Davanti a Luca l’ampio ingresso circolare si restringeva leggermente in un largo corridoio. A destra si apriva l’Ipercoop, mentre a sinistra si alternavano diversi negozi. Luca non aveva mai visto quel luogo così deserto. Perfino la musica era stata spenta.
Doveva aver percorso non più di dieci metri quando il Mostro parlò. «Ti stavo aspettando, ispettore Giatti!» Una voce profonda, arrabbiata.
«Cosa vuoi dalla mia famiglia?» gli chiese Luca a voce alta.
Poco più in là, sulla sinistra, due adulti e un bambino si fecero avanti lentamente da un corridoio che dava accesso ai bagni.
«Papà!», «Luca!» gridarono quasi nello stesso istante Matteo e Claudia.
«Zitti!» intimò loro il Mostro.
Anche se si trovava ancora a diversi metri da lui, Luca lo riconobbe immediatamente: era lo stesso uomo che gli era venuto a sbattere contro il giorno prima all’Abbazia di Pomposa.
«State calmi», disse, cercando di stare lui stesso calmo.
Chissà da quanto tempo ci stava seguendo, pensò con un nodo in gola. E io non mi sono accorto di nulla.
Ma c’era ancora qualcosa di familiare in quel volto, che già lo aveva fatto riflettere a Pomposa.
Con il braccio destro il Mostro stringeva a sé Matteo, mentre con la mano sinistra teneva una pistola puntata alla testa di Claudia, utilizzando il suo corpo come scudo.
Luca cercò di camminare lentamente, anche se il desiderio era quello di correre verso la sua famiglia e strapparla dalle grinfie di quel pazzo.
«Avvicinati, ispettore, avvicinati pure, ho qualcosa da dirti prima che tutto sia finito.»
Li vuole uccidere, pensò Luca. Non importa quello che gli dirò, ha già deciso.
Luca alzò le mani aperte davanti a sé. «Bene, parliamo. Vedi? Non sono nemmeno armato.»
«Adesso ti puoi fermare», gli intimò il Mostro come se non lo avesse nemmeno sentito.
Luca abbassò le braccia e si bloccò a pochi metri da loro. Calvo, pizzetto bianco, occhi azzurri cerchiati da due profonde occhiaie. Il braccio sinistro sanguinava, dove lo aveva morso Buc.
Sì, era proprio lui, eppure mancava ancora qualcosa.
«Ci siamo già conosciuti, non è vero?»
Lesse una lieve incertezza sul viso del Mostro, come se anche per lui quella considerazione non fosse del tutto campata in aria.
Luca avvertì una speranza farsi strada nella sua mente, perché se lo aveva già conosciuto in passato forse poteva veramente instaurare un dialogo con lui e prendere tempo.
Poi il Mostro parlò, sputando odio. «Tu non sai chi sono, ma io so bene che tu sei solo uno stupido messaggero del Demonio e stai cercando di ingannarmi, ma la mano di Dio non si fermerà.»
Luca spostò lo sguardo sul volto terrorizzato di Claudia che con le mani cercava di toccare suo figlio, forse tentando in qualche modo di difenderlo.
«Claudia, stai calma, adesso ci sono qui io.»
«Mi dispiace, Luca, io… io…» balbettò Claudia, mentre Matteo singhiozzando chiamava il padre.
Il Mostro diede una scrollata al bambino e riprese la parola, ancora più infuriato di prima.
«Sta’ zitta! State tutti zitti! Dovete smetterla di parlare, voi volete solo ingannarmi, così come mi hanno ingannato quei dottori, lasciando che il Maligno si prendesse Mattia!»
Il Mostro spalancò gli occhi stupito, come se avesse detto qualcosa che non avrebbe dovuto dire. Fece schioccare la lingua sul palato. Una, due, tre volte. Poi la sua espressione tornò seria e subito dopo ancora infuriata.
Luca doveva approfittare di quel momento di stallo. «Chi è Mattia?» gli chiese a bruciapelo.
«Mattia, Mattia, Mattia!» urlò il Mostro agitando la pistola vicino alla testa di Claudia e scuotendo ancora Matteo. «Tu non sei degno di pronunciare il suo nome! Tu non sai nulla!»
E invece Luca aveva capito. Lo stesso nome, la stessa voce, lo stesso grido disperato che aveva sentito più di due anni prima tra le mura del reparto di oncologia dell’ospedale di Rovigo. Un urlo che lo aveva destato mentre era in preghiera per suo padre,
(mi stai ascoltando, adesso)
seduto su una panca di fronte
(il rumeno mi ha maledetto con un crocefisso)
al dipinto colorato del crocefisso stilizzato… e dopo pochi minuti quell’uomo era entrato a sua volta nella cappella, piangendo disperato la perdita…
«… di tuo figlio», terminò il pensiero a voce alta. «Mattia era tuo figlio.»
L’uomo disperato di due anni prima era il Mostro che ora si trovava di fronte a lui, che teneva la sua famiglia in ostaggio, che aveva ucciso tutti quei bambini… ma com’era possibile? Com’era possibile una pazzia del genere dopo che lui stesso aveva perso un figlio a causa di una malattia?
