Appendice 3

La storia di una parabola e le origini
del male secondo Yitzḥaq Luria

Il sistema cabbalistico di Luria è stato descritto da molti studiosi, ma le analisi fondamentali della sua teosofia sono state affrontate da Isaiah Tishby, Ronit Meroz e Joseph Avivi. Altri hanno trattato in contributi meno voluminosi ulteriori aspetti del lurianesimo – Yehuda Liebes, Mordechai Pachter, Lawrence Fine, Yoram Jacobson, Elliot Wolfson e Shaul Magid, per menzionare solo i principali. Non sorprende forse che, nonostante l’ampio periodo trascorso dall’epoca delle prime trattazioni scientifiche, vi sia scarso accordo perfino tra le opere di maestro e allievo, come nel caso di Tishby e Jacobson.

Tishby si è occupato della questione dell’origine del male nello specifico. Il suo contributo monografico è un vero e proprio tour de force accademico, soprattutto se consideriamo che si tratta di una tesi magistrale, scritta in una fase in cui la ricerca sulla Qabbalah era ancora agli inizi, era difficile procurarsi i manoscritti da consultare e la storia della corrente luriana era poco studiata. Secondo Tishby, il sistema luriano mostra due caratteristiche principali rispetto a forme precedenti di giudaismo e anche a forme precedenti di Qabbalah. Prima di tutto si osservano tre innovazioni concettuali, pilastri portanti dell’intera teosofia luriana, attribuite interamente al pensatore di Safed: lo tzimtzum, la shevirah e il tiqqun, rispettivamente la contrazione della divinità, la rottura dei vasi e la riparazione del sistema infranto per mezzo del ripristino delle scintille nella loro collocazione originale nella struttura divina.1271 La ricerca posteriore, tuttavia, ha dimostrato che nessuno di questi concetti era davvero nuovo nella Qabbalah.1272 Quel che è nuovo, a mio parere, sono i modi di concatenare concetti più antichi, stabilendo un nesso tra i processi teosofici – che nelle argomentazioni precedenti sullo tzimtzum non erano associati alle attività dell’uomo – e i rituali ebraici.

Per il nostro proposito è importante sottolineare che in questa teoria il primo atto del processo teogonico/cosmogonico è la contrazione della divinità infinita, che lascia spazio a processi successivi, definiti tehiru. Lo spazio che si viene a creare è descritto talvolta come vuoto oppure, in una versione concettualmente diversa, pieno di un residuo della luce divina, chiamato reshimu, cioè la traccia della luce divina che include anche le radici del male, secondo la versione conservataci dalle opere di Yosef ibn Tabul. Tishby considerò autentica solo la seconda delle due versioni, perché rifletterebbe a suo parere la visione catartica di Luria, mentre ritenne la prima versione essoterica, essendo attestata, ad esempio, negli scritti di Ḥayyim Vital.1273

Avivi invece ritiene che entrambe le ipotesi suggerite da Tishby siano rappresentate negli scritti dei due discepoli e debbano essere proiettate sullo sfondo di una teoria più ampia in cui la prima versione s’incentrerebbe sugli aspetti esteriori dei processi emanativi, mentre la seconda, a suo avviso, su quelli interiori.1274 È un tentativo ingegnoso di risolvere le varie questioni, la cui principale debolezza consiste nel fatto che non ci si chiede, ad esempio, perché Vital non si serva del concetto delle radici dei giudizi nel reshimu all’interno della sua opera più sistematica e completa, ‘Etz Ḥayyim,1275 mentre esso appare in un trattato molto più breve da lui affidato al suo studente Shelomoh Sagis. Come si potrebbe spiegare la posizione di Vital, in apparenza duplice, se egli non ne parla nella sua opera più estesa ma la cita a metà solo in un’opera composta per uso personale? Avivi è costretto ad ammettere che Vital intendesse nascondere qualcosa, anche se non sono del tutto sicuro che sia questo il caso. Inoltre, ho un problema metodologico con la necessità di conciliare forzatamente due diverse versioni dello stesso tema, secondo la lettura di Avivi.1276

