Sedici

Lou è il tuo giorno fortunato!” esclamò Theo facendo il suo ingresso nella Sala Giochi. “Si va a caccia di Cacciatori.”

Stranamente, non ottenne risposta. “Lou?” chiamò ancora camminando in quello spazio di cui, ormai, avevano preso possesso. I computer erano accesi come sempre, ma erano partiti gli screensaver e, dato che Lou li aveva impostati per attivarsi dopo venti minuti, era chiaro che fosse via già da un po’.

Dove cavolo poteva essere? Erano le nove di sera passate e, si sa, i vecchietti devono andare a nanna presto. O, se proprio non volevano saperne di dormire, dovevano lavorare al loro progetto. Più che seccato, anzi quasi furioso, Theo prese posto al PC più vicino e premette un tasto per far andar via il salvaschermo e vedere a cosa stesse lavorando il fratello.

Niente. Quell’idiota aveva smanettato col video del nuovo gioco della caccia al tesoro di Brad Blizek che forse aveva a che fare col geocaching. Una buona idea, almeno nel 2010.

Arrabbiato, agitato e distratto, Theo si mise a scartabellare i file contenenti video e mockup del gioco. Uno in particolare gli balzò all’occhio: osservò più attentamente uno degli screenshot del prototipo e raggelò. Porca puttana.

Era proprio lì.

Il simbolo del Culto di Atlantide, completo di svastica, piramide e onde stilizzate. Era lì, sulla schermata del gioco. Porca puttana.

Le dita di Theo si liberarono dal torpore mentre iniziava a cliccare su varie parti del gioco. Forse tutto quello di cui aveva bisogno era proprio lì, in quel videogame chiamato Tremor. Cazzo. “Farà tremare la Terra.” Era così che aveva detto.

Era tutto lì. Davanti ai suoi occhi.

Dopo qualche minuto ebbe un’ispirazione e inserì una serie numerica che, secondo la loro teoria, rappresentava delle coordinate decimali e… bingo! Venne fuori una delle liste per il geocaching nel “mondo reale”, integrato nel gioco.

Esaltato, Theo approfondì la propria ricerca tra file, appunti e mockup del videogame. I siti del “mondo reale” dove trovare i geocache elencati in Tremor erano solo quindici, ma nelle informazioni sottratte agli Stranieri c’erano venti codici numerici.

Nel 2010 il geocaching era un passatempo che poteva essere considerato ora un gioco per famiglie, ora uno sport estremo: un sito web apposito riportava le coordinate geografiche per una sorta di Caccia al Tesoro globale, in cui i partecipanti usavano dei GPS per individuare l’esatta collocazione di un geocache nel giro di pochi metri quadrati. Il “tesoro” era un contenitore resistente agli animali e alle intemperie (tipo quelli usati per le munizioni) e dentro poteva esserci di tutto: qualche dollaro, dei giocattoli, un gingillo o anche solo un quaderno su cui aggiungere il proprio nome. Ma nel gioco che Theo aveva davanti i siti dei geocache erano qualcosa di più.

Erano centri di potere sotterranei e lo scopo del gioco era neutralizzarli uno dopo l’altro, per impedire a una bomba di detonare e fermare una reazione a catena che, infine, avrebbe fatto tremare la terra.

Far tremare il pianeta e spostare l’asse terrestre del cazzo. Theo dette un’occhiata agli appunti sul gioco e ai file, passando da momenti di ammirazione, ai brividi, a una nausea terribile, quando si rese conto di quello che significava. Quei geocache erano forse i punti in cui il Culto di Atlantide aveva agito per provocare il Cambiamento?

Gli parve di vederle, una serie di esplosioni sotterranee sincronizzate, di altissima magnitudo, che avevano fatto muovere e affondare le placche tettoniche, provocando ora implosioni ora eruzioni, e dando il via a quella reazione a catena che aveva causato terremoti devastanti, tsunami, incendi… e tutte le altre calamità che avevano concorso a distruggere il pianeta.

Era andata così, dunque.

E Brad Blizek aveva creato un videogame che, altro non era, se non una sintesi dei loro piani.

Theo stava ancora fissando il PC, cercando di assorbire la dura realtà di quello che avevano fatto al mondo e alla sua razza, cinquant’anni prima, quando Lou rientrò.

“Ah, sei qui” esclamò, in tono sorpreso. Pensavo ti saresti trattenuto più a lungo, magari tutta la notte” ridacchiò. “Ho visto che ti allontanavi con Selena, dopo cena.”

