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La domestica francese sapeva fare magie con l’aspirapolvere!

Joe Northwood, una volta entrato nella casa di Scottsdale che stava custodendo per il periodo invernale, non poté fare a meno di apprezzarne la pulizia. Lui non aveva mai avuto una domestica al proprio servizio e non si sarebbe certo convertito all’idea, se a pagare non fosse stato il proprietario, Edgar DeWitt.

Il signor DeWitt doveva aver sborsato una discreta sommetta. Quel luogo era stato tirato a lucido con cura maniacale. Tutte le superfici brillavano e c’erano vasi di fiori disseminati in ogni stanza. L’aria profumava di limone e di pino silvestre.

Quando Joe aveva risposto all’annuncio di Edgar DeWitt, non immaginava che il pacchetto prevedesse simili extra superlusso.

In preda alla curiosità, si diresse al piano superiore, ansioso di visionare la sua camera. C’erano altri fiori!

Avrebbe potuto abituarsi a quelle attenzioni. Era un trattamento che, di solito, veniva riservato ai clienti di un albergo a cinque stelle. Si aspettava un cioccolatino sul cuscino.

Vi trovò un biglietto. Profumava anche quello.

Signor Northwood,

ho lavato le lenzuola con un detersivo per pelli delicate. Qualora questo le causasse qualche irritazione, non esiti a comunicarmelo. Se ha preferenze in fatto di fiori, sarò lieta di accontentarla. La sua soddisfazione è il mio obiettivo.

Au revoir,

Darcie

Joe accostò il biglietto al naso e ne inalò la fragranza. Poi, chiuse gli occhi, come se quell’essenza potesse inviargli un’immagine telepatica dell’autrice della missiva.

«Vedo occhi scuri come cioccolato fondente, ciglia più lunghe della frangia di un tappeto persiano, capelli di seta e un corpo da fare invidia alla cheerleader dei Dallas Cowboys

Joe sospirò e annusò nuovamente il biglietto in cerca di ispirazione. «Indossa... cachemire e seta. Parla con uno spiccato accento francese, ma sa farsi capire, quando intende comunicare a un uomo che lo desidera.»

Sorridendo, Joe decise di scriverle due righe di risposta. Si procurò una penna e... Aveva girato il biglietto, quando gli venne un’idea migliore.

Uno dei suoi colleghi si divertiva a realizzare carta da lettere personalizzata con il computer di casa. Avrebbe potuto farsene confezionare una con le iniziali blu inchiostro. Una donna di classe come Darcie lo avrebbe apprezzato.

«Gus, coraggio, fa’ il bravo.» Darcie chiuse il pannolino con una mano, mentre con l’altra tentava di immobilizzare le gambette del bambino. «Ho i minuti contati. Hai proprio deciso di farmi fare tardi? Sai che oggi dobbiamo tornare da Joe Northwood? Ho capito. Sei più geloso di un trifoglio in un vaso di orchidee, come avrebbe detto tuo nonno Angus. Ho visto una sua foto da piccolo. Siete identici. A volte giurerei di vedere il suo spirito brillare nei tuoi occhioni di bosco.»

Gus rise e scalciò. Non è escluso!

«Sta’ buono. Mi sembra di vestire una specie di anguilla. Sei tutto O’Banyon, senza una stilla di Butterworth. Il che, sia detto fra noi, forse è un bene, visto che tuo padre è la copia sputata del fondoschiena di un mulo.»

Darcie corrugò la fronte. «Scusami, amore, secondo gli esperti di puericultura non bisognerebbe sparlare dell’altro genitore, ma sono troppo contenta che tu somigli a me e al tuo defunto nonno e non a quel demonio travestito da uomo che abbiamo avuto la sfortuna di incrociare sul nostro cammino.»

Gus sorrise scoprendo gli incisivi, gli unici denti che gli fossero per ora spuntati. Tra pene indicibili.

