«Quell’uomo ti ha lanciato una maledizione», gli disse Claudia diverse ore dopo, in camera da letto.
Luca non sorrise a quell’affermazione, ma si ritrovò a riflettere, come già aveva fatto in auto, quando infine si era diretto verso casa.
«Sì, l’ho pensato anch’io, dopo», ammise. «Ma è una cosa così assurda, soprattutto adesso che è passato un po’ di tempo.»
«Le maledizioni funzionano se tu ci credi», affermò Claudia avvicinandosi a lui sotto le coperte.
Luca girò la testa a guardarla. La fievole luce dell’abat-jour le illuminava in parte il viso, tuttavia poteva vedere l’ombra della preoccupazione occuparle ancora lo sguardo. E in questo caso sapeva che non era per lui. «Dai, ma di che stiamo parlando? Lo sai che non credo a queste cose, a queste superstizioni.»
«Bene, e allora non devi preoccuparti di nulla», rispose semplicemente lei, ma Luca avvertì una certa condiscendenza nel tono. E questo perché le aveva raccontato anche della strana sensazione che aveva avvertito all’uscita della questura e che lo aveva spinto ad andare al Grattacielo. Poteva quindi essere equiparata anche questa a una superstizione? No, assolutamente, perché lui aveva sentito davvero qualcosa dentro…
Si rese conto del circolo vizioso che stavano prendendo i suoi pensieri. Si sistemò meglio accanto a sua moglie.
«Cos’hai?» gli chiese lei.
«Niente… allora tu dici che non mi devo preoccupare.»
Claudia questa volta gli sorrise. «Ma no, certo che no.»
Luca la baciò sulla fronte. Lei si era stretta ancora più forte a lui, con il viso quasi affondato nel suo braccio destro. Lo guardò dal basso verso l’alto, gli occhi tristi. «Non si sa ancora niente del funerale?»
Luca girò la testa verso il soffitto. Respirò profondamente, facendo alzare e abbassare la testa della moglie. «No, lo sai, devono prima fare l’esame autoptico.»
Claudia tornò ad abbassare lo sguardo. Luca ne sentiva il calore del respiro sul petto.
«Mio Dio, quanta crudeltà», disse poi con la voce smorzata dal contatto delle labbra con il suo pigiama. E Luca non capì se si riferisse all’autopsia che doveva essere fatta sul corpo del piccolo Stefano Bruni o alla scia di morte che il Mostro stava lasciando dietro di sé.
«Il dottor Filippelli è davvero in gamba e nel suo lavoro pone… il massimo rispetto.» Luca sentì il corpo di sua moglie irrigidirsi.
«Non so, Luca…» disse lei con una certa titubanza.
«Cosa?»
«Non so cosa farei se il Mostro dovesse prendere…»
«Non dirlo nemmeno», la interruppe Luca.
Eppure ciò non evitò che nella sua mente si formulasse una ormai ben nota domanda.
Cosa saresti in grado di fare se succedesse qualcosa a Matteo?
La scacciò via, cercando invece di rassicurare la moglie. «Stai tranquilla, non succederà. Perché dovrebbe farlo, poi?»
Claudia alzò la testa. «E perché lo ha fatto con gli altri? Non siete ancora riusciti a capirlo, vero?»
Luca si sentì punto sul vivo, come poliziotto, come marito e come padre, e non tanto per quella verità, quanto per il tono aggressivo di una madre che non sa cosa fare ma che è disposta a combattere per il figlio.
«Hai ragione», ammise, distogliendo un attimo gli occhi dai suoi. «Non sappiamo ancora perché lo faccia, quel bastardo.»
Claudia si scostò da lui come un fulmine e si alzò sulle braccia, sollevando tutte le coperte, poi parlò a raffica. «Mi dispiace, non so cosa mi sia preso. So che state facendo e stai facendo tutto il possibile per prenderlo.»
«Ehi, ehi, stai calma, dai, non è successo nulla.» Le mise le mani sulle spalle. «Non mi sono mica offeso, sai? Dai, vieni qui», e la attirò a sé, facendola delicatamente sdraiare sul suo petto. Una mano sulla schiena, attraverso cui Luca ne avvertiva tutta la tensione, e l’altra tra i folti capelli castani, ad accarezzarle piano la testa. «Cerchiamo di rilassarci, adesso», continuò poi, sussurrandole vicino all’orecchio. «E pensiamo a Matteo, e alla stupenda giornata che ci aspetta domani.»
«Sì, è vero.»
Luca avvertì il corpo della moglie rilassarsi, almeno in parte.
