«Ehm, Geraldine? E che fine ha fatto la tua limousine?»
«Non potevo parcheggiare Stanley alla curva e rischiare che rovinasse la visuale del tuo addobbo, così ho guidato io. Ho lasciato l’auto all’ingresso di Tannenbaum e ho fatto quattro passi a piedi per dare un’occhiata alle creazioni dei vicini. La gente di qui è così amichevole. Ho rilasciato un paio di autografi.»
Joe scosse il capo. «Calarsi in una parte può squilibrare la psiche di un attore al punto da renderlo schizofrenico» sibilò.
Geraldine gli batté un colpetto sul braccio. «A ciascuno i suoi problemi. Piuttosto, mi piacerebbe sapere quanto sei stato affettuoso negli ultimi tempi. Le confessioni fanno bene all’anima.»
«Alla mia o alla tua?»
«Alla mia, ovviamente» rispose lei. «Adoro i dettagli piccanti.»
«Spiacente di deluderti, ma questi non sono affari tuoi.»
«Sì, invece. Quella povera ragazza ha bussato alla mia porta in cerca di protezione e non avrò pace finché lei non l’avrà trovata.»
«Cercava un telefono.»
«Puramente simbolico. Cercava un dialogo e... la guida di una donna più anziana e saggia.»
Joe alzò gli occhi e sospirò. «Guida nell’accezione meccanica del termine, forse, dal momento che l’auto l’aveva lasciata a terra.»
«Simbolico anche quello. La sua indipendenza femminile era minacciata e aveva bisogno di qualcuno che la proteggesse da una figura maschile dominante.»
«Che sarei io. Quella parrucca deve averti tolto ossigeno al cervello se credi seriamente che io possa essere una figura maschile dominante.»
«Confesso che ho dovuto raddrizzare il tiro sul tuo conto, soprattutto dopo aver visto le premure che prodighi a Gus. Sei buono con lui, devo dartene atto. Ma sono ancora molto in pensiero per quell’innocente creatura che è caduta tra gli zoccoli di uno stallone ipersessuato e soprattutto... ipoimpegnato.»
«Creatura innocente? Ma se è stata lei a infilarsi nel mio letto?»
«Ah, ah! Allora hai fatto il monello. Avrei dovuto assecondare il mio istinto e trasferirmi in questa casa con lei, dal primo giorno.»
«Qualcuno ti aveva invitata, forse?»
«Inutile piangere sul latte versato» tagliò corto Geraldine e abbassò la voce. «Ho visto gli addobbi degli altri. Tu e Darcie dovrete battervi fino all’ultimo sangue se volete spuntarla. Per questo sono qui. Per aiutarvi.»
«Credevo che fosse per mettermi in riga.»
Geraldine sospirò. «Era il mio intento iniziale, ma a quanto pare sono arrivata tardi. Quindi, tanto vale che ci concentriamo sul contenimento dei danni.»
Darcie infilò la tutina color carne a Gus e gli serrò un altro pannolone da scena. Stava per condurlo in camera sua per poter indossare la tenuta da Miss Millennio, quando Geraldine la chiamò dalle scale.
«Darcie, posso salire?»
«Certo. Ho bisogno di una mano per indossare il costume.»
«Ti serve una mano per ben altro, piccola» bofonchiò lei avviandosi su per le scale. «Mi è parso di capire che c’è stato movimento da queste parti, ultimamente.»
Gus agitò le piccole braccia. Mentre tu te ne andavi a spasso tutta imbellettata, ho dovuto prendere in mano io la situazione.
«Joe te lo ha detto?»
«Non intenzionalmente.» Guadagnato il piano, Geraldine riprese fiato e le cinse le spalle con un braccio. «Era in giardino che parlava da solo e io l’ho udito.»
«In giardino che parlava da solo? Sta bene?»
L’amica sorrise. «Direi proprio di no. È totalmente confuso e tu devi fare in modo che resti tale finché non ti avrà fatto la fatidica proposta.»
Lo trascineremo in chiesa come un agnellino. Ho in mente di sfoderare la mia arma segreta.
