Il Mostro entra nell’androne del condominio dove vive. Ha il fiatone. Quasi corre verso l’ascensore. Pigia il pulsante di chiamata e per fortuna le porte si aprono quasi subito, in caso contrario aveva già deciso di correre su per le scale. Entra nell’ascensore e aspetta gli infiniti secondi che lo separano dal suo piano. Intanto tenta di calmare la respirazione. Crede di non aver mai camminato così velocemente in vita sua come ha fatto fino a pochi minuti fa dalla stazione centrale – dove la corriera ha finito la sua corsa – fino a casa sua.
Arrivato al piano, si fionda spedito verso l’appartamento. Poco prima di infilare la chiave nella toppa, si sente salutare da una signora. Lui ricambia il saluto quasi automaticamente, senza girarsi. Non gli interessa se è stato scortese. Entra e si richiude la porta alle spalle, ponendo comunque attenzione a non sbatterla. Si toglie la giacca, la lancia su una sedia del corridoio e si dirige verso lo studio. La luce del pomeriggio entra dalla finestra e la scrivania è ben illuminata. La tentazione è quella di buttarcisi letteralmente sopra per confermare subito l’ipotesi che si è fatto sull’identità di quell’uomo all’Abbazia di Pomposa. Tuttavia si gira e si inginocchia a terra, facendosi al contempo il segno della croce. Congiunge le mani e guarda supplichevole verso il crocefisso.
«Mio Dio, Signore del Cielo, Ti ringrazio. Il Tuo servitore è qui davanti a Te. Sono pronto. Il Maligno si è presentato di nuovo a me, e ora capisco perché hai voluto mandarmi in quel luogo. Ogni cosa che facciamo ha un senso, tutto rispecchia un Tuo grande disegno e io sarò ancora la Tua mano per sconfiggere la Bestia.»
Si segna ancora e si rialza. Si gira verso la scrivania e con foga comincia a sfogliare i giornali e tutti i raccoglitori. Rilegge velocemente gli ultimi articoli che ha ritagliato. Ecco il nome, ispettore Luca Giatti.
Possibile che sia davvero lui? si chiede.
Se così fosse vorrebbe dire che tutto ha finalmente trovato un senso e lui molto probabilmente è giunto alla fine della sua battaglia.
No, si corregge un’altra volta. Questa è l’infinita battaglia di Dio contro il Male.
Sfoglia il raccoglitore ancora più indietro nel tempo, finché le sue dita si fermano a indicare una foto. È uno dei primi articoli in cui hanno cominciato a citarlo come il Mostro, e tra i vari poliziotti che sono stati immortalati vicino al luogo del ritrovamento del corpo di una piccola bestia c’è anche lui, quasi in primo piano.
INCHIESTA SUL MOSTRO APERTA, LE INDAGINI SONO STATE AFFIDATE ALL’ISPETTORE DI POLIZIA LUCA GIATTI, recita la didascalia.
È lui, non ci sono dubbi, pensa. E il Maligno è entrato dentro suo figlio.
No, si corregge. Quello in realtà non è suo figlio, ma il Maligno stesso.
Quale migliore protezione per il figlio del Demonio può esserci, infatti, se non quella della famiglia di un poliziotto?
Fino a un certo punto, maledetto, fino a un certo punto, pensa, soddisfatto.
Poi si infila una mano in tasca ed estrae un pezzo di carta, dove si è appuntato il numero di targa della Yaris nera dell’ispettore.
Anche in questo caso ringrazia Dio per la concomitanza degli eventi, perché sarebbero bastati pochi secondi in più e quel fortuito incontro avrebbe potuto trasformarsi in un buco nell’acqua.
Quando si trovava in paziente attesa sulla corriera ancora ferma nel parcheggio dell’Abbazia, e gli altri passeggeri sono cominciati a salire e il grosso autista si è messo alla guida, lui si è quasi alzato per scendere, pensando di poter trovare un altro sistema per tornare a Ferrara.
Ma poi ha visto la piccola Bestia – inconfondibile con il suo fazzoletto rosso – scendere una scaletta di ferro con i genitori (o coloro che credevano di essere i suoi genitori) e un altro gruppo di persone, per poi salire su una piccola auto nera.
Il Mostro ha tirato fuori dalla giacca una penna e un pezzo di carta, ma si trovavano ancora troppo lontano per leggere la targa.
Per di più in quel momento l’autista ha acceso il motore della corriera.
Aspetta, aspetta, ha pensato lui, guardando in avanti, tra il chiacchiericcio degli altri passeggeri. Si è di nuovo girato a guardare fuori dal finestrino. La piccola auto – una Yaris, ora la riconosceva – stava facendo manovra per uscire dal parcheggio.
Le porte della corriera si sono chiuse con uno sbuffo, il motore è salito di giri e hanno cominciato a muoversi anche loro.
Dannazione, ha imprecato.
La Yaris ha imboccato la strada di uscita dal parcheggio.
Anche la corriera stava per imboccarla, ma si è fermata per dare la precedenza a una lunga colonna di auto… in mezzo alle quali c’era anche la Yaris del Maligno, un’ombra nera ad avvolgere la parte posteriore dell’auto. Ma il Mostro non si è distratto e finalmente ha trascritto la targa.
E ora, da un cassetto sotto alla scrivania estrae un portatile e lo accende. Non ama per niente questi aggeggi, così come i cellulari o tutte le loro evoluzioni successive, perché sottendono un controllo di massa che lui ha sempre cercato di evitare. E tuttavia ne riconosce l’utilità e la velocità in questo momento.
Una volta effettuati i vari collegamenti, entra nel sito dell’ACI e inserisce i suoi dati, il numero di targa e paga con la carta di credito… ben consapevole che potrebbero facilmente risalire a lui in caso di…
In caso di niente, pensa, deciso, perché presto tutto si risolverà… in un modo o nell’altro.
Ed ecco il nome comparire davanti ai suoi occhi. Non si tratta di Luca Giatti, ma di Claudia Federzoni, residente a Ferrara in via del Melo.
Il Mostro fa una breve ricerca su di lei in rete, e presto i suoi dubbi vengono sciolti. La donna lavora come segretaria all’Università di Ferrara. Incrocia il suo nome con quello di Luca Giatti, e quasi subito trova un articolo dove viene citata come moglie dell’ispettore. E i coniugi hanno un figlio.
No, non un figlio, ma il figlio. E quella donna, quella sciacalla è la madre.
Il Mostro stringe con forza le mascelle, cominciando a pianificare le sue prossime mosse.