Hannah era seduta nell’aula d’inglese e guardava fuori dalla finestra. Il terzo anno era iniziato da tre settimane, ma le sembrava ancora tutto una novità... Era strano, diverso, come se avesse cambiato scuola, anche se non l’aveva fatto. La prof, Ms Chan, stava assegnando i compiti a casa. Sapeva che avrebbe dovuto ascoltarla, però continuò a fissare il parcheggio fuori dalla finestra... e l’auto di Lauren Ross.
Era una Mini Cooper. Da un padre come Mr Ross, si sarebbe aspettata qualcosa di più lussuoso. Chissà, forse quell’auto piccola e relativamente economica era una punizione per aver spinto Ronni a bere l’idraulico liquido. Non per sminuire la gravità dei fatti, ma il modo in cui i genitori avevano reagito era davvero comico. Quelli di Hannah avevano deciso di mandare all’aria la sua vita, quelli di Lauren le avevano comprato un’auto nuova.
Lauren non frequentava più la Hillcrest. I suoi avevano stabilito che era colpa della scuola se la loro figlia si candidava a diventare il nuovo Anticristo. L’avevano spedita in un istituto religioso femminile in cui ti costringevano a indossare uniformi castigate e a dire le preghiere ogni mattina. Darren e Monique Ross probabilmente speravano che Lauren facesse amicizia con qualche brava ragazza devota che sognava di aprire un orfanotrofio in India o insegnare l’inglese ai profughi. Ma, se aveva delle amiche nella nuova scuola, non doveva passarci molto tempo. Quasi ogni giorno, infatti, Lauren tornava nel parcheggio della Hillcrest e aspettava, seduta nella sua utilitaria.
Hannah distolse lo sguardo dal grigiore soffuso all’esterno per tornare alla luce fastidiosa e fluorescente dell’aula. Il pennarello di Ms Chan batteva sulla superficie lucida della lavagna come un picchio posseduto. Hannah ricopiò sul quaderno i compiti sull’Amleto, senza smettere di pensare alla ragazza nel parcheggio.
Le gerarchie sociali erano radicalmente cambiate rispetto all’anno prima. Lauren e Ronni non c’erano più e l’elegante Sarah Foster era la regina incontrastata. Sarah aveva tutte le carte in regola per comandare: era bella, aveva stile ed era spietata. L’unica domanda ancora in sospeso riguardava chi tra le sue amiche adoranti sarebbe diventata la sua vice. Sarah era la nuova Lauren, non c’erano dubbi, però la giuria doveva ancora pronunciarsi sulla nuova Ronni.
Hannah spostò lo sguardo dal quaderno a Noah Chambers, seduto dall’altra parte dell’aula, in terza fila. L’anno prima, Hannah sarebbe stata emozionatissima di trovarsi in classe con Noah. Si sarebbe dovuta sforzare di mantenere una media decente senza lasciarsi distrarre troppo dalla sua vicinanza, dal suo profumo di legno di cedro, dalla sua mascella squadrata e dalle sue spalle larghe... L’anno prima era il suo ragazzo. Lo era stato per qualche mese, almeno, e le sembrava un sogno a occhi aperti, un miraggio, qualcosa di mai accaduto davvero. Era normale provare sentimenti così intensi per qualcuno e il giorno dopo non sentire più nulla? Doveva chiederlo ai suoi...
In un certo senso, la metamorfosi di Noah era stata la più impressionante di tutte. L’anno prima era famoso e pieno di sé e dominava la scuola con la sua banda di amici arroganti. Eccolo invece scontroso e schivo, che attraversava i corridoi con aria imbronciata ed evitava chiunque, a parte Manny Torres, un ragazzo un po’ secchione che Noah conosceva fin dalle elementari. A quanto pareva, i suoi genitori ci erano andati giù pesanti con lui dopo il tentato suicidio di Ronni. (Sebbene fossero stati fidanzati, Hannah non sapeva quasi nulla della famiglia di Noah. Si erano sempre limitati a parlare di musica, feste e della loro passione per il rāmen.) A ogni modo, i genitori di Noah si erano preoccupati per il suo atteggiamento e avevano deciso che doveva tenersi alla larga dalle cattive compagnie. Nessuno sapeva che provvedimenti avessero preso, ma di punto in bianco il loro figlio si era trasformato in un ragazzo studioso e solitario.
