8. Osservazioni conclusive

1. Il problema delle fonti delle teorie cabbalistiche del male

Fondandomi perlopiù su fonti mistiche ebraiche, in questo volume ho tentato di far luce su ciò che ho definito «male primordiale», il male che precede il bene nel contesto degli eventi teogonici e talora cosmogonici delle origini (cioè l’autogenesi divina). A tal fine ho voluto mettere in luce lo scambio tra una serie di idee desunte da culture esterne all’ebraismo, soprattutto temi zoroastriani e greci dell’antichità nelle loro elaborazioni tardo-antiche e medioevali, presentati come interpretazioni di testi ebraici biblici e post-biblici. È del tutto discutibile in quale misura questi testi servirono da trampolino speculativo e non solo da mere autorità testuali ed è difficile fornire una risposta univoca. Comunque, oltre alla questione della genesi di tali discussioni, è altrettanto importante comprendere il ruolo svolto dalle medesime nell’economia generale del giudaismo, soprattutto nella letteratura cabbalistica. Investigando le fonti non si inizia neppure a capire il ruolo svolto da una certa idea. La Wirkungsgeschichte è un problema del tutto diverso e nei capitoli precedenti non ho tentato di analizzare interi sistemi, l’unico modo di rendere più semplice fornire una risposta all’impatto più ampio delle domande precedentemente sollevate, ben al di là dei passi che ho deciso di prendere in esame.

Le risposte offerte dagli studiosi a queste due questioni sono abbastanza chiare: la fonte principale delle teorie del male ha origini gnostiche e di conseguenza nella Qabbalah esiste una tendenza dualistica, da un lato, e il ruolo svolto dalle discussioni sul male fu ritenuto molto importante, dall’altro lato. Iniziamo a valutare le risposte suggerite dai ricercatori. All’inizio della sua carriera, Scholem formulò la spiegazione che per decenni sarebbe stata accolta dal maggior numero di studiosi del settore:

 

Il concetto che il male e le forze oscure del lato sinistro fossero emanate da un’emanazione specifica e indipendente è antico e la sua radice dovrà essere certamente ricercata nei sistemi dualistici iranici, dai quali passò alla gnosi. Proprio come esistono arcangeli che governano i mondi del bene, così esistono arcangeli cui è stato assegnato il compito di presiedere quelli del male. È comprensibile che tale dottrina modificasse necessariamente il suo carattere di rigido dualismo, una volta adottata da cerchie ebraiche.1167

 

Riecheggiando quasi alla lettera l’interpretazione di Scholem, Tishby descrisse nei termini seguenti la fonte della teoria cabbalistica del male:

 

La teoria che il male e le forze oscure «del lato sinistro» fossero emanate come emanazione separata è antica e certamente ha origine nei sistemi dualistici iranici, dai quali passò alla gnosi ... è chiaro che tale dottrina dovette modificare il suo carattere rigorosamente dualistico, una volta adottata dalle cerchie ebraiche.1168

 

Vorrei sottolineare che le fonti dualistiche iraniche erano considerate solo l’origine remota delle concezioni cabbalistiche, perché sarebbero state mediate dall’appropriazione gnostica del sistema persiano. L’accordo tra i due studiosi su questo tema complesso sembra totale, anche se sorprendente. In fondo, pur esprimendo la sua idea in maniera molto ferma, come si osserva dall’uso dell’avverbio «certamente», Scholem non sostiene le sue affermazioni con alcuna prova. Eppure per Tishby la proposta di Scholem è «chiara». Inoltre, la Qabbalah stessa «è, nei fatti, una trasformazione gnostica del giudaismo», nelle parole di Tishby.1169 Quest’interpretazione unilaterale della fonte storica e della natura della dottrina non è supportata da un’analisi che vada oltre l’indicazione di parallelismi generici, molti dei quali poco convincenti.

C’è un problema fenomenologico che traspare dalle due formulazioni: anche se la fonte presunta delle speculazioni cabbalistiche è definita dualistica e radicale, per entrambi gli studiosi il suo contenuto avrebbe subito modifiche per divenire adottabile da sistemi monoteisti, come quello cabbalistico. Tale ipotetica trasformazione dovrebbe spiegare, agli occhi dei due ricercatori, le discrepanze fenomenologiche tra le fonti gnostiche tardo-antiche, da un lato, e le visioni medioevali del male, dall’altro. Dato che però non è ancora stata dimostrata alcuna influenza sostanziale della gnosi sulla Qabbalah, la loro proposta resta affidata al regno della speculazione accademica e, per quanto possa essere corretta, richiede comunque di essere confortata da prove solide prima di essere iterata da altri studiosi seri. A quel che mi risulta, il fondamento gnostico della concezione cabbalistica del male è rimasta l’unica teoria esplicativa regnante nella scuola di Scholem.

