LISA

45 GIORNI DOPO

La caffetteria vegana era luminosa, kitsch e quasi deserta. Erano le due del pomeriggio e la clientela dell’ora di pranzo si era già dileguata... sempre ammesso che ci fosse stata. Lisa sapeva quanto fosse difficile cucinare qualcosa di buono senza ingredienti di origine animale. Aveva seguito una rigida dieta vegana per sei mesi, quando aveva ancora tempo di preoccuparsi di cose come quelle... Ora invece aveva accettato che il mondo fosse un posto crudele e che rimpiazzare il latte vaccino con quello di mandorla non avrebbe contribuito a renderlo un posto migliore.

Yeva era seduta accanto a lei e Darcy di fronte, ciascuna con un’insalata di cavolo e tahina. Lisa aveva ordinato un piatto di deliziose patate dolci arrosto, ma non aveva molto appetito. Le sue amiche parlavano di dieta depurativa, uno dei loro argomenti preferiti.

«I latticini sono il male assoluto. Da quando ho smesso, la mia pelle è diventata molto più liscia e luminosa», disse Darcy.

«Infatti hai una pelle splendida», rispose Yeva.

Lisa mormorò un vago assenso. Darcy non era una bellezza, però irradiava salute.

«Quando mangio latticini, il bianco degli occhi mi diventa grigio», disse Yeva.

«Quello potrebbe anche essere lo zucchero. Tende anche un po’ al giallo, per caso?»

«Non tanto... Lo zucchero in compenso mi fa venire certe occhiaie.»

«Non me ne parlare! Ho mangiato un boccone di torta al matrimonio di mio fratello – uno solo! – e mi sono subito riempita di brufoli sul mento.»

Lisa si portò alla bocca una forchettata di patate dolci. Sarebbe potuta intervenire: anche lei aveva seguito lo stesso tipo di dieta, aveva eliminato ora questo ora quell’altro alimento negativo, ma ormai le sembrava tutto così superficiale. Mentre masticava e fingeva di ascoltare Yeva che raccontava come un singolo bicchiere di vino le avesse fatto venire la candida, sentì uno sguardo posarsi su di lei.

Era una donna alta, spigolosa e sconosciuta, dell’età giusta per essere la madre di uno studente della Hillcrest. Era seduta a un tavolo in un angolo assieme a un uomo, probabilmente suo marito; non sembrava un incontro di lavoro, considerato che lei era in pantaloni da yoga e felpa. La donna lanciava occhiate furtive verso di lei. Quando Lisa incontrò i suoi occhi azzurri, la sconosciuta sussurrò qualcosa all’uomo e si alzò. Lisa si affrettò a inghiottire ciò che aveva in bocca mentre lei si avvicinava.

«Scusate se v’interrompo...»

Yeva lasciò a metà una frase sulle sue infezioni intime.

«Ciao, Lisa... Sono Karen. Immagino che tu non mi riconosca, ma i miei figli frequentano la Hillcrest. Ci siamo viste a scuola, o a una recita o a una partita di pallavolo, credo.»

«Sì.» Lisa non ricordava di averla vista. Ronni non aveva mai preso parte a una recita né giocato a pallavolo o a qualunque altro sport. Sua figlia non era molto «partecipativa».

«Volevo solo dirti che mi dispiace per quello che vi è successo... Tu e Ronni dovete aver sofferto tanto.»

«Ti ringrazio.»

«I miei figli non sono suoi amici, però gli ho detto di essere gentili con lei quando la incontrano. E gli ho raccomandato di andare subito dai professori se dovessero assistere ad atti di bullismo.»

«Atti di bullismo?» Sapeva che Ronni si sentiva sola ed emarginata, ma non aveva mai parlato di bullismo.

Karen era imbarazzata. «Non che io sia al corrente di episodi specifici... Se così fosse, avrei subito contattato la preside... È solo che i miei figli mi hanno detto che ci sono alcuni ragazzi che dicono delle cose... a scuola e su Internet... cose cattive.»

«Ronni non mi ha mai detto niente...»

Yeva le strinse la mano in segno di solidarietà.

«Magari potresti parlarne con la psicologa. In fondo forse non è vero... I miei figli non sono una fonte molto attendibile.»

Le patate dolci si trasformarono in piombo nello stomaco di Lisa. «Lo farò. Grazie di essere passata a salutarmi.»

«Se posso fare qualcosa... Sono amica di Ana Pinto, la mamma di Marta, può darti il mio numero.»

Marta. Era alla festa quella sera. Sua madre, Ana, le aveva mandato un biglietto... Non riusciva a ricordare cosa le avesse scritto, ma sapeva che era un medico. Lo aveva letto sull’intestazione del foglio.

Yeva parlò al suo posto. «Grazie, è molto gentile da parte tua.»

«Grazie», riuscì a dire Lisa, mentre Karen tornava al suo tavolo.

Darcy mise la mano sopra le loro. «Tutto bene?»

Lisa annuì. «Meglio che vada...»

«Ti accompagniamo», propose Yeva, mentre Lisa liberava la mano e si alzava.

«No, restate. Ronni e io dobbiamo parlare. Da sole.»

Darcy era già in piedi. «Lascia che ti offra un po’ di scones vegani ai lamponi da portarle. Sono squisiti.»

 

 

Entrò nel palazzo con in mano la busta di carta bianca della caffetteria. Sperò che gli scones non fossero troppo secchi. In quel periodo Ronni non aveva molto appetito ed era schifata dal cibo. Lisa salì con l’ascensore fino al quarto piano, ma era così sovrappensiero che, quando la cabina si fermò al terzo – qualcuno doveva averlo chiamato per poi cambiare idea –, scese e solo arrivata in fondo al corridoio si rese conto dell’errore. Fece l’ultimo piano a piedi.

