“Remington Truth è morto.”
Remy si bloccò di colpo, poi ricominciò a portarsi alla bocca l’ennesima cucchiaiata di stufato. Si voltò a guardare Seattle, l’uomo che aveva appena annunciato la notizia, perché quella era la cosa ovvia da fare e perché era quello che gli altri stavano facendo. Ma aveva la bocca asciutta, e, all’improvviso, il suo stomaco aveva perso ogni interesse per il cibo.
Maledizione. Non vedeva l’ora di andarsene insieme a Ian, adesso che l’incursione annuale a Yellow Mountain e negli altri insediamenti l’avevano fatta, approfittandone per accaparrarsi i raccolti e per controllare la situazione. Per tenere quella gente al loro posto. Seattle la metteva a disagio, con quello sguardo indagatore che seguiva ogni sua mossa. Da quando si erano riuniti, però, Ian non sembrava avere alcuna fretta di abbandonare i compagni, nonostante l’evidente disprezzo che provava nei loro confronti.
“Il vecchio, dico. L’uomo che abbiamo cercato per tutti questi anni”, continuò Seattle, intento a masticare un pezzo di pane.
“Come fai a saperlo?”, chiese uno degli altri Cacciatori, un tizio di nome Rake.
“Ho le mie fonti”, rispose Seattle. “Ma si dice che, anche se il vecchio è morto, sua figlia o sua nipote, o che so io, sia ancora in circolazione.”
“Insomma, dovremmo metterci a cercare una giovane donna invece che un vecchio rimbambito”, concluse Ian. Appoggiò il piatto davanti a sé, facendo tintinnare le posate. Prese una bottiglia di birra e vi si attaccò con una certa soddisfazione
Una donna, la moglie di un altro Cacciatore di nome Jose, si alzò e portò i piatti a lavare. Ian non le risparmiò un’occhiata mentre abbassava la bottiglia, poi il suo sguardo azzurro e gelido fu di nuovo su Seattle.
“Sì, se credete alle voci che si sentono in giro”, rispose Seattle. “Ehi, Lisa, anche questo!” fece, con un cenno verso il suo piatto. La moglie di Jose tornò indietro e lo raccolse senza una parola.
Remy non aveva ancora mosso un muscolo, e ricordò a se stessa di cominciare a masticare. Come diavolo facevano a saperlo? Magari erano solo voci, come diceva Seattle. Non significavano niente.
Nessuno la poteva collegare a Remington Truth… a parte gli uomini di Envy. Ma se c’era una cosa che sapeva di loro, era che non facevano favori né all’Elite né ai Cacciatori.
Però. Non si fidava di loro più di quanto non si fidasse di chiunque altro, compreso il suo cosiddetto compagno. Sentendosi gli occhi di Ian addosso, ingoiò il boccone di stufato di selvaggina e riempì di nuovo il cucchiaio. Era ora di andarsene, e alla svelta.
La scelta era tra gli sguardi indagatori di Seattle e il rischio di essere consegnata agli Stranieri in cambio di una ricompensa qualsiasi, se solo Ian avesse scoperto o immaginato la sua vera identità.
Mentre si sforzava di mangiare e di seguire la conversazione sull’incursione a Yellow Mountain e su come sarebbero tornati a “concludere l’impresa” (qualunque cosa intendessero), Remy alzò gli occhi verso le cime degli alberi. Il sole stava tramontando, e nel giro di poco tempo sarebbero tutti rientrati nel vecchio appartamento al secondo piano, per dormire al riparo dagli zombie. Dantès era nascosto da qualche parte nell’ombra, al di là dei quattro veicoli parcheggiati in cerchio nella piccola radura.
Sarebbe stato pronto a partire al primo segnale di Remy, a meno che non stesse dando la caccia a qualche coniglio o qualche volpe.
Se solo avesse saputo guidare uno di quei fuoristrada... Ma non era così, e non aveva il coraggio di provarci adesso. Avrebbe dovuto osservare Ian con più attenzione, magari farsi insegnare.
