Molte delle forme dualistiche di religione note nella storia della civiltà occidentale hanno un pesante debito nei confronti delle forme classiche di dualismo zoroastriano.103 In tale sistema si sostiene l’esistenza di due potenze primordiali, lo spirito positivo Ahura Mazda, o Ohrmuz (da cui deriva il termine mazdeismo, una delle designazioni dello zoroastrismo), e quello maligno, Angro Mainyu, o Ahriman, noto anche come Spirito Malvagio. La realtà presente è una miscela (gumezagih) dei due elementi104 e sono il loro costante conflitto e la vittoria escatologica del primo sul secondo a costituire i fondamenti di questa religione. È un tipo di dualismo adottato da molte altre religioni. Il caso più significativo è quello del manicheismo, che ebbe ampia diffusione e lasciò un’impronta profonda sulle sue varianti medioevali, i movimenti dei pauliniani, bogomili, massaliani o eutichiani e, più tardi, degli albigesi e dei catari. Anche altre forme di gnosticismo sono in debito con il dualismo zoroastriano.105 Sembra inoltre che alcuni filosofi greci abbiano avuto familiarità con elementi dualistici zoroastriani, come vedremo più avanti.
C’è inoltre una variante meno nota e influente dello zoroastrismo, lo zurvanismo, che ammette l’esistenza di un principio superiore, Zurvan, il tempo infinito, che avrebbe generato i due princìpi summenzionati.106 A differenza del dualismo sostanzialmente coerente del mazdeismo classico ne esiste dunque una versione monoteista, ritenuta eterodossa dall’ortodossia zoroastriana, che attribuisce maggiore rilievo a uno dei due princìpi «classici», ritenuto padre dei due elementi divini, considerati suoi figli. La filiazione dei due princìpi rappresenta una deviazione dallo zoroastrismo più diffuso che non li considera fratelli, ciò che implicherebbe un Urgrund condiviso. È ignota l’influenza di questa variante religiosa su strati sociali più estesi; certamente essa era conosciuta da vari studiosi medioevali. Prenderò spunto da alcuni passi in qualche modo associabili ad alcuni dei temi che discuteremo più avanti: essi si sono conservati nella vasta congerie di frammenti che descrivono questa concezione eterodossa, attestata solo in testi medioevali di autori cristiani, occidentali e orientali, e soprattutto islamici. Una delle testimonianze più significative appare nella celebre descrizione delle eresie di Shahrastani (XII secolo), il Kitab al-milal wa-al-niẖal (Il libro delle religioni e delle sette), che cito sulla base della traduzione inglese di Shaul Shaked:
La Zurwaniyya.107 La luce dette vita a uomini di luce, tutti spirituali, luminosi e divini. Ma il più grande di loro, che si chiamava Zurwan, ebbe un dubbio e da questo venne in essere Ahriman il Satana. Alcuni dicono: «No, invece [andò così]: il grande Zurwan rimase a pregare 9999 anni per avere figli ma non ne ebbe. Così gli venne in mente un pensiero e disse: “Forse questa conoscenza è inutile” e da quella riflessione venne in essere Ahriman, mentre Ohrmuz venne in essere da quella conoscenza: entrambi erano nello stesso ventre. Ohrmuz era più vicino all’uscita ma Ahriman ricorse a uno stratagemma e, squarciando il ventre della madre, uscì prima di Ohrmuz e si impossessò del mondo».108 Si dice che quando [Ahriman] comparve davanti a Zurwan e quest’ultimo lo guardò e ne osservò la bassezza, la malvagità e la corruzione, lo detestò, lo maledisse e lo scacciò ... Alcuni degli [esponenti del]la Zurwaniyya affermano che in Dio risiede da sempre qualcosa di basso, un pensiero vile109 o una corruzione vile110 e che questa è l’origine di Satana.111
Ai fini delle mie future riflessioni vorrei sottolineare alcuni temi nel passo: l’entità malvagia si è manifestata prima di quella positiva e la sua origine è il dubbio, il pensiero o la riflessione divina. L’espressione «pensiero cattivo» compare solo nelle narrazioni arabe dello zurvanismo, relativamente tarde, mentre altre fonti ricorrono ad altri termini quali «dubbio», «putredine» e «riflessione». È ovvio comunque che non fu Shahrastani a inventarla, dato che essa appare anche nei testi zoroastriani originari, ad esempio in Yasna 30, 3; 32, 5, nella forma aka mainyu, e in un testo di cui parleremo più avanti e in un’altra descrizione antica della religione zurvanica, intesa come eresia. Inoltre in un altro testo zoroastriano compare anche l’espressione di significato opposto vohu manah, «pensiero buono».112 Sembra dunque che non esista ragione di dubitare dell’autenticità del racconto più tardo sull’esistenza di una formulazione più antica dei due tipi di pensiero divino.
L’entità malvagia è chiaramente un figlio – diversamente dalla visione zoroastriana più ortodossa, che lo ritiene uno spirito malvagio – ed è il primogenito di Zurvan. Non si conosce la natura della madre ma si comprende che la nascita avviene grazie al ventre di una donna. Comunque sia, stando ad altre concezioni, la creazione è il risultato dell’atto incestuoso di Ohrmuz con la madre.113 In altri termini, la manifestazione di Ahriman dipende da un pensiero erroneo, un dubbio che ha generato lo spirito malvagio. Una simile interpretazione del pensiero cattivo di Zurvan è documentata anche da altre fonti arabe.114
È opportuno osservare che le fonti arabe sono relativamente tarde. Le più antiche risalgono al XII secolo e i particolari della loro narrazione non sempre coincidono con altri racconti relativi allo zurvanismo. Ciò nonostante, l’espressione «pensiero cattivo» appare anche nella testimonianza di ‘Abd al-Jabbar (XI secolo) che, descrivendo lo zoroastrismo,115 registra anche la versione del «dubbio» e della «putredine». Va notato che il dubbio o pensiero cattivo precede la sapienza, concepita in termini positivi. In ogni caso, gli studiosi non dubitano dell’attendibilità delle fonti islamiche. Benché le narrazioni in questione implichino una quadruplice struttura delle prime persone divine – Zurvan, la sposa sconosciuta e i due figli –, la loro struttura effettiva è triangolare – un padre e due figli – secondo quel che definisco una pseudo-simmetria subordinata.
Vorrei sottolineare che la nascita di Ahriman dall’atto cognitivo di Zurvan non fa parte di una manovra catartica finalizzata a purificare quest’ultimo, ma dimostra la sua manchevolezza, che a un certo momento viene esternata, ricevendo in qualche modo una natura ipostatica. La sua manifestazione non migliora l’atto creativo ma genera le condizioni per il mescolamento di vari elementi e dà origine alla natura inferiore.
Un’analoga struttura triangolare, che tuttavia non tiene conto del padre, appare in un testo scoperto nelle grotte di Qumran relativo a due spiriti ipostatici, uno della luce e uno delle tenebre. Molti studiosi hanno posto nel giusto risalto l’affinità tra lo zurvanismo e il rotolo del Mar Morto.116 Nel cosiddetto Manuale di disciplina leggiamo la seguente affermazione, frequentemente citata:
Dal «Dio di conoscenza» deriva tutto ciò che è e che era e ogni intenzione prima che le cose venissero in essere: ed esse vengono in essere secondo il loro proposito, in funzione del disegno stabilito dalla Sua Gloria; esse dunque adempiono la loro funzione e non sono soggette a mutamento ... e creò l’uomo per reggere il mondo e pose in lui117 due spiriti, cosicché potesse camminare con loro fino al momento della sua visitazione: sono gli spiriti della verità e dell’inganno. Dalla fonte di luce emanano le generazioni della verità e dalla fonte di tenebra le generazioni dell’inganno. Il principe della luce ha il dominio su tutti i figli della giustizia. Essi camminano su vie luminose. L’angelo delle tenebre ha il dominio totale sui figli dell’inganno. Essi camminano su vie oscure. Dall’angelo delle tenebre emana la corruzione di tutti i figli della giustizia e tutti i loro peccati, iniquità, colpe e azioni offensive sono in suo potere, in accordo con i misteri di Dio, finché è il suo momento. E tutte le loro afflizioni e i periodi del loro dolore sono causati dal dominio della sua opposizione; e tutti gli spiriti della sua specie causano la caduta dei figli della luce. Ma il Dio d’Israele e l’angelo della sua verità118 assistono tutti i figli della luce. Egli ha creato gli spiriti della luce e dell’oscurità e a loro ha assegnato ogni mansione.119
Nel passo si osserva una duplice polarità, antropologica e cosmologica: la prima è che esistono due spiriti nell’uomo e due tipi di uomini; la seconda è che le origini di tutto sono associate a due princìpi cosmici, designati come angelo e principe.120 Queste polarità sono riferite anche a diverse forme di comportamento etico. Per quanto il passo presenti una visione deterministica, è chiaro comunque che i figli dell’inganno possono intrappolare i figli della luce e causare la loro caduta. Dunque non tutto è predeterminato. Sebbene il quadro mostri un immaginario simmetrico, è evidente che il creatore divino parteggia per lo spirito di verità ed ecco perché in questo caso è preferibile parlare di pseudo-simmetria subordinata, piuttosto che di dualismo. Il presente è sotto il dominio del principe delle tenebre: dunque il male preesiste al bene finale, secondo modelli che richiamano le concezioni zurvaniche.
Nel passo non si fa menzione di un pensiero di Dio né di un «pensiero cattivo». Tuttavia, nello stesso trattato qumranico, subito dopo il brano tradotto, appaiono tre espressioni che contengono il termine ebraico «pensiero»: maḥashevet ma‘aśeh («il pensiero d’azione»), maḥashevet qodesh («il pensiero di santità = di Dio»)121 e, poco oltre, maḥashevet qodeshekha («il pensiero della Tua santità»)122 e maḥashavato123 («il Suo pensiero»). Qui creazione e predestinazione sono esplicitamente riferite al pensiero divino. D’altra parte, in un altro trattato qumranico si osserva un’opposizione tra maḥashevet qodesho («il pensiero della Sua santità») e maḥashevet Mastemah, «il pensiero di Mastemah» – l’angelo preposto alle potenze malvagie124 – e maḥashevet rishe‘am («il pensiero delle loro iniquità»).125 Come ha correttamente osservato Menahem Kister, nei rotoli il termine maḥashavah può essere indizio di una qualche arbitrarietà.126 Inoltre, l’espressione «Dio di conoscenza» all’inizio del passo citato traduce il biblico El ha-de‘ot, attestato in 1 Sam, 2, 3, che letteralmente significa «il Dio delle conoscenze», cioè di tutte le conoscenze, visto che il secondo termine è al plurale. Dovremmo interpretare l’uso del plurale in riferimento a due forme di pensiero e a un Dio che le precede, nei termini del triangolo teologico zurvanico?
In aggiunta alle varietà di «dualismi» che gli studiosi hanno definito in base all’analisi dei trattati ritrovati a Qumran, propongo pertanto di prendere in considerazione l’esistenza di un’evidente polarità dei due princìpi che si riflette anche nei due tipi di pensiero, in maniera che ricorda le affermazioni zurvaniche di cui si è detto. Ancora una volta, come nel caso dello zurvanismo, la creazione dello spirito dell’inganno non contempla alcun elemento di catarsi divina, né i testi alludono a un qualsiasi concetto di perfezione o perfettibilità.
In realtà l’influenza zurvanica, comunque plausibile, dovrebbe essere collocata nel contesto dell’ampia adozione di materiali iranici da parte del giudaismo tardo-antico.127 Secondo studi recenti, le concezioni attestate a Qumran potevano essere note ad autori giudeo-cristiani tardo-antichi128 e anche a cerchie ebraiche medioevali.129 In ogni caso, è semplicistico sostenere che le tesi zurvaniche fossero note solo ai pochi abitanti di Qumran e che con la fine della setta anche tali idee scomparissero in tutto il giudaismo.
Tracce di familiarità con il pensiero zoroastriano si rilevano nel Talmud babilonese, vasta compilazione di tradizioni originate da un’ampia varietà di fonti rabbiniche.130 Vorrei qui elaborare un concetto che può dimostrare qualche rapporto con il pensiero zurvanico. In un passo abbastanza oscuro, un maestro talmudico ricorda un fratello minore come bekhor Śaṭan,131 che letteralmente significa «primogenito di Satana» o, secondo la recente proposta di Israel Ta-Shma, «Satana il primogenito».132 Per la sua congettura, lo studioso ha operato un confronto con la visione bogomila di Satana come primogenito di Dio. C’è però un problema cronologico, perché la redazione del Talmud babilonese risale ad almeno due secoli prima dell’apparizione dei bogomili nell’Europa sud-orientale. Ciò nonostante, l’osservazione di Ta-Shma sull’affinità tra i due motivi sarebbe stata più plausibile presumendo una fonte zurvanica comune a entrambi. In effetti, ricercatori del mito bogomilo hanno proposto una simile spiegazione della trinità bogomila, costituita da Dio e dai suoi due figli Satanael, il primogenito, e Gesù, il cadetto.133 Resta dunque la possibilità che il Talmud babilonese si sia servito di una concezione zurvanica che sostiene la malvagità del primogenito e addirittura, forse, la sua identità con Satana.