Darcie recuperò una magliettina dalla cesta della biancheria. «Tu che dici, Joe Northwood è un irlandese moro? Ho trovato un paio di capelli neri sul suo pettine. Ha un cognome britannico. Forse è irlandese per parte di madre. Adoro i bruni. Hanno una luce misteriosa nello sguardo.»

Gus si succhiò il pollice e la guardò. Io li preferirei ricchi e affidabili.

«Esclusi i presenti, naturalmente. Il rosso su di te è assolutamente perfetto. A giudicare dalla taglia, direi che è alto almeno un metro e ottanta. Non porta camicie inamidate e non ciancica i pantaloni. Un particolare che non mi dispiace. E qualcosa mi dice che ha un corpo da sballo. Ti rivelerò un segreto, ma devi promettermi che non ne farai parola con nessuno, perché lui è un cliente e l’informazione è strettamente confidenziale. Dorme nudo. Me lo ha confessato lui stesso in un biglietto. Il detergente non mi ha irrita to la pelle. Il che è un bene per chi non crede nell’utilità dei pigiami, c’era scritto.»

Si concesse una pausa e si fece vento con la mano. «Gesù, Giuseppe e Maria, ce n’è quanto basta per mandare una donna in ebollizione!»

Una prospettiva tutt’altro che rosea.

Darcie infilò al bambino la tutina. «Per come la vedo io, un uomo che dorme nudo è, per definizione, una persona sensuale e sicura del proprio corpo. Non mi sorprenderei se fosse anche intelligente. La sua grafia lo lascia supporre.»

Gli allacciò le scarpette e lo fece alzare in piedi. «Lavora per la Home World, quel negozio di arredamento a nord di Scottsdale, e dev’essere un dirigente perché la sua carta intestata è molto elegante. Un uomo che dorme nudo e ha carta da lettere con le sue sole iniziali incise sopra, forse, addirittura, manda avanti l’intera baracca.»

«Northwood!»

Joe contenne un gesto di stizza e si scusò con la cliente cui stava consigliando sedie di castagno per la sala da pranzo.

«Sì, signor Rucker?» Quella nullità di un nanerottolo gettava sicuramente un discredito immeritato su tutti i soggetti che la natura aveva penalizzato con una statura inferiore alla media.

Rucker spinse in fuori il ventre rotondeggiante, come una rana che si gonfi per apparire più grossa e aggressiva. «Abbiamo bisogno di qualcuno al reparto giardinaggio. Un idiota ha infilzato i sacchi di concime con il carrello a forca e ora il reparto è tutto pieno di me... di concime. Bisogna ripulire in fretta.»

Joe aveva affinato una tecnica per tenere sotto controllo la pressione arteriosa in presenza di Rucker. Si immaginava che la fibbia della cintura del nanerottolo cedesse sotto il peso del suo ventre prominente e che lui si ritrovasse con i calzoni alle caviglie nel bel mezzo del negozio, possibilmente sotto gli occhi di un cliente di sesso femminile.

«Forse lei può essere d’aiuto alla signora» replicò. «Voleva vedere altre sedie di castagno.» Sapeva che i mobili erano tabù per Rucker, ma che quello non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura.

«Naturalmente. Prego, da questa parte. La grana del castagno è...»

Joe si allontanò discretamente.

Spalare concime gli diede il tempo di pensare soprattutto alla telefonata di Derek. Il cugino lo aveva chiamato la sera prima per annunciargli che era pronto ad aprire quel negozio tutto loro a Denver, a partire dal primo dell’anno.

Joe aveva messo da parte qualche spicciolo, ma non abbastanza...

Se fosse riuscito a racimolare altri tremila dollari per coprire la quota iniziale, avrebbe potuto mollare l’attuale lavoro e correre a Denver. Quanto gli sarebbe piaciuto poter consegnare a Rucker la sua lettera di dimissioni, sapendo che non avrebbe più dovuto lavorare per conto terzi, per il resto della sua vita.

Naturalmente, avrebbe dovuto informare Edgar DeWitt in anticipo, così da consentirgli di trovare un altro custode per la casa. E avrebbe dovuto dire addio alla... domestica francese.