«Dobbiamo cercare di essere tranquilli per lui», continuò Claudia, senza mai alzare lo sguardo. «E anzi, sei stato bravo con lui, prima.»
«Te lo confesso: non è stato facile.» Luca ripensò alla conversazione che aveva avuto con il figlio dopo quella che era stata una cena frugale.
«Sono sicura che domani ci divertiremo», aggiunse Claudia alzando questa volta la testa per baciarlo sulle labbra. E non si fermò lì. Riprese a baciarlo, questa volta con più intensità, strusciandosi sul suo corpo, cercandone il calore.
Luca rispose al suo invito, stringendola forte, per poi girarla sotto di sé, in un intrico di soffici coperte e desideri quasi dolorosi da appagare.
* * *
Circa un’ora prima, Luca, Claudia e Matteo erano seduti a tavola e stavano cenando. Matteo aveva dato da mangiare a Buc e ora il cane stava piacevolmente rilassato sotto il tavolo, vicino ai piedi del bambino.
«Dai, Matteo, non ti va l’insalata questa sera?» gli chiese Luca osservando come il figlio stesse solo piluccando le foglie di lattuga. «So che ti piace tanto.» Infatti a Matteo, a differenza di tanti altri bambini dei suoi colleghi o amici, piaceva molto la verdura, che fosse cotta o cruda. Da quel punto di vista lui e Claudia non avevano avuto problemi.
Claudia cercò di dargli manforte. «Hai sentito papà? Su, da bravo, fai uno sforzo.»
Luca lanciò uno sguardo alla moglie. Il viso serio di lei indicava che forse era il momento giusto.
«Non ho tanta fame», disse Matteo senza alzare gli occhi dal piatto.
Sotto il tavolo si sentì un lieve uggiolio di Buc.
Luca posò coltello e forchetta, lasciando la bistecca a metà, ma non aveva più voglia di mangiare. Già era stato uno sforzo essere arrivato fino a quel punto vedendo Matteo in uno stato del genere. Lo aveva trovato così dal momento stesso in cui era tornato a casa. Poi, quando si erano messi a tavola, il bambino si era intristito ancora di più. «Se non hai più fame, puoi anche fermarti.» Si pulì la bocca con il tovagliolo e bevve un lungo sorso d’acqua.
«Non ti arrabbi se non mangio più, papà?» gli chiese Matteo, alzando questa volta lo sguardo verso di lui. Nei suoi occhi c’era tristezza, certo, ma anche un pizzico di speranza.
«Certo che no. Lo vedi? Anch’io non ho più fame.» Posò il bicchiere. «Senti, Matteo», continuò poi schiarendosi la voce. «Sei diventato sempre più triste, stasera. Io e la mamma crediamo di sapere perché. La mamma mi ha detto che hai visto il telegiornale…»
«Solo per pochi secondi», puntualizzò Claudia. Anche lei aveva lasciato la cena a metà. Stava giocherellando nervosamente con le dita di una mano.
«Solo per pochi secondi, certo», ripeté Luca riportando l’attenzione su Matteo. «Ma in quei pochi secondi hai capito che è successo qualcosa a Stefano.»
«Sì», ammise Matteo. «E adesso stavo pensando una cosa.»
«Cosa?»
«Che non può più cenare con la sua mamma.» Guardò prima lui e poi Claudia.
Luca si sentì profondamente colpito e anche un po’ spiazzato da quell’affermazione.
Sua moglie si schiarì la voce. «Ascoltate, uomini. Perché non andate di là a parlare? Io intanto qui sparecchio e do una sistemata.»
Luca capì che non era quella la vera ragione per cui li stava facendo sloggiare. Era una scusa per rimanere un attimo da sola; i suoi occhi avevano cominciato a inumidirsi.
Luca riprese veloce la situazione in mano, cercando di sorridere. «Dai, Matteo. Facciamo quello che dice la mamma, altrimenti lo sai che si arrabbia.»
Matteo guardò Claudia, e lei, seppur con gli occhi tristi, gli sorrise. «Sì, stasera stiamo tutti un po’ leggeri… forza, sciò sciò, vai di là con papà. Sistemo qui e poi arrivo anch’io.»
«Va bene, mamma», disse Matteo, scendendo dalla sedia e dirigendosi verso la porta. Buc comparve subito da sotto il tavolo e lo seguì. Il bambino si fermò un attimo sulla soglia e si girò. «Però, mamma, mi fai un piacere?»
«Sì?»
«Non essere triste anche tu.»
«No, certo che no», gli rispose Claudia con un sorriso ancora più tirato di prima, grosse lacrime sull’orlo di rotolarle sulle guance.
