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La versione deluxe del dispositivo di ascolto a distanza ci aveva messo un’eternità ad arrivare, ma finalmente era nelle mani di Madge.

Approfittando dell’assenza di Herman che stava apportando gli ultimi ritocchi alla sua creazione, Madge si chiuse a chiave nella stanza degli hobby.

Il nuovo modello si rivelò di più complessa installazione, tuttavia, dopo qualche tentativo, lei riuscì a stabilire il contatto.

Ora era in grado di cogliere quasi tutti i suoni di quanto accadeva al di là della strada. La novità più antipatica della faccenda era che, almeno per il momento, non stava accadendo nulla di interessante. E quindi cominciava ad annoiarsi.

Finora, Madge aveva registrato la voce di Darcie che cantava una canzoncina a pel di carota, il borbottio della macchina da cucire, il sibilo di una sega circolare e l’eco di un martello.

Tutte le luci erano spente, segno che gli abitanti di casa DeWitt erano a letto.

Madge stava per sfilarsi gli auricolari, quando un rumore sordo risuonò forte e chiaro. Seguito da un altro e da un altro ancora, finché il ritmo non si fece regolare.

Si tolse gli auricolari prima che le sue orecchie si ustionassero. Poi, li inserì di nuovo. Il rumore proseguiva. Non ci voleva una laurea in fisica per capire di che cosa si trattasse.

Era una cosa scandalosa.

«Non ti stanchi mai di startene sulle mani e sulle ginocchia tanto a lungo?» sussurrò Joe.

Madge si sentì svenire. Era roba a luci rosse e lei la stava incidendo.

«Coraggio, tesoro, so che ti aiuta ad addormentarti, ma dev’essere sfiancante fare tutto questo su e giù

Madge non credeva alle sue orecchie. Joe stava cercando di dissuadere Darcie dal fare sesso, come se non ne potesse più di tutta quell’attività.

Il rumore si interruppe. Lei credette che fosse finita lì. Invece, lui aveva ripreso a parlare. A parlare di... baseball?

Madge provò a immaginare perché mai un uomo avrebbe dovuto interrompere un rapporto sessuale per discutere di sport. Era proprio perplessa. L’unica spiegazione che riuscì a trovare fu che doveva trattarsi di un codice di comportamento in voga presso le nuove generazioni.

Udì il fruscio delle lenzuola.

«Ecco, mettiti giù. Così. Dormirai sicuramente meglio. E anch’io.»

Nel silenzio che seguì, Madge si sfilò gli auricolari con le dita tremanti. Poi, spense il registratore. Quando estrasse la cassetta, temette quasi che le ustionasse i polpastrelli. Quando Trudy l’avrebbe ascoltata...

A ventiquattro ore dall’arrivo della giuria, erano ancora in alto mare. Dopo un rapido pasto cinese, Darcie raggiunse Joe in garage con Gus. Dovevano dipingere quell’enorme coso di nero.

«Hai fatto un ottimo lavoro» si complimentò.

«Lo credi davvero?»

«Ah, siamo anche modesti.»

«I lavori di falegnameria sono la mia specialità. È così che intendo guadagnarmi da vivere dopo che avremo vinto questa gara.»

Darcie sorrise, a dispetto della fitta che le trafiggeva il cuore, al pensiero che parte del loro obiettivo era fare in modo che Joe potesse lasciare la città.

«Sei proprio bravo» ribadì.

«Lieto che ti piaccia, ma ora sarà meglio avviare l’operazione di verniciatura.»

«Metto Gus nel box e ti raggiungo.»

Aiuto! Come potrò fare la mia parte da dietro le sbarre di una gabbia?

Darcie adagiò il bimbo nel box. «Fa’ il bravo e divertiti.»

Non vi lascerò mettermi da parte. Gus scattò in piedi e afferrò la rete.

Joe posò il barattolo di pittura e si girò verso di lui. «Che ti prende, piccolo?»

«Non vuole stare lì dentro quando fuori c’è tanta roba che lo affascina. Non appena comincerò a dipingere, si calmerà e si metterà a giocare con i dadi.»

«Forse è anche lui un carpentiere in erba.»

E tu un idiota adulto.

«Spiacente, Gus, ma Joe e io siamo occupati. Gioca con la palla.»

La palla. Come ho fatto a non pensarci prima? Il piccolo agguantò la palla e la lanciò su Joe.

L’uomo sgranò gli occhi e l’afferrò al volo. «Hai visto anche tu?!» esclamò.

«È un caso. Non ha ancora sufficiente coordinazione per impostare un vero tiro.»

«Forse è più sveglio dei suoi coetanei. Ottimo lancio, amico. Vuoi che notifichi al coach dei Diamondbacks che sei sulla piazza?»

«Voi due avete discusso di baseball?»

«A tarda sera, durante la seduta di dondolamento, vero?»

Tu parlavi di sport. Io tentavo di attirarvi nel l’oscurità della mia camera per lasciare che la natura facesse il suo corso. Però non ha funzionato. La fanciulla va in letargo nel suo letto, la sera.