Joe abbozzò un sorriso. Lei gli stava decisamente facendo il filo. Nel suo ultimo biglietto gli aveva comunicato di aver fatto un’accurata selezione delle lenzuola per scegliere le più soffici da mettergli nel letto, tenuto conto della sua repulsione per i pigiami.

La carta intestata e il dettaglio sulle sue preferenze notturne in materia di abbigliamento non dovevano essere passati inosservati. Il mercoledì precedente, al posto del solito bouquet sul comodino, lei gli aveva lasciato un unico bocciolo di rosa scarlatta. Prima di venire al lavoro, quel mattino lui lo aveva sfilato dal vaso e ne aveva sparpagliato i petali sulle lenzuola.

Si immaginava già la reazione di lei. Le francesi avevano fama di essere donne sensuali e disinibite. Gli pareva quasi di vederla mentre si spogliava e si rotolava sul letto per sentire quei petali contro la pelle...

«Northwood!»

Se Rucker non lo avesse strappato con violenza a quel sogno a occhi aperti, lui non avrebbe perso il controllo del contenuto della pala. E se non gli si fosse materializzato alle spalle all’improvviso, quella roba sarebbe finita nella carriola cui era destinata... Anziché sull’indisponente caporeparto.

Non lo aveva fatto apposta.

E avrebbe meritato molto più credito per il solo fatto di non essere scoppiato a ridere. Gli era costato uno sforzo sovrumano rimanere impassibile, ma ci teneva al posto. Se avesse mosso anche soltanto un muscolo, sarebbe stato licenziato in tronco.

Petali di rosa sul letto. Che idea romantica!

Darcie si domandò se lui avesse dormito su quei petali o se li avesse semplicemente disseminati perché lei potesse vederli. Se Gus non fosse stato di sotto nel box, si sarebbe sfilata jeans e maglietta e vi si sarebbe distesa. Anche solo per un minuto.

Era ciò che lui voleva che facesse? Il solo pensiero le diede la pelle d’oca. Quel gioco era un innocuo diversivo e lei aveva giusto bisogno di una distrazione sentimentale. Non aveva tempo per storie importanti, e quella sciarada era perfetta. Darcie recuperò i petali e si precipitò da Gus.

Le pulizie della casa monopolizzarono le sue attenzioni durante l’ora successiva, ma, prima di andarsene, lasciò al piano superiore qualche rigo scritto su uno dei suoi soliti biglietti profumati.

Signor Northwood,

rifarle il letto è stato particolarmente piacevole, oggi. Spero che non le dispiaccia se porto a casa i petali. Sono deliziosi nella vasca da bagno.

Au revoir,

Darcie

Depose un costoso cioccolatino sul biglietto. Recuperò gli attrezzi, caricò Gus in macchina e si apprestò ad assolvere un compito di gran lunga meno piacevole: le pulizie settimanali a casa Butterworth.

Era lì che aveva conosciuto Bart Junior, impareggiabile maestro di toccate e fughe.

La signora Butterworth, Trudy, un nome che Darcie non aveva mai pronunciato, usava il giorno riservato alle pulizie per giocare con il nipotino. Un privilegio che Darcie non aveva il coraggio di negarle, per quanto la rendesse nervosa.

Mentre lei lucidava il tavolo della sala da pranzo e pensava a Joe e ai suoi petali di rosa, Trudy entrò nella stanza reggendo Gus tra le braccia. Alta, bionda ed elegantissima non sembrava molto a suo agio con il piccolo.

«Capisco che tu abbia voluto dargli il nome di tuo padre, ma dovresti chiamarlo con il secondo nome. Gus è ridicolo per un bambino.»

Il bimbo le si dimenò tra le braccia. Possa venirti l’orticaria, nonnina!

«A me piace» replicò Darcie nel tono più soave che le riuscì. «Mio padre diceva sempre che ha il suono della pioggia di aprile su un tetto di paglia.»

«È una definizione particolarmente poetica per un nome tipicamente irlandese, ma gli irlandesi, si sa, sono gente povera e Gus sembra proprio il nome di un contadino.»