Matteo si girò e sparì nel corridoio con Buc.
Luca si avvicinò alla moglie, che ormai era sull’orlo del pianto, per cercare di confortarla, ma lei lo bloccò dicendogli: «Vai da lui», e iniziò a sparecchiare senza guardarlo.
Tu sei un marito, ma adesso devi essere soprattutto un padre, si redarguì Luca.
Mandò giù il grosso groppo che gli si stava formando in gola e uscì anche lui dalla cucina.
Matteo era entrato nello studio e stava guardando alcuni libri. A Luca fece un po’ male vedere suo figlio così, perché più che un bambino sembrava un vecchio topo da biblioteca tutto ingobbito e intento a respirare la polvere dalla carta. Buc si era accucciato nell’angolo opposto, sotto la scrivania di Claudia. Sembrava stesse dormendo, come se avesse capito che adesso gli “uomini” dovevano parlare tra loro.
Già, gli uomini, pensò Luca avvicinandosi a Matteo, dopo le parole di prima mi chiedo chi sia più uomo tra noi due.
«Hai voglia di leggere qualcosa?» gli chiese, inginocchiandosi di fianco a lui.
Matteo si girò, e un mezzo sorriso gli illuminò il volto.
No, non è affatto un vecchio topo da biblioteca.
«Sì», gli rispose Matteo, «però prima mi devi sgridare un po’, vero?»
«E perché dovrei farlo?»
«Perché ho guardato il telegiornale.»
«No, non sono arrabbiato e non ti devo sgridare», disse Luca con fermezza. «Però a volte fanno vedere delle cose brutte.»
«Che non devo vedere?»
«Sì, ma non le devi vedere perché ti farebbero star male.»
Matteo ridivenne serio, e si girò di nuovo verso la libreria.
Ah, quanto gli faceva male vederlo così!
«Anche dentro a questi libri ci sono delle cose brutte, vero?»
Più che una domanda sembrava un’affermazione.
Luca si sedette sul pavimento. «Sì, ed è per questo che non vogliamo che tu legga certi libri.»
«Perché mi farebbero star male.»
«Certo, bravo, però le cose che sono scritte nei libri non sono vere…»
(a volte sì, Luca, a volte sì)
«… mentre quelle che puoi vedere alla televisione sì.»
Questa volta Matteo si girò verso di lui con una faccia dubbiosa. «Però la mamma mi ha detto che ci sono anche libri che parlano della vita delle persone, e quelle sono vere, e cose alla televisione che sono finte.»
Ecco, appunto, pensò Luca. Ho scelto un pessimo paragone.
«Sì, hai ragione, la mamma ti ha detto una cosa giustissima. Ma adesso vieni qui, siediti con me.» Gli prese delicatamente le mani, facendolo sedere a gambe incrociate davanti a lui. «Quello che voglio dirti è che non devi essere triste per Stefano, anche se lui non c’è più.»
«No, papà, non sono triste per lui.»
«Ah, no?»
«No, perché so che Stefano è diventato un angelo.»
«Sì, bravo Matteo. Stefano è proprio diventato un angelo, ed è per questo che non devi essere triste per lui.»
I bambini sono sempre più avanti di quello che crediamo, pensò Luca, ricordando le parole del commissario Battistini.
«Ma, papà, la sua mamma lo sa che Stefano è diventato un angelo?»
«Oh, Matteo, è per questo che sei triste, allora?»
Il bambino fece segno di sì con la testa.
«Ma certo che lo sa», continuò Luca. «Stai tranquillo, vieni qui, dai», e lo accolse tra le braccia stringendolo forte.
A quel punto Matteo gli pose una domanda che lo spiazzò completamente. «Nonno Carlo te lo ha detto, allora?»
Luca sentì come un click nella testa. Meno male che Matteo non lo stava guardando, perché avvertì la bocca spalancarglisi per lo stupore.
Non mi stai ad ascoltare…
Possibile che invece Matteo lo avesse fatto?
«Che vuoi dire?» gli chiese senza guardarlo in faccia, ma continuando ad abbracciarlo stretto.
«Se nonno Carlo è venuto a dirtelo che adesso è un angelo.»
Luca chiuse la bocca e sospirò, anche se non sapeva se per felicità o rassegnazione.
Cos’è, avresti preferito che tuo figlio fosse una specie di medium e parlasse con l’aldilà? gli chiese una vocina petulante.
No, dannazione, non credo a queste cose.
Questa volta staccò Matteo da sé, tenendo ancora le mani appoggiate sulle sue piccole spalle. «No, Matteo, non è venuto a dirmelo. Ma, vedi, io so che lui è diventato un angelo. Anzi, è diventato proprio il tuo angelo custode, e tutti i giorni è accanto a te per proteggerti.»