«Se pensi che Joe Northwood mi chiederà di sposarlo, ti sbagli di grosso. Avresti dovuto sentirlo. Mi ha sciorinato un discorso sul matrimonio in cui mi ha fatto capire in termini inequivocabili che lo reputa più noioso e più triste di un pub di domenica mattina, come direbbe mio padre.»
Geraldine la guidò lungo il corridoio verso la sua camera.
«Potrà pensarlo dei matrimoni in genere, ma non di un matrimonio in particolare, quello con te, per l’esattezza. Quel ragazzo sta sbavando per sposarti. Deve soltanto riesaminare i suoi radicati pregiudizi quanto basta per rendersene conto. So che sei indecisa se indossare l’abito da sera che ti ho prestato o il bikini, soprattutto dopo ciò che Joe ha detto l’altra sera. Però devi optare per il bikini. Fallo per la giuria.»
«Ne sei certa?»
«Assolutamente, e per un’infinità di buone ragioni. Prima fra tutte quella che ho avuto una soffiata, venendo qui, e ho appreso che il verme sarà uno dei giudici.»
«Il tuo verme?»
«Mio non ancora per molto. Il divorzio sta procedendo alla grande e fiumi di dollari affluiranno presto nelle mie casse. Ma se nel frattempo tu vuoi vincere questa gara, dovrai fare leva sul debole del verme per l’avvenenza femminile. E lo stratagemma spintonerà anche il nostro Joe Northwood verso l’altare.»
Geraldine si chinò su Gus e gli tirò un pizzicotto sulla guancia.
«Cos’hai in mente, furbacchione? Qualcosa ti frulla in quella testolina. Te lo leggo negli occhi, sai?»
È tutta la vita che attendo questo momento. E questa sera vi lascerò di stucco.
Con indosso la parrucca bianca, l’accappatoio candido e una barba che gli arrivava fino ai piedi, Joe se ne stava nascosto dietro il palcoscenico a spiare i giudici che esaminavano l’addobbo dei vicini.
La giuria era composta da due uomini e da una donna. Il treno natalizio dei vicini era grazioso, ma non abbastanza per rappresentare una minaccia per il buon esito della gara.
Dall’autore del treno, Joe aveva sentito dire che il progetto con maggiori probabilità di vittoria finale era un Babbo Natale gigante chino su un enorme schermo di computer sul quale danzavano tanti bachi informatici animati. Una renna era seduta accanto al computer con un dischetto in bocca. La rappresentazione si intitolava Natale a prova di baco.
Era una bella trovata, visto lo scompiglio che il baco del 2000 aveva creato alla fine dell’anno precedente, tuttavia l’Anno Nuovo Vivente sarebbe stato un successo senza precedenti.
Alle sue spalle, le luci di casa DeWitt erano tutte spente per evitare interferenze con l’effetto scenico dello sfondo di Times Square.
Darcie, Gus e Geraldine erano dentro, pronti a fare la loro parte non appena lui avesse acceso lo stereo e lanciato la colonna sonora dello show. O, almeno, così Joe sperava che fosse.
Non avevano potuto fare prove generali. Joe aveva lavorato alle decorazioni sino all’ultimo momento. Aveva fatto appena in tempo a farsi una doccia e a infilarsi il costume.
Geraldine era in camera di Darcie e la porta era chiusa. Quando lui aveva bussato per chiedere se fossero pronte, lei gli aveva risposto quasi, con un tono non particolarmente rassicurante.
Oltre la strada, la rappresentazione degli Elderhorn pareva abbandonata. La colonna sonora di 2001: Odissea nello Spazio risuonava nell’aria, ma gli altoparlanti non stavano funzionando a dovere e il suono continuava ad andare e venire ogni volta che una folata di vento investiva i cavi elettrici, interrompendo e ripristinando i collegamenti.
Una flebile luce era accesa al primo piano della casa, nella camera da letto degli Elderhorn. Era rossa.
Joe scosse il capo e distolse lo sguardo.