«So che avevi detto che avrebbe smesso da solo, ma pensavo che...»

«Hai fatto bene. Sono certa che il contatto umano gli abbia giovato.»

E gioverebbe anche a te, se ti lasciassi un po’ andare.

«Credimi, tesoro, non posso prenderti in braccio. Dobbiamo lavorare.»

E va bene, a mali estremi, estremi rimedi... Gus si sporse e addentò la mano di Joe.

«Ahi! Mi ha morso.»

«Oh, no!» Darcie gli prese la mano. «Fammi vedere.»

«Non è grave. Ma non me lo aspettavo.»

«Mi dispiace.»

«A me, no» mormorò lui, con voce di velluto.

Così mi piaci!

Reggendogli la mano tra le sue, Darcie lo guardò. La luce che vide negli occhi di lui la mandò in fibrillazione.

«Darcie.»

Aveva pronunciato quel nome con un filo di voce. Poi, le sue labbra cercarono quelle di lei e le sfiorarono appena, tuttavia quel contatto bastò a farle piegare le ginocchia.

Sentendola tremare, Joe la cinse alla vita e approfondì il bacio con una sicurezza che tradiva premeditazione.

Benché non fosse la cosa più giusta da fare, Darcie lo ricambiò con ardore, riversando in quel bacio giorni e notti di desideri repressi.

Questa volta fu lui a fremere. La staccò gentilmente da sé e sospirò.

«Non posso farlo. Non possiamo.»

A me pareva che non te la stessi cavando male.

«Hai ragione.»

Quanto avrebbe voluto che l’attirasse nuovamente tra le braccia e facesse tacere la voce della ragione. Ma Joe era forte. Molto più forte di lei.

Essergli così vicina e non poterlo avere era insopportabile, però, se ci teneva all’integrità del proprio muscolo cardiaco, sentì che doveva fare almeno un tentativo.

Lui era attratto da lei, apprezzava i suoi baci, ma non era disposto a impegnarsi, mentre lei aveva bisogno di una presenza stabile nella sua vita, per il proprio bene e per quello di Gus.

«Porto... Gus di sopra e gli faccio un bagnetto. Forse non è poi così presto per metterlo a letto. Poi, verrò a darti una mano.»

A letto? No! Vi impantanerete senza di me!

«Non preoccuparti. Posso farcela da solo.»

«Ti aiuterò. Ho soltanto bisogno di... un attimo di tempo.»

«Capisco. Quando tornerai, ti prometto che mi controllerò.»

«Non sei tu il solo che dovrebbe farlo.»

Quando Darcie lo raggiunse in garage, era molto più calma.

«La vernice che avevo acquistato in offerta speciale era a base di olio e non di acqua. Dovremo usare il solvente per ripulire ogni cosa.»

«Non è grave.»

Il suono della sua voce bastò a farle desiderare che la baciasse di nuovo. Doveva ridurre la conversazione allo stretto indispensabile e concentrarsi sulla pittura. Forse quell’operazione avrebbe momentaneamente rimosso il ricordo di quel recente bacio.

Le speranze di Darcie andarono deluse non appena ebbe impugnato il pennello. Il corpo di lui era un vero spettacolo.

Joe aveva sollevato la saracinesca del garage di un paio di centimetri per favorire il ricambio dell’aria, ma la brezza serale che ne filtrava non bastava a placare i suoi bollori.

«C’è una chiazza che hai baciato... saltato» si corresse.

Lui la guardò con un’espressione indecifrabile. Forse il lapsus gli era sfuggito.

«Dove?»

Lei era certa di avere le gote in fiamme.

«A sinistra del grattacielo Chrysler

Joe seguì le indicazioni e passò una pennellata riparatrice.

Darcie, frenetica, si mise a dipingere, schizzando gli abiti e il telone che lui aveva disteso a terra per proteggere il pavimento del garage.

Joe, invece, procedeva con estrema lentezza.

«Faresti meglio a darti una mossa o non andremo mai a letto» lo aggredì lei. Non appena ebbe parlato, si rese conto dell’infelice scelta di parole. «Scusami» soggiunse.

«Probabilmente faremmo meglio a non rivolgerci la parola» propose lui.

«Forse» convenne Darcie e continuò a intingere il pennello nel barattolo e a imbrattare quanta più superficie poteva.

«D’altro canto, anche il silenzio può essere una vera tortura» riprese Joe.

«Sei stato... torturato in questi ultimi giorni?»

Le sarebbe stato di conforto sapere di non avere sofferto da sola.

«Non immagini quanto.»

Il tono grave di lui la indusse a girarsi e a guardarlo. Le era parso sempre così allegro e così rapito dal progetto. Aveva pensato che avesse dirottato tutte le proprie energie mentali sulla gara imminente.

«Accidenti!»

«Che ti succede?»

«Mi sono verniciata tutte le mani.»

Joe posò il pennello sul barattolo, recuperò degli stracci e la raggiunse.

«Fa’ vedere.»