“Sì, beh, le cose non vanno un gran che bene” rispose Theo a denti stretti. “Lou devi dare un’occhiata qui. C’è tutto… spiega come hanno fatto e, tra l’altro, domani partiamo.”


____


Theo e Lou iniziarono da Yellow Mountain, facendo qualche domanda qua e là sui ficcanaso, nel tentativo di reperire informazioni sufficienti per decidere quale direzione prendere.

Ma mentre erano lì, Theo ricevette delle notizie sconvolgenti.

“Wayne e Buddy se ne sono andati” gli disse Patrick Delicki, lo stesso che, la sera della storia di Vonnie, aveva organizzato le squadre di ricerca. “Spariti circa tre giorni fa.”

“Sono stati gli zombie?” chiese Lou ma Theo scosse il capo. Li aveva visti dal suo nascondiglio sull’albero, durante il raid dei ficcanaso. Il vecchio computer e il motore di automobile, che Seattle e i suoi uomini avevano distrutto, erano loro.

“No, niente cadaveri, nessun segno di aggressione, neppure da parte di qualche animale. Sono scomparsi e basta. La mamma di Wayne è piuttosto sconvolta e la moglie di Buddy partorirà tra qualche mese.” Patrick scosse la testa, le labbra serrate. “Si stavano dedicando a cose che è meglio lasciar stare. Cose pericolose.”

“Scommetto che non è una coincidenza che siano scomparsi giusto due settimane dopo la visita dei ficcanaso, dico bene?” gli chiese Theo.

Patrick si chiuse a riccio e distolse lo sguardo, stringendo gli occhi per scrutare l’orizzonte. “Chi può dirlo.”

Ma non ce n’era bisogno.

“Insomma li hanno presi loro” disse Lou, non appena ebbero lasciato Yellow Mountain. “I Cacciatori.”

“È quello che credo, sì. Ma almeno questo lascia supporre che, circa tre giorni fa, quei bastardi siano stati qui, e seguire la loro pista sarà più facile, se la troviamo.”

“Hai intenzione di dirmelo, cos’è successo con Selena?” chiese Lou mentre si facevano largo tra la boscaglia, diretti al fosso dove era caduto lo Hummer.

“E tu hai intenzione di dirmelo, dov’eri l’altra sera?”

Ma nessuno dei due rispose.


____


Selena guardava fuori dalla finestra mentre quella terribile, dolorosa sensazione pareva azzannarle lo stomaco.

Ancora una volta era calata la notte, a dispetto del suo inane desiderio di tenerla lontana, e col buio arrivavano le domande, il senso di colpa, lo smarrimento.

E quell’odio bruciante, profondo, eterno.

Aveva smesso di portare il cristallo al collo e lo teneva al sicuro nella sua scatolina di legno, in modo da non doverlo sentire diventare caldo mentre attirava gli zombie. Loro potevano percepirlo e lei lo sapeva. E arrivavano, si ammassavano, innalzavano lamenti e grida… al di fuori delle mura.

Vedeva da lontano il bagliore dei loro occhi arancioni. Ne udiva i gemiti.

Li odiava. Eppure quelle grida la impietosivano, quelle grida che solo lei capiva.

Ma non faceva niente.

Sammy, Sammy. Spero tu riposi in pace. Mi dispiace così tanto.

Dio, quanto le mancava. La casa era così silenziosa. Era come se le avessero staccato un pezzo di cuore. Un pezzo della sua vita… andato.

Sedici anni. Non sarebbe mai diventato un uomo, la promessa che aveva visto in lui non sarebbe stata mantenuta, quella sua gentilezza, quella reverenza verso il mondo e tutte le creature viventi. Sarebbe potuto essere un bravo padre. Quel senso di vuoto lacerante che sentiva dentro non sarebbe mai scomparso. Mordeva e graffiava.

Selena guardò verso ovest, si asciugò una lacrima e si chiese dove fosse Theo. Se era al sicuro. Cosa facevano lui e quel vecchio, quel Lou e se mai sarebbero tornati.

Theo si era insinuato nella loro casa, nella sua vita e le mancava.

Perché l’ho di nuovo allontanato?

Eppure, se chiudeva gli occhi, vedeva il suo volto scuro, una maschera di rabbia e determinazione, gli occhi che brillavano di una luce violenta. Vedeva gli spruzzi di sangue, i brandelli di carne, sentiva il bastone fendere l’aria quando lui lo faceva roteare per poi abbatterlo sui mostri.

Come avrebbe mai potuto superare quella sensazione quando, ora, la stessa voglia di violenza si agitava in lei?

