Il vento non fa rumore stanotte. Si avvolge in spire silenziose. Una busta gonfia d’aria volteggia lungo un vicolo buio dove il sole non tocca mai terra. Sale, scende, si solleva di nuovo, vola via, si perde.
Da un portone esce una ragazza. Poco più di una bambina, è solo una macchia tremula nell’ombra. Barcolla. Si appoggia a una pietra. China il capo. Sembra sul punto di cadere. Ha un tacco rotto, le calze sfilate, la gonna troppo corta, una borsetta stretta in grembo. Fa qualche passo. Traballa. Si ferma. Proprio non ce la fa a stare in piedi. Si piega e somiglia a un ramo carico di neve. Si spezza. Vomita il suo disgusto sull’asfalto. I conati interrompono per un istante la quiete. Da una finestra in alto si ode una risata. La ragazza si tira su. Rabbrividisce. Si passa una mano sulla bocca. Riprende a camminare. Oscilla come una vecchia barca in balia di mari avversi. I suoi passi hanno il suono grave di chiodi battuti sul selciato. Scoordinati, aritmici, pesanti. Si odono sino al limitare del vicolo.
Poi, più nulla. Solo il silenzio.