbe essere rimasto qui tutto quel tempo? Forse qualcosa è andato nel verso sbagliato, forse ha lasciato troppe tracce dietro di sé e si è preoccupato di cancellarle bene.» Il commissario Battistini girò il largo busto verso il casolare. Si passò la mano libera sulla folta barba scura e poi sugli occhi.
Anche Luca si voltò a osservare il corpo di Stefano. «O magari il Mostro conosceva la sua piccola vittima», disse, forse più che altro a se stesso. «E non riusciva ad abbandonarlo qui da solo.»
Il commissario lo guardò di sottecchi. «Questo non possiamo saperlo, per il momento. Senti, per quanto possiamo far transennare la zona, qui tra un po’ si riempirà di gente.»
Luca avvertì un’urgenza nella voce del commissario che non gli aveva mai sentito prima.
«Per cui vai dalla madre del bambino prima che venga a conoscenza della cosa da chissà chi.»
«Certo, commissario, vado.» Luca si voltò e si avviò verso l’Alfa.
Mentre camminava si sentì bucare la schiena dallo sguardo di Battistini, aspettandosi che lo salutasse o che perlomeno aggiungesse qualcosa. Ma non avvenne.
Appena prima di salire in macchina incrociò da lontano lo sguardo triste e affranto di Arnaldo Buzzi: no, concluse, non era un guardone, ma un uomo che aveva paura e che voleva proteggere i suoi figli.
* * *
Il tragitto per arrivare a casa di Federica fu probabilmente uno dei più lunghi della sua vita, sebbene la distanza dal luogo del ritrovamento fosse appena di pochi chilometri. Erano passate da alcuni minuti le sette del mattino e Luca aveva rimuginato a lungo sul fatto di chiamare Claudia e darle la brutta notizia. Un paio di volte aveva preso lo smartphone, ma poi aveva desistito, pensando che forse sua moglie stava ancora dormendo e che quindi non avrebbe voluto disturbarla. Be’, no, aveva riflettuto subito dopo, certamente Claudia non aveva più chiuso occhio da quando se ne era andato. Molto più realisticamente avrebbe potuto disturbare il sonno di Matteo…
Forza, ammettilo con te stesso, concluse alla fine, vuoi chiamarla solo per aver un appoggio, per sentirti dare un consiglio su come dire a una madre che ha appena perso il figlio perché un pazzo gli ha sparato alla testa per chissà quale cazzo di ragione!
Luca sollevò la mano destra per batterla con forza sul volante dell’Alfa, in modo da scaricare la rabbia che stava crescendo sempre di più dentro di lui, ma si bloccò, stringendo invece il pugno fino a far sbiancare le nocche.
No, doveva mantenere la calma.
A quell’ora il traffico cittadino era già abbastanza intenso e sarebbe aumentato sempre più fino a raggiungere di lì a un’ora, un’ora e mezza, il suo picco maggiore. Riportò la mano sul volante, mise la freccia e svoltò in una traversa di via Bologna.
In pairs, in time, with compassion, pensò di punto in bianco, ricordando il breve corso per operatori di polizia che aveva frequentato qualche anno prima, e che in sostanza si riduceva a un consiglio che l’insegnante aveva ripetuto loro diverse volte: quando vi viene affidata la notifica di un decesso violento, che sia avvenuto per incidente stradale oppure per omicidio, l’unica cosa che dovete ricordare è di utilizzare al massimo la vostra sensibilità. E se credete di non averla… be’, lasciate che sia qualcun altro a farlo al posto vostro, perché potreste arrecare ancora più danno di quanto già non faccia la perdita di una persona cara.
In questura sapevano bene quanto fosse delicato quel momento, e per quante barzellette circolassero nell’ambiente sui poliziotti (forse al pari di quelle sui carabinieri), nessuno si permetteva di scherzare su un’esperienza tanto dolorosa. Luca ne aveva parlato più di una volta con l’agente Vincenzi e questi gli aveva confidato che non se la sarebbe mai sentita di affrontare una situazione del genere. Luca in quell’occasione non gli aveva risposto, augurandogli dentro di sé che non dovesse mai capitargli.
Per quanto lo riguardava, infatti, era già successo in un altro paio di occasioni che gli venisse affidato quel compito: due ragazzi, entrambi morti in incidenti stradali a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro. In uno si era recato a casa dei genitori, i quali, forse perché se lo sentivano oppure perché la notizia gli era già giunta in qualche maniera, erano stati recalcitranti anche solo ad aprirgli la porta. Quando poi aveva dato loro la terribile notizia, si erano quasi messi a ridere, dicendogli che non poteva essere assolutamente loro figlio, che doveva esserci stato un errore. Luca, con molta delicatezza, aveva spiegato loro che purtroppo non c’era nessun errore. Il padre, allora, si era allontanato dalla stanza, mentre la madre si era messa a piangere abbracciandolo e lo aveva trattenuto quasi un’ora in casa a parlare del proprio figlio. Nell’altro caso, invece, la situazione era stata quasi surreale. Erano le tre del mattino, e lui era intervenuto assieme alla sua squadra sul luogo dell’incidente. Il cadavere del ragazzo che era alla guida era rimasto incastrato tra le lamiere dell’auto, la quale si era accartocciata attorno al tronco di un grosso platano. Un attimo prima di lasciare spazio ai vigili del fuoco per liberare il corpo, un cellulare si era messo a squillare. Attraverso il finestrino esploso Luca aveva raccolto il telefonino che si era infilato tra una gamba del ragazzo e lo sportello. Sul display, accanto a una macchiolina di sangue, campeggiava la scritta “mamma”. Luca aveva fatto un profondo respiro e aveva risposto, cercando il distacco necessario per essere professionale ma allo stesso tempo il più delicato possibile. Non ricordava molto di quella conversazione, se non parole confuse tra pianti e singhiozzi.