La giuria stava avanzando verso di lui. Premette il tasto dello stereo e si sistemò la fascia con la scritta 2000. Si incurvò per ottenere l’aspetto di un vecchio decrepito, che Geraldine gli aveva ordinato di assumere, ed emerse dal sipario, zoppicando. Ma incespicò nella barba e cadde disteso sul tappeto.
«Tutto bene?» si informò la componente femminile della giuria.
Dannata barba! «Quando si incespica nella pro pria barba è il segno che è arrivato il momento di uscire di scena» replicò lui con la voce più giurassica che gli riuscì.
Si rialzò stancamente, si lanciò la barba su una spalla e percorse il tappeto rosso tra le risatine dei giudici.
Aver strappato una risata poteva significare già qualcosa, si consolò. Ora sarebbe stata la volta degli effetti speciali. Si portò a un’estremità del tappeto e azionò l’interruttore che avrebbe dovuto far salire la sfera luminosa.
Il motore si avviò e la sfera si alzò, come da copione, sopra le Torri Gemelle.
La giuria trattenne il fiato e Joe si complimentò con se stesso. Se avessero vinto il primo premio, parte del merito sarebbe stata anche sua.
A quel punto, i giudici trattennero nuovamente il respiro e Joe li guardò, sorpreso. Quello era il suo unico effetto speciale... Poi, lentamente, si volse in direzione presunta della causa di quella reazione e rimase senza fiato. Anche lui.
Darcie era apparsa, in piedi contro lo sfondo, con Gus avvolto in una fascia e con un cilindro in testa. Il piccolo era tenerissimo, ma Joe sospettò che quella improvvisa sospensione delle funzionalità respiratorie dei giudici non fosse stata provocata da lui... ma da lei.
Darcie indossava tacchi a spillo color argento, la fascia di Miss Millennio e... poco altro. Qualche ritaglio di lamé copriva a stento l’essenziale.
Il suo primo pensiero fu che fosse la donna più bella del mondo. Il secondo che era praticamente nuda e che non desiderava che nessun altro uomo oltre lui la vedesse in quello stato.
Ma non avrebbe avuto nessun diritto di pretendere questo da lei a meno che... Joe arricciò il naso mentre sentiva che un cappio gli si serrava intorno al cuore.
Poi, Darcie sorrise e lui comprese di essere pronto a rischiare anche la pelle per aggiudicarsi quel sorriso per il resto della vita.
Probabilmente, sarebbe rimasto a fissarla imbambolato per l’eternità, se i giudici non avessero preso a sghignazzare indicando un punto lassù, in alto.
Joe sollevò lo sguardo anche lui e scoprì che la sfera luminosa era diventata... uno yo-yo.
Tentare di sistemarla era fuori discussione. Andava smontata integralmente, cosa che non poteva certo fare nel bel mezzo dello show.
Darcie lo guardò con espressione interrogativa, ma Gus prese ad agitare le gambette, eccitato. I giudici si stavano comportando come se fossero convinti che il diversivo rientrasse nei piani, e Joe ostentò la più totale indifferenza.
Darcie inarcò lievemente le sopracciglia, come per chiedergli se fosse ancora il caso di fare esibire Gus, e lui le fece un cenno di assenso.
Lei si chinò per deporre il piccolo sul tappeto offrendo ai giudici un primo piano del décolleté. Joe fu tentato di sfilarsi l’accappatoio e avvolgerglielo sulle spalle. Dietro quello spettacolo osceno, vi era di sicuro lo zampino di Geraldine.
Grazie al cielo, la giuria parve dirottare l’attenzione su Gus. La donna aveva un’espressione estasiata mentre guardava il piccolo avanzare carponi sul tappeto.
Mentre lui gattonava, il cilindro di Gus si era spostato e si era fermato, sbilenco, a coprirgli un occhio.
Finalmente, almeno una cosa andava per il verso giusto.
D’improvviso, però, Gus si fermò e si sedette sul tappeto.
Joe lo guardò intensamente come se potesse, con la sola forza del pensiero, ordinargli di rimettersi in moto. Se quella piccola canaglia avesse mandato tutto in malora, non avrebbe più visto una sola patatina per il resto della vita. Aveva viaggiato splendidamente attraverso tutto il soggiorno, come un’automobilina elettrica. Non doveva fare altro che rimettersi a quattro zampe e coprire l’ultimo pezzo di tragitto.