Del resto, non era la sua compagna? Le si schiusero le labbra in un sorrisetto ironico.
Invece di aspettare che fosse Lisa a levarle il piatto, come aveva fatto con gli altri, Remy si alzò e glielo portò.
Poi ne approfittò per allontanarsi dal gruppo, allontanarsi da tutto quel parlare di incursioni, dei piani per Yellow Mountain e di quei due giovani che avevano beccato con quella roba pericolosa.
Doveva assolutamente stare da sola, fosse anche per un minuto. La cattiveria e la bruttura del gruppo la facevano sentire sporca. È vero, non aveva avuto altra scelta che unirsi a quelle scorrerie, ma davanti a tutta quella distruzione, ai volti della gente degli insediamenti, le era venuta la nausea.
Ian era il peggiore di tutti. La sola vista dei suoi gelidi occhi azzurri e dei suoi lineamenti duri spesso bastava a far indietreggiare anche i più coraggiosi. E quando aveva frantumato le finestre di una casa solo perché i suoi abitanti non erano usciti abbastanza in fretta, c’era così tanta cattiveria dietro quella violenza, che a Remy erano venuti i brividi e aveva dovuto allontanarsi.
Seattle godeva nel distruggere; un sorriso arrogante gli spuntava sul volto ogni volta che spaccava lo schermo di un computer o appiccava il fuoco a qualcosa. Si inebriava dell’azione e della paura che incuteva. Il potere non gli bastava mai.
Ian, al contrario, faceva tutto con tali freddezza e distacco, da essere ancora più inquietante.
Remy sentì un rumore alle sue spalle, e si fermò al margine del bosco. Un formicolio le percorse il collo e, quando si voltò, si trovò davanti Seattle. I dreadlock lunghi e biondi, gli ricadevano sulle spalle, e per quanto il suo viso non fosse del tutto spiacevole, l’espressione che aveva negli occhi le provocò una stretta allo stomaco.
“Tra poco sarà buio”, le disse. Aveva addolcito la voce, come se sapesse che lei lo disprezzava, e tentasse di farle cambiare idea. “Spero tu non abbia intenzione di andare per il bosco da sola.”
Sentire il peso della pistola sul retro dei jeans le dava un senso di sicurezza. Non lo sapeva neanche Ian, che se l’era tenuta, anche se magari lo immaginava, dato che era stato proprio con quella pistola che lei lo aveva convinto ad aiutarla a scappare da quelli che l’avevano trovata a Redlo, puntandogliela alla schiena e costringendolo a portarla via col fuoristrada.
“Grazie per la premura” gli rispose gelida.
“Se vuoi un po’ di compagnia…”
“Non voglio compagnia.”
Gli occhi di Seattle si ridussero a due fessure. “Sai bene che Ian Marck non è particolarmente gradito alla Cerchia. Se ti interessano il tipo di informazioni e di rispetto che ricevo io dall’Elite, ti conviene starne alla larga. Ti metterebbe i bastoni tra le ruote.”
“Ho i miei modi per guadagnarmi il rispetto della Cerchia”, replicò Remy.
“Chissà che direbbe Lacey se sapesse che stai cercando di farti una nuova compagna…” la voce di Ian risuonò nella notte, “non credo le farebbe piacere.”
Seattle non sembrava sorpreso dall’arrivo del rivale. “Lacey può andare a farsi fottere. Magari da te, tanto mi dicono che ci sei abituato.” Da cordiale che era, la sua voce si era fatta gelida.
“Ti brucia, eh, Seattle?” Ian non aveva concesso a Remy neanche un’occhiata fugace, né le si era avvicinato di un passo. Stava semplicemente lì, in piedi, fermo a guardarli.
“Va’ a farti fottere” gli disse l’altro.
“Perché non ci vai tu? Scommetto che ti piacerebbe” ribatté Ian. “Stammi alla larga.”
