Joe non poteva fare a meno di biasimarsi per il disastro. Aveva incoraggiato la domestica a vederlo come qualcosa di più di un semplice cliente e lei si era sentita in diritto di fare festini nella casa che lui era pagato per custodire.
Il loro rapporto andava rimesso sui giusti binari, ma, se lei aveva provocato danni, sarebbe stato lui a pagarli. Non poteva denunciare l’incidente alla compagnia di assicurazioni e lasciare tracce di un’orgia di cui DeWitt potesse un giorno venire a conoscenza.
Avrebbe innescato interrogatori a catena. Se DeWitt avesse chiesto delucidazioni a Darcie, lei avrebbe potuto rispondergli che Joe le aveva fatto delle avances. E addio referenze! Il suo curriculum sarebbe rimasto macchiato per sempre.
La sua unica speranza era che i danni fossero di lieve entità. Soffriva al pensiero di dover dar fondo ai suoi scarsi risparmi e procrastinare l’apertura del negozio con Derek.
Ma le renne! Non aveva neanche mai sentito di qualcuno che si fosse trascinato una renna in città per arrostirla. Per fortuna era accaduto prima del loro appuntamento di sabato sera...
Mentre imboccava il vialetto, Joe notò che si era radunato un gruppetto di vicini. Era prevedibile, tenuto conto del baccano che Darcie e i suoi compari dovevano aver fatto. In compenso, doveva aver rimosso i corpi, poiché non vedeva esseri svenuti di sorta, sul prato.
La porta del garage era aperta e un’auto era parcheggiata all’interno, un vecchio catorcio sicuramente di proprietà dell’attempato Babbo Natale con il debole per il succo d’uva.
Sul vialetto c’era la coppia di mezza età che abitava nella villa oltre la strada, gli Eiderdown, o qualcosa del genere. DeWitt gli aveva confidato come i due costituissero una vera piaga sociale e lui aveva fatto di tutto per evitarli.
Stavano parlando con una rossa supercarrozzata che teneva un bambino in braccio. Probabilmente si stavano chiedendo se non fosse il caso di chiamare la polizia.
Joe emerse dal furgone e si avviò cautamente verso il gruppo, dissimulando il suo stato di crescente agitazione.
Gli Eiderdown, o Evenrude, avevano un’espressione grave, che non prometteva niente di buono. Il marito era una specie di gnomo ossuto, mentre la moglie, più alta e robusta, ostentava i lineamenti di un mastino.
Quanto alla mamma con figlioletto, era decisamente graziosa. Ciocche ribelli rosso carota le incorniciavano l’ovale del viso, punteggiato di efelidi e illuminato da grandi occhi verde foresta.
Era la prima volta che lui non restava indifferente al fascino di una madre completa di pargolo, e quella scoperta lo impensierì. Aveva sempre preferito donne alte, snelle. E, soprattutto, senza discendenti.
Di bambini lui ne aveva fin sopra i capelli. Aveva quattordici anni quando sua madre aveva messo al mondo tre gemelli, e nei due anni successivi aveva cambiato un numero tale di pannolini da bastargli per tutto il resto della vita.
La rossa pareva nervosa. Forse si stava interrogando sulla moralità del nuovo vicino.
«Buongiorno. Mi è giunta voce che c’erano problemi e sono venuto a controllare. Sono Joe Northwood, il custode.»
«Finalmente conosciamo il misterioso vicino!» esclamò la signora Eiderdown con una luce malandrina negli occhi.
Il marito gli tese la mano. «Sono Herman Elderhorn e lei è mia moglie Madge. Siamo venuti per le renne.»
Elderhorn! Ecco come si chiamano. Joe gli strinse la mano, sperando che il danno fosse riparabile.
«Sono venuto per occuparmi della questione.»