La ricerca successiva non ha corroborato la teoria gnostica. In contrasto, sono state formulate altre proposte, in esposizioni più dettagliate. La «certezza» e «chiarezza» riguardo alla fonte zoroastriana nelle citazioni appena riportate dei due studiosi è invero sorprendente: a sua conferma non c’è che un’altra, simile affermazione di Scholem che, a quanto mi risulta, non è corroborata da alcuna analisi testuale, storica o filologica. Per il momento non è stata scoperta alcuna fonte gnostica di cui si possa dimostrare in maniera convincente che abbia influenzato la dottrina ebraica. Inoltre, dal punto di vista fenomenologico, il materiale cabbalistico non mette in luce nessun dualismo, sia pur attenuato, bensì ciò che ho proposto di definire una pseudo-simmetria subordinata, che non ha niente a che fare con due divinità personificate antagoniste.

Potremmo dunque sostenere che la concezione di Scholem ammette la continuazione del dualismo zoroastriano antico nella tarda antichità e nella gnosi dell’alto Medioevo e poi, nel periodo successivo, la loro prosecuzione nella Qabbalah, sia pur in forma attenuata. La ricerca non ha mai risposto alla domanda su chi abbia mitigato l’antico dualismo e quando abbia avuto luogo tale modifica. Ma non sarebbe più saggio, in un’ottica storica e filologica, ricercare le origini dove si trovano forme di spiegazione più moderate delle fonti del male, come quelle che appaiono nelle fonti cabbalistiche, invece che indulgere in speculazioni relative alla sequenza del tutto arbitraria zoroastrismo-gnosi-Qabbalah e nelle presunte modifiche apportate a materiali precedenti al momento in cui furono adottati dai cabbalisti?1170 Comunque, l’attribuzione ultima del dualismo cabbalistico allo zoroastrismo, cioè alla versione più diffusa di un forte dualismo, non ha indotto lo studioso a prendere in esame le fonti zoroastriane ma solo quelle gnostiche, ritenute mediatrici tra testi antichi e medioevali, per arrivare infine a un punto morto. Vorrei sottolineare che non è mia intenzione sostituire l’intera spiegazione gnostica delle origini della Qabbalah con la tesi zurvanica, quanto piuttosto limitare la mia proposta all’influenza plausibile dei temi specifici zurvanici da me menzionati in un contesto specifico. In effetti, prendendo in considerazione una varietà di fonti diverse si renderà maggiore giustizia all’interpretazione della nascita e dell’evoluzione della Qabbalah rispetto a una sola fonte, anche se relativa a un unico tema.1171

Comunque sia, la teoria delle fonti zoroastriane della Qabbalah in generale non è certo nuova e in effetti è stata proposta già verso la metà dell’Ottocento. Da allora è stata elaborata in forme diverse, al margine della ricerca moderna, ma non è stata neppure menzionata dalle trattazioni scientifiche qui prese in esame. In maniera più sostanziale, essa è una delle tesi principali del primo libro scritto sulla Qabbalah da uno studioso ebreo, Adolphe Franck, docente di filosofia al Collège de France: La Kabbale ou la philosophie réligieuse des Hébreux, pubblicato a Parigi nel 1843.1172 Purtroppo quest’opera pionieristica ha un limite enorme, la dipendenza da fonti secondarie, perlopiù latine, e una conoscenza troppo scarsa della letteratura cabbalistica, per quanto l’autore fosse indubbiamente in grado di leggere criticamente testi cabbalistici ebraici e aramaici. Benché il libro abbia avuto relativamente successo – tre edizioni francesi nel XIX secolo e, nel corso del XX, varie traduzioni, a partire da quella tedesca a quella ebraica e all’inglese – la tesi dell’autore non è stata particolarmente seguita, solo di rado discussa dalla ricerca e in molti casi semplicemente ignorata. Solo il contemporaneo Gideon Brecher ne adottò alcuni temi in un’opera tedesca tradotta immediatamente in francese, a cura dello stesso Franck, con il titolo L’immortalité de l’âme chez les Juifs (1857). Brecher si occupa brevemente dello zurvanismo e discute anche l’escatologia nello Zendavesta e nella Qabbalah, senza però prendere in esame i temi che abbiamo trattato.1173

I primi studiosi che si posero seriamente nella scia di Franck furono D.H. Joel1174 e Shemu’el David Luzzatto,1175 mentre il compatriota e contemporaneo di Franck, Solomon Munk, ignorò praticamente il suo contributo e suggerì un’alternativa alessandrina alle origini della Qabbalah, concezione che contraddice quella di Franck.1176 Ebraisti eminenti dell’Ottocento quali Moritz Steinschneider, Heinrich Grätz e Adolf Jellinek, che scrissero anche di temi cabbalistici, passarono sotto silenzio la tesi iranica perché implicava l’antichità della Qabbalah, che invece essi consideravano un fenomeno medioevale. Questa era anche la tesi di Scholem e della sua scuola, che ritennero l’opera e la tesi di Franck poco più che una mera curiosità,1177 nonostante la loro accettazione dell’influenza zoroastriana sulla Qabbalah, pur mediata dalla gnosi, come si è detto.