Inoltre, secondo un’opinione giudeo-cristiana riportata da Epifanio di Salamina, attivo nella seconda metà del IV secolo, Gesù e Satana sarebbero da considerarsi alla pari:
Affermano che le due categorie furono stabilite da Dio, come vedo che una è Cristo e l’altra il diavolo. Dicono che Cristo ha ricevuto la parte relativa all’età ventura mentre il diavolo ha ricevuto questa.134
Anche se qui il diavolo non viene definito primogenito, come in altre tradizioni, è ovvio che a lui è stata concessa la signoria sulla prima delle due ere menzionate nel passo, il che significa che il suo dominio precede quello di Gesù. Questa concezione ricorda la divisione tra Ahriman, il primo a dominare, e Ohrmuz, destinato a regnare in futuro. Per capire il testo talmudico è pertanto preferibile ricorrere a temi precedenti, piuttosto che a considerazioni a posteriori.
Nella tradizione rabbinica esistono affermazioni relative all’impenetrabilità del pensiero di Dio, tra le quali si evidenzia un testo in cui si spiega la tragica morte di Rabbi ‘Aqiva – uno dei maestri più autorevoli del giudaismo – stabilendo un nesso con il pensiero divino.135 La connotazione probabile è che in esso possono coesistere forme diverse di logica religiosa, che destinano un uomo giusto a una morte immeritata e crudele.
C’è un’ulteriore tradizione attestata nell’ebraismo sull’affinità tra il primogenito e la potenza malvagia principale. A partire dall’alto Medioevo, in alcune fonti ebraiche il primogenito di Adamo non è Caino, ma un personaggio denominato con le consonanti ebraiche ’GRYMS, che possono essere vocalizzate Agrimas. La leggenda ricorre, ad esempio, in un Midrash tardo, intitolato, secondo una fonte posteriore, Midrash avkir. Si tratta di un testo frammentario, ricostruito da alcuni studiosi del XX secolo che gli hanno attribuito questo titolo.136 Un recente saggio sul mito in questione smentisce l’attendibilità di tale analogia.137 Ciò nonostante, i ricercatori sono sostanzialmente concordi sull’appartenenza del passo seguente a un midrash:
Adamo era un uomo giustissimo e quando vide che per causa sua era stata decretata la morte praticò l’ascetismo, digiunando, astenendosi dai rapporti con sua moglie e dormendo da solo.138 Una lilit chiamata Pizna lo vide e desiderò la sua bellezza ... gli si coricò a fianco e generò da lui demoni e lilit e il primogenito di Adamo fu chiamato Agrimas. Agrimas poi prese in moglie la lilit Imrit, che gli generò novecentomila demoni e lilit.139
Nel passo compaiono concetti paralleli a quelli attestati in altri midrashim, che associano ai demoni il seme di Adamo, implicitamente o esplicitamente.140 Vi si nota inoltre una posizione ambigua nei confronti dell’ascetismo, pratica ritenuta positiva ma al contempo criticata, forse nella sua versione più rigorosa ed estrema. Dopo l’enorme proliferazione di demoni e lilit,141 nel midrash si racconta che a Matusalemme fu affidata una spada che recava inciso il nome di Dio e con la quale era in grado di uccidere i demoni.
In seguito Agrimas si recò da Matusalemme per implorarlo di arrestare lo sterminio dei demoni.142 Essendo il loro capostipite, Agrimas doveva anche salvarli dall’arma letale di Matusalemme. La responsabilità della generazione dei demoni è attribuita a un demone femminile, una lilit. Tuttavia qui, come nelle discussioni rabbiniche classiche in cui si racconta che Adamo generò figli con un demone donna, non si spiega l’origine della sua compagna. Questa visione demonica della potenza femminile richiama il mito zurvanico, diverso da quello zoroastriano.143 Sebbene non sia fatta esplicita menzione del seme di Adamo, come nelle versioni rabbiniche classiche dello stesso midrash, possiamo ritenere che un lettore ebreo avrebbe facilmente associato la storia con il motivo dello spargimento vano di seme. Se accettiamo la natura zurvanica della lilit nel nostro passo, riscontriamo la combinazione di due categorie del mito relativo al male che Paul Ricoeur distingue nel suo Symbolism of Evil: il «mito dominante», che ha a che fare con la caduta dell’uomo – anche se nel brano si tratta di una situazione transitoria –, e la categoria del dramma della creazione, stando alla quale la creazione conterrebbe in sé dei semi di malvagità.
La frase rilevante in alcune delle fonti che tramandano il midrash frammentario è la seguente: «Il primogenito del Primo Uomo [Adamo] si chiamava Agrimas». Già Louis Ginzberg, tra i primi studiosi a pubblicare una versione del mito, propose di interpretare il nome, da lui vocalizzato Agrimus, come una variante di Angro-Mayniu,144 forma più antica del nome Ahriman. Proprio come nella tradizione zurvanica Ahriman è il primogenito del divino Zurvan, il tempo infinito, nelle fonti ebraiche summenzionate Agrimas/Agrimus è il primogenito di Adamo, partorito dalla moglie, la demonica lilit che, secondo fonti midrashiche tarde, sarebbe stata la sua compagna originale che poi l’avrebbe abbandonato, prima dell’incontro con Eva.145 In entrambi i casi abbiamo un primogenito nato da un eroe capostipite e i nomi dei due figli sono molto simili. Possiamo dunque supporre che la fonte del midrash tardo non fosse una versione ortodossa dello zoroastrismo dualista ma un testo zurvanico che sosteneva l’esistenza di un padre divino con due figli, di cui il primo malvagio. Inoltre, nello zurvanismo, così come nel midrash, Ahriman/Agrimas è responsabile dell’origine dei demoni. Data la presenza del nome Agrimas, possiamo escludere l’influenza del manicheismo o del catarismo, correnti che immaginano un Dio con due figli – il primo dei quali malvagio – o del bogomilismo, secondo il quale il primogenito era Gesù e il secondo il diavolo.146 In questi casi, comunque, non compare il nome Ahriman ed è pertanto impossibile sostenere che sia stata una fonte gnostica, piuttosto che zurvanica, ad aver influenzato il passo midrashico.
L’influsso zurvanico sul midrash può essere confortato da un’ulteriore affinità. In un altro frammento del Midrash avkir si afferma che «quando Israele cantò il canto [Nm, 21, 17] “Allora [az] cantò Israele”, il Santo, benedetto sia, si rivestì di un manto di splendore sul quale erano iscritte tutte [le attestazioni del termine] az nella Torah».147 Nello zurvanismo il termine az indica la potenza della concupiscenza, un’entità negativa parallela a Zurvan, mentre anche quest’ultimo è descritto rivestito di un manto,148 come Ahriman, al cui proposito si afferma che avrebbe ricevuto un manto da Zurvan.149
Evidentemente alcuni di questi materiali midrashici raggiunsero l’Europa, dato che il nome Agrimas è attestato in fonti ashkenazite, perlopiù dell’area del hassidismo renano del XIII secolo,150 parte delle quali scoperte da L. Ginzberg e A. Marmorstein.151 La leggenda è riportata quasi interamente nel diffuso Commento al Pentateuco dell’ashkenazita Efrayyim ben Shimshon (XIII secolo).152 Dai testi ashkenaziti, dalle loro fonti o da altre produzioni parallele alcuni cabbalisti avrebbero adottato una parte del mito, che sarebbe poi penetrato nell’opera di alcuni autori del XVI secolo, nell’opera del cabbalista ashkenazita minore David ben Yitzḥaq Ginsburg di Fulda e in un voluminoso trattato manoscritto intitolato Migdal David (1595).153 Più significativa per la storia della Qabbalah è però la testimonianza di Natan Neta‘ Shapira da Gerusalemme, vissuto verso la metà del Seicento e attivo in Europa, soprattutto in Italia. Egli scrive:
... è scritto nel Libro dei segreti: «quando Adamo si separò da sua moglie, dette vita per 130 anni a spiriti e lilit nocivi alle generazioni umane [‘olamot]». Nel midrash sono elencate varie decine di migliaia di spiriti e di lilit che uccidevano creature viventi [beriyyot] e il Santo, sia benedetto, concesse al giusto Matusalemme di incidere il nome divino sulla sua spada e così ne uccise ventimila in un solo colpo, finché giunse Agrimos, primogenito di Adamo ... la sua intenzione154 sarebbe stata di ucciderli tutti, se Agrimos non fosse venuto, come si è detto. Fine della citazione di R. N[atan].155
Non so che cosa sia il Libro dei segreti (Sefer ha-razim) ma certamente non è il Midrash avkir, citato nel passo. Esisteva dunque un’opera, probabilmente un testo cabbalistico, in cui si faceva menzione del midrash e che Natan Shapira aveva visto. Forse si trattava di una fonte analoga al documento senza titolo di Yitzḥaq da Acco su cui torneremo nel capitolo 4. Abbiamo a che fare qui con il topos della lotta tra uomini e diavoli, attestata nelle fonti zoroastriane;156 il giusto Matusalemme salva l’umanità con l’aiuto di Dio. Benché il tema dello spargimento del seme di Adamo per 130 anni non vi compaia, si può forse dedurre dal racconto della proliferazione dei demoni. Il rilievo attribuito al seme in alcuni testi cabbalistici che analizzerò più avanti dovrebbe, a mio parere, essere interpretato sullo sfondo del motivo del vano spargimento di seme.
È opportuno sottolineare che gli esempi qui citati sono tratti esclusivamente da testi in cui si fa esplicita menzione del nome Agrimas/Agrimus e che non citano o copiano frammenti del Midrash avkir: questa è la dimostrazione che il passo su Agrimas era noto, anche se non veniva associato al titolo Avkir. In queste testimonianze è dunque possibile rintracciare un mito zurvanico all’interno di materiale midrashico tardo in fonti medioevali ashkenazite e nella Qabbalah del XVII secolo, sempre in testi di origine ashkenazita. Come vedremo ancora nel prosieguo, il peccato di Adamo è ritenuto molto grave dai cabbalisti, forse altrettanto grave del peccato originale (nutrirsi del frutto dell’albero della conoscenza). È comprensibile il rilievo attribuito a questa leggenda in una società che dava tanta importanza al seme: i cabbalisti addirittura ne amplificarono la portata.
In ultimo, va ricordato che in un commento medioevale alla Torah, intitolato Sefer pitron Torah e composto in Iran, i due capri sacrificati il giorno dell’espiazione secondo il racconto biblico sarebbero stati inviati a Ohrmuz e ad Ahriman; ciò significa, penso, che alcuni ebrei adottarono forme di simmetria subordinata o di binitarismo.157
La narrazione midrashica riflette una versione mistica di ciò che ho proposto di considerare l’influenza di un tema zurvanico su forme di giudaismo precabbalistico e cabbalistico. A mio parere, comunque, c’è un ulteriore aspetto del motivo zurvanico della nascita di Ahriman che lasciò il segno su alcune fonti ebraiche. L’idea che il male sia generato da un pensiero divino si riverberò in molte forme di Qabbalah ma ebbe la sua prima formulazione in Europa, in un testo scritto alcuni secoli prima della nascita della Qabbalah, un’epistola composta nella prima metà del IX secolo dal vescovo di Lione Agobardo. Il documento è la fonte di una delle principali testimonianze relativamente antiche di mitologemi diffusi tra gli ebrei d’Europa. Sebbene alcuni studiosi che non si sono occupati di mistica ebraica medioevale abbiano mostrato interesse per il breve passo di Agobardo,158 il suo contributo per la storia della mistica ebraica è stato quasi totalmente passato sotto silenzio.159 Alcuni mitologemi hanno paralleli nella letteratura ebraica precedente, soprattutto nella letteratura degli Hekhalot,160 e altre parti della sua testimonianza derivano da forme di Halakhah palestinese, come ha dimostrato Reuven Bonfil in uno studio significativo.161 Fino a oggi le affermazioni del vescovo, animato da sentimenti anti-giudaici, sembrano attendibili: non avrebbe avuto senso inventare strane tradizioni da attribuite agli ebrei. Tuttavia, tra i numerosi mitologemi attestati nella sua lettera, uno non trova paralleli in nessuna forma ebraica precedente, benché ne esistano numerosi nella Qabbalah posteriore e in forme di pensiero non ebraico più antiche. Ecco il testo:
Dicono anche che la loro divinità ha un corpo, del quale possono distinguere le singole membra e i caratteri fisici e che, come noi, può sentire con un organo, vedere con un altro e parlare o fare altro con un altro ancora; ecco in che senso il corpo umano è stato fatto a immagine di Dio, con la differenza che questi ha dita rigide, inflessibili, poiché non fa niente con le mani. Siede come un re terreno su un trono sostenuto da quattro animali e abita in una specie di grande palazzo. Addirittura fa pensieri superflui e vani che, data la loro inanità, si trasformano in demoni.162 Come si è detto, raccontano innumerevoli abomini sul loro dio, ad esempio che venerano un’immagine che si sono forgiati ed hanno eretto nella follia dei loro cuori, ma non il vero Dio, completamente inalterabile, di cui non hanno nessuna conoscenza.163
Il passo riflette diverse concezioni, alcune delle quali già attestate in precedenti fonti ebraiche scritte. Le dita rigide compaiono in una versione dello Shi‘ur Qomah citata da un autore caraita164 che tuttavia non è confortata dalle versioni superstiti dell’opera.165 La descrizione di Dio seduto sul trono in un palazzo ricorda le analoghe immagini della letteratura hekhalotica, così come, almeno in parte, la concezione del corpo divino. Abbiamo dunque una prova relativamente antica della penetrazione di queste tipologie letterarie in un’area lontana dal Medio Oriente, dove avevano avuto origine. Le altre concezioni ebraiche riportate nella lettera sono state già oggetto di precedenti ricerche e non ne farò menzione in questa sede.166 La frase che ho evidenziato in corsivo è l’unica che non trova paralleli in testi ebraici più antichi. Vi si afferma che alcuni demoni (o tutti) sarebbero originati da pensieri divini rimasti incompiuti perché vani. Mi chiedo se esista una teoria analoga in base alla quale altri pensieri divini diano origine ad angeli, come vedremo in uno dei testi che analizzerò nel paragrafo seguente. In ogni caso, qui non si sostiene alcun dualismo radicale, né si afferma l’esistenza di una fonte metafisicamente inferiore dei demoni. È il pensiero (o i pensieri) di Dio a generare i demoni, almeno in alcuni casi. Il testo latino usa un presente, il che significa che si tratta di un processo continuo e non di un evento verificatosi all’inizio della creazione.