La signora Elderhorn rizzò il busto e sollevò il mento. «In qualità di presidente del Comitato per le Festività Natalizie di Tannenbaum, nonché del Comitato di Benvenuto di Scottsdale, devo obiettare riguardo alle renne...»
«Capisco» disse Joe. Almeno, in apparenza, nessuno aveva chiamato la polizia. «Me ne occuperò subito.»
«Le ho portate dentro» lo informò la madre del bambino.
«Lei?» Era florida e voluttuosa, ma doveva avere anche nervi di acciaio per aver affrontato da sola un branco di ubriaconi.
«Credevo di farle cosa gradita.»
«Infatti.»
C’era un che di familiare in quella voce. Mentre continuava a fissare quegli occhi, Joe notò che erano cerchiati di rosso, come se soffrisse di allergie o avesse pianto da poco. Improvvisamente, un dubbio atroce gli attraversò la mente.
Joe staccò lo sguardo dalla rossa per vagliare l’ipotesi e si sentì vivisezionare dal ghigno di Madge. Gli stava sfuggendo qualcosa. C’era da sperare che non fosse stato scelto come vittima di una candid camera.
Fu Madge a spezzare il silenzio. «Considerato che le renne sono andate, mi domando che cosa conti di fare.»
«Risolvere la questione il più discretamente possibile, signora Eiderdown.»
«Elderhorn.»
«Mi scusi. Mi libererò delle renne in un battibaleno.»
«Non sarebbe una cattiva idea, però la mia domanda è se intende sostituirle.»
Joe la guardò, interdetto. «Non era mia intenzione far loro del male, ma semplicemente allontanarle dal quartiere.»
«Qualcuno potrebbe ancora usarle, dopo averle fatte asciugare per bene» proruppe Herman.
«Non essere ridicolo. Hai visto anche tu in che stato sono. Bisognerebbe proprio essere ridotti alla disperazione per volerle usare. Sono deformate. Insisto perché siano eliminate.» Madge si rivolse a Joe. «Vuole che me ne occupi io?»
«No, grazie. Provvederò personalmente, signora Elderberry.»
«Elderhorn.»
«Già. Forse riuscirò a trovare un centro di recupero che possa accoglierle.»
Joe non era certo di aver capito quali fossero le intenzioni di Madge e non voleva rischiare. Persino degli ubriachi deformi meritavano una seconda possibilità.
«Allora, che cosa metterà al loro posto?» incalzò Madge. «Dovrà pur pensare a qualcos’altro.»
Joe aveva decisamente perso il filo della conversazione. Ed era inutile provare a negarlo.
«Spiacente, ma temo di non seguirla. Non sapevo che avessero una funzione particolare.»
Fu la rossa a rispondergli. «Signora Elderhorn, non credo che il signor Northwood sia a conoscenza delle norme relative agli addobbi natalizi di Tannenbaum.»
Joe si girò di scatto. Quella voce. Quell’accento irlandese. Ecco dove l’aveva udita.
Colse un’espressione supplice negli occhi di lei, come se temesse una scenata in presenza dei vicini.
«Vede, signor Northwood, tutte le case, ogni anno, a Natale sono tenute ad addobbare gli esterni. Suppongo che il signor DeWitt...»
«Non me ne ha parlato. No» la precedette lui.
Forse era un bambino vero quello che aveva udito strillare in sottofondo. Aveva abboccato come una trota.
Pareva sconvolta. Ed era giusto che lo fosse. Le efelidi spiccavano sul pallore delle gote come la cannella sopra una coppa di panna montata.
«... così, quando la lavatrice ha iniziato a espellere acqua insaponata... questa ha investito Babbo Natale e le sue renne... Le decorazioni per esterni del signor DeWitt sono rimaste danneggiate. Erano di cartone pressato.»
Finalmente capiva. Altro che orgia e renne al barbecue. I capricci di un elettrodomestico avevano rovinato le decorazioni natalizie. E lui che aveva attraversato la città come un forsennato, immaginandosi già interrogato in un’aula di tribunale! Tutto per quattro pupazzi di cartone!