L’unico studioso di Qabbalah ad avere abbracciato una concezione che attribuisce una certa influenza dello zoroastrismo sulla letteratura ebraica più antica, ad esempio, sul Sefer Yetzirah, fu Ernst M. Müller, che tuttavia non fece mai menzione di Franck e della sua tesi. In un articolo in ebraico pubblicato nel 19431178 lo studioso presentò brevemente un’affinità tra il pensiero persiano e la teoria delle sefirot in un passo rielaborato successivamente nella sua opera in inglese sulla storia della mistica ebraica:

 

Un attento esame del Sefer Yetzirah rivela chiaramente antiche influenze persiane. L’ordine delle «dieci sefiroth», organizzato in modo da far emergere lo spazio da bene e male e questi due elementi dal tempo (l’abisso dell’inizio e l’abisso della fine, I, 5), sembra trovare il proprio prototipo nella dottrina persiana secondo la quale è dal «tempo illimitato» che scaturì l’opposizione bene-male (Ohrmuz-Ahriman) e, a loro volta, essi generarono lo spazio. Anche le sette Potenze, in parte mere qualità astratte, in parte entità reali, che corrispondono ai sette pianeti, sembrano trovare il loro prototipo nei sette Ameshaspenta (potenze divine persiane, capeggiate da Ohrmuz). La tesi è confortata dall’attribuzione ai persiani di un analogo gruppo di sette, sostenuta da Plutarco; secondo uno studioso moderno, Joseph Pascher, essa appare in Filone nella forma delle potenze divine primordiali.1179

 

L’interpretazione di Müller contempla una pluralità di fonti all’origine della Qabbalah, di cui quelle iraniche sono solo alcune. Più di recente, una tesi analoga sull’origine zoroastriana delle sefirot, non solo nel Sefer Yetzirah ma anche nella Qabbalah, è stata proposta da Guy G. Stroumsa.1180 Così, nonostante lo scarso favore che accompagnò la tesi di Franck nell’Ottocento, le sue teorie non scomparvero totalmente dalla ricerca cabbalistica e le probabili fonti iraniche ogni tanto vengono riproposte, pur rimanendo al margine dello schema in genere adottato dagli studiosi.

2. Storie della Qabbalah

Il disinteresse per le fonti zoroastriane della Qabbalah sorprende soprattutto negli ultimi decenni, quando molti studiosi hanno rivolto crescente attenzione al contesto iranico della letteratura talmudica. Anche dopo che il background iranico è emerso in diversi studi sul Talmud babilonese, gli studiosi di mistica ebraica hanno continuato a ignorare il potenziale rilievo di una cultura che dette accoglienza a un’importante comunità ebraica, responsabile della produzione di uno dei testi canonici del giudaismo. Il fatto che il mio articolo intitolato The Evil Thought of the Deity sia stato attaccato da Tishby e ignorato dalle recenti esposizioni della mistica ebraica, quelle di Joseph Dan e Peter Schäfer, è solo un sintomo dell’inerzia che regna in alcune branche della ricerca contemporanea. Preoccupati di descrivere e parafrasare più volte gli stessi testi appartenenti al corpus degli Hekhalot, dal contenuto ancor oggi oscuro ed elusivo – testi peraltro noti e pubblicati a stampa da decenni –, questi studiosi non hanno elaborato una storia della Qabbalah diversa, fondata su fonti precedenti o neglette dalla ricerca. Ora hanno dismesso la tesi del possibile influsso delle fonti gnostiche, seguendo tacitamente la critica da me formulata negli anni Ottanta,1181 perlopiù senza però citarla, e di quando in quando offrendo, in alternativa, alcune riflessioni su possibili influenze cristiane sulla mistica ebraica.1182

È evidente tuttavia che la letteratura degli Hekhalot non può bastare da sola a spiegare la maggior parte degli elementi salienti della nascita della letteratura cabbalistica o importanti aspetti dell’esoterismo ashkenazita medioevale; inoltre nelle trattazioni di questi studiosi non si trova alcuna seria soluzione alternativa alla teoria gnostica.

Nei primi anni Ottanta, nel periodo della pubblicazione del mio saggio The Evil Thought of the Deity, accanto alla critica alla teoria della gnosi come fonte primaria della Qabbalah, tentai anche di presentare una storia diversa della dottrina in una serie di articoli pubblicati, alcuni dei quali incentrati su temi sviluppatisi dalla tarda antichità al Medioevo, come l’aspetto antropomorfico della Torah, il mondo degli angeli in una struttura antropomorfica, l’immagine dell’uomo al di sopra delle sefirot, le sefirot al di sopra delle sefirot, nonché sull’analisi di quel che ho definito visione binitaria del culto cabbalistico, cioè la necessità di rivolgersi a due potenze divine o a due sefirot, da unificare grazie alla preghiera. Benché tali potenze possano variare – talora si parla di unione dello Ze‘ir anpin antropomorfo con la sua compagna –, è questo uno dei poli principali della Qabbalah teosofico-teurgica. In alcuni casi una delle due potenze ha connotazioni malvagie, ma il suo aspetto antagonistico è minimo.