«Mi dispiace», disse Matteo.
«E di cosa?»
«Che il nonno non sia venuto a dirtelo.»
«Ah, Matteo, ma non ce n’è bisogno. E poi, vedi, nessuno torna indietro per dircelo. Noi lo sappiamo, e lo sappiamo qui», e appoggiò due dita sul petto del bambino. «Dentro di noi.»
Matteo lo guardò serio. «Io verrei a dirtelo assieme al nonno se dovessi morire come Stefano.»
Luca si sentì inorridire e quasi mancare, ma non doveva farlo trasparire e anzi doveva cercare di continuare a parlargli in modo normale. «Non devi dire una cosa del genere, Matteo. Non va bene.»
«E perché? Io non voglio che tu e la mamma diventate tristi.»
«Sì, lo so, però, vedi, neanche il tuo amico Stefano voleva lasciare la sua mamma.»
«È stato il Mostro a ucciderlo», affermò Matteo deciso, come se avesse risolto un caso complicato. «Ma come è fatto questo Mostro, papà?»
E lì la fantasia e la realtà cominciavano a mescolarsi, e non andava bene.
«No, Matteo, il Mostro non è uno dei mostri come li vedi in alcuni cartoni animati. Questo Mostro è proprio un uomo, un uomo molto cattivo, ma tu non devi avere paura…»
«Ma io non ho paura», lo interruppe il bambino, «perché so che tu lo catturerai.»
«Sì, io lo catturerò insieme a tutti gli altri poliziotti… perché siamo una squadra, lo sai, vero? E ci diamo una mano tutti assieme.»
«Sì, ma tu sei il capo di questa squadra.» Questa volta Matteo tornò a sorridere, e insieme a lui anche il cuore di Luca.
Buc, da sotto la scrivania, uggiolò ancora, come se fosse rimasto ad ascoltare fino a quel momento e adesso desse anche lui la sua approvazione. E Luca pensò che forse in un certo senso fosse proprio così.
«Però, mi devi fare una promessa», continuò Luca. «Quando io non ci sono devi sempre stare vicino alla mamma e mai allontanarti da solo. E se ti trovi in giardino e qualcuno dalla strada vuole parlare con te, corri subito dalla mamma.»
Matteo fece una smorfia un po’ scocciata. «Sì, papà, però non sono più un bambino piccolo. E poi c’è sempre Buc con me.»
Il cane alzò la testa e abbaiò una volta.
Poi Matteo tornò serio, facendo un’altra considerazione. «Forse se anche Stefano avesse avuto un cane come Buc, adesso non sarebbe andato via.»
«È vero, molto probabilmente no. Dobbiamo ritenerci fortunati ad avere Buc con noi, non credi?»
«Sì.»
A quel punto Luca immaginò Buc dietro alla bassa recinzione della casa di Federica, quindi rivide il viso affranto della donna e a cosa stava pensando un attimo prima di incontrarla. Ed ecco che gli si parò davanti l’immagine di quella locandina appesa alla porta di vetro del panificio.
«Senti, Matteo, domani sono a casa. Ti andrebbe di fare una gita tutti assieme?»
«Sì, che bello, dove andiamo?» esclamò Matteo tutto contento.
«Aspetta un attimo che controllo una cosa», disse Luca alzandosi in piedi. Vide Claudia ferma sulla soglia dello studio, appoggiata a braccia conserte a uno stipite. Non sapeva da quanto tempo fosse lì a osservarli, l’importante era che il suo viso ora fosse illuminato da un bel sorriso. «Domani facciamo una gita», disse rivolto anche a lei.
«Va bene», gli rispose sua moglie.
Luca si spostò al computer sulla scrivania, sotto lo sguardo attento di Buc.
«Mamma, mamma, andiamo in gita!» esclamò Matteo, correndo tra le braccia di Claudia.
«Sei contento?»
«Sì, e tu non piangi più, vero?»
«No, promesso», rispose lei sollevandolo da terra e riempiendolo di baci.
Luca aveva fatto partire il motore di ricerca, trovando subito quello che cercava. Sul monitor campeggiava la stessa locandina che aveva visto sulla vetrina del panificio: Pomposia Imperialis Abbatia, ma questa volta si soffermò a leggere le date.
«Benissimo», disse. «Domani, Matteo, vedrai dei veri cavalieri.»
«Davvero?»
«Sì, andiamo all’Abbazia di Pomposa, a una rievocazione storica del Medioevo.»