«Mi ci vorranno settimane per togliermi la pittura da sotto le unghie. Sembrerò una specie di minatore...»

«Che è accaduto a tuo padre?» le domandò lui a bruciapelo.

Con sua grande sorpresa, Darcie scoprì di avere una gran voglia di parlargliene. Raramente le era accaduto di poter raccontare quella triste storia a qualcuno. Poca gente da quelle parti, a eccezione del personale ospedaliero, aveva conosciuto suo padre.

«Soffriva di asma e ci trasferimmo qui da New York, nella speranza che il clima più mite potesse aiutarlo, ma ormai era grave. È... morto due anni e mezzo fa.»

«Dev’essere stata dura.»

«Già. Mi manca molto.»

«Il che spiegherebbe la tua storia con Bart Junior» disse Joe gentilmente.

«Forse.»

«Non so che fare.»

«A che riguardo?»

«La tua mano. Non vorrei usare il solvente sulla pelle.»

Darcie si domandava se non stesse per morire. Il cuore le batteva a un ritmo forsennato. Doveva riprendersi subito quella mano e porre fine a quel contatto.

Invece, i loro corpi si avvicinarono come se fossero stati centrifugati in un asciugatore e si fossero caricati di corrente statica.

«È solo colpa mia. Avrei dovuto fare più attenzione!» esclamò lei.

«Perdonami, Darcie.»

Senza aggiungere altro, lui l’attirò a sé e si impadronì della sua bocca.

Lei gli si avvinghiò e lasciò che Joe la modellasse contro di sé. Poi cominciarono a esplorarsi a piene mani, entrambi incuranti di tradire la violenza del proprio desiderio.

«Puoi arrestare tutto questo? Perché io temo di non esserne capace. Dovrei, ma non ci riesco» le mormorò lui a fior di labbra.

«Non... credo di poterlo fare... neanch’io.»

Il respiro di Joe era affannoso.

«Qui? In garage?»

Darcie schiuse gli occhi e lo guardò.

«È dove ci siamo incontrati.»

Lui le infilò la mani sotto la maglietta e le slacciò il reggiseno.

«No. Ci siamo incontrati sul vialetto.»

La sua voce si era fatta roca mentre le mani scivolavano ad avvolgerle i seni.

«E, dal momento che ti ho vista, ho desiderato toccarti.»

Un gemito le salì alle labbra. «Joe, è bellissimo» gli sussurrò.

«Tu sei bellissima. Sembri fatta di velluto.» Le prese il viso tra le mani e la baciò ancora. «Non possiamo farlo qui. Ti porto di sopra.»

«No.»

Qualcosa le diceva che, tra il garage e la camera da letto, logica e buonsenso avrebbero potuto riappropriarsi di loro.

«Qui» insistette.

«Darcie, meriti...»

«Un’avventura da garage. Non ne ho mai avuta una» replicò attirandolo con sé sul pavimento. «Baciami, Joe. Il sapore delle tue labbra sta svanendo.»

Lui la baciò con delirante passione, mentre lei trafficava con la cerniera dei suoi jeans.

«Che fai?»

«Cerco di liberarti dei pantaloni» mormorò Darcie, azzardando un’ardita intima carezza.

Joe chiuse gli occhi e si morse le labbra, eccitatissimo. «Eh, sì... Credo proprio che accadrà in garage» concluse.

«Bene.»

Mentre le tempestava il viso e il collo di baci, le slacciò i jeans e cominciò a sfilarglieli.

«Sarà meglio che... mi sieda e mi tolga le scarpe» suggerì lei.

«Lo sapevo che... saremmo dovuti andare di sopra.»

«No. Sarà bellissimo. Vedrai...»

Durante il corpo a corpo erano finiti sul telone e, mentre si dibatteva, Darcie urtò con un piede il barattolo della vernice.

«Oddio!»

Troppo tardi. Il liquido nero le aveva investito le scarpe e una gamba dei jeans.

«E ora, che facciamo?»

Lui la guardò con occhi che sembravano tizzoni ardenti. Poi, lentamente, il bagliore si spense e un sorriso gli incurvò le labbra.

«Credo che dovrò aiutarti a venir fuori dalle scarpe e dai jeans.»

«E poi?»

Lei conosceva già la risposta. Non aveva mai sentito di nessuno che avesse fatto appassionatamente l’amore dopo essersi versato una lattina di pittura su una gamba. Certo, se si fosse trattato di cioccolato fondente, avrebbe potuto essere diverso, ma la vernice nera... Era tutta un’altra storia...

«E poi niente.»

La sua voce grondava rimpianto. Si riallacciò i jeans e la fissò.

«Scusami, Darcie. Non avremmo dovuto cominciare. È una fortuna che tu abbia rovesciato quel barattolo.»

Da brava irlandese, lei credeva che la buona sorte facesse parte del suo corredo genetico e poteva affermare di essere stata baciata dalla fortuna in più occasioni nel corso della sua vita. Tuttavia, non si poteva dire che quella sera rientrasse nella serie momenti magici.