La natura del tema trattato nel passo riflette posizioni teologiche diffuse, a mio parere, all’interno di élite ebraiche. Nello stesso contesto, Agobardo afferma di aver parlato con degli ebrei che gli avrebbero rivelato quel che egli chiama «i misteri del loro errore».167 In ogni caso non c’è motivo di considerarli tradizioni «popolari», irrilevanti per la successiva evoluzione della Qabbalah, intesa come dottrina esoterica, come afferma Isaiah Tishby, secondo il quale la testimonianza potrebbe non essere affidabile, forse perché originata da «apostati» [sic!] o condivisa solo da un numero esiguo di ebrei.168 In entrambi i casi è palese il tentativo di minimizzare il rilievo della testimonianza di Agobardo a vantaggio di una diversa interpretazione dell’evoluzione della teoria del male nella Qabbalah. Se avesse davvero letto l’epistola di Agobardo, del quale mette in dubbio l’affidabilità, Tishby avrebbe compreso che le concezioni che vi sono descritte sono considerate niente meno che «misteri» degli ebrei – come si è appena visto – e avrebbe faticato meno se avesse cercato l’interessante e dettagliata analisi del passo nel Festschrift a lui dedicato.169 È significativo che lo studioso non faccia menzione del contributo di Reuven Bonfil, basato su alcuni elementi del passo di Agobardo e indirettamente anche sul mio articolo.
In sintesi: la testimonianza di Agobardo prova l’esistenza di teorie sull’origine del male dal pensiero divino diffuse tra gli ebrei dell’Europa occidentale già nel IX secolo.
Il contenuto della lettera di Agobardo era indubbiamente ignoto agli ebrei medioevali, il che non significa che le idee attribuite dal vescovo a ebrei lionesi non continuassero a costituire oggetto di disputa all’interno della società ebraica in generale. Un interesse per il pensiero divino, e più particolarmente per la «profondità del pensiero» che accoglie il Tohu primordiale, si può osservare già nella Qabbalah provenzale, benché in essa non si faccia esplicito riferimento al problema del male.170
Il tema divenne invece cruciale per i cabbalisti castigliani a partire dalla seconda metà del XIII secolo, e alcuni di essi incentrarono i loro scritti sulla concezione del pensiero cattivo.171 Più specificamente, si osservano parallelismi con la concezione dell’origine dei demoni, di cui si è detto. Uno dei maggiori esponenti di questa scuola, Mosheh da Burgos, dedicò al nesso tra pensiero divino e creazione del male un passo interessante, che analizzerò più avanti.
Il parallelo più vicino alla posizione espressa dall’epistola di Agobardo compare nell’opera di un cabbalista duecentesco, probabilmente operante in Castiglia, Yosef ha-ba mi-Shushan ha-birah (letteralmente: «Yosef venuto dalla capitale Susa», cioè originario di Hamadan, l’antica Ecbatana, in Persia). La sua opera si colloca in quella che io definisco «la finestra temporale aperta della Qabbalah», cioè all’incirca tra il 1275 e il 1295.172 Il suo pensiero cabbalistico è stato di recente oggetto di studio da parte di diversi ricercatori, che gli hanno attribuito opere manoscritte prima ritenute anonime. Rimane oscura la sua biografia e, in particolare, quel che più ci interessa in questa sede, le probabili origini persiane alluse nel nome.173 Fu un cabbalista della corrente teosofico-teurgica, che cioè sosteneva lo status divino delle dieci sefirot e riteneva che l’attività dell’uomo possa influenzare le dinamiche della struttura sefirotica. Leggiamo nel suo trattato Toledot Adam:
Da dove hanno origine i demoni? Ti ho già accennato a una loro derivazione dal Suo pensiero sulla sciagura [por‘anut] di Israele, perché angeli e demoni sono stati creati dal pensiero ma mentre i primi derivano dal pensiero puro e raffinato, gli altri sono creati dal lato sinistro.174
Poche righe prima, l’autore si interroga sulle origini di angeli e demoni:
Da dove hanno origine? Dal pensiero puro [maḥashavah ṭehorah]175 che sale davanti al Santo, benedetto sia, fu creato un angelo e dal pensiero di sciagura [maḥashevet ha-por‘anut] fu creato un demone ... da lì demoni, spiriti, potenze nocive [maziqin] e lilin, che derivano dall’attributo del [lato] sinistro.176
Non è chiara la natura specifica del pensiero che genera angeli e demoni, pare comunque evidente che il pensiero divino sia la potenza creatrice che produce le due entità soprannaturali. Dal contesto dei passi precedenti si comprende che il pensiero puro corrisponde alla sefirah Ḥesed, o misericordia divina, mentre il pensiero di disgrazia corrisponde alla sefirah Gevurah, cioè alla potenza associata al male. Si osserva dunque una corrispondenza sostanziale tra gli ultimi due passi cabbalistici e, in qualche modo, la concezione attribuita agli ebrei lionesi del IX secolo. Inoltre, sia la testimonianza di Agobardo sia i brani di Yosef da Hamadan concordano sul fatto che il pensiero divino non è considerato necessariamente all’interno di un contesto teogonico o cosmogonico ma è finalizzato a risolvere la questione della creazione dei demoni. Almeno dalle citazioni di Yosef da Hamadan risulta evidente che i demoni sono stati generati da una potenza maligna, designata «pensiero di sciagura», descritta in opposizione al pensiero puro.177 L’idea che i demoni, shedim, derivino da una potenza negativa superna non è accolta unanimemente dalla letteratura ebraica, nella quale i demoni tradizionalmente compaiono impegnati nell’adempimento della maggior parte dei precetti rabbinici, proprio come ogni ebreo osservante.178 Mi chiedo se sia significativa la discrepanza di numero (singolare/plurale) nelle due citazioni dal Sefer Toledot Adam. Se il singolare si riferisce a un’entità del livello di un arcangelo o un arcidemone, l’analogia con lo zurvanismo è ancora più forte.
Altrove nello stesso trattato Yosef descrive dieci gruppi o livelli di impurità, creati dalle dieci sefirot pure, e li descrive come scorie [pesolet] delle entità positive.179 È chiaro – mi preme sottolinearlo – che Yosef non stabilisce una priorità tra potenze negative ma il suo riferimento al male all’interno del pensiero divino è importante perché si pone in parallelo sia alla testimonianza di Agobardo sia alla posizione zurvanica.
È particolarmente rilevante per le nostre future argomentazioni la trattazione, in un passo dello stesso trattato di Yosef sfortunatamente corrotto, delle due decadi di sefirot pure e impure, in cui le seconde sono connesse ai dieci re di Edom.180 Queste concezioni differiscono dalle precedenti, di cui si è detto, e anche da un’ulteriore opinione riportata dall’autore nel suo Commento alla Genesi, pervenutoci incompleto. In esso Yosef descrive la manifestazione di dieci sefirot dall’interno della «Ḥokhmah primordiale», considerata la mano destra, mentre dei dieci livelli di impurità si afferma che sono stati originati dalla mano sinistra.181 In breve, ci troviamo di fronte a un caso di pseudo-simmetria subordinata. Negli scritti del cabbalista compaiono varie spiegazioni dell’origine del male ma ogni tentativo di sistematizzare il suo pensiero in proposito è, a mio avviso, destinato al fallimento. Si ricordi che in uno studio sulle influenze iraniche sul giudaismo Shlomo Pines ha posto l’accento sulla probabile influenza di fonti persiane su questo autore.182
Simile alla posizione di Yosef da Hamadan è quella attestata da un brano aramaico, presumibilmente da riferire alla letteratura zoharica, sebbene appaia per la prima volta nell’opera di un cabbalista italiano dell’inizio del Trecento, Menaḥem ben Binyamin da Recanati. Nel suo Commento al Pentateuco, che racchiude numerose citazioni dirette dallo Zohar confrontabili con le versioni manoscritte e a stampa dell’opera, una, particolarmente rilevante per il nostro proposito, non compare nei manoscritti dello Zohar ma è stata incorporata nella tarda versione a stampa di materiale zoharico intitolata Zohar Ḥadash, con ogni probabilità fondata sull’opera di Recanati. Ancora una volta si tratta di un brano incompleto, in cui si discute della motivazione del precetto dei sacrifici, affine a un passo ebraico, pubblicato senza attribuzione alla fine dell’opera di Mosheh de León Sefer ha-nefesh he-ḥakhamah. Mi occuperò prima del testo aramaico e ricorrerò successivamente al testo parallelo ebraico che mi pare possa chiarire alcuni elementi:
Dal lato sinistro c’è un’altra parte impura, anch’essa chiamata pensiero o pensiero cattivo, dato che il livello al di sopra di essa si chiama male ed ecco perché si chiama così. Essa [racchiude in sé] ogni cattiva intenzione, tutti i cattivi propositi e tutte le prostituzioni e le malvagità del mondo ed è da lì che hanno origine tutti i cattivi propositi con cui gli uomini si contaminano. Sopra questo pensiero cattivo si trovano vari livelli impuri, la cui funzione è quella di contaminare gli uomini, per mezzo di quelle intenzioni e speculazioni del pensiero cattivo. Allora qualcuno si contamina per causa loro e aderisce a quella parte. Ecco perché chi vuole offrire un olocausto per purificarsi, quando presenta il sacrificio vuole indirizzare la sua intenzione verso il pensiero santo. E la nuvola [del fumo sacrificale] ascende a quei luoghi dal grasso e da alcune membra interne [immurim] e il primo a salire183 è quel pensiero cattivo e tutti se ne cibano e si saziano. Subito dopo sale un’altra nuvola più sottile ... ed è allora che l’offerente si separa dal pensiero cattivo e si unisce al pensiero puro,184 cosicché tutto, più di tutto, si unisce al pensiero chiuso superno185 e diventa una cosa sola con esso.186
Mi interessa in primo luogo la concezione del pensiero cattivo in quanto fonte di ogni altro male, associata ai desideri degli uomini. Questo pensiero è reificato e localizzato nel lato sinistro. È un’interpretazione resa possibile da un’esegesi esasperata dell’espressione classica maḥashavah ra‘ah, intesa come uno stato costrutto nel significato di «pensiero del male», cioè pensiero al di sopra del quale si trova una potenza malvagia, un livello o un’entità ipostatica definita. È uno status ontologico piuttosto vago del pensiero e del male. Questo pensiero è considerato parte del lato sinistro. Mi chiedo se si tratti della sefirah Gevurah: forse è così che dovrebbe essere inteso il termine ra‘ah. A ogni modo, è a questa sefirah che si attribuisce la causa dell’impurità dell’uomo. Il pensiero cattivo è dunque ritenuto l’origine del male, analogamente alla causa della generazione di Ahriman, responsabile di tutte le azioni cattive nel mondo inferiore.
Il passo zoharico sostiene che il grasso dell’offerta sacrificale ascende e sazia le schiere malvagie, liberando così il pensiero umano dalla loro espansione e permettendogli di raggiungere, ormai libero, il pensiero superno, per unificare l’intero sistema sefirotico. Dunque è il lato malvagio il destinatario di una parte del sacrificio. Esso viene saziato dalla prima «nuvola» che si eleva dall’offerta bruciata. Il verbo (RWH) che esprime l’idea della sazietà delle potenze maligne soddisfatte dal consumo dei vapori dei sacrifici ricorre sia nella versione aramaica sia in quella ebraica del passo. Così, dando una parte al lato sinistro o al pensiero cattivo, è possibile sottrarre all’entità perniciosa il pensiero umano, posseduto dalla presenza del male causata dalla sua unione con il lato oscuro, e condurlo al contatto con il pensiero superno, movimento allegorizzato da una seconda nuvola che si leva dall’olocausto. Vorrei osservare che il pensiero cattivo, dubbio o decomposizione che dettero vita ad Ahriman ebbero luogo dopo mille anni di sacrifici offerti da Zurvan.