«Non ho nulla contro chi lavora nei campi.»

Darcie strofinò il panno con vigore per dissimulare il temperamento sanguigno ereditato dai propri avi. Tutti rigorosamente agricoltori.

Non poteva perdere le staffe con la signora Butterworth. Era stata la sua prima cliente e l’aveva introdotta nel suo giro di amicizie, nell’esclusivo quartiere di Tannenbaum, a Scottsdale. Poter contare su tanto lavoro le consentiva di programmarsi comodamente le sue giornate.

Ma Darcie sapeva anche che Trudy poteva toglierle tutto, dalla sera alla mattina. Le bastava insinuare, durante una partita di bridge con le amiche, che un oggetto di valore era sparito in casa sua dopo la visita della domestica francese, perché la sua fiorente attività accusasse una definitiva battuta di arresto.

Come se non bastasse, la signora Butterworth aveva un altro asso nella manica. Avrebbe potuto toglierle Gus. Lei e il marito potevano offrire al piccolo ogni genere di agio, mentre Darcie riusciva a fatica a mettere da parte qualche centesimo nella scatola dei biscotti.

Probabilmente, il giudice sarebbe stato dalla sua parte, tuttavia ai Butterworth sarebbe bastato assumere un avvocato dotato di buoni strumenti dialettici per riuscire a spuntarla. Quindi, Darcie doveva guardarsi bene dal provocarli.

Suo padre le aveva insegnato che chi aveva il denaro stabiliva le regole: un insegnamento che lei doveva avere momentaneamente rimosso quando si era imbattuta in Bart Junior, ma che le sarebbe rimasto marchiato a fuoco nella mente per il resto dei suoi giorni.

«Suppongo che i contadini abbiano una loro collocazione» riprese Trudy, «però preferirei che non fosse nella mia famiglia. L’altro giorno pensavo che sarebbe stato meglio se tu fossi stata veramente francese, anziché spacciarti soltanto per tale.»

«Purtroppo, non parlo quella lingua.»

«A questo si può rimediare. Nella nostra famiglia tutti parlano francese. E questo mi ricorda che ho sentito Bart Junior, ieri. Ahi! Mi fai male, Gus!»

Volevo soltanto vedere se erano tutti capelli tuoi.

«Fa’ il bravo, Gus» lo ammonì Darcie contenendo un sorriso.

«Bart Junior non è un ragazzo cattivo» proseguì Trudy.

«Certo.» Era un uomo cattivo!

«È un sognatore e purtroppo doveva inseguire il suo sogno.»

«È vero. Ha sempre avuto la testa tra... le nuvole. Sono felice che sia riuscito ad andare in Amazzonia.»

Forse i coccodrilli le avrebbero reso giustizia.

«Sei una ragazza generosa. Sono lieta che tu abbia compreso come lui sia uno spirito libero che ha in orrore le convenzioni.»

Darcie le sorrise. «Già. Preferisce fissarle lui le regole.»

«Mi fa piacere che tu non gli porti rancore, perché sono certa che, quando si sentirà pronto, tornerà e si assumerà tutte le sue responsabilità di padre.»

L’idea la terrorizzava. Darcie aveva udito molte storie di padri che si facevano vivi dopo anni, per accampare diritti sui figli. Se un giorno fosse accaduto anche a lei, sperava di essere pronta.

Innanzitutto, doveva garantirsi una stabilità economica, il che rendeva indispensabile che tornasse a scuola. In secondo luogo, se Bart Junior fosse ricomparso, voleva che la trovasse sposata. Incontrare l’uomo giusto non era facile e non poteva gettarsi tra le braccia del primo venuto, tuttavia doveva assolutamente creare le condizio ni per strappare Gus alle grinfie del padre.

«Se soltanto tu ci permettessi di pagarti la retta, potresti terminare i tuoi studi da arredatrice» proseguì la suocera.

«È gentile da parte sua, signora Butterworth.»