Questi studi sostenevano la necessità di una storia della Qabbalah più continua. In luogo di una concezione della dottrina come rivoluzione gnostica, che installava una tipologia di religiosità mitica in seno al rabbinismo europeo di cui si invocava il carattere non mitico, avanzavo un’interpretazione più continua, esperienziale e performativa. In alcuni contributi ho proposto di utilizzare un metodo che ho definito «ricostruzionista»,1183 che potesse aiutare a spiegare la presenza di alcuni temi della Qabbalah in letterature più antiche e nello stesso tempo contribuire a comprendere la nascita della letteratura cabbalistica, così come la formazione del libro dello Zohar. Non ho tentato di proporre una spiegazione unitaria della Qabbalah, dato che essa in primis non è un fenomeno unitario, ma ho preso in esame altre letterature – alcune ignote, altre trascurate – come prove potenziali per la storia dei temi che mi interessavano. Un approccio simile traspare in alcuni articoli di Yehuda Liebes, che ha lavorato negli stessi anni su altri temi.1184 Non occorre dire che anche questa proposta è stata oggetto di critica.

Il presente volume non intende solo espandere il mio breve articolo sul male e proseguire nella direzione di tale ricerca, ma anche rielaborare le premesse metodologiche degli studi degli anni Ottanta. La struttura concettuale delle mie analisi si basa sul presupposto di una diversità radicale che dovrebbe essere il presupposto per la comprensione delle teorie del male nella Qabbalah teosofica. Tale diversità, che copre una gamma tanto ampia da includere discussioni derivanti dal neoaristotelismo fino allo zurvanismo, dimostra l’enorme complessità del pensiero cabbalistico. Così, invece che proporre un’unica fonte principale per le teorie del male nella Qabbalah, risultato dell’influsso della gnosi, la mia idea è che la gnosi non sia una fonte verosimile per le principali interpretazioni cabbalistiche del male, né dal punto di vista storico né da quello fenomenologico. Sarebbe meglio ricorrere a diverse spiegazioni, fondate su una molteplicità di fonti che riflettono una pluralità di modalità di pensiero. Emergerà così una teoria del male più complessa e una diversa storia delle varie correnti che si sono occupate del tema.

Nella mia lettura, i processi di riaffioramento di materiali più antichi e le interazioni tra i temi rimessi in luce e i materiali scritti rabbinici, così come una molteplicità di influenze esterne sono molto più importanti delle rivoluzioni concettuali e dell’antagonismo dualistico. Secondo Scholem: «I contributi della Qabbalah a questo tema eterno [il male] sono rilevanti per i seguenti motivi: i mistici ebrei tentarono di rompere con la tirannia dell’apparato concettuale greco e, seppur in maniera goffa e senza essere pienamente consapevoli della propria audacia, svilupparono idee che in modi cruciali rifiutarono di eludere la realtà del male».1185 Si tratta di un’affermazione importante, che sottolinea la relativa indipendenza dei cabbalisti dalle teorie filosofiche e rientra in un argomento più vasto discusso da Scholem a più riprese, come la distinzione tra l’atteggiamento dei cabbalisti e dei filosofi nei confronti dell’Halakhah.1186

Tornando al passo di Scholem, lascio da parte la visione totalizzante di «Qabbalah» al singolare e di «mistici ebrei», come se contribuissero genericamente a offrire visioni del male indipendenti. Queste descrizioni fanno parte di una visione monocroma della vasta e variegata letteratura cabbalistica e di interi corpora di testi, come quelli di Avraham Abulafia, Yitzḥaq ben Avraham ibn Laṭif, David ben Abraham ha-Lavan, Yosef ibn Waqar o Yoḥanan Alemanno, che hanno molto più in comune con la visione filosofica del male che con quella dei cabbalisti mitici di cui abbiamo parlato nel capitolo 3. Tuttavia, al di là di questa osservazione generale relativa a tipologie non teosofiche di Qabbalah, non c’è dubbio che il pensiero filosofico abbia un ruolo significativo nell’«apparato concettuale» della visione cabbalistica dell’origine metafisica del male.1187

Ogni analisi storica e concettuale significativa della letteratura mistica ebraica medioevale deve tener conto del rilievo di una molteplicità di fonti influenti. In primo luogo si dovrà considerare la varietà di temi e pratiche rabbiniche, di motivi esoterici attestati in tradizioni ebraiche scritte e orali, poi l’influenza di vari corpora non ebraici, filosofici, mistici, astro-magici, prodotti o profondamente influenzati da religioni diverse – islamici, greci, ellenistici, iranici, cristiani e anche indiani. Una migliore descrizione delle origini della Qabbalah dovrebbe intendere questa dottrina nel quadro di un flusso di tradizioni giunte gradualmente in vari luoghi dell’Europa dal Medio Oriente in varie epoche e in forme diverse, che generarono una rinascita intellettuale e letteraria.1188 Inoltre, ritengo che la tipologia zurvanica di pseudo-simmetria subordinata sia stata adottata dal giudaismo in momenti diversi e in forme diverse: nella Bibbia, negli scritti di Qumran, nelle tradizioni giudeo-cristiane e nelle discussioni rabbiniche, come il midrash su Agrimas o il pensiero cattivo di Dio nella testimonianza di Agobardo di Lione.