Menaḥem da Recanati espresse un’analoga concezione anche in una sua opera precedente, il Commento ai precetti. Si legge nell’introduzione:
... dal lato sinistro sono emanate tutte le impurità, le stregonerie e i demoni, come si è spiegato: nel libro dello Zohar questo si chiama pensiero cattivo. Il contrario avviene invece dal lato destro.187
In un testo cabbalistico anonimo, pubblicato a stampa insieme ad altri segreti cabbalistici, al termine dell’edizione dell’opera di Mosheh de León Sefer ha-nefesh he-ḥakhamah (anche se, a mio parere, non è attribuibile all’autore),188 si sostiene che «il pensiero [dell’uomo] è il capo [= l’inizio] di tutte le azioni e si approssima sempre più al pensiero superno per collegare tutto, [cioè] finché giunge a quel pensiero che si chiama “tutto”».189 Nel passo di Recanati si fa menzione di due pensieri superni: il più elevato, chiamato anche «pensiero chiuso», come nel brano zoharico, e corrispondente alla prima sefirah, e l’inferiore, riferito alla sefirah Yesod, simboleggiata qui dal termine kol («tutto»). L’ascesa del pensiero umano purificato consente l’unificazione del regno sefirotico che si estende tra Keter e Yesod. Sono dunque due attività cultuali quelle di cui si parla nel passo zoharico e nel testo ebraico anonimo, entrambi, a mio avviso, opera dello stesso autore: la prima, riferita al pensiero cattivo, consiste nel «comprarlo» perché allenti la presa sul pensiero dell’uomo; la seconda determina l’ascesa al pensiero puro superno del pensiero umano liberato.
Il sacrificio culmina in una terza fase, l’offerta, che libera il pensiero umano dal dominio del pensiero cattivo e facilita la sua adesione al pensiero puro, e sollecita l’unificazione del regno sefirotico. In effetti, l’idea che il sacrificio abbia a che fare con il lato sinistro o impuro è formulata in maniera interessante anche in un manoscritto anonimo che riflette tradizioni cabbalistiche castigliane: «Ogni sacrificio possiede qualcosa del lato sinistro e cioè le scorie di cui si è parlato prima».190
Anche secondo un altro testo zoharico esiste un nesso tra il pensiero cattivo e il sacrificio. Il cabbalista anonimo sostiene che il rituale è finalizzato a bruciare il pensiero cattivo e a separarlo dalla santità.191 In entrambi i casi non si compie alcun tentativo di integrare o reintegrare il male al bene, come avviene nello Zohar.192
Sono evidenti le affinità concettuali tra il testo zoharico aramaico e il brano anonimo ebraico, da un lato, e le concezioni di Yosef da Hamadan sul pensiero cattivo come entità ipostatica, dall’altro, rese ancor più nette dal confronto con le opere di Mosheh de León, che tuttavia non fa ricorso alla concezione ipostatica del «pensiero cattivo», analogamente a Yosef Giqatilla nei suoi scritti teosofici più tardi.193 Come ha osservato Elliot Wolfson, nello Zohar è rilevante il ruolo svolto dal lato malvagio nel culto, mentre tale concezione non appare negli scritti di De León.194 Comunque, in alcuni passi zoharici l’espressione maḥashavah ra‘ah è riferita a un’entità ipostatica.195 Sulla base di questa distinzione, dovremmo postulare l’influenza probabile delle concezioni di Yosef da Hamadan sul corpus zoharico, come ha affermato Yehuda Liebes.196 D’altro canto, è indubbia l’affinità terminologica tra il testo zoharico citato e il passo di Mosheh de León: in entrambi compare in un contesto analogo l’espressione rara maḥashavah setumah. Riaffronterò questo argomento più avanti, nel paragrafo 6.
Abbiamo appena esaminato un passo significativo, tratto dal corpus zoharico,197 riferito allo status ipostatico del pensiero cattivo, in relazione con la sefirah del giudizio severo, un’ipostasi relativamente bassa. Nel passo non compare il motivo dell’anteriorità del pensiero cattivo rispetto al pensiero puro. Si sostiene invece una specie di biforcazione, a un livello inferiore del mondo divino, di due ipostasi del pensiero, una buona (o pura) e l’altra cattiva.
Prenderò adesso in esame un’altra interpretazione dell’origine del male, che deriverebbe dalla parte più elevata del mondo divino. Si tratta di posizioni diverse all’interno della produzione zoharica, che non intendo riconciliare ma leggere come espressione di atteggiamenti variegati che potrebbero o meno derivare da un’unica fonte.
Vorrei innanzi tutto spiegare la mia interpretazione delle origini della ricca letteratura zoharica. In uno degli studi in cui affrontavo il tema, proposi una versione diversa da quella dominante, fondata sulle affermazioni di Scholem e Tishby. A mio avviso, in Castiglia si verificò una fusione di varie tradizioni esoteriche ebraiche giunte da diverse aree culturali, ebraiche e non ebraiche. Così definii in quello studio lo sfondo in cui si manifestò quest’ampia produzione:
Già prima del 1270, la Castiglia era divenuta un importante crocevia per i cabbalisti ... Possiamo pertanto considerare la regione un punto d’incontro delle principali tendenze della Qabbalah tra il 1270 e il 1290 ... Questi due decenni testimoniarono le fasi finali della maggior parte delle tradizioni cabbalistiche antiche, e la nascita di un approccio più complesso nei confronti della Qabbalah intesa come disciplina comprendente tendenze speculative in precedenza distinte. Questo nuovo approccio, rappresentato principalmente da tre cabbalisti – Giqatilla, De León e Yosef da Hamadan – così come dallo Zohar, rappresenta ciò che io proporrei di definire la «Qabbalah innovativa» spagnola ... I cabbalisti avevano ormai appreso i motivi di questa misteriosa melodia ed erano in grado di comporre nuove variazioni, elaborando motivi precedenti e creandone di nuovi. Da questa intensa attività derivò lo Zohar, che costituì al contempo la prima espressione e l’apice della creatività simbolica cabbalistica.198
Nella nota riferita a quest’ultima considerazione si legge:
La mia percezione dello Zohar come culmine di un processo di oltre due decenni non segue le interpretazioni di Scholem e Tishby, secondo i quali l’opera sarebbe da attribuire integralmente a Mosheh de León. Ritengo invece che all’interno di questo magnum opus cabbalistico, che trasse notevoli benefici dalla libertà simbolica di quegli anni, siano confluiti elementi più antichi, tra i quali concetti e simboli teosofici, simboli e forse anche brevi composizioni originariamente autonome.199
Per «motivi precedenti» allora non intendevo solo una particolare teoria del male, che avevo analizzato qualche anno prima nel mio articolo sul pensiero cattivo di Dio ma anche brevi trattati, tra i quali, ad esempio, uno incentrato su Enoc che aveva catturato la mia attenzione in varie occasioni e che poteva dimostrare la presenza di testi più antichi all’interno dello Zohar.200 Ho proposto di leggere lo Zohar su più sfondi, cioè non solo come parte dell’evoluzione della Qabbalah in Spagna ma anche nel contesto di ipotetiche tradizioni precedenti, non solo quelle rappresentate dai cabbalisti castigliani anteriori (definiti «gnostici»), ma anche temi ashkenaziti e forse anche ermetici, come pure teorie del male che vi furono incluse e che potevano derivare dallo zurvanismo attraverso tradizioni ebraiche francesi.
Mi preme però sottolineare che non credo, come i cabbalisti, all’antichità della loro letteratura o del materiale zoharico; intendo solo dimostrare che temi e anche documenti più antichi avrebbero potuto alimentare la produzione cabbalistica medioevale. La recente teoria formulata da Yehuda Liebes e da Ronit Meroz, i quali attribuiscono la composizione dello Zohar a un gruppo o a più gruppi di cabbalisti, differisce dalla mia, sebbene possa in qualche modo sovrapporsi a essa.
L’idea di precedenza dell’impuro rispetto al puro, attestata nelle fonti ebraiche e non ebraiche precedentemente menzionate, è stata proiettata su altre discussioni della letteratura zoharica, relative ai processi teosofici che hanno luogo nella più alta sfera del divino. Così apprendiamo, ad esempio, in un passo la cui sintassi e il cui contenuto sono piuttosto oscuri:
Vieni e vedi: il Capo201 dell’inizio della fede,202 la Candela di oscurità203 dette un colpo all’interno del pensiero, ascese al pensiero, generò molte scintille luminose e le disperse da 320 parti,204 purificando le scorie [pesolet] all’interno del pensiero,205 che così si purificò. Analogamente ascese al pensiero la scoria, mentre si purificava, e si purificò. Chi ne aveva bisogno si è perfezionato veramente. Quando saliva, saliva al pensiero e ogni cosa è come dev’essere: gioia da questo lato e tristezza dall’altro.206
In questo denso passo si dipinge la scena del pensiero di Dio, su cui si rappresentano due diversi fenomeni: il colpo dato dalla potenza superiore – la Candela di oscurità – al pensiero, che dà l’avvio a un processo che porta all’estirpazione delle scorie e alla purificazione del pensiero stesso. È una potenza di qualche specie che penetra nel pensiero e ne rimuove l’impurità. Per quanto si tratti di un immaginario mitico, il quadro suggerito è quello di un ordine ritenuto necessario, il cui risultato è positivo. La separazione dell’impurità generata da scintille e la parallela comparsa della tristezza fa da contraltare alla gioia. Ciò nonostante, si evince dalla prima parte del passo, così come da un’altra affermazione nello Zohar,207 che le prime a manifestarsi sono le potenze malvagie e in questo senso è del tutto evidente il processo di catarsi del pensiero divino prima dell’emanazione del sistema sefirotico. L’impurità sono le scintille che vengono rimosse e disperse in tutte le direzioni.208 Poiché si fa menzione dell’«inizio della fede», il pensiero deve necessariamente corrispondere a un’entità molto elevata, la prima o forse la seconda sefirah.
L’idea che esista una contaminazione all’interno del pensiero divino ricorda la teoria della decomposizione, associata all’origine di Ahriman dal pensiero di Zurvan. A mio parere la rimozione dell’impurità descritta nello Zohar dev’essere intesa nel contesto di un processo finalizzato al conseguimento di uno stato di perfezione. Poiché il tema centrale è l’origine del sistema sefirotico, il pensiero qui dev’essere la prima sefirah.
Un altro testo zoharico che mostra gli stessi toni solenni e l’oscurità della produzione dell’Idra suggerisce ancora una volta che le scintille debbano far parte di una struttura del mondo superno. Dal passo traspare la loro evidente negatività:
Quando il Capo bianco [Resha ḥiwwra] dispose il seggio su colonne di diamanti purissimi, in mezzo a quelle pietre preziose si trovava un diamante di bell’aspetto, splendidamente formato ... che irradiava scintille di settanta colori, luminose in ogni parte, separate in tre colori nelle scintille alle quattro estremità del mondo. Tra di loro si trovava una scintilla dura, sul lato sinistro.209
L’immagine delle scintille per descrivere un processo primordiale appare già in precedenza nella Qabbalah e altrove nella letteratura zoharica.210 Il parallelo più vicino alle citazioni precedenti ricorda quello attestato nelle sezioni più enigmatiche e influenti del corpus zoharico, l’Idra rabba (La grande assemblea) e l’Idra zuṭa (La piccola assemblea).211 Secondo Yehuda Liebes si tratterebbe di segmenti tardi della produzione zoharica, forse composti dopo il 1291, all’epoca della cacciata dei re cristiani dalla Terra d’Israele a opera dei sultani Mamluk.212 Nella prima delle due opere si legge:
... è stato insegnato: quando divenne intenzione del Capo bianco213 agire gloriosamente per il proprio onore, predispose, stabilì e fece uscire dalla Candela di oscurità un unico raggio, che si estese in 370 direzioni.214 Rimase la scintilla ed iniziò a manifestarsi un’aria pura che roteava tutt’intorno e che vi soffiò sopra.215
Nell’Idra zuṭa troviamo la continuazione del passo precedente:
Finché il mondo non fu creato non si guardavano faccia a faccia ed ecco perché sono stati distrutti mondi primordiali e altri mondi primordiali sono stati creati. E tutto ciò che non fu fatto in maniera stabile – be-tiqquna – fu chiamato scintilla e faville ... Le faville [ziqin] chiamate scintille [nitzotzin] sono come quel fabbro che, soffiando sul ferro, ne fece uscire faville [ziqin] da ogni parte e sono quelle che escono fiammeggianti e scintillanti e si spengono immediatamente:216 si chiamano mondi primordiali. Ecco perché furono distrutti e non furono conservati fino al momento in cui fu stabilito l’‘Attiqa Qaddisha217 e l’artigiano completò il suo lavoro. A questo proposito hanno insegnato:218 la scintilla generò faville [disperse] in 320 direzioni: esse furono chiamate mondi primordiali e si estinsero immediatamente ... Dalla «Candela di oscurità» uscì una scintilla, un possente martello che colpì e generò faville, mondi primordiali, che si mescolarono con l’aria pura e così si temperarono.219
Il brano costituisce un’evidente interpretazione del mito dei mondi primordiali riportato in Genesi rabbah, combinato con l’immagine delle scintille che si spengono a contatto con l’aria. D’altro lato è evidente anche il parallelismo con le 320 scintille della prima citazione. Si osservano però delle discrepanze, significative dal momento che i due testi ruotano intorno alla stessa immagine. Butzina de-qardinuta («Candela di oscurità») è qui interpretato in termini più antropomorfi, mediante l’espressione ‘Attiqa Qaddisha («Il Santo Antico»), il capo superno rappresentato nella veste di un artigiano che dà origine alla dispersione delle scintille. Si allude evidentemente a una potenza creatrice, in grado di generare una struttura stabile, dopo una serie di tentativi andati a vuoto. Sembra dunque che si sostenga una dualità di elementi primordiali attivi: dapprima il fabbro, parallelo del Butzina de-qardinuta, poi l’‘Attiqa Qaddisha. Il primo è incapace di costituire qualcosa di durevole a causa della dispersione delle scintille in tutte le direzioni, mentre il secondo completa «la sua opera», molto probabilmente il sistema delle sefirot. In effetti la struttura antropomorfica della divinità, connotata da una complessa serie di dettagli, è la caratteristica precipua della teosofia al centro delle due opere zohariche.