Remy tentò di sgusciare via: non aveva la minima intenzione di rimanere a guardare i due maschi alfa che si preparavano allo scontro. Ma Ian si allungò e la afferrò per il braccio.
Passò un secondo, poi Seattle si girò e tornò indietro a grandi falcate, facendosi strada rabbioso tra i cespugli.
Remy tentò di liberarsi, ma Ian non mollò la presa. “Ti sei fatto un nemico”, commentò lei, asciutta.
“Ah sì? Un altro? Che paura.” La sua voce trasudava sarcasmo. La fece girare in modo da averla di fronte, e lei fece scivolare lentamente la mano verso la pistola nei pantaloni. Dov’era Dantès?
“Lascia perdere”, la bloccò lui, strappandole la pistola di dosso con uno scatto veloce, prima che lei riuscisse a prenderla di nascosto. Se la sistemò in vita. “Questa qui non ti servirà.”
Anche se con il cuore in gola, Remy mantenne un’espressione indifferente. “Voglio tornare dagli altri. Dammela” gli disse, tendendo la mano verso di lui.
“Tra un attimo.” Si teneva a debita distanza, le aveva persino lasciato andare il braccio. “Seattle crede che siamo amanti.”
“Sembra volere che Lacey lo scopra.”
Ian non la fece neanche finire di parlare. “È arrivato il momento di dar loro ragione.”
Remy sentì un tuffo allo stomaco e lo guardò negli occhi. Non si era ancora avvicinato troppo, ma lei riusciva a leggergli nello sguardo una mescolanza di passione e odio.
“È il modo migliore per tenertelo lontano” le disse Ian, sempre senza muoversi.
Le tremavano le mani, le era venuto un groppo allo stomaco, ma al solo pensiero le si erano risvegliate altre parti del corpo. Non si fidava di Ian, non le piaceva, le faceva persino un po’ paura… eppure c’era qualcosa in lui che le faceva desiderare di passare le mani su quel corpo agile e asciutto, e lasciargli fare quel che voleva con lei.
Alla fine lui le si avvicinò, tenendole stretto il mento, e coprì la sua bocca con la propria. Fu un bacio violento, dato senza l’intenzione di farle del male, ma solo per levarsi il pensiero. Come le altre volte che si erano baciati, la bocca di lui era incredibile, si adattava alle sue labbra con movimenti perfetti, né viscida, né asciutta. Remy chiuse gli occhi proprio quando meno avrebbe dovuto, e sentì un’ondata di piacere invaderla nel momento in cui si ritrovò con la schiena contro un albero.
La mano di Ian scese sul suo seno, le dita scivolarono a stringerle la mascella, costringendola a sollevare il volto, impedendole di muoversi. Remy sentì il suo corpo spingere contro il tronco, e si spostò in modo da avere le spalle appoggiate alla corteccia, mentre il bacino era teso in avanti a incontrare quello di lui. Ian era alto, ma lei non era da meno: i loro corpi combaciavano alla perfezione. Gli appoggiò le mani sul petto, toccando finalmente quel corpo tante volte guardato da lontano.
Lui interruppe il bacio e, fissandola con i suoi occhi rabbiosi, la sistemò contro il tronco mentre faceva scivolare le mani sotto i vestiti per stringerle i seni e tastarle i capezzoli induriti; poi le tirò via la camicetta, per guardarli mentre li sollevava e li accarezzava. Remy osservava le mani scure di Ian sulla sua pelle chiara, e il respiro le si faceva sempre più eccitato, ondate di desiderio si riversavano nella pancia e ben oltre.
Le strattonò i jeans con tanta forza da farla sobbalzare, aprendoli e lasciando così che l’aria fresca della sera le accarezzasse il bassoventre. Senza perdere tempo, le abbassò i pantaloni, poi le mutandine, e trovò il punto tra le sua gambe. Sorpresa e un po’ imbarazzata, Remy si scoprì turgida e bagnata, e dovette mordersi le labbra per rimanere in silenzio quando lui la toccò.
