Era legittimo sentirsi felici mentre un’amica, a pochi chilometri di distanza, soffriva in silenzio e da sola per la perdita di un figlio? Claudia si sentiva così, mentre parcheggiava la Yaris in un piccolo spazio appena liberatosi tra le centinaia di auto già posteggiate tutto intorno al centro commerciale Il Castello; si sentiva in bilico tra la contentezza e il senso di colpa. Si era anche sentita tentata più e più volte di chiamare Federica, ma non si erano ancora parlate da quando era stato rapito Stefano. Sapeva che la visita che le aveva fatto Luca per comunicarle la tragedia non era stata soltanto un dovere di lavoro, ma anche un modo per starle accanto da amico, e in quell’abbraccio silenzioso che suo marito le aveva descritto c’era anche l’affetto di Claudia. Eppure non era lo stesso che essere presenti di persona. Di certo le sarebbe stata accanto al funerale, che molto probabilmente da lunedì in poi sarebbe stato organizzato da Federica, non appena la burocrazia le avesse ridato il corpo di suo figlio.
Claudia cercò di allontanare queste brutte immagini dalla mente.
«Eccoci arrivati», disse, spegnendo l’auto. «Andiamo a prendere un carrello?»
«Sì, sì», gli rispose Matteo dal seggiolino con un gran sorriso. «Però guido io.»
Claudia si mise a ridere. «Va bene.»
E dall’altra parte c’era la felicità contagiosa di Matteo, la bellissima giornata che avevano trascorso tutti assieme il giorno prima e la dolce serata che era seguita poi con Luca.
Scese e aiutò il figlio, richiudendo poi la macchina, e insieme raggiunsero un box dei carrelli per la spesa. «E mi raccomando, stammi sempre vicino, perché oggi c’è molta confusione», disse sfilandone uno dal suo alloggiamento.
Claudia osservò con un sorriso il figlio che spingeva il carrello con le mani alzate sopra la testa, sapendo al contempo che in quella posizione si sarebbe stancato molto presto.
«Stai attento», lo richiamò quasi subito, perché altre auto stavano transitando a passo d’uomo in cerca di un parcheggio libero.
«Sì, mamma», rispose Matteo, un po’ scocciato.
Salirono sul marciapiede e si avviarono verso l’ingresso del centro commerciale. Numerose persone sfilavano loro accanto, chi in senso opposto con i carrelli pieni, chi nella loro stessa direzione con il carrello vuoto, o addirittura senza. Un bambino in lontananza rideva, un altro gridava, forse una ragazzina piangeva.
Passarono vicino a un’edicola le cui saracinesche erano abbassate da tempo immemore. A pochi metri dall’ingresso il brusio delle voci davanti a lei aumentò di intensità.
«Stammi accanto», ripeté ancora a Matteo.
«Sì, mamma», ripeté lui automaticamente.
«E tu stai accanto a me, sciacalla», le sussurrò all’orecchio una voce sconosciuta, e Claudia si sentì afferrare per il braccio sinistro mentre qualcosa le premeva contro il fianco.
Claudia cacciò un grido, più per la sorpresa che per lo spavento, e tutte le persone attorno a loro si girarono.
«Non riuscirai a farlo proteggere da questi infami», continuò l’uomo a voce alta, staccando quella cosa che le spingeva sul fianco e alzando un braccio in aria. Poi le orecchie di Claudia furono assordate da uno scoppio. D’istinto si lasciò andare a terra, trascinando Matteo sotto di sé, e al contempo alzò la testa, guardando lo sconosciuto. Era calvo, con il pizzetto bianco e gli occhiali scuri,
(l’ho già visto)
e Claudia realizzò che la cosa che fino a un attimo prima gli premeva contro il fianco era una pistola e che quell’uomo aveva appena sparato un colpo in aria.
La gente attorno a loro si mise a urlare, alcuni si buttarono a terra, molti altri scapparono via, liberando l’ingresso del centro commerciale.
Claudia non capiva più niente, sentiva soltanto Matteo che la chiamava.
«Mamma, mamma!»
L’uomo gli puntò la pistola contro. «In nome di Dio, sta’ zitto, Maligno!»
Claudia avvertì come un vuoto allo stomaco e una stretta al cuore, mentre abbracciava Matteo facendogli da scudo e allo stesso tempo, con ancor maggior sgomento e incredulità, capì di chi si trattava.
«Lascia stare mio figlio, maledetto Mostro!» gli urlò.
