Quando Luca e l’agente Vincenzi raggiunsero il centro commerciale Il Castello, davanti a loro si stagliava un assembramento di auto della polizia, carabinieri e ambulanze.
Luca si infilò con l’Alfa in uno dei tanti viali di ingresso e accostò dietro a una volante della polizia. I due uomini scesero dalla macchina. Innumerevoli auto erano parcheggiate davanti a loro, ma l’ingresso del centro commerciale era deserto. Altrettanto numerosi erano i curiosi, tanti di loro trattenuti a forza, perché avevano l’auto parcheggiata nella zona transennata. I lampeggianti di alcune ambulanze erano accesi, i medici in divisa arancione aspettavano a braccia conserte.
Luca ebbe per un attimo la sensazione che tutti non stessero aspettando altro che il suo arrivo, tuttavia era certo che non lo stessero osservando nella veste del bravo poliziotto che è venuto finalmente a risolvere il caso, quanto in quella di un padre che non ha saputo proteggere la propria famiglia. Per alcuni interminabili secondi cercò tra la folla persino il volto di suo padre, come se lui potesse aiutarlo in quel momento… poi si rese conto che stava sragionando. Si schiarì quindi la mente e tornò a concentrarsi su ciò che gli stava accadendo attorno.
Notò qualcosa di strano. Seguito da Vincenzi, si avvicinò a una piccola aiuola, anch’essa transennata. Un agente stava facendo la guardia al corpo di un cane. Luca si accovacciò.
Con sua enorme sorpresa lì davanti a lui c’era Buc steso a terra su un fianco, tutta la testa e il petto sporchi di sangue, gli occhi corrucciati ma chiusi. Una lunga striscia rossa si allungava verso l’ingresso del centro commerciale, come se Buc si fosse trascinato a forza per quegli ultimi metri.
«È il mio cane», disse Luca, allungando una mano per accarezzarlo. «Avete idea di che cosa ci faccia qui?»
Il giovane agente di guardia si mise sull’attenti. «Buongiorno, ispettore», disse con voce tremante. «No, ma sappiamo che il bambino… che suo figlio… ispettore, hanno detto che lei non dovrebbe…»
«Vai avanti», lo incalzò Luca, passando una mano sul collo di Buc.
«Sì, signore. Alcuni testimoni hanno sentito suo figlio chiamare il cane e l’animale dovrebbe essere arrivato qui così. Per difendere suo figlio. I testimoni dicono che ha attaccato il Mostro e che questi gli ha sparato. Sto aspettando i ragazzi della Scientifica.»
Luca vide il foro di un proiettile sul fianco del cane, ma avvertì anche un lieve movimento sotto le dita. Appoggiò entrambe le mani sul petto di Buc. «È ancora vivo», disse. «Forse ancora per poco, ma è vivo.» Alzò lo sguardo sull’agente, che aveva spalancato la bocca per la sorpresa. «Non aspettare la Scientifica», proseguì Luca, perentorio. «Raccogli il mio cane e portalo subito alla più vicina clinica veterinaria. È un ordine.»
«Sì, signore.»
Luca si rialzò, gli occhi fissi sull’ingresso del Castello e nella mente l’immagine di Matteo sorridente che correva assieme a Buc. «Claudio, tu resta qui assieme a questo ragazzo.»
«Ispetto’…» cercò di replicare Vincenzi. Fino a quel momento era rimasto in silenzio.
Luca non gli rispose, allontanandosi da lì.
«Hai sentito che cosa ti ha ordinato l’ispettore?» Era Claudio che si rivolgeva al giovane agente. «Forza, muoviamoci, ti do una mano io!»
Poi Luca non lo ascoltò più.
Adesso era diventata una questione personale.
Sei un ispettore di polizia, fai il tuo dovere! lo redarguì la voce di suo padre.
Sto cercando di farlo, papà, ma a modo mio.
E nello stesso momento continuavano a danzargli davanti agli occhi della mente tutti quei crocefissi, e le lunghe attese nella cappella dell’ospedale di Rovigo, davanti al dipinto di quel crocefisso colorato. I suoi ricordi continuavano a fermarsi lì, come se mancasse qualcosa a completare un quadro che lui non riusciva ancora a capire.
Ma sopra a ogni cosa aleggiava implacabile il senso di colpa per quanto stava accadendo a Claudia e Matteo.
Come se fossero presenti rivide davanti ai suoi occhi i volti di tutti i bambini uccisi. Gli vorticavano attorno come se lui fosse il perno di una giostra dell’orrore: Filippo, Marcello, Francesco, Denis, Giovanni, i fratelli Andrea e Nicola, Stefano. I volti cerei, tutti quanti lo additavano, muovendo le labbra in mute accuse. E poi in mezzo a loro apparve Matteo, che a differenza degli altri gli sorrideva, anche se dagli occhi gli colavano lacrime di sangue. I volti si mescolarono, girando sempre più velocemente.