Adesso però era la prima volta che doveva farlo con un’amica.
Quasi in fondo alla via parcheggiò sulla destra e spense il motore. Si era fermato a circa cinquanta metri dalla casa di Federica. Sul marciapiede di fianco a lui sfilarono tre ragazzi, tre studenti che molto probabilmente si stavano dirigendo verso la fermata dell’autobus. La cosa che gli saltò all’occhio, e che lo aveva già fatto riflettere in altre occasioni, era che tutti e tre avessero gli occhi incollati allo smartphone che reggevano con entrambe le mani, intenti a digitare come forsennati. Ci fosse stata una scia di banconote da cinquecento euro ai loro piedi, non se ne sarebbero nemmeno accorti. Uno strumento che ti dava la possibilità di aprirti al mondo e di conoscerlo, ma che allo stesso tempo poteva richiuderti in te stesso come un riccio.
Era per questa ragione che lui e Claudia cercavano di far crescere Matteo lontano dai cellulari; tuttavia in quelle rare occasioni in cui gliene avevano dato uno con cui giocare, il piccolo aveva dimostrato una dimestichezza con l’uso delle mani e delle dita che li aveva lasciati a bocca aperta. Ancora di più si erano sentiti in dovere di tenerlo lontano da essi.
«Questi aggeggi sembrano essere stati costruiti apposta per i bambini», aveva osservato Luca.
«Non possiamo farci nulla», gli aveva risposto Claudia. «Questo è il loro presente e il loro futuro.»
Stai perdendo tempo! lo redarguì la voce di suo padre. Sei un ispettore di polizia o un filosofo?
Ebbe come un sussulto: era vero, ma che diavolo stava facendo?
Aveva paura, forse? No, dannazione, no! Controllò lo specchietto retrovisore: i tre ragazzi erano ormai spariti, forse avevano girato l’angolo.
Si decise e scese dall’auto, cercando di non pensare più a nulla. Premette il pulsante sulla chiave e la chiusura centralizzata dell’Alfa scattò, facendo lampeggiare le quattro frecce.
Si incamminò lungo il marciapiede. Alle sue narici arrivarono i profumi di pane fresco e quello dolce di crema pasticcera. Non aveva ancora fatto colazione, ma in quel momento la fame era l’ultima delle sue preoccupazioni. Passò davanti alla vetrina di un piccolo panificio. I suoi occhi furono immediatamente catturati da un cartello appeso nella parte inferiore della porta a vetri. Si fermò un attimo. In grande e a caratteri gotici c’era scritto: Pomposia Imperialis Abbatia, 14a Rievocazione Storica. E sopra lo sfondo dell’Abbazia di Pomposa era riprodotta una miniatura degli antichi frati amanuensi.
Proseguì oltre.
Era certo che a Matteo sarebbe piaciuto tantissimo visitarla. Con la passione che aveva per castelli e cavalieri, per lui sarebbe stato come immergersi nei suoi sogni e…
«Luca!» esclamò la voce di una donna.
Si fermò e si voltò verso destra, riconoscendola all’istante. Federica era in piedi davanti alla porta di casa, a pochi metri dal basso cancello in ferro che Luca stava quasi per superare. Era vestita come il giorno precedente, i capelli in disordine.
Luca cercò di mascherare l’iniziale sorpresa che gli si stava per dipingere sul volto (come se si trovasse lì per caso, cosa che assolutamente non doveva apparire), e si fece serio.
Federica lo osservò per qualche secondo in silenzio, quasi lo stesse scrutando dal di dentro. E davanti a quello sguardo Luca cominciò a sentirsi effettivamente nudo. Stava per aprire bocca e chiederle almeno se potevano entrare perché doveva parlarle, quando vide la tristezza dipinta sul volto di Federica incrinarsi ulteriormente, trasformando il suo viso in una brutta maschera di cera sul punto di sciogliersi. E qualcosa effettivamente si sciolse, perché la bocca si atteggiò a una lunga smorfia di dolore e dagli occhi gonfi traboccarono altre lacrime. Poi la donna si appoggiò a uno stipite e lentamente si accasciò sul piccolo patio. Un lungo lamento cominciò a uscirle dalle labbra contratte ed esangui.
Luca spalancò il cancelletto di ferro e le corse incontro. Si inginocchiò a sua volta davanti a lei e le appoggiò delicatamente una mano su una spalla. Federica si lasciò andare e posò la testa sul suo petto, il corpo scosso da forti singhiozzi.
Rimasero a lungo così, lei che piangeva e Luca che con solo il suo silenzio cercava di consolarla, entrambi incuranti di alcuni vicini che erano usciti di casa per osservare la scena.