KIM

QUELLA NOTTE

Kim., avrebbe dovuto sentirlo, l’avrebbe sentito, se non fosse stato per i tappi nelle orecchie e il mezzo Ambien che aveva preso. Le ragazze erano due piani sotto, ma lei era corsa ai ripari in previsione delle risate, della musica e delle puntatine al frigo... Per assicurarsi un sonno profondo, aveva rosicchiato mezza pasticca di sonnifero nonostante i due bicchieri di vino bevuti dopo cena. L’aveva fatto un sacco di volte e non era mai successo niente. Kim aveva sempre avuto il sonno leggero, e negli ultimi tempi dormire bene era diventata un’esigenza. Tra gli ormoni che le scombussolavano l’umore e le tensioni del suo matrimonio, non poteva proprio farcela senza una bella dormita.

«Mamma! Papà!»

Kim squarciò con fatica il velo caldo e avvolgente del torpore farmacologico. Era la voce di Hannah, vicina, spezzata dalle lacrime... Kim alzò le palpebre pesanti e vide sua figlia ai piedi del letto, alta e bella nella sua camicia da notte che sembrava una maglietta da football, col numero 28 sul petto. Era il suo compleanno – sedici anni – e aveva invitato le sue amiche per un pigiama party. Cosa ci faceva lì, alle prime ore del mattino? E perché piangeva? Mentre si sforzava di recuperare la lucidità, Kim si rese conto che c’era qualcosa che non andava. Le lacrime rigavano il viso di sua figlia, e sulle sue mani c’era qualcosa... qualcosa di scuro e umido, che brillava nella luce tenue della radiosveglia Sangue.