Il Mostro aveva spalancato leggermente la bocca, e con voce atona ripeté: «Tu non mi conosci.»
Luca tornò a spostare lo sguardo sulla moglie. Claudia tremava, gli occhi privi di espressione, o forse, e ancor peggio, colmi di consapevolezza.
«Non ti preoccupare, tesoro, stai calma», le ripeté. Quindi guardò Matteo. Aveva gli occhi lucidi, il viso inondato di lacrime. Era terrorizzato: e quale bambino non lo sarebbe stato in quella situazione?
«Papà, ti prego, aiutami», lo supplicò suo figlio. E tuttavia Luca poteva vedere nei suoi occhi un’altrettanta consapevolezza che lo atterriva.
«Prima di tutto, la sciacalla», disse il Mostro con la stessa voce atona di prima, spingendo Claudia lontano da sé. Le sparò alla testa. Stringeva ancora la mano di Matteo mentre crollava a terra, priva di vita.
Luca gridò tutto il suo dolore gettandosi in avanti e raccogliendo il corpo della moglie tra le braccia.
Il Mostro nel frattempo aveva sollevato da terra Matteo con un braccio e gli aveva puntato la pistola alla testa. Alcune ombre si mossero furtive nel grande corridoio del centro commerciale.
Il Mostro, con il piccolo scudo umano davanti a sé, si ritirò nel corridoio che dava accesso ai bagni. «Vieni con me, ispettore, non ho ancora finito, perché tu continui a non capire», disse in un sussurro.
A quelle parole Luca si impose di ritrovare la calma: si asciugò le guance, appoggiò delicatamente la testa di Claudia a terra e le chiuse gli occhi.
Devo proteggere Matteo, devo proteggere Matteo, si ripeteva come un mantra, dimentico di tutto ciò che poteva essere accaduto in un’altra vita, perché una parte della sua vita, adesso, se ne era appena andata per sempre.
Alzandosi in piedi come in trance, disse: «Mio figlio non ti ha fatto nulla, uccidi me al suo posto.» Ed entrò anche lui nel corridoio.
Il Mostro aveva le spalle appoggiate alla parete chiara e teneva Matteo ancora stretto davanti a sé. «Non è rimasto molto tempo, e tu devi comprendere alcune cose.»
«Prima lascia andare mio figlio», disse Luca, ma nella sua voce era scomparsa ogni sicurezza: la sua appariva più come una supplica.
Il Mostro aveva già vinto.
«Non hai ancora capito che questo non è tuo figlio, vero?»
Luca non riusciva più a pensare a nulla.
«Sta’ zitto», continuò l’uomo, anche se lui non aveva detto niente. Il Mostro ora aveva un sorriso folle e compiaciuto sul volto madido di sudore. «Non hai ancora capito?» ripeté. «Tua moglie, la sciacalla di Satana, ti ha ingannato: tu sei stato soltanto un protettore, un padre putativo per il Maligno!»
Il piccolo Matteo guardava Luca con occhi tristi, bagnati dalle lacrime.
«Non può farti del male, è soltanto un bambino!» inveì Luca con le braccia aperte, ritrovando finalmente un po’ di coraggio.
«La battaglia di Dio adesso è finita», continuò il Mostro, indifferente, ora sembrava quasi guardare attraverso Luca. «Finalmente ho trovato il Mentitore, il Maligno, e nessun altro bambino dovrà soffrire in un letto d’ospedale! Mio Dio, sia fatta la Tua volontà!» Allontanò da sé il bambino e gli puntò la pistola alla testa.
In quel momento Luca vide delle ombre all’ingresso del corridoio. Il Mostro sembrò non accorgersene. Una scarica di colpi deflagrò nell’aria con un boato nell’attimo in cui lui capì, disperato, che non avrebbe più potuto fare nulla per Matteo. Il corpo del Mostro si piegò trafitto dai proiettili, ma ciò non gli impedì di premere il grilletto, centrando Matteo alla schiena. Il bambino e il Mostro caddero a terra insieme.
Luca si gettò in avanti e raccolse tra le braccia il corpo in agonia del figlio. Matteo aprì gli occhi lentamente, tossendo sangue. La mente di Luca era ancora incapace di afferrare l’enormità del dramma che continuava a svolgersi davanti ai suoi occhi, e tuttavia già tremava in ogni fibra, mentre le sue orecchie percepivano come un borbottio di sottofondo le urla delle Teste di Cuoio che richiedevano l’intervento dei sanitari.
L’ispettore Luca Giatti adesso era solo un uomo che stringeva tra le braccia suo figlio morente.
«Mi dispiace, papà…» sussurrò il bambino con grande sforzo.
«Non parlare, Matteo… risparmia le forze», lo interruppe Luca singhiozzando.
«Mi dispiace», continuò Matteo, stringendo i denti. I suoi occhi stavano guardando un punto dietro le spalle di Luca.
«… mamma…» sussurrò alzando una mano. Le piccole dita tremanti sfiorarono la guancia del padre. Poi il corpo del bambino si irrigidì e la mano gli ricadde sul petto.
Luca percepì un vento freddo attraversargli il cuore e urlò tutta la sua disperazione, stringendo forte il figlio a sé.