Ian la tenne ferma mentre si slacciava i pantaloni con i suoi soliti modi, efficienti e impassibili. Ma il suo sguardo si era fatto più cupo e accigliato, il suo respiro più affannoso.
Remy lo costrinse a chinarsi per un altro bacio, circondandolo con le gambe mentre lui la sollevava. Quando le entrò dentro, lo sentì tendersi e rabbrividire. Rimase fermo, la testa contro la corteccia, respirandole vicino alla tempia. Poi si risollevò e cominciò a muoversi, con gli occhi chiusi, il volto impassibile.
Lo guardò finché il piacere non fu troppo grande, mentre gli ultimi raggi di sole illuminavano il profilo deciso del suo naso, gli zigomi alti e marcati, la fronte… e sentì il proprio corpo farsi caldo e crescere tutto intorno a lui.
Le mani di Ian si spostarono per spingerla più forte contro l’albero, incuranti della corteccia scabra a contatto con la sua schiena nuda. Remy lasciò ricadere la testa all’indietro e chiuse gli occhi, mentre tutto il mondo le si richiudeva addosso, e quando lui cominciò a muoversi più velocemente e con più veemenza, lei aprì ancora di più le gambe, spostando e sollevando il bacino, andandogli incontro con la stessa urgenza ed efficienza, finché anche lei non ottenne ciò che desiderava.
Le sfuggì solo un piccolo “Oh!”, quando un liquido caldo la invase e le esplose dentro. Si abbandonò tra le sue braccia, sentendo frammenti di corteccia scivolarle addosso e grattarle la pelle, mentre lui faceva un ultimo affondo e si ritraeva.
Appoggiato contro di lei, il respiro pesante, le mani tremanti sui suoi fianchi, Ian finì con un gemito profondo.
Remy si rese conto di che cosa era appena successo. Si sentì arrossire di vergogna e gratitudine. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era di rimanere incinta, figuriamoci di Ian Marck. Che diavolo avevo per la testa?
Ian si allontanò con una delicatezza maggiore di quella che le aveva dimostrato fino a quel momento, sostenendola fino a che non ebbe riacquistato l’equilibrio. Lei si sentiva le ginocchia deboli, voleva solo rimanere lì a crogiolarsi… ma le cose andarono diversamente.
“Per quale motivo” sospirò, mentre lui si rimetteva le mutande, “sembri sempre così arrabbiato quando mi baci?”
Ian la guardò appena, le labbra tese, gli occhi fiammeggianti e scuri, e si strinse nelle spalle. “È un’altra, che mi piacerebbe baciare” rispose. “Se potessi.”
Remy rimase senza fiato. “Beh, probabilmente è la prima volta che mi dici la verità”, riuscì a dire. Bastardo.
Ian non sorrise mentre si riallacciava la cintura. “Credo di sì.”
“Lacey?”, non poté fare a meno di chiedere.
“Cazzo, no! Non Lacey.”
Lui si allontanò, con le mani nelle tasche. Le allungò la pistola. “Non pensare di squagliartela stanotte. Dormirai accanto a me. Per questa notte e per le prossime.”
Gli lanciò un’occhiata di fuoco. Come se potessi costringermi a stare qui.
Lui la fissò. “Non penserai mica che mi faccia scappare dalle mani la nipote di Remington Truth, vero?”
____
“C’è una cosa di cui ti vorrei parlare” disse Theo a Selena.
Erano passate oltre due settimane dalla morte di Sam e l’aveva vista molto meno di quanto avrebbe voluto. Molto meno.
Era sorprendente come lei riuscisse a non essere mai presente a tavola quando c’era lui e come le loro strade non si incrociassero praticamente mai pur vivendo nella stessa casa. Theo aveva iniziato a sospettare, con estremo dispiacere, che lo stesse evitando. Capiva che aveva bisogno di elaborare il terribile lutto che l’aveva colpita, ma c’era una parte di lui che si chiedeva come mai lei non lo coinvolgesse. Perché non dividesse quel peso con lui.
