Premessa

Gli scritti raccolti in questa parte mostrano Musatti al lavoro in stanza di analisi. Alla figura più conosciuta del professore e del ricercatore si affianca quella del terapeuta impegnato nella cura di pazienti, numerosi, più di quanto si sarebbe potuto pensare, con situazioni complesse, ai limiti dell’analizzabilità. La successione dei casi presentati si svolge, in modo quasi naturale, dall’analisi di situazioni specifiche, utili per approfondimenti della teoria, all’interesse per la relazione con il paziente e per le vicende transferali che si attivano nel rapporto con l’analista.

Ma già nei due splendidi primi colloqui riportati in forma diretta «abbandonandomi a un certo gusto, se non letterario, narrativo»,1 lo vediamo impegnato a comprendere emotivamente il paziente, in sequenze transferali serrate, con la capacità di unire desiderio di farsi carico del disagio psichico del caso e funzionamento della mente psicoanalitica al lavoro, che attinge a una limpida comprensione dei meccanismi in gioco, senza moralismi. I colloqui si riferiscono, in Ladro in pericolo a un ladro abituale, in Agorafobia a tradimenti coniugali coatti di una paziente che non li vuole abbandonare, perché sentiti essenziali al suo funzionamento psichico.

Gli scritti successivi evocano con intensità figure di pazienti che emergono con la loro stagliata umanità, come la pianista russa Maria, «chiusa in una sua impostazione narcisistica», di Concertista senza ascolto,2 che chiede un’analisi per superare la sua inibizione fobica a suonare davanti a un pubblico. «Nulla va perduto», afferma in Subito, perché non avvenga domani,3 a proposito di una paziente che interrompe l’analisi perché teme che l’analista muoia. Qui appare in evidenza la consapevolezza clinica di Musatti, relativa alla convinzione che nella cura, oltre l’insight, svolga una funzione essenziale la relazione paziente-analista, come illustra in Vaghe stelle dell’Orsa, sulla consultazione richiesta da un’astrologa che non riesce ad affrontare il lutto per un’isterectomia, che si rivela sensibile e intelligente, con buone doti di contatto con i suoi clienti, diversi ma anche simili a quelli che vanno dallo psicoanalista. Le osservazioni cliniche sono sottili e profonde, e talvolta si affacciano sull’orlo dell’intreccio tra patologia individuale e mutamenti sociali, come nel saggio Omosessuali, in cui l’omosessualità è descritta come una dimensione socialmente discriminata e fonte di sofferenza perché non accettata dal soggetto stesso.

Le patologie più citate sono le fobie: in Chi ha paura del lupo cattivo? Musatti ne spiega le ragioni, introducendo approfondimenti teorici che vanno nella direzione dell’analisi delle psicosi. Osserva che alla base di ogni forma di fobia sta la paura del lupo cattivo, che è paura di se medesimi, che blocca la libertà associativa, che spinge a organizzare difese fobiche o ossessive, fino alla proiezione all’esterno dell’oggetto della paura, fino al delirio, alla persecuzione del paranoico, che tuttavia ha il vantaggio di godere di un senso di grandezza: «Se tutto il mondo gli è ostile, egli acquista in importanza e potenza».4

Il lupo cattivo rappresenta qualcosa di inconscio che è al centro del cuore dell’uomo e che contrasta con l’immagine che ciascuno si è fatta di se stesso: «Quello che sta lì in agguato, il lupo cattivo, e che – a meno di non farci amicizia e conoscenza (come dovrebbe accadere ad uno psicoterapeuta) – è pronto a far scatenare l’angoscia, la quale minaccia di travolgere ciascuno, e di avvelenare a ciascuno l’esistenza».5