Luca ebbe un capogiro e si fermò, strizzando per un attimo le palpebre. Al senso di colpa si aggiunse una rabbia sconfinata.
Non sono riuscito a proteggerli, un pensiero rivolto non solo a Claudia e Matteo
Ma sei qui per farlo.
Fece un profondo respiro, cercando di riprendere il controllo di sé e delle sue emozioni. Riaprì gli occhi: i bambini erano scomparsi. Riprese a camminare.
Poco più avanti c’era l’ultima volante della polizia con le portiere aperte. Al suo approssimarsi ne scesero un agente e il commissario Battistini. Il superiore aveva un’espressione seria, in una mano stringeva il cellulare e nell’altra una sigaretta spenta.
«Aspetta un attimo», cominciò il commissario, ma Luca lo guardò senza rispondergli.
Battistini si piegò ancora a fatica dentro l’auto e ne uscì reggendo un giubbotto antiproiettile. «Tieni almeno questo», continuò con uno sbuffo.
A quel punto Luca si fermò, capendo le intenzioni del commissario. «Cosa sappiamo del bastardo?» domandò, togliendosi la giacca e la fondina ascellare con la pistola, per poi indossare il giubbotto antiproiettile sopra la camicia.
«Per il momento quasi nulla. Mi hanno appena riferito di aver trovato la sua Volvo nera dall’altra parte del parcheggio. Non si è nemmeno preoccupato di chiuderla a chiave. I ragazzi la stanno ispezionando. Il Mostro ha chiesto di te, e come sai tiene in ostaggio tua moglie e tuo figlio. Ha ucciso due persone che hanno tentato di opporre resistenza. Non sappiamo cosa sia successo per farlo uscire allo scoperto così. Tu cerca di capire cosa vuole. Porta via i tuoi familiari… prova a temporeggiare, le Teste di Cuoio stanno arrivando. Non può più sfuggirci, ora.»
«Come comunicate con lui?»
«Ha preso il cellulare di una vittima.» Proprio in quel momento il telefonino che reggeva in mano prese a squillare. «E gli abbiamo dato questo numero.» Schiacciò il tasto verde. «Commissario Battistini», disse con voce ferma. Dopo pochi secondi porse il cellulare a Luca. «Vuole te.»
Luca lo afferrò quasi con rabbia. «Cosa vuoi dalla mia famiglia?» Era difficile mantenere la calma. Gli balenarono nella mente i ricordi di un articolo sulla negoziazione: ascolto attivo, empatia, rapporto, influenza, cambiamento comportamentale…
«Voglio che osservi il figlio morire», gli rispose una voce profonda. Di colpo dimenticò il modello di negoziazione sviluppato dall’FBI, capendo che non aveva più molto tempo.
«Lascia stare mio figlio, sto arrivando.» Ma dall’altra parte la linea era già stata interrotta.
«Che ti ha detto?» domandò il commissario.
«Vuole uccidere mio figlio, come ha ucciso gli altri bambini.» Riconsegnò il cellulare al superiore. «Ma non so ancora perché… e forse non ha più molta importanza.» Parlava a denti stretti, la mente che lavorava a pieno regime. Battistini aveva ragione: doveva temporeggiare, parlare con il Mostro. Anche se il solo pensiero gli faceva rivoltare lo stomaco, doveva cercare di entrare in sintonia con lui. Gli sarebbero bastati pochi minuti. «Aspettate che mia moglie e mio figlio siano al sicuro prima di sparare», disse infine avviandosi verso l’ingresso del Castello.
«Non preoccuparti, i ragazzi sono dei professionisti», disse il commissario alle sue spalle.
Incamminandosi verso l’ingresso del centro commerciale disseminato di grandi vasi di fiori, la voce del Mostro continuava a ripetersi come un’eco nella sua mente.
Voglio che osservi il figlio morire.
Perché gli aveva detto il figlio e non tuo figlio? Non aveva alcun senso, a meno che non avesse capito male.
No, aveva sentito benissimo, quella voce era molto chiara. Girò a destra, verso un ingresso laterale che si apriva accanto a una edicola le cui saracinesche erano abbassate. Vide che le porte scorrevoli erano mantenute aperte da due sanitari accovacciati sul corpo di un anziano riverso a terra. Il Mostro gli aveva sparato al petto; la camicia bianca che indossava era intrisa di sangue. I due uomini alzarono gli occhi seri verso di lui, scuotendo appena il capo.
«Portatelo via e allontanatevi da qui», disse Luca entrando nel centro commerciale. Il suo viso fu subito investito dall’aria fresca dei grandi condizionatori.