Joe fulminò la presunta domestica francese con un’occhiata che minacciò di incenerirla. L’eterea ninfa europea non esisteva. Lui aveva chiesto un appuntamento a una donna minuta e rotondetta allo stesso tempo. E con un figlio a carico.
Serrò i pugni al ricordo di quei biglietti ammiccanti e di tutte le fantasie erotiche che avevano alimentato in lui. Come aveva potuto giocargli un tiro così mancino?
«Sembra... un po’ teso» osservò la rossa.
Doveva darsi una calmata se non voleva che gli Elderhorn scoprissero fino a che punto si fosse coperto di ridicolo. Joe si stampò un sorriso sulle labbra e la guardò.
«Pardonnez-moi, Darcie!» esclamò.
Con sua somma soddisfazione, lei avvampò e parve a corto di parole.
Le urla monosillabiche di Gus furono per Darcie la ciliegina sulla torta. Joe l’aveva smascherata e, cosa ancor più grave, incarnava esattamente l’ideale maschile dei suoi sogni, almeno quanto ad aspetto fisico.
Al tempo stesso, la maglietta con il logo del negozio, i jeans sbiaditi e il furgone sgangherato non coincidevano con l’immagine che si era fatta di lui. Forse amava confondersi con i suoi dipendenti e si divertiva a riparare furgoni datati...
I jeans e la maglietta gli stavano d’incanto e la mascella quadrata, con quella fossetta sul mento, insieme ai capelli neri e ondulati gli conferivano tutti i numeri di un attore di fotoromanzi.
Darcie non riuscì a scorgere di che colore avesse gli occhi per via degli occhiali da sole da aviatore, ma forse era meglio così. La fronte corrugata non prometteva niente di buono.
Soltanto su Madge Elderhorn non pareva aver avuto nessun effetto. «A quanto pare, signor Northwood, dovrà trovare una decorazione alternativa.»
«Gli darò una mano io» si candidò Darcie. «È il minimo che possa fare.»
«Potremmo sempre riciclare ciò che abbiamo e intitolarlo Incubo natalizio. Potrei recuperare un paio di vecchi copertoni e spruzzarli con la vernice verde, così da farne delle ghirlande di gomma. Qualcuno avrà di sicuro un pino secco da prestarmi. Con qualche giocattolo rotto e una slitta arrugginita, il gioco sarebbe fatto.»
Herman Elderhorn era scoppiato in una fragorosa risata.
«Herman!» lo riprese la moglie.
«Sarebbe una trovata buffa» si difese lui, ritrovando un contegno
Madge gli scoccò un’occhiataccia prima di tornare a rivolgersi a Joe. «Spiacente, ma non la trovo affatto divertente, signor Northwood.»
«Non era mia intenzione esserlo.»
La voce di Joe ebbe uno strano effetto su Gus, che lo guardò fisso. Ti prego, non fare quell’espressione tenebrosa. Non immagini quanto lei ne vada matta.
Darcie non aveva mai visto il figlio ammutolirsi, incantato al cospetto di un estraneo, e si domandò se non fosse un segno del cielo. Tuttavia, non era il momento di pensarci. Doveva solo cercare di ingraziarsi nuovamente Joe, appoggiando la sua idea.
«Che piano creativo!» esclamò.
Il naso rifatto di Madge si sollevò di un paio di centimetri. «È un’idea balzana e improponibile. Questo quartiere è sempre stato rinomato per l’eleganza e il gusto delle sue decorazioni. Non dimentichiamo che la gente paga cinque dollari a testa per farvi un giro e...»
«Cinque testoni?» ripeté Joe.
«Anch’io trovo la quota un po’ esosa» azzardò Herman. «Proporrei tre per gli adulti, due per i bambini e al limite quattro per una famiglia, riservando l’accesso gratuito ai poppanti, agli anziani su sedia a rotelle e...»