Neanche a farlo apposta, l’ex migliore amico di Noah apparve proprio in quell’istante fuori dalla finestra, diretto verso la Mini. Adam doveva aver saltato l’ultima ora, o era uscito in anticipo. Era intoccabile. Era per lui che Lauren veniva nel parcheggio della scuola quasi ogni giorno. Si erano fidanzati durante l’estate, avvicinati dall’incidente di Ronni e dal successivo litigio. Forse Adam le era sempre piaciuto? Forse era per quello che aveva voltato le spalle a Ronni? Nessuno poteva saperlo... a parte Lauren.
Hannah fece una smorfia di disgusto mentre lo guardava attraversare il parcheggio. Adam trasudava crudeltà, arroganza, misoginia... Era perfetto per quella stronza. Se anche lui fosse finito in un istituto religioso come la sua ragazza, la scuola sarebbe diventata tollerabile, per Hannah. E invece Adam era rimasto alla Hillcrest. Aveva continuato a ridacchiare ogni volta che la incrociava, a sussurrare commenti perfidi ai suoi amici, a ricordarle quanto l’ultimo anno fosse stato orribile...
Tutti sapevano che era stato Adam a iniziare la campagna di cyberbullismo contro Ronni. Sul perché non fosse mai stato punito giravano voci contrastanti, la più plausibile delle quali era che avesse convinto uno studente cinese ansioso di compiacerlo ad aprire le pagine sui social network e gestire la maggior parte degli attacchi. Una volta finito lo scambio culturale, il ragazzo aveva lasciato il Paese e con lui erano scomparse tutte le prove. Adam ne era uscito indenne. Naturalmente una squadra specializzata contro il cybercrimine avrebbe potuto scovare le prove su qualche server, ma a quanto pareva le squadre specializzate contro il cybercrimine avevano pesci più grossi da pigliare. E nessuno degli altri studenti l’avrebbe mai denunciato: tutti avevano visto di cos’era capace.
Adam salì sul sedile del passeggero e richiuse la portiera. Attraverso il parabrezza, Hannah lo vide chinarsi verso Lauren. Lei gli posò le mani sulla nuca e si baciarono a lungo. Molto a lungo... Gli occhi di Adam dovevano essersi allontanati per miracolo, perché Lauren sembrava proprio stracotta. I finestrini si appannarono e Hannah distolse lo sguardo, nauseata. Quei due erano una coppia demoniaca.
Suonò la campanella, segnando la fine delle lezioni, della settimana e del soggiorno da suo padre. Ogni venerdì, Hannah e suo fratello cambiavano casa, facendo la spola tra l’appartamento spazioso e semivuoto di Jeff a Presidio Heights e il modesto appartamento con due camere da letto e uno studio di Kim nell’Upper Haight. Hannah raccolse i libri e si avviò svogliata verso il suo armadietto. Si sentiva stanca, spossata di fronte alla prospettiva dell’ennesimo trasloco. Sua madre diceva che si sarebbero abituati, ma dopo un paio di mesi quegli spostamenti la lasciavano ancora senza forze. Sarebbe andata al college prima di farci l’abitudine.
Prese i libri per il fine settimana dall’armadietto. Dopo la fugace parentesi popolare, Hannah era tornata a concentrarsi sulla scuola. Non che avesse scelta, peraltro. La sua vita sociale era ridotta agli sgoccioli, e quell’anno era decisivo per l’ammissione in un buon college. Lo zaino scoppiava quando richiuse l’armadietto. Per fortuna, anche quella volta suo padre si era offerto di portare le sue cose e quelle di Aidan a casa di Kim. Di solito li aspettava in macchina e mandava un messaggio per avvisarli che era fuori. Due settimane prima aveva aiutato Aidan a portare il progetto di scienze nell’appartamento di Kim. Sua madre si era stupita di vederlo, però si erano comportati entrambi in modo educato e civile. Hannah era nella sua minuscola cameretta a disfare la valigia quando li aveva sentiti ridacchiare. Si era resa conto che non li sentiva ridere assieme da quand’era in terza media. Cosa diavolo avevano da scherzare?
Mentre chiudeva il lucchetto, la raggiunsero le sue amiche.
«Oggi ci vediamo per il progetto di psicologia?» chiese Marta.
«Sì, certo. Vado da mia madre, se vi va potete venire. Starà al lavoro fino a tardi.»