Ma come può agire così, davanti a tutti? si chiese nello stesso momento.
«Taci, sciacalla! Tu non sai con chi hai a che fare!» le gridò lui di rimando, assestandole un potente manrovescio che le fece girare la testa da un lato.
La vista le si offuscò per un attimo, riempiendosi poi di mille lucciole. Ancora incapace di credere che stesse accadendo realmente, sentì Matteo dire tra le lacrime: «È il signore che ieri è andato a sbattere contro papà!»
E lei capì perché le sembrava di averlo già visto. Ma a che serviva ormai?
Con la disperazione negli occhi, vide il Mostro allungare le mani su di lui. Gli occhiali dovevano essergli saltati via, perché ora scorgeva i suoi occhi, di un azzurro molto chiaro… e colmi di follia.
«Mio Dio, ma che sta facendo? Chiamo la polizia», disse una nuova voce dall’ingresso del centro commerciale.
Claudia si girò, e vide un uomo anziano con un cellulare in mano. Sostava, istupidito, in mezzo alle porte automatiche.
Un altro scoppio risuonò sopra di lei, e il viso del vecchio si raggrinzì ulteriormente in una smorfia di dolore. Sulla sua camicia bianca all’altezza del petto sbocciò una rosa rossa. Quindi cadde all’indietro.
Matteo si mise a strillare ancora di più mentre il Mostro lo sollevava da terra e si avvicinava al corpo dell’anziano.
«Lascialo andare!» urlò lei, disperata, tornando in piedi e seguendolo.
Scappa, scappa adesso mentre è girato, le sussurrò una parte di lei. Ma Claudia non la prese nemmeno in considerazione.
«Mamma, mamma, aiuto!» Matteo agitava le braccia verso di lei, scalciando il Mostro.
In quel momento risuonò un forte latrato.
«Buc!» urlò Matteo continuando a scalciare, ma il Mostro sembrava indifferente. Si piegò sul corpo del vecchio e con la mano che reggeva la pistola raccolse il cellulare che il poveretto, prima di morire, ancora stringeva tra le dita.
«Io chiamo la polizia», gli disse il Mostro.
In quel momento ci fu un altro ringhio, ma questa volta molto più vicino. Il Mostro non fece in tempo a rialzarsi che il labrador gli azzannò il braccio.
«Ah, maledetta bestiaccia!» Il cellulare gli sfuggì di mano, ma non la pistola.
«Buc, no! Va’ via, scappa!» urlò Matteo.
«Buc!» gridò a sua volta Claudia, incredula di fronte a quella scena, ma soprattutto nel vedere il cane sporco e ricoperto di sangue in più punti.
Il Mostro – con un grugnito e senza lasciar andare Matteo – raddrizzò la schiena, sollevando da terra anche il cane; nello stesso istante alzò una gamba e scalciò con forza l’animale nel basso ventre. Buc volò quasi via, trascinando tra le fauci brandelli di stoffa e carne. Atterrò sull’asfalto con un uggiolio. Pareva incapace di rialzarsi.
«Cane del Maligno», sentenziò il Mostro, abbassando il braccio ferito che tremava ma che ancora reggeva la pistola. Fece fuoco, zittendo l’animale.
«Buc!» lo chiamò Matteo tra le lacrime.
Lo sparo aveva sollevato altre grida lontane, come se un ristretto pubblico nascosto chissà dove stesse ancora osservando quel macabro spettacolo. Claudia, invece, a parte il contrarsi delle mani come reazione istintiva, aveva un nodo in gola che le bloccava ogni parola.
Il Mostro si abbassò a raccogliere di nuovo il cellulare e poi tornò a rivolgersi a lei: «Forza, sciacalla, vieni con me. Abbiamo appena iniziato.»
Poi, scavalcando il corpo a terra dell’anziano, entrò nel centro commerciale portando Matteo con sé.
Claudia gli andò dietro singhiozzando, cercando di pensare in fretta.
«Fermo lì!» gridò un uomo dall’interno, ma il Mostro gli sparò, facendolo tacere.
Poi si girò ancora verso di lei, puntandole contro la pistola. «Ho detto muoviti, brutta stronza!»
Il braccio che reggeva l’arma tremava e sanguinava, e la faccia era lucida di sudore; eppure la sua bocca era tirata in un ghigno di soddisfazione, gli occhi trionfanti di un cacciatore che ha appena catturato la preda.
E Claudia, sentendosi sprofondare in un allucinante baratro nero, lo seguì all’interno del centro commerciale.