Come si è visto in precedenza, esistono diverse scuole cabbalistiche che rappresentano non solo diversi modi di pensare ma che ricorrono anche a terminologie diverse. Le potenze malvagie sono descritte come gusci, scorze, esteriorità, giudizi, scorie, potenze dell’impurità o «altra parte». Fenomeno non unitario dal punto di vista concettuale fin dai suoi inizi, le letterature cabbalistiche richiedono una storia non unitaria ma anche forme diverse di continuità e discontinuità, tema che mi appresto ad affrontare. Perciò, mentre Scholem e Tishby considerarono la gnosi la fonte principale della Qabbalah in generale, l’elemento che avrebbe determinato profondamente la fenomenologia della Qabbalah, il peso da me attribuito all’influenza dello zurvanismo sulle teorie cabbalistiche del male è molto più modesto e non intende affermare altro che quanto espressamente affrontato nei capitoli precedenti, mentre lascio aperta la possibilità che esistano altre fonti alla base delle strutture speculative della dottrina.

3. L’esperienza storica del male e gli studi sulla Qabbalah

Nelle prime fasi dello studio critico del giudaismo, a partire dalla metà del XIX secolo, è stato accordato poco spazio alle questioni relative al male metafisico. Questa situazione cambiò radicalmente nella scuola di Scholem, secondo il quale «la questione dell’origine e della natura del male fu una delle forze principali che motivarono le speculazioni cabbalistiche».1189 Il fascino della ricerca contemporanea per il problema del male e il suo ruolo nella mistica ebraica può tradire una passione per questo tema che caratterizzò gli stessi gnostici.1190 Nella sua fase iniziale la predilezione non ha niente a che vedere con crisi storiche ma, per quel che mi sembra, l’influenza della gnosi su Scholem e su Tishby fu dovuta soprattutto all’orientamento esistenziale dell’opera di Hans Jonas sullo gnosticismo. Comunque, la ricerca di forme non ortodosse di ebraismo, che culminò nell’interesse specifico di questi studiosi per il sabbatianesimo antinomico, trovò ben presto conforto nelle vicissitudini storiche della Shoah, che contribuirono, stando a quanto ammisero gli stessi due studiosi, a una nuova valutazione, più positiva, della Qabbalah. Ecco due testimonianze a riguardo. Scrive Scholem:

 

In una generazione testimone di una terribile crisi nella storia ebraica, le idee di quei mistici ebrei medioevali non sembrano più così strane. Vediamo con altri occhi e i simboli oscuri ci colpiscono come per invitarci a chiarificarli.1191

 

Non sarebbe tanto l’impegno filologico a chiarire la Qabbalah, quanto l’inatteso trauma storico ad avvalorare l’interesse stesso per la dottrina. Il male nella storia contemporanea aiuta a capire i simboli del male nella Qabbalah medioevale. Questa testimonianza si basa su una profonda dimensione esistenziale che consiste nel percepire le vicissitudini della storia passata e la possibilità che si ripetano nel presente, creando così una «simpatia» tra esperienze medioevali e moderne. Analoghi i termini che ritroviamo in un passo altamente evocativo, che ha il sapore di una confessione, compreso in una delle analisi del simbolismo cabbalistico di Tishby. Anch’egli parla di una crisi presente che esalta il ruolo della Qabbalah:

 

... soprattutto quanti dell’ultima generazione furono cacciati dal Paradiso nella grande desolazione e vagano per le strade delle vita, divisi e perplessi, senza bussola e senza meta. Il bell’idillio dei visionari dell’illuminismo si è dissolto come fumo e la realtà ha rivelato il suo volto demonico e minaccioso. È tornato l’eone dell’angoscia, che i cabbalisti e i loro simili conobbero ai loro tempi e in altre epoche, un eone di disgregazione e annientamento dei valori. La crisi dei valori, che colpisce il grande mondo, non ha affatto risparmiato il piccolo mondo ebraico. Eravamo rimasti in piedi, deboli, malati e privi di valori solidi. La nostra generazione, di uomini e di ebrei, di individui e di comunità, viene spinta verso l’abisso e si trova di fronte a un bivio: scivolare giù lungo la china del nichilismo o innalzarsi spiritualmente a riscoprire i valori rimasti, nascosti nella realtà esterna frantumata. Forse uno studio approfondito della sapienza della Qabbalah, e soprattutto del significato dell’interpretazione simbolica dei valori del giudaismo, riuscirà a illuminare i nostri occhi e ad aiutarci a trovare una via d’uscita da questa grande perplessità.1192

