Erano quasi arrivati all’Abbazia di Pomposa quando Luca, alla guida della Yaris di Claudia, guardò per l’ennesima volta nello specchietto retrovisore. A Matteo, legato sul seggiolino, era finalmente quasi passato il broncio che aveva assunto da quando erano partiti, ormai più di quaranta minuti prima. Un po’ serio, continuava a osservare il paesaggio fuori dal finestrino.
Luca lanciò un’occhiata alla moglie, seduta al suo fianco. Lei sorrise e, allargando un po’ la cintura di sicurezza con una mano, si girò verso il bambino. «Ehi, Matteo, invece di guardare sempre lì fuori, perché non ti giri e vedi cosa c’è qui davanti?»
Luca lanciò ancora un’occhiata allo specchietto retrovisore e vide gli occhi di Matteo guardare nei suoi per un attimo, per poi andare oltre e spalancarsi ulteriormente.
Luca riportò l’attenzione sulla Strada Statale Romea che stavano percorrendo in direzione Venezia. Ed eccolo là: poco lontano e in mezzo ad alcuni alberi, si stagliava l’alto campanile dell’Abbazia di Pomposa.
Era da quando erano usciti dal raccordo autostradale Ferrara-Porto Garibaldi che non avevano più affrontato l’argomento, e ora Luca, vedendo suo figlio forse più predisposto, colse l’occasione per chiudere definitivamente la discussione. «Ci siamo un po’ tranquillizzati, adesso?»
Con la coda dell’occhio vide Claudia ghignare sotto i baffi, poi alzò gli occhi allo specchietto retrovisore.
La faccia sorridente di Matteo ridiventò improvvisamente seria. «Mmhh, si sarebbe divertito anche lui.»
Più predisposto, sì, ma sempre cocciuto, pensò Luca.
«Va bene, ricominciamo da capo, allora», disse, rallentando. Il traffico vicino allo svincolo per l’Abbazia si era fatto più intenso.
«Luca!» si lamentò Claudia in modo un po’ teatrale.
Matteo si mise a ridere.
«Ecco, appunto», riprese la parola Luca uscendo dalla Statale. «Ascoltami, Matteo. Lo sai che se portiamo Buc in mezzo alla gente dobbiamo mettergli la museruola, no?»
Matteo sospirò. «Sì.»
«Ed è contento Buc quando gli mettiamo la museruola?»
Altro sospiro. «No.»
«Quindi se fosse venuto con noi, non sarebbe stato contento, giusto?»
Terzo sospiro. «Giusto.»
«Guarda, Matteo, guarda quanta gente che è già arrivata e quanta ne dovrà ancora arrivare», proseguì Luca, indicando oltre il parabrezza dell’auto. Con la Yaris avevano attraversato un piccolo ponte su un canale di irrigazione ed erano entrati in un parcheggio quasi al completo, e da lì si vedeva un flusso consistente di persone dirigersi verso il piccolo parco, rialzato rispetto al parcheggio, che affiancava l’Abbazia.
«È vero, Matteo, il papà ha ragione», intervenne Claudia.
«Va bene, mamma. Ho capito… racconterò tutto a Buc quando torniamo», rispose Matteo.
«Bene, bravo», disse Luca soddisfatto, poi fermò la Yaris in uno degli ultimi spazi rimasti liberi.
Claudia gli accarezzò veloce la mano che lui teneva sul cambio.
«Ecco fatto! Forza, tutti giù, che sono quasi le dieci», esclamò Luca, dando un’occhiata all’orologio del cruscotto.
Scesero dall’auto e Claudia diede una mano a Matteo a slacciarsi dal seggiolino, non prima di avergli sistemato un fazzoletto rosso attorno al collo e avergli chiuso la giacchetta azzurra.
Un po’ più lontano rispetto a dove si erano fermati c’erano alcuni piccoli negozi di souvenir. Proprio in quel momento, in uno spiazzo apposito, si fermò una corriera blu di linea, mentre altre auto avanzavano a passo di lumaca in cerca di un posto libero.
«Andiamo, andiamo», disse Luca, immaginando il caos di persone che si sarebbe formato di lì a poco. Si avviò assieme a Claudia e Matteo verso una breve e larga scalinata in ferro.
«Dammi la mano, Matteo», disse Claudia afferrando comunque le dita del figlio senza attendere una risposta.
Nell’aria risuonava un certo brusio di chiacchiere, accompagnate dalle note di una canzone che Luca in quel momento non riuscì a riconoscere.