«Tua madre è diventata una specie di superdonna in carriera. Sembra Sheryl Sandberg», scherzò Caitlin.
«Già, a parte che scrive testi per i siti web, non dirige Facebook.»
«Che sfiga.»
Hannah si caricò lo zaino pesante in spalla. «Altroché. Almeno avrei un autista invece di dover correre a prendere quello stupido autobus.»
«Che catorcio», commentò Marta, e Hannah alzò gli occhi al cielo.
«Io porto qualcosa da mangiare. A che ora veniamo?» chiese Caitlin.
«Quando volete», rispose Hannah, senza nessun entusiasmo.
Le sue amiche pensarono che fosse colpa del progetto di psicologia, ma in realtà a deprimerla era la prospettiva di sgranocchiare Doritos, parlare di qualche celebrità e spettegolare su quali prof andavano a letto assieme. Sapeva che doveva essere riconoscente alle sue vecchie amiche per averla perdonata dopo tutto quel che era successo. Hannah era riconoscente. Quando il rapporto coi suoi nuovi amici era andato in malora, avrebbe dato qualunque cosa pur di ritrovare quella familiarità rassicurante. A mesi di distanza, però, Caitlin e Marta le sembravano così... noiose. Erano a posto, gentili, brave ragazze... Forse era proprio quello il problema?
Doveva fingere almeno un po’ di slancio. «Cosa ne dite delle quattro e mezzo? Vi preparo degli squisiti taquitos surgelati.»
«Mmm!» disse Caitlin, sincera, mentre Hannah si allontanava.
Il tragitto in autobus fino a casa di sua madre non era lungo, ma era comunque abbastanza pesante. Prima di trasferirsi, Hannah andava a scuola a piedi. Ormai invece doveva prendere i mezzi per andare sia da sua madre sia da suo padre. Guardò sfilare fuori dal finestrino il ruvido paesaggio cittadino di The Haight, così diverso dalla soleggiata e sonnolenta Potrero Hill. Il suo nuovo quartiere non le dispiaceva; aveva stile, aveva carattere... In un certo senso somigliava a lei: non alla Hannah che era stata, alla nuova Hannah. Sentiva un po’ la mancanza della sua vecchia casa, in cui viveva una nuova famiglia: un padre, una madre e due bambine bionde e carine. Erano davvero perfetti come apparivano? O anche la loro era tutta una recita, com’era stato per la famiglia di Hannah?
L’autobus di fermò a un isolato e mezzo dall’appartamento di sua madre. Non era lontano, però la strada era in salita. Col suo carico di libri in spalla, Hannah arrancò.
Un uomo era accovacciato accanto a un carrello della spesa carico degli scarti di una vita. Aveva una quarantina d’anni ed era sudicio e spettinato, ma le sorrise mentre si avvicinava. «Ciao, Hannah.»
«Ciao, Pete.»
«Vuoi comprare un po’ di crack?»
«No, grazie, sono a posto.»
«Continua a studiare, ragazzina! Finisci la scuola!»
«Lo farò.»
Se qualche mese prima le avessero detto che avrebbe dato del tu a uno spacciatore senza fissa dimora, Hannah non ci avrebbe creduto. I suoi genitori l’avevano sempre protetta dal lato duro della città. Ma le cose erano cambiate. Era quella la sua nuova realtà: due appartamenti, mezzi pubblici, rapporti amichevoli coi tossici... Quel party le aveva mandato a puttane la vita in modo sensazionale. E non era la sua a essere cambiata di più...
Ronni si era ripresa, o meglio era sopravvissuta: che si fosse ripresa era tutto da discutere. Qualcuno diceva che avesse perso la voce, altri che riusciva ancora a parlare, ma che per via dei gravi danni alla laringe ora gracchiava e ansimava come una vecchia che aveva fumato per quarant’anni. Altri ancora che aveva un PTSD e studiava a casa. Nessuno aveva notizie certe. Non appena l’avevano dimessa dall’ospedale, Lisa l’aveva portata nello Stato di New York, dove viveva sua sorella. E, con tre milioni di dollari in banca, le Monroe non avrebbero avuto problemi a sistemarsi.