 

Si tratta di una confessione molto istruttiva. La perplessità è la quintessenza del destino spirituale della generazione, secondo i due studiosi, ma è il simbolismo – ai loro occhi così importante nell’economia generale della Qabbalah – il modo per fronteggiare la crisi. Mentre nel Medioevo l’antidoto della perplessità era la filosofia aristotelica, nei tempi moderni la guida della generazione sarebbe divenuta la Qabbalah. Mi chiedo se i valori che si presumono celati nella realtà frantumata non riflettano la concezione delle scintille sacre luriane, immerse nei vasi infranti. Lo studio della mistica ebraica avrebbe dovuto pertanto non solo contribuire a comprendere il passato ma anche trasformarsi in strumento per fronteggiare il presente e forse anche per migliorare il futuro. Sulla base di questo passo possiamo intendere il fine dello studio della Qabbalah e del suo insegnamento accademico: la disciplina può divenire una nuova Guida dei perplessi per gli ebrei disorientati del presente. La chiave di lettura principale per veicolare la dottrina sarebbe il simbolismo, cioè un’interpretazione simbolica della realtà e del giudaismo, come appare ovvio dai due passi, in effetti la nuova alternativa all’allegoria filosofica che doveva salvare il giovane perplesso medioevale, secondo la Guida del Maimonide. In tale ottica, gli studiosi di Qabbalah non si discostano dagli stessi cabbalisti: entrambi tenterebbero di allontanarsi dai modelli dei filosofi – rappresentati come se evitassero la questione del male, come scrive Scholem in uno dei passi citati –, offrendo un’alternativa basata sulla simbolizzazione della realtà per coglierne il significato o imporgliene uno. È significativo che sia Scholem sia Tishby fossero sionisti devoti e che scrivessero dopo la creazione di quello Stato d’Israele che non aveva dato una risposta spirituale sufficiente alle loro aspirazioni. Nell’attività dei due studiosi e nelle loro aspirazioni cogliamo dunque una risposta a una crisi storica, un tentativo implicito di trovare una soluzione, forse una specie di ricerca di significato spirituale, combinata all’impresa più storica e filologica.

Comunque, la crisi menzionata precedentemente fu molto più che una crisi spirituale soggettiva di valori, che può avere luogo, in varia misura, in ogni generazione. La sua natura specifica era molto più concreta e terribile, dato che aveva a che fare con l’influenza diretta della Shoah sugli studiosi responsabili di quest’articolazione della situazione crisica. Scholem aveva perso un fratello e il suo migliore amico, Walter Benjamin. Ancora più gravi le ferite alla base dell’esperienza di Tishby, durante il periodo in cui visse in Terra d’Israele, mentre Mendel Piekarz, studioso del hassidismo, perse l’intera famiglia nell’Olocausto.

Tishby dedicò il suo primo libro – una tesi magistrale scritta sotto la guida di Scholem all’inizio del 1939 – The Doctrine of Evil and Shell in Lurianic Kabbalah –, pubblicata nel 1942, «A mio Padre e a mia Madre, imprigionati nel regno di Satana, in attesa di una prossima redenzione», ma nella seconda edizione, del 1950, aggiunse un’altra dedica: «Alla Memoria di mio Padre e di mia Madre, che furono imprigionati nel regno di Satana e attesero una prossima redenzione». Originario della Transilvania, in gioventù Tishby aveva fatto parte del hassidismo Satmar – un gruppo ultra-ortodosso originario di quella zona – per diventare in seguito uno zelante sionista, che fece aliyah negli anni ’30, dopo un’intensa attività di propaganda nelle comunità ebraiche della regione, che forse contribuirono a salvare le vite di quanti decisero di emigrare in Terra d’Israele. Ma i suoi genitori rimasero in Diaspora e furono uccisi in un campo di concentramento, proprio verso la fine della Seconda Guerra Mondiale. Questa volta abbiamo una teoria manichea che distingue una razza ‘superiore’, cui spetta il compito di estirpare la razza cosiddetta inferiore, ma a differenza degli antichi gnostici, i nazisti la misero in pratica.

Mai prima di allora studiosi di giudaismo si erano trovati ad affrontare situazioni in cui la redenzione e la libertà non erano concetti astratti o credenze diffuse tra popoli abitanti in regioni remote nel Medioevo, ma questioni di vita e di morte, che colpivano i loro parenti e amici più stretti. Nel 1950, Tishby scrisse una dedica su una copia del suo The Doctrine of Evil, di cui omaggiò la sua collega, un’altra allieva di Scholem, Rivka Schatz-Uffenheimer: «A Rivka, in memoria delle nostre conversazioni sul regno di Satana». Mi chiedo se tale argomento fosse solo un tema teoretico di dotta disquisizione o un soggetto esistenziale. L’espressione poetica «regno di Satana», letta in parallelo alla sua dedica del volume The Doctrine of Evil e al quadro da lui tratteggiato del ruolo attuale del simbolismo cabbalistico, di cui si è detto, dà l’impressione che l’atteggiamento dei cabbalisti nei confronti della realtà, la visione che ne aveva Tishby e forse anche Scholem, in qualche modo si sovrappongano ma non coincidano. In effetti una qualche credenza che il mondo attuale sia governato da un Dio malvagio è condivisa dagli gnostici e dagli studiosi di Qabbalah.