«Herman!» lo zittì Madge.
Joe scosse il capo, incredulo. «C’è sul serio gente disposta a sborsare tanti quattrini per vedere delle decorazioni in un giardino?»
Anche Darcie non credeva alle proprie orecchie. Lei non avrebbe mai sborsato neanche un centesimo per guardare luci e addobbi altrui.
«Non capisce. Non stiamo parlando di qualche lampadina colorata appesa a un filo, ma di scene artistiche che si animano di luci e di suoni.»
«Il che non accadde, l’anno scorso, per il pupazzo di neve che ruttava... I Landernoth finirono per confessare che non erano rutti veri, ma la registrazione di uno sturalavandini all’opera. Per questo sono stati squalificati, ricordi?» proseguì Herman, serafico.
«Per cinque testoni, anch’io pretenderei un rutto vero» disse Joe. «E che ne fate del ricavato?»
«Lo doniamo ai senzatetto, tranne cinquemila dollari che vanno al vincitore del primo premio.»
«Date cinquemila dollari al primo classificato?» domandò Darcie. Avrebbe potuto pagarsi le lezioni e un treno di gomme nuove per l’auto. E le sarebbe rimasto ancora un gruzzoletto.
Joe si schiarì la voce. «Questo getta una luce nuova sull’intera questione. Supponiamo che mi aggiudichi il primo premio. A chi andrebbe? A me o al signor DeWitt?»
«Lei non potrebbe mai vincere» gli fece notare Madge.
«Potrebbe, per la barba di San Patrizio!» sbottò Darcie.
Madge, Herman e Joe la guardarono sorpresi.
«Siamo in un paese libero. Chiunque può farcela» chiarì Darcie.
Le parve di cogliere l’ombra di un sorriso sulle labbra di Joe. La signora Elderhorn, invece, non parve affatto compiaciuta. Doveva stare attenta. Madge era una sua cliente. Non poteva rischiare di giocarsela per una parola di troppo.
«Non mi ha detto a chi andrebbe la vincita, qualora io realizzassi la decorazione migliore» insistette Joe.
«Veramente... non saprei» esitò Madge. «Secondo te, Herman?»
Lui si stropicciò il mento e si schiarì la voce.
«Ti ho chiesto un’opinione rapida, non un verdetto da Corte di Cassazione!» lo sollecitò la moglie, strattonandolo.
«Dovrebbe spettare al signor DeWitt, però, se a fare il lavoro fosse il signor Northwood... non saprei. La casa è di proprietà di Edgar, è vero...»
«Il signor Northwood potrebbe esporgli la sua idea e chiedergli se può tenere il denaro in caso di vincita» propose Darcie, pragmatica.
«Ottima idea» approvò Joe. «Edgar è una gran brava persona. Sono certo che mi direbbe che posso tenermi la vincita.»
«E io potrei aiutarla ad allestire le sue creazioni» si offrì Darcie.
Lo sguardo che lui le rivolse era decisamente più gentile di qualche attimo prima. «Grazie dell’offerta, ma credo di potercela fare da solo.»
«Da... da!» Gus tese le mani verso Joe.
Gli sguardi che la madre e il bel tenebroso si stavano scambiando non gli piacevano. Tanto più che lui aveva la netta sensazione di non risultare particolarmente gradito al nuovo venuto.
«Gus, quante volte devo ripeterti di non dare confidenza agli sconosciuti?» scherzò Darcie.
«Si comporta come se conoscesse il signor Northwood» insinuò Madge.
«Lo ha chiamato Gus?» chiese Joe.
«Sì. È il suo nome.»
«È molto grazioso.»
Grazioso un corno! È un nome distinto, adulatore da strapazzo!
«È il nome del mio defunto padre, Angus Sean O’Banyon.»
Joe la fissò. «Strano, non sembra francese» commentò.