Gus lo guardò da sotto la falda del cappello. Pareva intenzionato a non muovere un muscolo.
Joe guardò Darcie.
Lei gli fece cenno con le labbra di chiamarlo.
Lui non aveva idea se al bambino sarebbe importato che lo chiamasse, tuttavia, al punto in cui erano, valeva la pena di fare un tentativo.
«Vieni, Gus!» esclamò.
Devi supplicarmi, Northwood. Questa volta ci stiamo giocando tutte le biglie.
«Coraggio, piccolino. Vieni qui.»
Ti voglio vedere in ginocchio, coniglio.
Disperato, Joe si rannicchiò. «Dai, piccolo. Puoi farcela. Sei il neonato Nuovo Anno.»
E vada per il gran finale.
Gus si sporse in avanti e puntò di nuovo le manine sul tappeto.
«Bravo, Gus. Ora vieni da Joe.»
Lui attirò le gambette al corpo, come una rana. Poi, lentamente, si alzò in piedi!
«Gus!» urlò Darcie.
Sta’ zitta! Devo concentrarmi.
Joe guardava allibito Gus che muoveva un passo tremolante dopo l’altro. Sembrava un ubriaco, con le gambe ad arco, ma ce la stava facendo.
«Vieni da Joe, piccolo!» esclamò lui, tendendogli le braccia.
Gus sorrise e proseguì. Giunto a pochi passi dal traguardo, tese le braccia. «Pa-pa» articolò.
Joe lo abbracciò e lo strinse a sé. «Sei speciale, leprotto.»
I minuti successivi furono di grande confusione mentale per Joe. La giuria lo circondò per complimentarsi con lui e accarezzare Gus, la stella dello spettacolo.
Quando i giudici se ne furono andati, Geraldine emerse da dietro le quinte.
«Credo che sia stato un vero trionfo, malgrado la tua sfera traballante» sentenziò.
«È stato Gus a farci vincere» replicò Joe tentando di sottrarre la barba alle mire del piccolo. «Chi lo avrebbe mai detto che avrebbe scelto proprio quel momento per muovere i suoi primi passi?»
«Da bravo irlandese, ha il senso della drammaticità. Perché non lo dai un po’ a me e non vai a congratularti con Darcie?»
Joe le cedette il bambino. «Dov’è?»
«In casa a indossare l’abito da sera che... intende sfoggiare per le repliche. Ghiaccerebbe con quel costume, se dovesse metterlo ogni sera.»
«Scherzi a parte, era decisamente indecente.»
«Ma ha funzionato.»
«Io dico che non ce n’era bisogno.»
Geraldine lo guardò. «Lo sapremo presto. Ora va’ da lei e recita la tua parte.»
«Vuoi dire i complimenti.»
«Se è tutto ciò che hai da dire.»
Non era tutto ciò che aveva da dire, però lui non lo avrebbe confessato in anteprima a Geraldine, neanche sotto tortura.
«Torno subito.»
«Prenditi pure tutto il tempo che vuoi. I visitatori saranno fatti entrare solo tra mezz’ora.»
Joe si gettò la barba in spalla. Si afferrò i lembi dell’accappatoio e puntò in casa.
«Darcie, dove sei?» gridò.
«Di sopra. Ho pensato di cambiarmi mentre tu e Gus eravate sotto i riflettori.»
Lui sorrise e attraversò il soggiorno. Stava per lanciarsi su per le scale, quando urtò in pieno il cancelletto.
«Accidenti!»
«Oh, scusa.» Una lama di luce si diffuse in corridoio quando lei aprì la porta della sua stanza. «L’ho chiuso, nel caso tu avessi portato Gus in soggiorno.»
Joe si frizionò il ginocchio dolorante con una mano e con l’altra aprì il cancelletto.
«Gus è con Geraldine. Io sono venuto per...» Si interruppe alla vista di Darcie con indosso il lungo abito color crema che lui aveva sperato mettesse al posto del bikini.