«Ci sono delle bandiere», esclamò Matteo e dal tono curioso della sua voce Luca capì che il problema Buc era stato davvero accantonato, al momento.
Dalla posizione ribassata in cui si trovavano si vedevano soltanto le chiome di alcuni alberi da cui spuntavano quattro o cinque bandiere colorate. Luca prese a sua volta l’altra mano libera di Matteo e tutti assieme cominciarono a salire le scale. Non appena arrivarono in cima si aprì davanti a loro uno spettacolo che fece pronunciare al piccolo Matteo una lunga O di stupore.
Le numerose persone già presenti si affollavano attorno a diversi stand che in realtà assomigliavano molto più a delle capanne di legno che sorgevano vicino al laghetto. Poco distante erano stati ricavati dei recinti, in cui pascolavano alcuni cavalli e asini. Tantissimi erano gli uomini o le donne in costumi medievali: contadini, stallieri, dame, alcuni giocolieri che facevano volare in alto le loro clavette e giullari dai svariati colori che danzavano attorno a un piccolo falò, al di sopra del quale era stato messo a scaldare un pentolone nero agganciato a un treppiedi di ferro. Poco più a destra un altro recinto racchiudeva tre bersagli verso cui si stavano posizionando alcuni arcieri. Ma alle spalle di tutto svettava un piccolo castello fatto con assi di legno e cartapesta colorata; alcune balle di fieno erano accatastate in piccoli gruppi lungo alcuni confini ideali, mentre in cima alle due torri, mosse da una lieve brezza, sventolavano le bandiere che avevano intravisto poco prima.
Nell’aria aleggiava un profumo di spezie, di dolci, e di legna che ardeva.
«Papà, mamma, guardate: i cavalieri!» esclamò Matteo, indicando un punto alla loro destra.
Luca girò lo sguardo in quella direzione.
«È vero», esclamò a sua volta Claudia battendo addirittura le mani. «I cavalieri!»
Alla loro destra stavano avanzando alcuni uomini vestiti da monaci con al seguito diversi cavalieri sui loro destrieri.
«Guarda, papà, hanno le spade!» continuò Matteo con un dito perennemente a mezz’aria.
«Lo vedo, lo vedo», gli rispose Luca, sentendo una profonda serenità riempirgli il cuore.
«E guardate dietro chi arriva», commentò Claudia.
Anche nella sua voce Luca avvertì finalmente una ritrovata spensieratezza, dopo gli ultimi giorni dolorosi. Poi tornò a guardare il corteo, che si stava dirigendo alla sua sinistra, dove sorgeva l’Abbazia, davanti al cui ingresso si erano già schierate due file di uomini.
«Forza, andiamo un po’ avanti che vediamo meglio», disse Luca, e tutti assieme si incamminarono sull’erba tagliata di fresco e si avvicinarono alle tante altre persone ferme ai bordi del sentiero.
Dopo i cavalieri, fu la volta di altre comparse: donne, uomini e addirittura bambini, riccamente vestiti con abiti dell’epoca. E dietro di loro quello che doveva essere un re dai lunghi capelli castani sormontati da una piccola corona d’oro. Era vestito di giallo e un mantello rosso gli copriva le spalle per scendere fin quasi ai piedi.
«Quello è l’imperatore Ottone III che incontra l’abate Martino», spiegò Claudia.
Luca si girò verso di lei, stupito, come a chiederle spiegazioni.
Lei lo guardò a sua volta. «Be’, dato che ieri sera tu e Matteo avevate deciso di venire qui, mi sono documentata un po’.»
Poi tornò a girarsi verso la rievocazione, dove l’imperatore e il suo seguito si avviavano assieme ai monaci benedettini verso l’ingresso dell’Abbazia. E come uno sciame, molte persone cominciarono a seguire il corteo.
«Dai, dai, andiamo anche noi», chiese Matteo strattonando i genitori per le mani.
«Va bene, va bene», risposero nello stesso istante Luca e Claudia, accodandosi agli altri spettatori. Luca guardò la moglie, che aveva il volto ancora illuminato da un meraviglioso sorriso, e poi Matteo, i cui occhi sgranati sembravano quasi luccicare per le meraviglie che stava osservando, e pensò a quanto si sentisse fortunato e orgoglioso.
Grazie per tutto questo, pensò e non sapeva se si stesse rivolgendo a Dio, a suo padre o a entrambi.