Distolse lo sguardo dalla finestra e dagli occhi arancioni che brillavano oltre le mura. Invece di dirigersi verso il proprio letto, scese giù per controllare uno dei pazienti, ormai dormiva poco ed erano soltanto sonni agitati.

Il respiro di Reggie Blanchard era debole e affannoso e Selena gli sedette accanto, osservando la nebbiolina grigia vorticare e spandersi sopra di lui. I riflessi argentei si vedevano bene nonostante il buio, come se quei corpuscoli fossero in grado di catturare anche la minima fonte di luce. Era un uomo anziano, aveva più o meno l’età di Vonnie, e stava morendo di vecchiaia, scivolando dalla vita verso la morte. Negli ultimi due anni, dopo che la moglie era spirata, accudita da Selena, aveva vissuto a Yellow Mountain lavorando come fabbro. Ora la moglie e la sorella lo aspettavano, circondate dall’alone azzurro dell’oltrevita, ritirate in un angolo, come le guide erano solite fare. In attesa.

Selena fissava il vuoto, avvolta in una nebbia di torpore e apatia, tenendo la mano grande e nodosa di Reggie. Il silenzio della notte era lacerato dai richiami distanti Ruuuu-uuuuthhhh.

Mamma.

All’inizio pensò fosse un sogno e di essersi, finalmente, addormentata. Quella voce era nella sua testa, sepolta nella mente, eppure si guardò intorno. Ed eccolo lì, Sammy.

Nell’angolo, insieme alla moglie e alla sorella di Reggie. Le due donne le sorrisero, ma Selena se ne accorse a malapena.

Te l’avevo detto che non ti avrei lasciato del tutto.

“Ciao Sammy, mi manchi.” Le lacrime le pungevano gli occhi mentre lo guardava. Pur concentrandosi, non riusciva a distinguere i dettagli della sua figura, a parte gli occhi. Eppure sapeva che era lui.

Mi manchi anche tu e sono preoccupato per te.

“Starò bene. Ma mi serve tempo.”

Reggie passerà oltre molto presto. Io e la signora Blanchard siamo qui per aiutarlo. Era sempre così gentile con me quando lo vedevo in paese.

“E quindi hai un nuovo lavoro? Aiutare la gente a passare oltre?” Le venne quasi da sorridere.

Tale madre, tale figlio. A volte verrò a dare una mano, come una sorta di accompagnatore.

“E stai bene?”

Sì. Non puoi immaginarti come sia qui.

“E non posso chiedere altro, vero?”

Mamma, devi provare a ricominciare a vivere.

Selena aggrottò la fronte, ricacciando indietro le lacrime. “Non sono sicura di sapere come fare.”

Mi hanno detto che devi trovare il modo.

Più facile a dirsi che a farsi, pensò.

Devo andare. Torno fra poco per il signor Blanchard.

“Ok. Ti voglio bene.”

Ti voglio bene anche io.


____


Quando Selena riaprì gli occhi, era ancora buio. Gli zombie mugolavano e il cristallo, su, nella sua scatola, brillava.

Fissò l’angolo dove aveva visto Sammy e le si strinse il cuore.

Mamma, devi provare a ricominciare a vivere.

Immaginò di salire le scale, prendere il cristallo, metterlo al collo e uscire. Chiuse gli occhi e quasi sentì gli zombie che le si avvicinavano, le sembrava di percepire la puzza orribile e le loro mani immonde e disperate che la toccavano.

E poi si vide esplodere in un violento uragano, colpendoli, straziandoli, ferendoli ancora e ancora finché non rimanevano che pile di corpi, carne e ossa.

Vide la luce della speranza spegnersi nei loro occhi insieme al bagliore arancione, mentre crollavano ai suoi piedi.

Lo stomaco si contrasse e si ribellò, lei si tirò su a fatica, appoggiandosi al letto di Reggie e corse in bagno. Quando rialzò la testa e si pulì la bocca aveva le guance bagnate di lacrime, lacrime di smarrimento, frustrazione e paura.

E Vonnie era lì, in piedi, che la guardava, addolorata e preoccupata.

“Selena” le disse aiutandola ad alzarsi. “Stai bene?”

Non so se starò mai più bene in vita mia. “Grazie, è tutto a posto, solo mi sento un po’ male.”

“Vuoi parlarne?” le chiese la sola madre che avesse mai conosciuto.

Selena scosse il capo, realizzando in quel momento che l’unica persona con cui avrebbe voluto parlare era Theo.

Ma lui se n’era andato.