Hannah aveva cercato Ronni sui social network. Com’era prevedibile, non l’aveva trovata. Se fosse stata Hannah a cercare di suicidarsi per colpa dei cyberbulli, Kim l’avrebbe trasferita in qualche comunità amish senza tecnologia, o come minimo si sarebbe assicurata che stesse alla larga da Facebook, Snapchat, Instagram... Lisa doveva aver fatto lo stesso con Ronni.
The Haight era un agglomerato vivace e colorato di edifici vittoriani e edoardiani, però il palazzo in cui abitava Kim era un blocco di cemento anni ’80, compatto e anonimo. Hannah entrò nell’ingresso ammuffito e si arrampicò su per le scale coperte di moquette, senza smettere di pensare alla sua vecchia amica. Se fosse stata nei panni di Ronni, avrebbe cambiato nome e ricominciato una nuova vita... nei panni di Mia Harper di Seattle, per esempio. La voce di Mia era roca perché era stata la cantante di un gruppo heavy metal e aveva perso l’occhio quando il pullman della band si era schiantato durante una tournée. Tutti ci avrebbero creduto – perché non avrebbero dovuto? – e Ronni sarebbe stata accettata, persino ammirata nella sua nuova scuola.
Certo, era probabile che Lisa e Ronni fossero diventate delle recluse milionarie, rintanate in una megavilla isolata da cui uscivano solo una volta al mese per fare provviste. Forse erano felici, sole contro il resto del mondo? Come in quel documentario che aveva visto in tv su quelle strane madre e figlia, Big e Little Edie... erano matte come cavalli, ma nel complesso non stavano male.
Hannah si augurava che Ronni stesse bene, anzi aveva bisogno di pensarlo. Perché le importava ancora di lei, le dispiaceva ancora per quanto era successo alla sua festa... Ma non si trattava solo di quello. Se Ronni stava male, significava che Lauren Ross aveva vinto. Significava che Lauren aveva distrutto la sua migliore amica, l’aveva spinta a tentare il suicidio, le aveva rubato il ragazzo... Significava che Lauren era ancora sulla cresta dell’onda, e al solo pensiero Hannah si sentiva ribollire di rabbia e di odio.
Raggiunse l’interno 202 ed entrò nell’appartamento silenzioso. Aidan non era ancora arrivato – nonostante gli sconvolgimenti della loro vita familiare, era sempre molto preso dalla sua carriera di calciatore – e sua madre era ancora al lavoro. Era curioso che, dopo essersi lamentata per anni del fatto che suo marito passasse troppo tempo in ufficio, Kim sgobbasse tanto quanto lui. Ora sua madre era un «architetto dell’informazione».
Quando l’aveva detto a Aidan, lui aveva commentato: «Sono anni che non lavori. Come fai a metterti a progettare case dal nulla?»
Hannah l’aveva preso in giro – nemmeno lei sapeva cosa fosse un architetto dell’informazione, ma sapeva che non c’entrava niente con l’edilizia – e Kim gli aveva spiegato di cosa si occupava: scrivere e progettare siti web e applicazioni pensando alle esigenze dell’utente finale. O una roba del genere. Sembrava di una noia mortale, ma sua madre era entusiasta. Era molto stanca: ogni volta che si sedevano sul divano a guardare la tv, si addormentava sempre. E non era nemmeno più tirata a lucido come un tempo: Hannah l’aveva sorpresa più di una volta a coprire la ricrescita col mascara. Però sembrava felice. Sembrava realizzata. Non era giusto...
Hannah mollò lo zaino nella sua stanza e attraversò il salotto disordinato per andare in cucina. L’appartamento era arredato con un’accozzaglia di mobili e oggetti: pezzi moderni della loro vecchia casa misti a mobili scovati nei negozi dell’usato. In qualche modo, funzionava. Era «eclettico». Kim aveva conservato un certo gusto per l’arredamento. Al confronto, l’appartamento di suo padre sembrava vuoto, quasi desolato. Era molto più spazioso e aveva una vista fantastica sul Presidio, ma non aveva personalità. Jeff aveva rimediato con un enorme schermo piatto e un impianto audio da urlo. Entrambe le sistemazioni erano decenti e comode, si vedeva che i suoi ce la mettevano tutta... però Hannah non si sentiva a casa né dall’una né dall’altra parte. Non ancora. E in cuor suo sapeva che sarebbe sempre stato così.