Forse perché Sam era figlio di Selena ma non suo. Forse non credeva che lui fosse addolorato per il ragazzo. E invece lo era.
Non che non avessero entrambi il loro bel daffare. Il giorno successivo alla morte di Sam, erano arrivati ben tre pazienti e Theo si era arrabbiato, arrabbiato col mondo, con l’universo o qualsiasi cosa fosse, che non rispettava il dolore di Selena. Lei invece li aveva accettati con la solita grazia e tranquillità, e si occupava dei morenti con la stessa empatia di prima.
Forse era anche quella una benedizione, distrarsi e tornare alla vita di tutti i giorni.
Anche Theo era stato occupato, a lavorare giorno e notte con Lou al sistema di sicurezza di Blizek (gli veniva ancora da ridere al pensiero che, settimane prima, aveva creduto di aver già superato facilmente il primo livello) e sui vari codici numerici che Lou pensava fossero coordinate geografiche. Dovevano ancora trovare un modo per ricalcolarle in base alla nuova inclinazione dell’asse terrestre. Intanto Theo pensava anche a come avrebbe potuto usare le luci intermittenti dei flipper e delle console.
Inoltre, ora che Sam non c’era più, Frank aveva costretto i gemelli ad aiutarlo in una serie di lavoretti, che i due facevano volentieri nonostante il continuo brontolare di Lou sulla velocità e la forza di quell’ultra-novantenne.
“Altro che te, è lui il vero supereroe” commentò dopo tre ore passate a sollevare pietre per ricostruire un pezzo di muro, durante le quali Frank si era fermato sì e no per cinque minuti.
Ma ora Theo aveva intercettato Selena e le aveva proposto una passeggiata dopo cena. Il sole era una luminosa palla arancione che si abbassava sull’orizzonte, portando la notte. Stranamente non aveva più il terrore, come in passato, che lei uscisse.
Dopo l’aggressione a Sam non l’aveva più fatto. Theo l’aveva tenuta d’occhio.
Forse aveva mollato, realizzando che la sua vita lì e la sua missione di assistere i moribondi erano più importanti che rischiare la vita là fuori. Forse la morte di Sam le aveva fatto aprire gli occhi sui pericoli, e sulla cruda verità che gli zombie erano dei mostri assassini.
O forse non era ancora pronta a ritrovarseli davanti.
Selena lo guardò. “E di cosa si tratta?”
A Theo mancò il respiro davanti alla serenità che irradiava da quel volto delicato, mentre il sole morente esaltava il colore dorato della pelle e quello scuro dei capelli. A dispetto delle occhiaie e delle rughe di dolore che le segnavano gli occhi e la bocca, era bellissima. Voleva baciarla. Le mancavano la sua presenza, il calore, quell’umorismo brillante che veniva fuori nei momenti più inaspettati… ma si trattenne.
Voleva dirle di Lou, che erano gemelli ma, poi, non gli parve il momento. Forse per la sofferenza che le si leggeva sul viso… erano passate appena due settimane. O forse non voleva rischiare che anche lei lo vedesse come uno scherzo della natura. O forse temeva che lei incolpasse Lou della morte di Sam e che non avrebbe mai accettato che fossero gemelli.
“Mi mancava passare del tempo con te” ammise, prendendole la mano. Magari, poteva solo dirle come si sentiva. Lei sorrise, con un certo distacco, ma gli strinse la mano a sua volta. “Ho molte cose a cui pensare, al momento.”
Lui la guardò, spostando i capelli folti e neri dalla spalla. “Capisco. Volevo solo che sapessi che stare con te mi manca. E anche questo.” Non riuscì a trattenersi, si sporse in avanti, le prese dolcemente il volto tra le mani e le poggiò le labbra sulle sue.