Gli ziqin, o faville, indicano probabilmente i «mondi antichi». Se ne può ricostruire la natura da due punti di vista diversi: essi furono «temperati», termine che indica l’attenuazione degli aspetti severi di una certa entità; d’altra parte, parrebbe che esse siano in opposizione all’aria pura, altrimenti non avrebbe senso tale fusione. Di speciale rilievo nel passo è l’uso della forma verbale pronominale mit‘areve, «si mescolarono». Vorrei sottolineare anche che la valenza negativa del termine ziqin può essere riferita in qualche modo al vocabolo maziqin («nocivi»), attestato nello Zohar in contesti in cui si tratta di scorie e di demoni.220
Proverò adesso a spiegare l’inizio del brano, in cui si allude al motivo per cui i mondi primordiali non ebbero lunga durata. Si scrive che «non si guardavano faccia a faccia». Questo fallimento è rapportato all’idea di instabilità (la be-tiqquna) della struttura. Penso che l’anonimo cabbalista intenda riferirsi all’immagine di esseri umani creati «schiena contro schiena», cioè di entità androgine, che non si potevano riprodurre e per questo «emettevano seme in tutte le direzioni».221 Un testo significativo della produzione zoharica, l’oscuro Sifra di-tzeni‘uta – il cui sistema teosofico è molto simile a quello delle Idrot –, conserva un passo che potrebbe confortare la mia ipotesi. Nel primo capitolo dell’opera si legge:
... poiché, finché vi fu equilibrio (matqala) non si guardavano faccia a faccia e i re primordiali morivano e le loro corone venivano meno, e la terra fu annientata fin quando il Capo del Bianco di tutti i Bianchi sistemò e concesse vesti di gloria.222
Come ha osservato Daniel Matt, il passo allude all’assenza iniziale di una struttura maschile e femminile.223 Ne deduco, pertanto, che anche il passo dell’Idra zuṭa si riferisca alla mancanza di una configurazione maschile e femminile («faccia a faccia»). L’ipotetica struttura superna androgina è dunque negativa.224 Inoltre l’equilibrio (matqala) non indica solo la distinzione tra le due entità sessuali, ma in qualche modo anche la loro parità. Se si aggiunge la constatazione che, secondo vari studiosi, l’espressione «Candela di oscurità» conterrebbe un’allusione a un’entità fallica,225 si può concludere che scintille e faville non sono solo entità luminose, come nella parabola del fabbro, ma anche seme – sperma virile – vanamente disperso in tutte le direzioni226 e mescolato con l’aria, perché non riversato nel grembo di una donna. Come già si legge nella tradizione rabbinica, almeno implicitamente, il seme disperso è responsabile della creazione di demoni. Per i cabbalisti, fin dai primi documenti della tradizione esoterica, ad esempio nel Sefer ha-Bahir, il ciclo del seme rappresentò un importante aspetto del metabolismo cosmico e il suo rilievo si accrebbe nell’evoluzione dalla Qabbalah zoharica a quella luriana. Il «malfunzionamento» di un maschio, che sparge il proprio seme in un luogo inappropriato, veniva ritenuto fonte di male e la redenzione, associata al tiqqun, è riferita dalla Qabbalah zoharica all’incontro sessuale perfetto nel mondo superiore, in cui l’organo che veicola il seme feconda l’aspetto femminile opportuno.227
È necessario qui osservare brevemente che il diffuso simbolismo fallico nella Qabbalah, inteso da alcuni studiosi in termini sostanzialmente anatomici, dovrebbe invece essere interpretato da un punto di vista più fisiologico e attivo, cioè da quello dell’eiaculazione dello sperma, in connessione con il ruolo fondamentale attribuito alla procreazione dalle principali correnti cabbalistiche. Secondo un’esplicita affermazione di Cordovero e numerose altre sue espressioni implicite, il fallo è l’«organo del seme». Molti fraintendimenti di argomentazioni cabbalistiche si potrebbero evitare nella ricerca moderna, solo modificando in tal senso l’interpretazione di un ideale basilare del giudaismo – la procreazione – e le strutture create da numerose correnti esoteriche per spiegarne i significati.
Tale lettura si adatta alla perfezione, ad esempio, alla menzione dei re di Edom, dei quali si afferma nello Zohar che morirono perché non avevano preso moglie.228 La deposizione dello sperma sacro in un luogo improprio, quella che a proposito di Abramo è indicata dallo Zohar con il termine ta‘arovet («miscela»), dovrebbe essere purgata delle sue componenti negative, come accadde con la nascita di Ismaele.229 Inoltre, il termine nitzotz («scintilla») nell’ebraico tardo-antico e medioevale può indicare anche una goccia di seme.230 In effetti, l’attento esame dei testi cabbalistici ai quali si farà riferimento in seguito (talora solo in nota) prova che il semen virile può essere ritenuto uno dei pochi «simboli onnicomprensivi», una di quelle espressioni – come, ad esempio, il nome di Dio, l’anthropos superiore o l’albero superno – che vengono utilizzate in riferimento alla maggior parte o all’intero sistema sefirotico e all’influsso che si effonde al suo interno.231 Diversamente dagli altri simboli si tratta però di un tema tra i più dinamici e sensibili della storia della Qabbalah, poiché dipende dalla vita mondana e non è solo parte dell’immaginario religioso.
Vorrei sottolineare la crucialità del concetto di seme d’Israele in molte delle argomentazioni successive. Il versetto di Is, 45, 25, che potrebbe essere reso «Nel Signore sarà giustificato tutto il seme d’Israele», ha dato origine a una polemica tra la visione più materiale e particolaristica del giudaismo e le letture più spirituali e potenzialmente universalistiche del cristianesimo. La maggior parte delle interpretazioni ebraiche, seguendo altri paralleli nella Bibbia, hanno sottolineato la continuità nazionale e genetica, mentre quelle cristiane, sostanzialmente fondate sull’esegesi paolina, si sono concentrate sulle affinità spirituali con Dio, in pratica con Gesù, intese come prerequisiti necessari per la glorificazione futura.232 L’enfasi accordata al seme dallo Zohar deriva a mio parere da un’interpretazione esoterica precedentemente attestata nella cerchia del Nahmanide,233 così come nelle polemiche contro l’affermazione cristiana secondo la quale il verus Israel sarebbe un’entità spirituale, più che nazionale. Se questo complesso di interpretazioni genetiche del seme sia riferito alle due tipologie di seme, una positiva e una negativa (secondo Gn, 3, 15), è certamente un problema interessante, che non può essere discusso in questa sede. Le precedenti argomentazioni cabbalistiche, così come altre di cui parlerò in seguito che ne furono certamente influenzate, rappresentano una mitologizzazione del ruolo centrale del seme d’Israele in termini di dramma divino, in connessione alla colpa nel quadro della sessualità divina.234 Probabilmente dovremmo parlare di eventi presefirotici, considerati segreti in alcune parti della letteratura zoharica. Si dovrebbe osservare che in questo corpus, e nella sua scia nelle opere di molti altri cabbalisti, si stabilisce una correlazione tra il rilievo attribuito al seme e l’importanza del figlio.
Si dovrebbe altresì notare che la giustapposizione del mito dei mondi distrutti di Genesi rabbah a quello del seme di Adamo appare in un testo estremamente importante di Yitzḥaq da Acco, a tutt’oggi inedito. Si tratta di un’interpretazione probabilmente independente da quella offerta dal passo zoharico qui preso in esame. Yitzḥaq colloca i due miti nel quadro della questione dell’anteriorità del male, in un passo che tradurrò e analizzerò nel capitolo 4. Se ho ragione di ritenere che la sua lettura non è stata influenzata dall’Idra, avremmo forse la prova che una tipologia speculativa anteriore a quella del passo zoharico esisteva già nella Castiglia del tardo Duecento.235 Mi pare opportuno, in proposito, ricordare la diffusa connessione tra testa, cervello e pensiero, da un lato, e seme dall’altro. Questa interpretazione fisiologica è antica: già attestata in Galeno, essa appare nella Qabbalah nelle fasi più antiche del Sefer ha-Bahir. È associata all’interpretazione della prima e talora della seconda sefirah, intese come pensiero e testa, e alla nona sefirah, intesa come fallo.
L’idea che la colpa divina primordiale consista nel versare vanamente il seme ricorda, a mio parere, l’atteggiamento dello Zohar nei riguardi dell’emissione di seme all’esterno dell’utero, considerata uno dei peccati più gravi nel giudaismo,236 affiancato al rilievo straordinario attribuito alla procreazione.237 I due modelli di comportamento si completano a vicenda non solo dal punto di vista logico ma anche per l’importanza loro accordata dalla tradizione ebraica, soprattutto cabbalistica. Si può affermare che quest’ideale della procreazione dipenda da un atteggiamento generale positivo nei confronti della realtà, una specie di amor mundi, per servirsi dei termini di Hannah Arendt. In breve, l’emergere della struttura superna articolata da una specie di androginia che implicava l’emissione di scintille/seme significa che la struttura maschile/femminile effettiva, «equilibrata» – forse ispirata a un qualche concetto di parità –238 riflette il modo in cui la Qabbalah teosofico-teurgica considerava il fondamento essenziale della struttura del regno divino, in cui coesistono componenti maschili e femminili, dato che il suo proposito è quello di generare anime attraverso i loro rapporti sessuali.239 Vorrei ricordare che nella versione zurvanica dello zoroastrismo da un lato si ammette una divinità bisessuale e dall’altro si dà rilievo al seme cosmico nella creazione.240
Infine, l’interpretazione offerta dall’Idra zuṭa di una struttura androgina superna, preesistente alla struttura sefirotica e valutata negativamente, si adatta alla teosofia antropomorfica della letteratura del Sifra di-tzeni‘uta e delle Idrot, così come alla sezione del Commento zoharico al Cantico dei Cantici più affine alle Idrot, come ha osservato Sh. Asulin, che ha anche sottolineato l’importanza dei suoi elementi androgini.241 Se si accetta questa congettura, possiamo descrivere lo sviluppo dell’immaginario antropomorfico in tali testi come un passaggio da una struttura unificata a una differenziata, finalizzata alla creazione di un numero ancor maggiore di mondi, cioè di anime e poi di uomini, attraverso la procreazione umana. Ecco lo schema generale del primo capitolo della Genesi,242 in cui l’androgino indifferenziato è ritenuto incapace di generare e gli atti di divisione, basilari per l’intero capitolo, culminano nella separazione dell’uomo dalla donna. Il concetto di pensiero cattivo divino permise ai cabbalisti di ripensare il primo capitolo della Genesi in una maniera nuova, proiettando gli eventi extradivini all’interno della sfera divina più elevata.
Un altro repertorio fondamentale di immagini connesse al male primordiale che ebbe grande influenza nell’evoluzione della Qabbalah è l’interpretazione dell’elenco dei re di Edom in Gn, 36, 31, inteso come allusione ai mondi primordiali distrutti.243 Il termine «Edomita» in ebraico è collegato alla radice del colore rosso, che in genere la Qabbalah riferisce all’attributo del male. La collocazione cronologica del governo dei re prima del regno dei figli d’Israele, secondo Gn, 36, alluderebbe alla preesistenza del male rispetto alla manifestazione del bene.