Ma le tribolazioni della Shoah non segnarono la fine della sua sofferenza. Il risultato di spicco della ricerca di Tishby, la sua opera Mishnat ha-ZoharThe Wisdom of the Zohar – porta la seguente dedica nel primo volume, scritto a quattro mani con Fischel Lachover e pubblicato nel 1949:

 

La mia opera sulla Mishnat ha-Zohar è dedicata alla memoria di mio fratello Shmuel, di benedetta memoria, sopravvissuto all’inferno nazista, caduto nella guerra per la difesa della patria.

 

Dunque, l’orientamento anti-ortodosso degli studi di mistica ebraica nel decennio anteriore alla Seconda Guerra Mondiale, rappresentato da personalità quali Martin Buber, Gershom Scholem e in qualche misura anche Isaiah Tishby, subì una crisi senza precedenti durante il conflitto che li colpì direttamente e contribuì a creare un legame tra alcuni aspetti della loro ricerca ed eventi della storia presente. Per superare la crisi o per spiegarla in un modo o nell’altro, si fece sempre più evidente l’importanza del simbolismo del male. L’insistenza di Tishby sulla centralità del male nell’economia del pensiero cabbalistico, inteso come potenza primaria che combatte il bene, costituisce pertanto il risultato più significativo di questa concatenazione tra l’atteggiamento anti-ortodosso da parte degli studiosi di giudaismo e le elaborazioni dolorose di una crisi storica con implicazioni molto personali. A mio parere, la specifica concentrazione su determinati argomenti non è l’unico effetto delle tribolazioni della Shoah. Non meno importante è il tono amaro di alcuni dibattiti accademici avviati da sopravvissuti, come appare manifesto dalla polemica di Tishby con il suo allievo Mendel Piekarz, così come dai limiti nell’incisività delle risposte che qualcuno si poté permettere di presentare (quando ve ne furono),1193 nel quadro di tale polemica. Sebbene tali polemiche facciano, in effetti, parte della ricerca accademica, esse non possono essere intese correttamente senza conoscere prima alcuni risvolti storici e psicologici. La ricerca stessa ha subito di tanto in tanto una specie di catarsi, e i modi specifici che gli studiosi hanno adottato per superare il trauma, in alcuni casi confessato esplicitamente, dovrebbero essere compresi nel contesto di un mondo che aveva perso quella dimensione religiosa che poteva aiutare a superare i terribili drammi della storia. La visione della storia dominata dall’attività di un angelo distruttore, abbracciata da Scholem e Benjamin, fu corroborata dall’Olocausto. Non stupisce che alla vigilia della Shoah la teoria che il niente si trovi all’interno di Dio si facesse strada in una versione radicale della teologia cristiana, quella di Thomas J.J. Altizer.

Affinità selettive emersero dunque dalle esperienze personali degli studiosi dipendenti da avvenimenti traumatici della loro generazione e s’intrecciarono alle fonti e agli argomenti specifici che essi decisero di trattare nella loro ricerca, o meglio – a mio avviso – di sottolineare o di ignorare, all’interno di una varietà molto più ampia di temi presenti nei corpora cabbalistici. Ecco due esempi di argomenti, a mio parere più significativi per i cabbalisti rispetto alle questioni relative al male.

4. Esegesi e prassi rituale rispetto a sistema e male

Le analisi precedenti non rivelano un’interpretazione sistematica del male né un tentativo di spiegare il male storico o personale. Più di qualsiasi altra cosa fu l’aspetto esegetico ad affascinare i cabbalisti in quanto autori speculativi. Il fenomeno risulta evidente dall’esame degli stessi generi letterari adottati dagli autori per esprimere il loro pensiero, i commentari, ma il vettore esegetico è ugualmente ovvio negli scritti organizzati in forma più sistematica, nei quali abbondano i testi di riferimento a partire dalla Bibbia fino alla letteratura zoharica. I cabbalisti commentarono la Scrittura ebraica, le motivazioni dei precetti, le leggende talmudiche, le dieci sefirot, il Sefer Yetzirah, il libro dello Zohar, il libro di preghiera e perfino la Guida dei perplessi del Maimonide. La concentrazione su temi astratti, che dovrebbe essere esplorata dettagliatamente e in maniera sistematica, è secondaria rispetto a quest’orientamento esegetico. È la creatività esegetica a caratterizzare il discorso dei cabbalisti, piuttosto che la possibilità di offrire un pensiero originale. In fondo, uno dei più importanti pensatori del Medioevo, il Maimonide, scrisse un’opera che è più un enigma che una teologia sistematica.