Per quanto ci interessa nello specifico è significativa la seguente caratterizzazione generale della Qabbalah luriana proposta da Tishby:

 

L’intera dottrina di Luria, da cima a fondo, dallo tzimtzum al completamento del tiqqun, si intesse sulla base del mito della catarsi della divinità dal male e dall’impurità che si trovano al suo interno.1277

 

Questo è un esempio di attribuzione di materiali di scuola luriana a Luria e una prova del tentativo di sistematizzare la dottrina del maestro di Safed. La certezza di poter ricondurre la complessa varietà di testi luriani a un unico mito fondato sulla catarsi divina sono espressione di quella che io definisco teologizzazione della ricerca cabbalistica, cioè lo sforzo costante di trovare coerenza nei sistemi teologici, di cui Tishby fu uno dei principali rappresentanti.1278 Inoltre, nella scia di Scholem (il quale poi avrebbe seguito Tishby), lo studioso optò per un’interpretazione dualistica del sistema di Luria,1279 incentrata sul tema della crisi susseguente alla rottura dei vasi,1280 intensamente messianica, gravitante attorno all’asse dell’esilio e della redenzione.1281 Le opinioni fondamentali di Tishby sulla catarsi divina furono abbracciate in maniera consistente da Scholem,1282 che adottò anche la sua tesi secondo cui la teoria del reshimu non compare nelle opere di Ḥayyim Vital.1283 L’opera di Tishby è stata ristampata varie volte fino al 1984, con nuove premesse ma senza alcun cambiamento o aggiunta di contenuto, ed è servita da base per la maggior parte delle presentazioni della teosofia di Luria.1284

D’altro canto, nella sua descrizione neo-ortodossa conciliatrice della dottrina luriana, Avivi non fa uso della formula relativa alla catarsi divina, né abbraccia con altrettanta enfasi il concetto della rottura dei vasi tanto cruciale per Tishby.1285 Non sovrastima neppure la teosofia antropomorfica, radicale nella Qabbalah luriana. Mentre Tishby esaspera il ruolo del male, Avivi fa il possibile per ridurne la portata.

Per quanto diverse, le due interpretazioni moderne hanno qualcosa in comune: pagano il prezzo degli sforzi di presentare un quadro fortemente unitario del contenuto di una letteratura vasta, complessa e, a mio parere, diversificata, da un lato emarginando le voci dissenzienti – considerate «apologetiche» o finalizzate a nascondere la dottrina «autentica» (secondo Tishby) –, dall’altro lato tentando di riconciliarle all’interno di un quadro più ampio e innovativo (secondo Avivi). Così, ad esempio, la letteratura fondamentale che appartiene alla corrente luriana prodotta da Yiśra’el Sarug, che affermava di essere stato allievo di Luria e che ebbe una rilevante influenza sul lurianesimo secentesco, è stata totalmente esclusa dalle analisi concettuali dei due studiosi,1286 sebbene Avivi ne descriva dettagliatamente le opere nella sua bibliografia. Per quanto sia comprensibile l’esclusione di Sarug suggerita da Tishby, considerato il periodo in cui egli scrisse, è molto più difficile comprendere Avivi, che passa sotto silenzio le argomentazioni fornite negli studi della Meroz, senza spiegarne la ragione. Anch’egli, peraltro, pensava che Sarug avesse frequentato Luria ma non fosse tra i suoi allievi.1287