Vorrei tentare di individuare i possibili temi alla base delle enigmatiche discussioni all’inizio del Sifra di-tzeni‘uta e delle Idrot. Prima del manifestarsi della struttura articolata e durevole delle dieci sefirot o delle configurazioni antropomorfiche, esistevano entità non equilibrate, improprie e non «volto a volto», associate alle entità effimere descritte come scintille e faville. Questa situazione è stata corretta quando è emersa una gerarchia di potenze «volto a volto». Se accettiamo la mia proposta circa la natura androgina della prima fase, possiamo trovare un parallelo nel primo capitolo della Genesi, dove il momento androgino di Adamo, simile a Dio secondo Gn, 1, 27, è seguito da una distinzione che genera la donna come controparte sessuale del primo uomo. La fase iniziale accompagna nel primo capitolo della Genesi la descrizione cosmogonica, dove sono menzionate le potenze del caos. In altre parole, la realtà caotica extradivina è stata integrata al mondo intradivino, allusione alle fasi teogoniche iniziali di auto-rivelazione.
Alla fine dell’Idra zuṭa, il vero e proprio culmine dell’opera descrive l’effusione del seme attraverso le sefirot nel quadro della narrazione della morte orgiastica di Shim‘on bar Yoḥay, conseguente a un’unione mistica con la Shekhinah.244 Il grande maestro è rappresentato nell’atto di gridare la parola ebraica ḥayyim («vita»), da associare all’interpretazione del ruolo del seme. Si può dunque pensare che la morte di bar Yoḥay sia da intendere come rettificazione dello stato primordiale, descritto all’inizio del Sifra di-tzeni‘uta, di una situazione non «volto a volto» e come eiaculazione del seme, come si è precedentemente congetturato? Una risposta positiva alla domanda dovrebbe presupporre qualche forma di corrispondenza letteraria e concettuale tra le due opere e, se questo fosse vero, essa farebbe parte di una specie di apoteosi dell’unione associata a ciò che era concepito come una modalità corretta di inseminazione. Anche l’inizio dell’Idra zuṭa, che sviluppa il tema dell’equilibrio, della plausibilità, della parità tra l’elemento maschile e femminile superni, evidenzia l’importanza dell’argomento in questa tipologia letteraria zoharica.
A tale proposito vorrei notare anche che all’inizio dello Zohar (I, c. 15a) è stato incluso un passo in cui si fa riferimento all’inseminazione della sefirah Binah da parte di Ḥokhmah. Più che un richiamo statistico alla ricorrenza di un tema, mi pare di cogliere in questo testo l’indicazione di un’assiologia che concepiva l’unione sessuale ideale quale trasmissione del seme, secondo un’interpretazione rimasta cruciale nella corrente cabbalistica influenzata dal pensiero zoharico, come vedremo in molti casi in cui si sottolinea il grave peccato del vano spargimento di sperma. Corrobora quest’osservazione il ruolo svolto dall’immaginario relativo al seme inteso come simbolo onnicomprensivo.
In altri termini: il racconto biblico della creazione prende le mosse da una sorta di confronto tra Dio e le tenebre – verosimilmente forze preesistenti –, ma termina con l’androginia e la successiva divisione dei sessi e culmina nell’imperativo della procreazione, mentre per i cabbalisti, non solo nella cerchia dello Zohar, il processo creativo ha inizio dalla procreazione divina (forse riferita all’androginia), che divenne il modello dei processi emanativi e che culminò con la creazione del mondo inferiore. Questa inversione radicale associa le potenze delle tenebre a una colpa o errore iniziale, legato alla procreazione. Mentre la Bibbia ebraica tentò, soprattutto nell’intento della scuola sacerdotale, di allontanare la natura di Dio da quella della Sua creazione, la maggior parte dei cabbalisti si preoccupò di creare una continuità ontologica tra i due come parte dell’enfasi attribuita alla totalità inclusiva. Mentre i cabbalisti vollero interpretare la creazione sulla base di analogie con la riproduzione umana, le scuole sacerdotali si interessarono alla disparità tra le due.
Un contemporaneo di Yosef da Hamadan, il ben più noto Mosheh ben Shem Ṭov de León,245 attivo in vari centri della Castiglia, si interessò particolarmente ai processi che hanno luogo all’interno del pensiero divino e alle questioni relative al Tohu e al male nel livello più elevato della deità. Com’è noto, De León è stato ritenuto da molti studiosi il cabbalista cui si deve la maggior parte dello Zohar, benché quest’idea sia stata di recente messa in discussione.246
Il cabbalista mostra un interesse specifico per il significato dell’espressione Tohu va-Vohu ed è plausibile che ne abbia fornite diverse interpretazioni, come scrive egli stesso in uno dei suoi primi scritti a noi pervenuti.247 Altrove menziona il Tohu, insieme alla desolazione del deserto, in un contesto in cui si fa menzione dell’aria primordiale. Nella poetica introduzione al suo trattato teosofico del 1287 Shushan ‘edut egli scrive:
La Sapienza compare all’esterno dell’Ayin, dall’una all’altra estremità,248 cosicché l’intero edificio, il palazzo, si erge nel segreto dell’Awir qadmon e del «Tohu che ulula desolazione [Dt, 32, 10]».249
Poiché l’aria primordiale Ayin qadmon, o l’Ayin, sono identificati da De León con la prima sefirah, sembra che anche il Tohu debba essere riferito a un livello molto elevato del mondo divino. In un caso egli lo identifica esplicitamente con il male.250 L’autore suggerisce dunque l’identità della prima sefirah e del Tohu, rappresentati negativamente, e combina quest’idea con un’altra sua concezione, riferita al concetto di male. Ciò nonostante, dalle descrizioni dei livelli più elevati del divino sono assenti le immagini antropomorfiche della letteratura zoharica, di cui si è detto nel paragrafo precedente, come sottolinea Mosheh De León.251
In alcune sue opere De León dà rilievo alla centralità del pensiero, umano e divino, più di ogni altro cabbalista teosofico precedente.252 In un frammento senza titolo, attribuitogli per la prima volta da Scholem,253 si legge:
Non fu chiamata Ḥokhmah fin quando non fu purificata da ogni scoria, dato che troverai che il pensiero non si chiama pensiero vero se non quando è conoscenza sottile e limpida, purificata da ogni scoria.254
Altrove, nello stesso trattato, l’autore scrive che «la Sapienza superna ... non è macchiata da alcuna traccia di scoria e non ha niente in comune con essa».255 Queste due affermazioni possono essere interpretate in più di un modo: dalla prima si evince che l’impurità non si è ancora manifestata ma apparirà in seguito, nel contesto di un’ipostasi divina inferiore, la Ḥokhmah ultima, cioè la sefirah Malkhut.256 Ciò significa che il male o la scoria non possono raggiungere il livello elevato della prima sefirah. A mio parere, in entrambi i testi è la seconda sefirah, Ḥokhmah, a essere chiamata Pensiero, solo dopo essere stata emanata dalla sefirah superiore, Keter, e dopo essere stata purificata da ogni residuo di contaminazione. Si evidenzierebbe dunque l’affinità tra la concezione della scoria e una forma di pensiero che si manifesta nel livello più elevato della teogonia, soprattutto se leggiamo i due testi relativi alla contaminazione sullo sfondo dei passi tratti dalle opere di De León Or zaru‘a e Shushan sodot, a proposito del Tohu inteso come prima sefirah. Anche se non si può propriamente interpretare il Tohu come scoria, mi pare che i due concetti siano vicini. Inoltre, nel suo Sefer ha-rimmon, De León ricorre all’espressione pesolet hamaḥashavah («scoria del pensiero»)257 per riferirsi all’errore dei filosofi. Ancora una volta l’espressione può essere interpretata come allusione alla scoria della prima sefirah intesa come maḥashavah o, in alternativa, all’ultima sefirah, anche se io opterei per la prima interpretazione. Più oltre, nel trattato senza titolo, De León descrive eventi che si svolgono all’interno della prima sefirah:
Dovresti sapere che ciò che precede ogni cosa e viene prima di tutto è la Sapienza. Perché la Corona superna è l’aria pura primordiale che non può essere afferrata;258 ecco perché non c’era esistenza, dato che nessuno poteva afferrarla,259 perché non è mai stata afferrata ... Dal momento che, quando [si manifestò] il livello dell’aria sottile primordiale incomprensibile, tutte le cose non potevano restare in essere e sussistere. Questo è il significato del detto «costruiva mondi e li distruggeva» perché essi avevano tutti bisogno dell’aria260 ma essa non poteva essere afferrata e loro non potevano afferrarla e questo è il motivo per cui tutti quei mondi furono distrutti, dato che non potevano sussistere, finché il Signore, benedetto sia, manifestò un’[altra] aria che si afferra dall’aria che non si afferra. E dall’aria che si afferra furono emanate tutte le cose [come una catena]261 ed esse rimasero in vita perché la Sapienza viene afferrata dal Discernimento [Binah], dato che tutte le cose e l’esistenza non possono sussistere se non per mezzo della Sapienza ... dato che essa è l’inizio di ogni cosa e il fondamento di ogni cosa e l’edificio di ogni cosa e la quintessenza di ogni cosa.262
Troviamo qui un esplicito riferimento al mito di Genesi rabbah, inteso come allusione al regno più elevato all’interno del divino. Si tratta di un passo parallelo alla citazione riportata precedentemente dal trattato Shushan ‘edut, in cui il Tohu è menzionato insieme all’aria primordiale. Nel primo testo non si accenna alla distruzione dei mondi, mentre nel secondo è il Tohu a essere assente. Nella sua opera forse più tarda, Sheqel ha-qodesh, risalente al 1292, De León scrive:
Dovresti sapere che Egli, benedetto sia, ha innovato la Sua esistenza [metzi’uto] e ha creato i mondi in accordo con il segreto dell’esistenza [sod ha-metzi’ut]. Ti dovrebbe infatti essere noto che gli antichi Saggi263 ci hanno insegnato che finché il Santo, benedetto sia, non creò il Suo mondo, Egli e il Suo nome erano una cosa sola, poi «Gli ascese nel pensiero» di creare il mondo ed Egli lo distruggeva da davanti a sé e non sussistette finché ecc. ... Che argomento grande e sublime! Ecco, dovresti sapere che, prima del Santo Benedetto, anche il mondo era acqua nell’acqua e tutto ciò dovrebbe essere noto e i saggi, di benedetta memoria, affermarono in Levitico rabbah:264 [Sal, 33, 7] «Radunò tutte le acque del mare come una muraglia». Prima che il Santo Benedetto creasse il Suo mondo c’era Lui e il Suo nome, soli, e la Sua esistenza non fu generata prima che «Gli ascendesse nel pensiero» ecc., dato che tutto quel che «Gli ascese nel pensiero» fu immediatamente generato e [da tutto ciò] si estese una molteplicità di emanazioni. In ogni caso i soggetti cui si è fatta allusione sono dispersi nelle parole dei saggi di benedetta memoria.265 E in effetti è necessario ripeterne la lettura, in particolare a proposito di tutti quei soggetti, come abbiamo detto in principio, poiché ognuno di essi contiene la vera fede.266
L’evento creativo, descritto come generazione della «Sua esistenza»267 – espressione che nel passo indica il sistema delle sefirot –, è associato al pensiero divino. Prima ebbe luogo un evento descritto come una distruzione, di cui nel nostro testo non si spiega la ragione, ma che può aver qualcosa a che vedere con la risposta originale data in Pirqe de-Rabbi Eli‘ezer (cap. 3). La definizione del mondo sefirotico come «Sua esistenza» è un interessante esempio di teogonia, descritta anche come ontofania, per usare un termine di Mircea Eliade. Nella stessa opera De León parla anche di molti «mondi mantenuti in serbo».268
Occorre ricordare che De León, come lo Zohar, amava l’immagine filosofica della creazione come evoluzione che inizia da un punto e crea progressivamente lo spazio. Ecco il motivo per cui l’immagine del punto è così rilevante negli scritti dell’autore castigliano, associata al pensiero che si manifesta all’inizio della creazione.269
L’aspetto a mio parere più significativo delle argomentazioni di De León relative ai processi che hanno luogo all’interno della prima sefirah e nelle loro derivazioni è l’assenza di due motivi che compaiono invece nei trattati di cui si è parlato nel paragrafo precedente: manca la pseudo-simmetria maschio-femmina necessaria per la sussistenza della realtà, così evidente nel pensiero zoharico, e il mito dei re di Edom, rappresentanti delle forze del male, anch’esso tema caratteristico della teosofia zoharica.270 È altresì assente negli scritti dell’autore castigliano il motivo delle scintille allusive ai mondi distrutti. Ecco una delle ragioni per cui l’attribuzione a De León di alcune sezioni dello Zohar risulta assai problematica.271
Mi occuperò adesso di due cabbalisti che articolarono una connessione specifica tra pensiero divino e male. Il primo è Mosheh da Burgos, attivo in Castiglia negli anni ’70 del Duecento, un passo del quale fu copiato alla lettera da un altro cabbalista forse contemporaneo di Yosef Angelet – di cui si parlerà tra breve –, l’eclettico Yehoshu‘a ben Shemu’el Naḥmias. Nel brano in questione il pensiero divino, di cui si sottolinea la purezza, intese creare un mondo perfetto, al cui interno erano compresi anche aspetti malvagi. Adduco il passo che prende in considerazione anche le varianti dell’opera di Naḥmias – ignota a Scholem – dato che il cabbalista tendeva a copiare molto fedelmente le sue fonti, tra cui materiali geronesi e nahmanidei:
... e quando ascese alla Sua conoscenza e al Suo pensiero puro di innovare l’esistenza santa e pura, il fondamento del bene e il pilastro della perfezione, di emanare dall’influsso del Suo splendore, dato che è bene stabilire il mondo sull’esistenza del buon ordine e sull’edificio appropriato, che è opportuno che sussista in maniera perfetta ... ascese alla Sua volontà divina e pura di innovare gli esistenti nell’ordine assoluto mirabile, alieno dalla speculazione della mente di tutti quanti si fondano esclusivamente su considerazioni e speculazioni razionali. Questa è una tradizione attendibile, trasmessa a chi possiede la sapienza attendibile e nascosta ... cioè che l’esistenza generale non può sussistere tranne che quando [si trova] l’esistenza benevola e perniciosa ... per ricompensare i giusti e punire i malvagi ... [Qo, 7, 14] «Dio ha fatto l’uno e anche l’altro» ... per mostrare che Egli ha creato una cosa e il suo opposto, come afferma il profeta [Is, 45, 7] «Io formo la luce e creo le tenebre, produco la pace e creo il male: Io, il Signore, faccio tutte queste cose». Ed ecco che dall’intenzione di questo passo siamo in grado di comprendere che Dio, benedetto sia, ha creato una cosa e il suo opposto e ha fatto una pace perfetta in perfezione con la Sua perfezione, il bene e il giusto nel loro cuore. E ha creato il male come una nuova creazione tra le creature.272
Nel passo compaiono sia i concetti di perfezione sia la visione inclusiva del male. Nell’opera di un cabbalista dell’inizio del Trecento, Yosef Angelet, l’affinità tra pensiero divino e manifestazione del male è del tutto esplicita.273 Nella sezione a tutt’oggi inedita del suo commento allo Zohar, intitolato Livenat ha-sappir, composto intorno al 1325, troviamo un’interpretazione diversa da quella «effimera» del male primordiale e più simile a quella attestata nel passo precedentemente citato di Mosheh da Burgos:
Sappi che quando ascese al pensiero di creare il mondo, ascese al pensiero di Colui che è dotato di conoscenza perfetta di crearlo e portarlo a compimento [le-kallelo] per mezzo della luce e delle tenebre, del fronte e del retro, del bene e del male, come è scritto [Qo, 7, 14]: «Dio ha fatto l’uno così come l’altro», ha creato una cosa e il suo opposto ... entrambi secondo il segreto della miscela [ha-hamzagah] e questo è quanto dissero i nostri santi avi [Is, 45, 7]: «Io formo la luce e creo le tenebre, produco la pace e creo il male: Io, il Signore, faccio tutte queste cose». A tutte queste cose nel mondo corrispondono il bene, gli angeli santi e puri nel mondo superno e gli angeli della distruzione, che causano paura, gli spiriti [malvagi], i demoni e le lilit.274, 275
Qui il male è una componente principale della visione strumentale, la quale presuppone che senza la sua esistenza il mondo non sarebbe perfetto. In altri termini, la conoscenza divina perfetta ha inserito gli opposti all’interno della costituzione del mondo. Interpreto il passo come se gli opposti si manifestassero nel pensiero divino prima di divenire realtà nel mondo creato. Quel che si postula non è un accidente, né un evento catartico, ma una scelta premeditata. È inoltre opportuno sottolineare che il male non fa parte di un sistema coerente che genera un’entità sintetica ma è concepito come un elemento che mantiene una sua specificità, intesa come arricchimento della bellezza del mondo. Non ci troviamo neanche di fronte a una nozione di male effimero, come appare nelle argomentazioni zohariche. È significativa la concezione di un «segreto della miscela» di bene e male, inteso come perfezione, che potrebbe riflettere – almeno in parte – tradizioni cabbalistiche precedenti, da me analizzate in altra sede,276 e, in ultimo, una maggiore affinità alle concezioni zoroastriane di cui si è parlato all’inizio del capitolo. Fa fede l’evidenza terminologica: gumezagih in persiano è esattamente parallelo, anche etimologicamente, a hamzagah in ebraico. Quest’ultimo termine si discosta dal punto di vista semantico dall’espressione zoharica mit‘areve, prima analizzata, ma ricorre anche in epoca successiva, in associazione al concetto di ta‘arovet («miscela») nel Commento allo Zohar di Cordovero.277 Ricordo che nell’opera Sheqel ha-qodesh Mosheh de León sostiene che l’ultima sefirah, Malkhut, contiene bene e male, come risultato dell’intenzione di Salomone di renderla perfetta.278
Nessuno dei testi citati in questo paragrafo fa cenno alla preesistenza del male: al centro della speculazione è il modus operandi del pensiero divino, fondato sull’esistenza necessaria e contemporanea di bene e male, senza alcuna gerarchia. Il male non si trova all’interno della prima manifestazione divina ma è necessario al mantenimento in essere della creazione inferiore, una concezione predisposta dall’alto. Si evidenzia dunque il nesso tra male e pensiero divino, il tema centrale di questo capitolo.279 Il «pensiero puro» divino premedita il bene e il male e questa coesistenza è intesa come una forma di esistenza che non può essere compresa dai filosofi, le cui speculazioni si basano esclusivamente sulla ragione. Nonostante il riconoscimento dell’unicità delle concezioni cabbalistiche rispetto a quelle filosofiche, è interessante che non si faccia alcun riferimento all’ineffabilità o all’unione degli opposti, benché sia esplicita la centralità della loro creazione.
Quali sono le implicazioni dei due testi presi in esame in questo paragrafo? L’idea di perfezione è associata a quella di totalità; non è tanto l’importanza del bene che rappresenta l’ideale della perfezione, quanto l’idea dell’inclusione di tutto. Mentre la maggior parte dei teologi descrive la divinità solo in termini di perfezione, in questa sede ci occupiamo di forme inclusive di perfezione finalizzate a dimostrare che la divinità abbraccia la totalità; ecco perché il concetto di infinito, così rilevante nelle teosofie cabbalistiche, svolse un ruolo tanto essenziale per questo atteggiamento «inclusivo». Il male non è strumentale alla creazione né si parla di una catarsi: i due cabbalisti immaginano invece una specie di simmetria che, per generare perfezione, necessita della coesistenza degli opposti all’inizio stesso del processo creativo.
Sebbene nei passi analizzati non si parli di En Sof ma di pensiero divino, siamo abbastanza certi che il concetto di infinito fosse ben noto ai cabbalisti della corrente teosofica attivi alla fine del Trecento e nel Quattrocento, il che significa che l’infinito era inteso come totalità e doveva perciò includere anche l’elemento maligno per essere davvero perfetto. Almeno secondo alcuni cabbalisti, completezza e perfezione non sono di necessità conflittuali ma potrebbero anche essere concordi, contrariamente a quanto ritiene Carl G. Jung. Concezione molto interessante, sulla quale torneremo, è quella del pensiero puro che ospita al suo interno gli opposti e quindi anche il male.
Comunque, in aggiunta alla perfezione di Dio come totalità, in alcuni casi, come quello attestato alla fine dell’ultimo passo citato, è la perfettibilità dell’uomo a essere facilitata dall’esistenza del male che diventa una specie di sfida da superare.
Verso la fine del XIV secolo o all’inizio del successivo furono composti alcuni responsa cabbalistici a quesiti anonimi. Un tempo erano attribuiti a Yosef Giqatilla, ma Gershom Scholem, che ha curato la pubblicazione di gran parte di essi,280 ha correttamente osservato che si tratta di un’attribuzione erronea. L’ultimo dei pareri è la risposta al seguente quesito:
Chiediamo al nostro maestro di spiegarci come il male sia stato originato dal bene, in accordo con il segreto di quei re che regnarono nella terra di Edom; e, a proposito della questione «[Dio] crea mondi e li distrugge», come stanno davvero le cose?281
Il quesito dà per scontata l’interpretazione zoharica dei re edomiti, associati al male e ai processi teogonici primordiali. Qui è comunque evidente l’attestazione esplicita del termine «male», in analogia con un testo di Yitzḥaq da Acco precedentemente esaminato. Nel responsum il cabbalista anonimo adduce varie argomentazioni rabbiniche relative al pensiero divino, tra cui l’ascesa d’Israele al pensiero divino o l’affermazione: «Taci! Questo è ciò che ascese al pensiero [divino]», allusione alla soluzione del problema, riscontrabile nel nesso tra la morte dei re di Edom e i mondi distrutti, esplicitamente intesi come male, da un lato, e il pensiero divino, dall’altro. L’ascesa di pensieri nella mente divina è ritenuta incidentale, dal momento che il pensiero si interessa di diversi soggetti. L’autore aggiunge:
Ma quando conoscerai la parabola che sto per narrarti, capirai come stanno le cose: «è come un fabbro che toglie un pezzo di ferro dal fuoco,282 lo batte sull’incudine con la sua mazza, sprigionandone molte scintille, senza averne l’intenzione». Non sono autorizzato a spiegartene il significato, perché il cuore non rivela niente alla bocca.283
Il responsum giustappone i temi connessi al male menzionati nel quesito con la concezione zoharica delle scintille attestata in Idra zuṭa (come era già stato notato da Scholem), e soprattutto con il pensiero divino, anche se tutto è avvolto in un alone di mistero. Data la natura pseudepigrafica dei responsa, mi chiedo se non sia necessario congetturare la trasmissione di un’interpretazione segreta del tema dalle cerchie zohariche all’anonimo cabbalista, molto più tardo. È possibile che l’autore voglia lasciar intuire che è il caso a creare lo spazio per permettere anche al male di manifestarsi all’interno del pensiero divino.284 In ogni modo, la decisione di servirsi di una varietà così cospicua di temi, in precedenza trattati separatamente, è un esempio ulteriore dell’interesse per la questione del male e del pensiero divino. Tengo a ricordare che questi responsa cabbalistici, conservati in pochi manoscritti, erano noti a Safed, dato che sia Mosheh Cordovero sia Yosef Caro si riferiscono esplicitamente a tale produzione.285
Abbiamo passato in rassegna solo alcuni esempi della teoria della presenza delle scorie nel pensiero divino e della necessità della sua purificazione. Altri esempi verranno riportati più avanti. Quello del pensiero divino contaminato è dunque un tema corrente nella storia della Qabbalah, in molti casi associato alla necessità di purificazione. Il pensiero era, con ogni probabilità, uno dei luoghi cui si poteva assegnare più plausibilmente l’origine del male, senza tuttavia attribuire espressamente a Dio la sua attualizzazione.
Il tema della purificazione del pensiero dalle scorie appare nella Qabbalah zoharica, soprattutto nei commenti allo Zohar. Inoltre, la concezione dell’esistenza di scorie nel pensiero superno e di processi catartici che separano il cibo dalle scorie (spesso si parla di solet, «farina pura», e di scorie, pesolet, con evidente gioco fonetico) appare anche in altre produzioni letterarie, indipendenti dai commenti. Ad esempio, Mosheh Cordovero scrisse a Safed: «Da lì, dal pensiero superno, ha inizio la catarsi delle scorie dalla farina e dalle acque amare; è Lui che ha purificato il cibo dalle scorie».286 Si fa menzione anche della «miscela», ‘irbuviyah, benché non tanto in contesti ontologici quanto spirituali e nazionali.287 Nelle opere del Cordovero il pensiero divino è considerato il luogo in cui vengono prese le decisioni negative.288 In un altro passo si sostiene che i mondi furono creati e distrutti nel pensiero superno, per essere poi rigenerati nel tempo a un livello inferiore.289 Cordovero spiega anche che nel pensiero di Dio si manifestarono e furono distrutti tutti i mondi esistenti.290 Queste sono solo alcune delle analisi compiute dall’autore in relazione all’origine del male, mentre altre sue interpretazioni non riferite necessariamente a eventi all’interno del pensiero divino saranno prese in esame più avanti nel capitolo 5.
Esiste una versione della Qabbalah luriana che presenta una sintesi delle argomentazioni zohariche suesposte e che si riferisce al pensiero divino attingendo esclusivamente all’interpretazione zoharica, senza alcuna aggiunta di termini luriani, secondo modelli che riecheggiano quelli di Cordovero:
Dal segreto della «Candela di oscurità», cioè Ḥokhmah, sono state riversate 320 scintille, come un martello che spezza la dura roccia, scintille da questa [parte] e dall’altra [parte]: così il segreto di questi giudizi è stato riversato dal segreto del pensiero ... e quei 320 giudizi sono stati purificati da Ḥokhmah in Binah ... e da Binah sono usciti i sette vessilli291 ... ma poiché [derivano] dalla radice dei giudizi, non perdurano.292
L’idea delle radici del giudizio ha una lunga storia e adempie due funzioni diverse: in primo luogo fa parte del quadro paradigmatico, esplicitamente attestato nell’opera di Mosheh Cordovero, secondo cui tutto ciò che esiste ha una fonte nell’alto. Dall’altro lato, la concezione ha il fine di mitigare l’idea che il regno superno sia fonte del male, dato che la radice non è considerata male in actu meno della sua manifestazione inferiore. Ritengo che il ‘segreto del pensiero’ si riferisca al pensiero divino, concepito come fonte del giudizio. Si tratta di una narrazione che giustappone, in maniera del tutto plausibile, elementi attestati nei testi zoharici qui citati, senza introdurre una terminologia non zoharica.