Chiuse gli occhi godendosi il piacere e il desiderio ormai familiari che venivano da quel mero sfiorarsi di labbra. Si mosse e sentì la bocca di lei accoglierlo, le labbra si dischiusero appena permettendo alla punta della sua lingua di insinuarsi. Dolce, calda, bagnata… Il desiderio lo infiammò.
E poi lei si allontanò, poggiandogli le mani sul petto. “Io… ecco Theo… non credo di farcela… non ora.”
A Theo parve che davanti gli si aprisse un buco nero, vuoto e misterioso. Il cuore che batteva forte, il sospetto che aveva cercato di soffocare ora si trasformava in qualcosa di orribile. Cercò gli occhi di Selena. “Troppo presto?”
“Sì.” Inspirò a fondo e lo guardò. “Ho molte cose a cui pensare. Sono confusa e arrabbiata, Dio, così arrabbiata e…. io vorrei che fosse tutto a posto ma poi ci ripenso e davanti non ho che il ricordo di te, quella notte. Parevi volare tra gli zombie, uccidendoli come un guerriero preso dalla foga della battaglia. Non riesco a togliermi dalla testa quelle immagini… quella violenza, quella carneficina. Continuo a sognarle e ad avere gli incubi.”
Theo fece un passo indietro, sconvolto. Quella che era sembrata una fastidiosa, minima preoccupazione divenne un pericolo concreto. Gli si gelarono le mani. “Selena, non avrei mai potuto starmene in disparte e lasciare che ti dilaniassero… all’inizio credevo ci fossi tu là in mezzo… ma non avrei lasciato che lo facessero a nessuno. Dovevo tentare di fermarli e se ricapitasse, lo rifarei di nuovo. Te lo devo dire, rispetto i tuoi tentativi di aiutarli, ma, potendo, non lascerò mai che si prendano la vita di qualcuno. Soprattutto la tua.”
Le sfuggì una lacrima che scese luccicando lungo la guancia. “Lo so, Theo e lo capisco. Il problema sono io. Ti vedo farlo, ti vedo che li annienti e sento odio e rabbia perché lo vorrei fare io. Vorrei essere io a ucciderli. Vorrei distruggere quei mostri maledetti, per quello che mi hanno portato via.” La voce pareva a metà fra la follia e la disperazione. “Voglio farlo, voglio annientarli nel modo più violento e terribile che esiste… eppure… non ci riesco. E non me la sento più nemmeno di andare là fuori per salvarli. Il solo pensiero mi fa star male. Non posso fare niente.”
Ora le lacrime sgorgavano a fiumi dai suoi occhi, e il volto, prima tranquillo, era distorto in una dura e orrenda maschera di rabbia. Era come se ci fosse qualcosa di brutto nei suoi lineamenti, qualcosa che non aveva mai visto prima. “Quindi credo sia meglio che mi prenda un po’ di tempo per tentare di fare chiarezza. Da sola.”
Theo ricevette il messaggio, forte e chiaro. Cercò di soffocare la risata amara che gli saliva alle labbra al pensiero che, per la seconda volta, si era innamorato perdutamente di una donna e, per la seconda volta, veniva messo da parte per motivi insondabili, che non avevano a che fare con lui.
La bocca si mosse prima che si rendesse conto di cosa stava per dire, ma il cervello si attivò subito. “Ottimo, perché è proprio di questo che ti volevo parlare. Io e Lou stiamo per partire. Forse già domani. Abbiamo delle cose da controllare e non so bene quando torneremo. Volevo solo che lo sapessi.”
I loro sguardi si incrociarono e Theo rimase sconvolto da quanto quelli di Selena fossero vuoti. “Grazie di avermi avvertito.” Fece per voltarsi e tornare in casa, quando si soffermò. “Tornerai?”
Theo soffocò uno sbuffo derisorio. Il dolore iniziava appena a superare lo stordimento. “Sì. Sono sicuro che prima o poi ripasseremo di qui. Non so quando, però.” Fece di tutto per mantenere un tono calmo e neutro.
Lei si irrigidì, poi fece cenno di sì col capo. “Abbi cura di te, Theo.”