L’appartamento era silenzioso, però Lisa sapeva che Ronni era a casa. Non usciva quasi più, a parte nei giorni in cui riusciva a convincerla ad andare a scuola. Finalmente capiva la sua riluttanza.

Anche se sua figlia aveva tutto l’appartamento per sé, era rintanata come al solito nella sua cameretta lilla, con la porta chiusa. La sua stanza era un reliquiario della ragazza che era stata: c’erano foto di lei con le amiche fissate con le puntine, incorniciate o appese a un filo teso su una parete. Biglietti di concerti, cartoline e poster di gruppi musicali tappezzavano il resto della superficie, omaggio alle sue vecchie passioni.

Ma Ronni non ascoltava più musica: troppe emozioni. Di sicuro guardava Netflix – qualche milionario adolescente, vampiro adolescente, detective adolescente –, sognando di essere un’altra persona, una persona con un sacco di soldi, con le zanne o con l’istinto investigativo. Lisa si avvicinò alla camera tenendo il vassoio di scones con entrambe le mani, come se fosse un regalo troppo umile per una regina.

Di solito bussava prima di entrare, perché aveva sempre rispettato la privacy di sua figlia. Quel giorno però era distratta dal ricordo dell’incontro con Karen, perciò aprì la porta senza avvertire. Ronni era seduta a gambe incrociate sul letto, spalle alla porta, davanti al suo portatile. Lisa vide con chiarezza lo schermo mentre entrava nella stanza. Come immaginava, era su Facebook: Lisa riconobbe la striscia blu in alto. Stava guardando l’immagine di un personaggio dei cartoni animati: era verde e rotondo, con braccia e gambe sottili e un sorriso simpatico. Le sembrò di riconoscere un personaggio di un film della Pixar che Ronni guardava da piccola, e si sentì sollevata e divertita da quel ritorno all’infanzia. Ma cosa ci faceva il nome di Ronni sotto l’immagine? E poi capì... La creatura aveva un occhio solo.

Proprio in quell’istante, Ronni si accorse della sua presenza e chiuse di scatto il computer.

«Cosa stavi guardando?» Il tono di Lisa era calmo, nonostante la gola chiusa per il terrore.

«Niente», tagliò corto Ronni, però aveva le guance arrossate e gli occhi lucidi.

«Fammi vedere.»

«No.»

«Dammi il computer, Ronni.»

«Lascia perdere. Non è niente.» La sua voce era disperata.

Si avventò sul computer e Ronni lo allontanò. Lisa non era mai stata violenta con sua figlia, ma doveva vedere quella pagina. Era in preda a un impulso così urgente e incontrollato che la prese per le spalle e la spinse via.

«Ahia! Cristo!»

Ignorò le finte lamentele di sua figlia e aprì il portatile. Proprio come temeva. Sentì un fiotto di bile risalirle in gola. «Chi ha fatto questa cosa? Chi ha creato questo profilo su di te?»

«Non lo so.»

«Devi avere un’idea.»

«No, non ce l’ho! Potrebbe essere stato chiunque! Tutti a scuola pensano che sia un mostro! Guarda i commenti!»

Lisa li fece scorrere, ma erano troppo dolorosi, troppo crudeli. «Questo è cyberbullismo. Ora chiamo la preside.»

«No! Così peggiorerai solo le cose!»

«Allora contatterò Facebook.»

Sua figlia scoppiò in una risata sguaiata. «Oh, mio Dio! Sei incredibile.» Si coprì la faccia mentre singhiozzi isterici le scuotevano le spalle. Nel giro di pochi istanti, la sua risata si trasformò in un pianto angosciato e straziante.

Lisa posò il computer per terra e si chinò sulla sua unica figlia, proteggendola, accarezzandole i capelli. «Chi è che ti sta facendo questo? Perché...?»

Ronni smise di singhiozzare e si mise a sedere. «Non posso tornare in quella scuola.»

«Mancano solo pochi mesi alla fine dell’anno scolastico. È troppo tardi per cambiare.»

«Posso andare alla scuola pubblica qui vicino. Devono accettarmi, sono nel loro bacino d’utenza.»

«Quella scuola è piena di delinquenti e di spacciatori. È per questo che ti ho iscritta alla Hillcrest.»

«La Hillcrest è piena di snob e di teste di cazzo!» Ronni scoppiò di nuovo a piangere.

Lisa le prese la mano e se la portò al petto. «Ascoltami.»

Sua figlia fece un respiro profondo, tremante, e strinse le labbra ricacciando i singhiozzi in gola.

«Tu sei forte, Ronni. Hai già superato prove molto più dure di quelle che gente come Lauren Ross o Hannah Sanders dovrà affrontare in tutta la propria vita. Tu sei meglio di loro. Tu sei una lottatrice.»

Ronni scrollò le spalle e annuì.

«Quello che quei bulli vogliono è una reazione. Se non gliela darai, si stancheranno. Tu non gli permetterai di spaventarti o di convincerti a lasciare la scuola. Andrai lì a testa alta e finirai l’anno. E l’anno prossimo andrai nella migliore scuola privata della città, e non con una borsa di studio. Avrai la migliore istruzione che ci si possa permettere e farai una vita fantastica. Gliela farai vedere.»

Ronni fissò sua madre negli occhi per un lungo istante. «È per questo che abbiamo fatto causa ai genitori di Hannah?»

Abbiamo. Lisa e Ronni erano di nuovo una squadra, sole contro tutti. «Sì. Tu meriti il meglio, amore mio, è sempre stato così.»