Vorrei ora prendere in esame una similitudine che ricorre in alcuni scritti della fine del Cinquecento, composti da due dei più celebri discepoli di Yitzḥaq Luria, Yosef ibn Tabul e Ḥayyim Vital. Essi se ne servono per descrivere l’origine del male nel mondo divino. È, a mio avviso, un esempio particolarmente significativo per riconsiderare, sulla base di quanto ho precedentemente affermato, alcune interpretazioni invalse nella moderna ricerca, relative all’originalità della concezione del male primordiale che si manifesta all’interno della ritrazione/contrazione della luce divina: come si è appena visto, a detta di vari studiosi, sarebbe una visione profondamente esoterica, attenuata negli scritti di Vital, che avrebbe evitato di darle rilievo nella sistematizzazione divenuta poi la più diffusa della dottrina del suo maestro.1288 La spiegazione catartica della manifestazione del male dalla perfezione dell’Infinito sarebbe da intendere dunque come una dottrina da nascondere agli stessi cabbalisti. Adottando definizioni analoghe a quelle un tempo impiegate per inquadrare le prime opere cabbalistiche, perfino alcune idee di Luria sono state ritenute gnostiche.1289 Questa versione della ritrazione /contrazione è stata ripetutamente presentata anche da Scholem come forma classica e originale del pensiero luriano.1290

A mio parere, i testi qui presi in esame andrebbero più propriamente contestualizzati nel quadro di uno sviluppo interno della teosofia cabbalistica, iniziato almeno alla fine del Duecento e contraddistinto da un interesse crescente per i processi presefirotici.1291

Inizierò la mia analisi con un passo cruciale di Yosef ibn Tabul, già studiato da vari autori, in cui si descrive la condizione dell’Infinito prima dell’atto dello tzimtzum.1292 Mi sembra particolarmente significativa per il nostro proposito l’affinità tra la situazione presentata nel testo e una discussione attestata nella letteratura rabbinica:1293 in entrambi i casi due attributi divini vengono associati all’acqua. Mentre l’autore antico intende sottolineare la necessità della miscela di attributi ai fini della creazione, il cabbalista, allo stesso scopo, evidenzia la distinzione degli attributi mescolati. I cabbalisti adottarono dunque la concezione rabbinica del mondo creato dai due attributi ma la elaborarono in una forma molto più complessa, soprattutto ai fini della spiegazione della manifestazione del male. Poco prima nello stesso sermone Ibn Tabul aveva affermato:

 

... a causare la rimozione1294 fu la potenza del giudizio, dato che quanto si trova al di sotto di essa esiste necessariamente, mentre la sua radice nell’alto si trova nella [potenza] della misericordia totale. Se affermiamo che lì non c’era la radice del giudizio, questa potrebbe essere una pecca nella natura di Dio benedetto, che non potrebbe essere chiamato «perfetto della perfezione più completa», a meno che non gli manchi niente, Dio ne guardi, mentre certamente lì c’è la potenza del giudizio.1295

 

È evidente che Ibn Tabul non riteneva esoterica questa concezione e neanche l’attestazione parallela della stessa teoria nell’esposizione della dottrina di Luria presentata da Vital allude a qualche genere di conoscenza segreta. L’autore scrive che «nell’acqua si trova fango anche se in forma non manifesta e questo è il motivo per cui si chiama Elohim».1296 Nello stesso contesto si aggiunge poco oltre che «il fango si rivela dall’acqua perché è noto che i gusci prendono il nome di Elohim».1297 Mi pare che dal confronto con Ibn Tabul si possa congetturare che anche Vital avesse in mente l’attributo del giudizio, tradizionalmente associato appunto a questo nome divino. Dunque l’attributo è già presente nello spazio in cui ha luogo lo tzimtzum, la contrazione della luce divina.1298

Oltre a dubitare se qui abbiamo a che fare con una concezione esoterica, ci dovremmo chiedere se il modello catartico di Ibn Tabul sia un suo contributo originale alla dottrina cabbalistica, come sostengono alcuni studiosi. A mio parere, la concezione rabbinica che ne è alla base servì da innesco di una nuova interpretazione piuttosto che da mera autorità testuale. Comunque sia, a metà strada tra le attestazioni antiche e quelle di Luria e dei suoi discepoli troviamo tracce dello sviluppo di un motivo che fu ereditato a Safed ma che certamente non fu inventato in Galilea.1299 Ad esempio, leggiamo nell’opera Sha‘are orah di Yosef Giqatilla, un classico della Qabbalah del tardo Duecento:

 

Le scorie del giudizio e i suoi gusci sono le forze che si manifestarono quando ascese al Suo pensiero, sia Egli benedetto, di creare il mondo per mezzo del giudizio e i pensieri del Santo, sia benedetto, non si vanificarono, si manifestarono e furono collocati sul retro dell’emanazione santa.1300

 

Giudizio e scorie compaiono qui affiancati agli inizi della creazione, nel contesto del piano divino. Ancor più simile alla concezione di Luria è un passo dell’opera Shi‘ur Qomah, composta da uno dei suoi maestri, Mosheh ben Ya‘aqov Cordovero, l’eminente cabbalista di Safed:

 

Nel Sefer pardes rimmonim, nella porta delle temurot,1301 si spiega che le temurot derivano dal fango dell’acqua e dalle scorie delle sante hawayyot1302 ... ecco perché al momento della sua manifestazione, ogni hawayyah è necessariamente un residuo del passaggio di quella stessa hawayyah da un [grado di] esistenza all’altro e quando le hawayyot passarono per far sì che questo mondo potesse manifestarsi, rimase un residuo; tali residui furono emanati dal segreto di quel che causa la manifestazione delle hawayyot inferiori.1303

 

Nel brano si usa l’espressione ‘akhirut ha-mayyim, identica a quella del passo citato poc’anzi dall’opera di Vital. Cordovero non fu il primo cabbalista a servirsi di questo sintagma in associazione con il processo teogonico, come vedremo tra poco; sembra però che sia stato il primo a seguire un’interpretazione simile a quella ripresa in seguito dai pensatori luriani. A suo parere sarebbe avvenuta una catarsi, grazie alla quale i residui sarebbero rimasti nell’alto e avrebbero costituito le temurot: così si spiega come il male possa scaturire da un’entità perfetta. Non solo si dovrà ammettere che le radici del male hanno origine dal mondo superno, alla stregua di fango nell’acqua o di depositi nel vino, ma anche che in qualche forma ipostatica il male vi permanga.

Tengo a sottolineare che il termine motarot, «residui», ha le stesse consonanti di temurot e dal contesto si evince che le temurot sono forze del male.1304 La similitudine può essere confrontata a quella del seme, riportata da Cordovero in Pardes rimmonim, XXV, 1, II, c. 53c, dato che in entrambe si fa riferimento a un liquido da cui a un certo punto si separa una componente solida. Dovremmo dunque concludere che una delle fonti più plausibili della Qabbalah luriana fu la concezione di questo cabbalista, nei fatti essoterica. Quando allude a un segreto, Cordovero non si riferisce alla teoria dell’origine del male ma a una qualche trascendenza del regno divino intesa come matrice delle entità emanate.

L’opera anonima Ma‘arekhet ha-Elohut, composta all’inizio del Trecento nella cerchia del Nahmanide, fu pubblicata due volte alla metà del Cinquecento (a Mantova e a Ferrara nel 1556) e pertanto fu nota a tutti i cabbalisti luriani, probabilmente anche a Cordovero. Nel trattato, l’autore si serve del sintagma «fango dell’acqua» riferendosi ad altri «cabbalisti»,1305 secondo cui la prima sefirah, Keter, è designata «Aria primordiale, Nihil, misericordia assoluta, priva di alcuna commistione con il giudizio». Questa sefirah si colloca di fronte alla seconda, Hokhmah, definita «giudizio, dato che Egli creò l’uno rispetto all’altro, il fuoco, la giustizia, la terra ... e la terza [sefirah] sovrasta [le altre due]1306 e si chiama acqua».1307 Il significato è che la terza sefirah è una sintesi delle due, una specie di fusione di misericordia e giudizio, quest’ultimo attributo rappresentato anche dalla terra. In ogni caso, l’idea che l’acqua sovrasti le due polarità opposte è eccezionale. Secondo Ibn Ga’on, in un passo non citato dalla Ma‘arekhet ha-Elohut, quando si versa dell’acqua in un recipiente, vi si trova un deposito di polvere.1308 È chiaro che qui si ammette che avvenga una qualche forma di purificazione all’interno del processo teogonico. È in tale contesto che l’autore fa menzione del «fango dell’acqua» che deriva da Binah, considerata da molti cabbalisti inizio della teo-cosmogonia. Pare che alla terza sefirah si attribuisca una posizione mediana tra le due sefirot più elevate, concezione che ricorda un passo del Keter Shem Ṭov di Avraham Axelrod da Colonia, opera composta molto prima degli altri testi qui presi in esame.1309 È probabile che le prime attestazioni in un contesto teosofico del sintagma ‘akhirut ha-mayyim ricorrano nel Commento al Sefer Yetzirah di ‘Azri’el da Gerona.1310 È interessante che per l’appunto questo cabbalista presenti l’esistenza di bene e male all’interno del suo sistema teosofico prima degli attributi di misericordia e giudizio.1311