Aprì il frigo: gyōza preconfezionati, tortellini preconfezionati, un barattolo di sugo pronto e un limone. Gli spuntini sani che Kim preparava ogni giorno erano un lontano ricordo. Hannah prese dal freezer una confezione aperta di taquitos. Sua madre aveva letto gli ingredienti? Calcolato i valori nutrizionali? I livelli di sodio erano alle stelle! Hannah li cacciò in una teglia e li infilò in forno. Il sale non era proprio in cima alla lista delle sue preoccupazioni.
Quando i suoi avevano annunciato la loro «separazione», Hannah si era arrabbiata. Ma come, dopo quel periodo di merda cosa facevano? Vendevano la casa, si separavano e costringevano lei e suo fratello a fare avanti e indietro tra un appartamento e l’altro come un pacco con l’indirizzo sbagliato? Hannah allora aveva dato la colpa a Ronni. Se non fosse stato per il suo gesto egoista, lei avrebbe potuto continuare a vivere nella sua bellissima casa, nella sua camera enorme e con entrambi i suoi genitori. Però i Sanders volevano dare i soldi a Lisa, e vendere la casa era l’unico modo. In quel momento li aveva odiati tutti, Lisa e Ronni, Kim e Jeff... Era uno spreco di energie, tuttavia. Hannah doveva conservare il suo odio per Lauren. E doveva pensare a rifarsi una vita.
Aveva elaborato un piano quasi un mese prima, anche se stava ancora racimolando il coraggio di metterlo in atto. Hannah sapeva che era sbagliato – aveva ancora una coscienza, dei valori morali –, ma i suoi genitori avevano fatto la cosa giusta e cosa gli era costato? Tutto, cazzo. Se era un tentativo d’insegnarle una lezione, be’, ci erano riusciti: i buoni alla fine perdono sempre. E le restavano altri due anni alla Hillcrest. Poteva tirare avanti in apnea crogiolandosi nella noia e nella mediocrità. Oppure poteva provare a recuperare una briciola di ciò che aveva avuto... di ciò che aveva quasi avuto. Fece un respiro profondo, prese il cellulare e toccò l’icona della chat.
Hannah: Lauren era di nuovo alla Hillcrest oggi
Cliccò INVIA e attese. L’iconcina indicava che il messaggio era stato ricevuto e letto, però non ci fu nessuna risposta. Hannah aveva il cuore in gola. Il suo piano avrebbe potuto ritorcersi contro di lei, sancire definitivamente il suo status di sfigata, renderla oggetto di derisioni e prese in giro. Ma non poteva arrendersi, non ancora. Perché, per quanto le cose fossero finite malissimo, Hannah non poteva dimenticare la sensazione di essere popolare: l’ammirazione, il rispetto, il senso di onnipotenza... Era molto meglio che essere invisibile... Scrisse un altro messaggio.
Hannah: Non riesco a credere che abbia il coraggio di farsi vedere dopo quello che ha fatto
E dopo alcuni istanti arrivò...
Sarah: ???
Fu invasa da un senso di sollievo. Aveva abboccato. Sarah Foster pendeva dalla sua lenza e lei non se la sarebbe lasciata scappare. Sapeva esattamente come tirarla su, perché loro due avevano troppe cose in comune: entrambe erano state in cima, entrambe erano precipitate... ed entrambe odiavano quella stronza di Lauren Ross. Hannah digitò sulla tastiera minuscola.
Hannah: Non l’ho mai detto a nessuno ma...
Alla mia festa, Lauren ha spinto Ronni sul tavolo di vetro
Nessuno l’ha vista ma io sì
Hannah aspettò che avesse letto, poi scrisse un altro messaggio. Solo una frase, solo due parole, ma sapeva che Sarah Foster non avrebbe resistito.
Hannah: Possiamo distruggerla
Niente... Forse pensava che mentisse? Che fosse solo un tentativo disperato di tornare al top? Che Hannah fosse miserabile, avida, patetica? E poi arrivò la risposta.
Sarah: Ti va di prendere un frappè? Da Nat’s tra 20 min?
Ce l’aveva fatta. Hannah aveva aperto la porta di uno spiraglio e poteva strisciare dentro. Si sarebbe fatta strada nella cerchia intima di Sarah Foster, sarebbe diventata la sua vicecomandante, la sua Ronni, e assieme avrebbero fatto a pezzi quella troia.
Hannah: C vediamo lì
Con l’accenno di un sorriso trionfante sulle labbra, Hannah spense il forno e uscì di casa.