Il suo cuore saltò un battito.
Sembrava una sposa.
«Che cosa?» domandò lei.
Mentre la fissava, Joe si scoprì a corto di parole. Il chiarore della lampada le avvolgeva le ciocche rosse in un alone di luce dorata. Darcie era tutto ciò che lui aveva sempre desiderato e ora che lo sapeva con certezza era pietrificato al pensiero che lei potesse respingerlo.
«Joe? Non ti senti bene? La colla della barba ti ha dato il mal di stomaco?»
«Sei tu.»
«Io ti do il mal di stomaco?»
«No! Tu mi fai...» Joe trasse un respiro profondo. «Tu mi fai desiderare cose che credevo di non desiderare. Ma ora lo farò. Con te. Tutto.»
«Joe, credo che sia la colla a parlare. E, mi dispiace dirtelo, ma non riesci a mettere insieme frasi di senso compiuto.»
«Non è la colla, Darcie! Sono io! Ti amo! Voglio che mi sposi e temo che tu non voglia perché ti ho detto che il matrimonio fa più schifo di un brodo vegetale. Ora penserai che diventerò noioso... Tuttavia non accadrà. Te lo prometto.»
Lui riprese fiato.
«Credevo che restare libero fosse l’unico modo per arrivare, ma non sto andando da nessuna parte. Ho bisogno di una ragione per farlo. E quella ragione sei tu. Tu e Gus. Dammi una possibilità, ti prego.»
Lei si avviò lentamente giù per le scale. A Joe parve che ci mettesse un’eternità a raggiungerlo.
Darcie si fermò uno scalino più su e lo guardò dritto negli occhi.
«Un discorsetto piuttosto articolato per un vecchio decrepito. Devi essere irlandese» ironizzò.
«Darcie, temo che non ci sia una sola goccia di sangue irlandese nelle mie vene, ma se fosse necessario perché tu mi ami, be’, rivolterò tutto il mio albero genealogico finché non avrò trovato un O’Malley o un Finnegan tra i miei avi più remoti.»
Lei gli posò le mani sulle spalle.
«Non importa se non sei irlandese. L’importante è che tu pensi come se lo fossi.»
Il cuore di Joe non aveva mai battuto così freneticamente. Forse Darcie avrebbe preso in considerazione l’eventualità di trascorrere il resto della vita con lui.
«E cosa avrebbe fatto un irlandese al mio posto, in questo momento?»
«Un irlandese non avrebbe stancato la mascella parlando. Sarebbe passato all’azione.»
«Qui, sulle scale?»
«Siamo soltanto noi due.»
«D’accordo. Perché no? Sono dell’umore adatto, dopo averti vista sgambettare in quel costume semiadamitico che, d’ora in avanti, spero ardentemente indosserai solo in privato.»
«Joe, alludevo soltanto a un bacio, non ad altri generi di vie di fatto» lo interruppe lei.
«Oh!»
«A quelle penseremo poi. Per il momento, un bacio basterà a sigillare il nostro patto.»
«Quale patto? Non mi sembra che abbiamo parlato di nessun patto...»
«È perché nessuno me lo ha ancora chiesto. Mi è stata soltanto esposta una digressione sul brodo vegetale.»
«Oh.»
Joe si schiarì la voce. Poi, prese l’amato viso di lei tra le mani, non osando quasi credere all’enorme felicità che stava provando. Forse anche lui era irlandese e non lo sapeva.
«Vuoi sposarmi, Darcie O’Banyon?»
«Sì, lo voglio, perché ti amo con tutta l’anima, Joe Northwood. Ora, vuoi deciderti a baciarmi?»
«Sì, ora. E per il resto dei nostri giorni. Che, ti prometto, saranno molto più appetitosi di una scodella di brodo.»
«Puoi giurarci.»
Quando chiuse la bocca su quella di lei, gli parve di udire il rumore di una porta: la porta che si stava chiudendo sulla sua vita precedente, senza lasciargli alcun rimpianto. Ben altre porte gli si aprivano dinanzi, mentre il suo cuore era inondato di amore.