«Chiamami Trudy, cara. Te l’ho chiesto almeno un migliaio di volte, ma tu ti ostini a chiamarmi per cognome.»

«Lei è una mia cliente, signora Butterworth. Se mi abituo a chiamarla per nome, potrebbe sfuggirmi anche in presenza di estranei. La mia regola è: non familiarizzare mai con i datori di lavoro.» Gli scambi epistolari con il signor Northwood ovviamente non facevano testo.

«Certo, ai tuoi clienti non piacerebbe che tu dimenticassi la tua posizione rispetto a loro.»

Gus le infilò un dito nell’occhio.

«Ahi! Gus, sei particolarmente monello, oggi!» Trudy si asciugò l’angolo dell’occhio con la punta delle dita per non rovinarsi il trucco. «E dei tuoi studi, che mi dici?» tornò all’attacco. «Se non erro, ti occorre un paio di migliaia di dollari. Potresti anche inserirci un corso di francese. Ti staccherò un assegno oggi stesso, in modo che tu possa riprendere le lezioni a gennaio.»

Darcie si sforzò di pensare velocemente. «Attendo notizie dell’eredità di mio padre. Con un po’ di fortuna, dovrei entrarne in possesso per tempo. Se così non fosse, glielo farò sapere. Terrò la sua offerta come riserva qualora ne avessi bisogno, ma credo di potermela cavare da sola.» Suo padre non le aveva lasciato neanche un centesimo, però, almeno, le aveva trasmesso il dono dell’adulazione e dell’improvvisazione.

«Be’, se sei in attesa di denaro...»

«Sì, è praticamente certo» mentì lei. Molto presto avrebbe dovuto ridimensionare il suo tenore di vita. Finché Gus non camminava, poteva portarlo sempre con sé. Tuttavia, non appena fosse stato in grado di reggersi in piedi, avrebbe dovuto inventarsi qualcos’altro.

«Saremmo tutti sollevati se riuscissi a completare gli studi e a intraprendere una professione. La situazione è un po’ imbarazzante, al momento...» Trudy si interruppe e arricciò il naso. «Sarà meglio che ti riprenda Gus. Temo che abbia fatto qualcosa di disgustoso nei pantaloni. Io devo andare. Sono attesa da Madge Elderhorn tra meno di dieci minuti.»

«Le porga i miei più deferenti saluti.»

«Lo farò. Non dimenticare di chiudere la porta a chiave, quando te ne vai.»

Joe reggeva il biglietto di Darcie in una mano, mentre camminava su e giù per la cucina cercando di decidere che fare. Quella donna... trasudava buongusto.

E sicuramente lo desiderava abbastanza da gratificare il suo io. Per quale altro motivo avrebbe dovuto lasciargli la rosa? E un cioccolatino, la settimana successiva?

Lui aveva già il suo numero di telefono. DeWitt glielo aveva fornito insieme a quello del giardiniere, dell’idraulico, dell’elettricista e del derattizzatore.

Tuttavia, gli occorreva una scusa per chiamarla... Non era escluso che lei flirtasse con tutti i clienti. Una telefonata gli avrebbe chiarito le idee. Avrebbe potuto chiederle dei fiori particolari. Dei fiori sexy. DeWitt aveva ogni genere di manuale nella biblioteca dello studio. Gli bastava trovare quel che faceva al caso suo ed era fatta.

Un attimo dopo, Joe era nello studio a sfogliare un libro di botanica. Le rose erano inflazionate, le margherite troppo verginali e i garofani da ballo studentesco. Trovato! I tulipani. Avevano una loro personalità, tipicamente europea. A una francese sarebbero piaciuti.

A quell’ora, lei stava probabilmente a mollo tra le bolle di sapone e sorseggiava un vinello francese... con i petali del suo letto che galleggiavano sull’acqua profumata di sali da bagno.

Joe richiuse il volume e si fiondò in cucina. Il numero di Darcie era su un foglietto sistemato sotto il telefono. Il filo diretto con la patria di Robespierre e Brigitte Bardot stava per essere stabilito.