Il pensiero divino come fonte di giudizio appare con ogni evidenza in un passo interessante citato da Ḥayyim Vital, che sembra non attribuirlo a Luria:
Ecco, quando qualcuno mangia della carne, poiché l’anima di un uomo d’Israele potrebbe esservi trasmigrata, dovrebbe farlo con l’intenzione293 ... deve espiare ciò che ha mangiato, cioè elevare tutte le parti che sono entrate in lui quando ha mangiato la carne ... ma nel giorno del digiuno si rende simile alla forma superna,294 dato che egli causa la discesa dal cervello al cuore e dal cuore al fegato, come è scritto nello Zohar,295 poiché, quando le cose superne sono giunte alla sapienza superna [Ḥokhmah ‘ila’à] che si chiama pensiero, essa si è purificata, ha preso il cibo e ha gettato via le scorie. Così succede anche il giorno del digiuno, grazie al pensiero della persona che, digiunando, si libera dalle scorze.296
Il pensiero superno, secondo un’interpretazione che ricorda il passo di Mosheh de León nel Ms. München 47, è il luogo in cui si purificano le scorie, che sono confrontate alle scorze. Non è chiaro se il confronto tra l’uomo che digiuna e la struttura superna sia pienamente calzante, cioè se il cibo mescolato arrivi al cervello nello stesso modo in cui gli elementi superni giungono al pensiero da luoghi inferiori, o se nel passo si voglia affermare che al di sopra del pensiero si trova una miscela di cibo e scorie, interpretazione che sembra confortata dal passo precedentemente citato, così come dal successivo. Qualunque sia la direzione da cui proviene tale miscela, è comunque il pensiero superno il luogo in cui le scorie sono purificate ed evacuate. In ogni caso, gli elementi del rito sono considerati un modello per la comprensione del modo in cui opera il mondo superno, compresa la separazione del male dal bene.
Il paradigma del male primordiale inteso come il vano spargimento del seme di Adamo, è stato applicato anche al destino dei fratelli di Giuseppe e alla trasmigrazione delle loro anime nei corpi dei dieci maestri ebrei della tarda antichità che furono martirizzati dai romani. Anche in questo caso è significativa la connessione con il pensiero divino:
Come è possibile che, a causa del peccato della vendita di Giuseppe, sia stato loro demandato il dominio sul sitra aḥara e che essi siano stati consegnati al potere della scorza, Dio ne guardi? ... La ragione della morte dei dieci saggi è duplice: la prima è la vendita di Giuseppe e la seconda per selezionare e purificare le scorie dal cibo, come accadde all’inizio dell’emanazione, quando le scintille ascesero all’interno del pensiero superno e successivamente le scorie furono evacuate dal pensiero. E le scorze discesero di grado fino al loro luogo297 e la santità fu ripulita e purificata. Così anche nel caso dei dieci martiri, i cui corpi furono consegnati ai dieci che vengono dalla parte delle scorze, le quali ne hanno accolto la sorte, mentre le loro dieci anime sono salite in alto alla decade di santità ... I dieci martiri corrispondono alla decade di santità ... e i loro corpi rimasero in possesso del sitra aḥara, mentre le loro anime ascesero in alto per perfezionare298 un determinato luogo santo della decade di santità.299
È come se la separazione tra anime e corpi in questo mondo riflettesse un processo che ha luogo al primo livello dell’emanazione: le dieci scintille sono mescolate alle scorie e dovrebbero essere separate. È evidente che il testo si basa sulla concezione rabbinica secondo la quale quando Giuseppe riuscì a resistere alla trama ordita della moglie di Potifarre versò il proprio seme dalle dita. Abbiamo qui un esempio di una «miscela» che costituisce una situazione primordiale e non uno sviluppo posteriore, come avviene invece nel sistema zoroastriano: in Luria l’esistenza, al livello superiore così come a quello inferiore, è in una condizione «mista», per cui non esiste differenza tra i due livelli. Ecco perché la separazione del male dal bene è un modello cruciale dell’attività umana, come abbiamo visto prima nel brano in cui si parla della purificazione del cibo.
Come ha sottolineato Tishby, in alcuni testi luriani fin dalla prima fase dell’emanazione si osserva una situazione complessa, poiché è in essa che si rivelano sia le radici del bene sia quelle del male; la situazione non cambia fino ai luoghi più bassi di questo mondo dove le scintille sono totalmente imprigionate dalle scorze. Si dovrebbe notare che la discesa dei corpi dei fratelli di Giuseppe nelle scorze ricorda l’idea di Luria che i corpi dei re di Edom scendono a costituire il regno delle scorze, diversa dalle concezioni zohariche dell’estinzione immediata delle scintille.300 In altri termini, è evidente qui il ricorso al tema catartico e, nello stesso tempo, al concetto della perfettibilità divina, motivo su cui tornerò nel capitolo 5, adducendo altri testi luriani. Quel che appare rilevante in questo passo è la menzione della dimensione teurgica della morte dei dieci martiri, tema debitamente analizzato da Sack e Liebes nel loro studio intitolato Mosheh Cordovero and Isaac Luria.
La presenza simultanea di bene e male nella prima fase all’interno della divinità è riferita, da un lato, alla necessità di separazione che si compie grazie alla rottura dei vasi (il ben noto concetto di shevirat ha-kelim) e dall’altro lato è connessa direttamente ad aspetti dell’historia sacra.
Tengo a ribadire che Cordovero e Luria non condividono solo la stessa concezione del male nel pensiero divino ma anche quella di catarsi e miscela, cui Luria dà molto spazio, come si vedrà sulla base degli esempi addotti nel seguito. Le due immagini di cui si detto, associate all’Idra zuṭa e al Sifra di-tzeni‘uta, relative alle scintille, al seme e ai re di Edom, avranno un ruolo cruciale nella mitologia luriana del male, come vedremo più avanti.
Per concludere: gli eventi che hanno luogo all’interno del pensiero divino non dovrebbero essere ritenuti un processo meramente psicologico, privo di dimensione ontica, come talvolta hanno sostenuto gli studiosi. Il pensiero divino non è stato inteso dai cabbalisti come luogo in cui si manifestano processi più deboli dal punto di vista ontologico rispetto a quanto avviene nella creazione materiale o nel discorso divino. In fondo, nelle principali forme di Qabbalah, il pensiero è considerato un’altissima ipostasi divina che si suppone contenga tutto e sia il fondamento di tutto. È plausibile che i cabbalisti fossero influenzati da precedenti forme speculative ebraiche, ad esempio l’interpretazione rabbinica del pensiero umano inteso come potenza ergetica e creatrice, incline a rendere inidoneo il sacrificio. Anche l’affermazione rabbinica secondo cui la tragica fine di Rabbi ‘Aqiva era stata decisa dal pensiero divino, non è da considerare una mera riflessione mentale ma un evento decisivo all’interno di Dio. Di fatto, Cordovero ritiene che la captazione di un influsso dall’alto dipende dal pensiero dei singoli uomini.301 Il maestro settecentesco Yiśra’el Ba‘al Shem Ṭov è ancor più radicale nella sua dottrina, quando afferma che «la santità o la scorza nel pensiero di un uomo corrispondono ai mondi che ha sopra di sé».302 Si tratta di forme diverse di esistenza ontologica e quella mentale è ritenuta dai cabbalisti altrettanto efficace delle altre. A tale conclusione si giunge anche sulla base dei parallelismi zurvanici precedentemente citati.
Prenderò adesso in esame una concezione cabbalistica che in qualche misura dipende da quelle precedentemente analizzate e che influenzò la filosofia europea. Come si è detto nell’Introduzione, nella filosofia ebraica e nella Qabbalah si trovano vari tipi di sintesi tra il Dio biblico – dinamico e imperfetto – e la visione greca della divinità intesa come perfezione, soprattutto in relazione all’atto cognitivo. Diversi cabbalisti hanno presentato varie forme di sintesi e in genere sono stati inclini a sottolineare gli aspetti dinamici di Dio, con l’importante eccezione della corrente estatica di Avraham Abulafia. Tali sintesi non sono rimaste patrimonio esclusivo di cerchie esoteriche esigue ma sono penetrate nella cultura occidentale europea attraverso la cabala cristiana.
Nella sua opera La Kabbale ou la philosophie religieuse des Hébreux Adolphe Franck sostiene che alcuni concetti che compaiono nell’Idra zuṭa – relativi all’Ayin metafisico, al Nihil da cui è stato emanato tutto – e il concetto di tzimtzum appaiono anche in un passo significativo di Hegel.303 L’osservazione non ha ricevuto la dovuta attenzione da parte della ricerca accademica, sia dagli studiosi di Qabbalah sia dagli storici del pensiero del filosofo tedesco. Mi pare che l’osservazione di Franck, se è corretta come penso, non tenga comunque conto di una affinità molto più stretta di quanto egli potesse intendere. A mio avviso, oltre allo status particolare dell’Ayin, è anche l’interpretazione del «pensiero puro» come luogo di negatività assoluta a confortare notevolmente il nesso tra Hegel e la Qabbalah, evidente anche in numerose altre argomentazioni presenti nelle opere del filosofo idealista.304 Benché le fonti della dialettica hegeliana bene/male in Dio siano state influenzate senz’ombra di dubbio dagli scritti di Jacob Böhme, come il filosofo stesso riconosce apertamente nelle sue Lezioni sulla storia della filosofia, e sebbene le fonti stesse di Böhme siano state riferite da altri studiosi alla Qabbalah, il tema specifico della presenza del male in Dio da quest’ultimo non è mai associato alla dottrina ebraica, almeno a mia conoscenza.305 In ogni caso, nell’opera di Böhme non c’è traccia della connessione tra negatività e pensiero divino.
È indubbio che Hegel avesse familiarità, come Schelling, con alcune idee significative della Qabbalah luriana, di cui egli fa esplicita menzione, ad esempio il concetto di Adam qadmon, e, a mio parere, anche la teoria discussa prima secondo cui il pensiero puro divino è il luogo della negatività:
L’Essere Puro crea l’inizio: infatti da un lato è pensiero puro e dall’altro mera immediatezza, semplice e indeterminata; e il primo inizio non può essere mediato da niente né essere ulteriormente determinato306 ... Ma questo Essere Puro, essendo mera astrazione, è pertanto negatività assoluta [Absolut-Negative]: il che, in un aspetto analogamente immediato, è solo Niente [Nichts].307
La traduzione precedente differisce da quella francese di Franck, che rende il tedesco «reiner Gedanke» con «pensée simple». Interpretando l’espressione di Hegel «pensiero puro», il passo si avvicina maggiormente alle concezioni cabbalistiche, anche se non necessariamente quelle evidenziate da Franck.308 Sebbene la negatività sia spesso riferita, nel contesto di frasi analoghe hegeliane, al buddhismo e a Jacob Böhme, il ricorso al concetto di «pensiero puro» inteso come ipostasi superna e sede di altre entità mi sembra provenire da una fonte cabbalistica, che al momento non sono in grado di identificare con certezza anche se mi sembra improbabile che si tratti dell’Idra zuṭa, opera che attrasse particolarmente l’attenzione di Franck. Vorrei evidenziare che l’idea che Satana sia un attributo di Dio, attestata già nel Sefer ha-Bahir, si adatta alla concezione di Böhme del diavolo che si manifesta nel contesto divino.309 Analogamente, anche la spiegazione di Böhme che le tenebre siano uno dei due princìpi che precedono la luce310 ricorda l’interpretazione cabbalistica.
In ogni caso, si dovrebbe osservare che le discussioni di cui abbiamo parlato in precedenza, così come quelle di cui parleremo nel seguito, palesano un atteggiamento che contraddice l’idea del Teeteto di Platone, secondo cui il male esiste sempre di necessità come contrario del bene, benché non appartenga agli dèi ma solo al mondo umano.311 Questa concezione fu alla base di numerosi sviluppi attestati nel pensiero dei seguaci del grande pensatore greco, come vedremo nel capitolo 3.
La teologia di Hegel, insieme ad alcuni concetti del suo contemporaneo Schelling, ha influenzato da un lato il pensiero di Franz Rosenzweig,312 e dall’altro lato, più di recente, la teologia radicale di Thomas J.J. Altizer, soprattutto in una delle sue ultime formulazioni.313 Vorrei soffermarmi sull’uso dell’espressione «negatività assoluta»,314 che significativamente non segue l’approccio più tipico delle speculazioni cabbalistiche, meno interessate a forme radicali di male, nonostante il fatto che esso scaturisca dalla parte più elevata di Dio. Questo significa che il «male radicale», altra espressione ben nota della filosofia tedesca, è meno rilevante per quei cabbalisti che adottarono una forte pseudo-simmetria subordinata.