«Oh, Darcie non è francese» intervenne Madge. «È irlandese quanto San Patrizio. La storia della domestica francese è soltanto una sua astuta tattica di marketing che sta rendendo piuttosto bene. Non è vero, cara?»
«Non posso negarlo, signora Elderhorn.»
«E sta tenendo il lupo lontano dalla porta» proseguì Madge. «Ma non disperare. Sono certa che Bart Junior tornerà molto presto e darà un cognome a questo angioletto.»
«Ce l’ha già» replicò lei, paonazza.
Forse le intenzioni di Madge non erano malevoli, ma era così abituata a considerare Darcie da inferiore, da arrogarsi il diritto di lavare i suoi panni in pubblico. Si comportava sempre come se ritenesse che una persona che si mantiene facendo le pulizie in casa d’altri non avesse diritto alla propria privacy.
Se Darcie nutriva ancora qualche speranza di preservare una stilla di dignità agli occhi di Joe, con il suo tatto da pachiderma, Madge gliel’aveva decisamente azzerata.
Joe notò il rossore di Darcie e, a dispetto della collera che aveva provato nei suoi riguardi poco prima, sentì che parteggiava per lei. Essere messa incinta da un idiota non doveva essere una bella esperienza. E ritrovarsi oggetto di pettegolezzi in presenza di estranei era anche peggio.
«È un nome che gli calza a pennello. Non credo di aver mai visto un piccolo irlandese più autentico, in vita mia.»
Non fare la commedia con me. Non attacca.
Darcie gli sorrise, grata. «Già. È proprio un bel bambino.»
Quel sorriso lo colpì come una tonnellata di mattoni. Gli occhi le brillavano e due fossette le si erano scavate nelle guance. Persino il suo corpo così curvilineo parve lievitare per la felicità.
Fu allora che Joe decise che avrebbe vinto il primo premio e che lo avrebbe diviso con Darcie. Dopotutto, la metà era più che sufficiente per far decollare il progetto di Denver.
Si rivolse a Herman e Madge. «Progetterò una decorazione esterna e contatterò DeWitt per sapere se posso tenermi la vincita. Se mi risponde di no, mi limiterò allo stretto necessario, ma se mi dice di sì, concorrerò alla grande. Quando iniziano i festeggiamenti?»
«Il quindici dicembre» rispose Madge, stizzita.
«Non mi resta molto tempo.»
«Le consiglierei di optare per lo stretto necessario e risparmiarsi la pena di una disfatta. Noi abbiamo vinto tre anni su cinque e ci siamo classificati secondi gli altri due anni. E quest’anno contiamo di spuntarla ancora.»
«Da chi è composta la giuria?» chiese Joe. Doveva sapere se era una gara pilotata, in cui i vincitori erano puntualmente amici dei giudici.
«Da tre imprenditori di Scottsdale, estratti a sorte ogni anno.»
«Proverò a chiamare DeWitt... Grazie per essere passati, signor Flugelhorn, signora...»
«Elderhorn.» Il sorriso di Madge era glaciale. «Vieni, Herman, andiamo.»
«Lieto di averla conosciuta» si congedò il vecchio, mentre la moglie lo trascinava via.
A metà del vialetto, Madge si voltò. «Ci vediamo venerdì, Darcie. Ti toccano i finestroni. Per qualche strano motivo, i vetri sono tutti impiastricciati.»
«Brilleranno come la rugiada sui petali di rosa» le garantì lei. «E continuerebbero a farlo, se quei cagnacci non vi incollassero il muso, non appena ho finito di lavarli» mormorò quando la coppia ebbe attraversato la strada.
Joe la capiva. Sapeva bene quel che si prova a essere bistrattati. Era uno dei motivi per cui intendeva vincere la gara.
«Entriamo. Ho una proposta da farle!» esclamò rivolto a Darcie. L’ora della riscossa era scoccata.