Ecco un esempio indubbio di come la dualità rabbinica degli attributi – localizzati non solo nei gradi inferiori del regno sefirotico ma anche in quelli più elevati – preannunzi le speculazioni luriane, che proiettarono la stessa dualità a un livello ancor più alto, come si è osservato. Si tratta di un fenomeno da contestualizzare nella cornice più vasta della crescita graduale d’interesse per i processi presefirotici nella storia della Qabbalah. In ogni caso, vediamo qui un tentativo di offrire una soluzione al problema della relazione tra i due attributi: si stabilisce che il giudizio sia emanato dalla misericordia, ricorrendo sia a una teoria della concatenazione delle sefirot sia a una concezione naturalistica, che si pone nella scia del presocratico Anassimene, secondo il quale l’aria dà origine ad altri elementi per condensazione e rarefazione. Lo stesso filosofo spiega che la terra/polvere deriva dall’acqua condensata.

In una direzione diversa procede invece la discussione attestata nel trattato anonimo tardo-duecentesco Eshkol ha-kofer, concettualmente affine alle prime opere di Yosef Giqatilla.1312 Sebbene non citi la parabola del fango e dell’acqua, l’anonimo cabbalista ricorda che la gloria, identificata con il nivra rishon, la prima creatura,1313 è il luogo in cui «si trovano gli attributi di misericordia e giudizio» (plurali nell’originale), corrispondenti a destra e sinistra, fronte e retro, e origine di tutti gli opposti (hafakhim).1314 Questi attributi avevano dunque una collocazione già prima dei processi teogonici. Il trattato non si serve peraltro di interpretazioni teosofiche delle sefirot, anche se il termine ricorre, benché di rado, in senso numerico. Ancora alla fine del Duecento abbiamo dunque prova dell’uso del termine middah, piuttosto che un’interpretazione teosofica della sefirah, in una tradizione cabbalistica affine alla filosofia aristotelica, dato che l’autore interpreta gli opposti in riferimento alla privazione e all’esistenza.1315

I trattati cabbalistici citati non sostengono mai il carattere esoterico della dottrina dell’origine del male e non c’è motivo di ritenere che essa non fosse nota ai cabbalisti prima di Luria; di conseguenza non c’è neppure ragione di pensare che sia stato lui a inventarla o che abbia deciso di celarla ad altri. È altresì interessante che i due studiosi che consideravano originale la dottrina luriana della catarsi e del male siano tra i pochissimi ad aver esaminato scientificamente il Sefer ma ‘arekhet ha-Elohut.1316

La distinzione netta – operata nell’accademia – delle trattazioni luriane dei due attributi e dell’acqua primordiale rispetto a quelle di cabbalisti precedenti fa parte della tendenza, diffusa negli studi cabbalistici moderni, a spiegare alcune concezioni come risultato di rotture concettuali – ritenute all’origine di forme di pensiero nuove e del tutto originali – e di conseguenza a sottostimare il ruolo delle continuità nelle società tradizionali.