L’implicazione di questo eccesso di rilievo attribuito alla modalità esegetica del pensiero cabbalistico è necessaria per comprendere la frammentazione sostanziale del discorso, che deve seguire il testo interpretato, in molti casi un documento eclettico, e la conciliazione necessaria per dare un senso alle diverse opinioni attestate in quei «trampolini» della Scrittura, per un’ulteriore riflessione. In aggiunta ai limiti intellettuali di chi scrive, che mi hanno impedito di riscontrare una sistematicità nell’immensa letteratura cabbalistica, la mia tesi è che l’analisi dovrebbe tener conto dell’intenzione degli autori medioevali, talora espressa dalla natura del genere letterario da loro scelto, non della preoccupazione intellettuale degli studiosi moderni. Data l’ovvia predilezione dei cabbalisti per la composizione di commenti, fatto che è difficile sovrastimare, risalta la loro ingegnosità di commentatori, cioè la possibilità di dare un senso valido al testo interpretato, piuttosto che di impressionare il lettore con una visione profonda e generale del mondo. Ciò significa che alcuni cabbalisti potevano reinterpretare lo stesso testo in più modi e abbiamo visto il caso di Yitzḥaq da Acco, che nei suoi scritti continuò a prendere spunto dagli stessi temi servendosi di varie modalità.1194 Benché egli possa essere considerato un caso estremo di flessibilità concettuale, date le sue peregrinazioni e i suoi incontri con diversi gruppi di cabbalisti, non è comunque un’eccezione assoluta, dato che lo stesso testo base è reinterpretato dallo stesso cabbalista più di una volta anche in altri casi, come fecero Cordovero e Luria. Ecco perché sarebbe superfluo discutere insieme nello stesso capitolo tutte le idee dello stesso cabbalista relative al male, come se riflettessero una concezione unitaria, e da ciò la necessità di frammentare le varie discussioni di uno stesso autore in capitoli diversi, a seconda delle loro interpretazioni diverse.

In altre parole: ciò che nella maggior parte dei casi interessa a un cabbalista non è tanto quel che egli stesso pensa esattamente del tema del male in un determinato momento, quanto ciò che i diversi testi hanno da dire e come possono essere riconciliati. Gli autori erano assorbiti più dalla volontà di commentare testi e praticare rituali che da quella di elaborare sistemi.1195 I loro scritti non sono solo esposizioni sistematiche di approcci astratti ma negoziazioni tra i testi canonici e le concezioni a essi correlate per comprendere meglio il proprio modus vivendi religioso. I cabbalisti erano in genere lettori «forti» e, quando adottarono metodi radicali ashkenaziti di esegesi, le loro interpretazioni «forti» divennero ancor più evidenti.1196 Questo è il motivo per cui anche i più «sistematici» dei cabbalisti, ricorrendo a forme di esegesi radicali, possono abbracciare più di un’unica concezione e le idee summenzionate di Cordovero e Luria dimostrano come il tentativo di attribuire – nei fatti di infliggere – loro un unico modo di speculare sul male sia una semplificazione accademica. In effetti, anche questi due autori investirono molta della loro energia nei commentari: il primo scrisse il commento più esteso allo Zohar (quasi trenta volumi in folio) e della scarsa produzione superstite del secondo gran parte è esegetica. Luria è noto per la sua tendenza a tornare più volte sugli stessi testi zoharici, interpretandoli sempre in maniere diverse.1197

5. Fluidità concettuali nella Qabbalah

Uno dei processi più caratteristici di una dottrina tradizionale come quella cabbalistica consiste nel giustapporre correnti separate diverse attestate in testi diversi. L’eclettismo fa parte della complessità di ogni fenomeno tradizionale tardivo, che rifiuta di operare in maniera hegeliana, bollando gli strati precedenti come non autorevoli o irrilevanti; la maggior parte delle forme della Qabbalah non sono un’eccezione a questa passione dell’accumulo. L’osservazione può valere per ciò che è così spesso chiamato «paradossale» nella ricerca della Qabbalah e del hassidismo, quando si giustappongono concezioni divergenti più antiche, ritenute autorevoli.

Da questo punto di vista i cabbalisti si avvicinano maggiormente al modello associativo midrashico, meno costellato di sistemi metafisici, che a quello greco, sistematico-teologico. Il male è dunque importante per i cabbalisti non perché consente di percepire la natura nascosta della realtà, o perfino la struttura e l’attività della deità, o perché è il concetto chiave di un sistema altamente elaborato, ma soprattutto in quanto consente un’interpretazione più ricca delle pratiche rituali e della loro efficacia, e perché la sua presenza dà maggiore rilievo al ruolo del cabbalista nel mondo.

Per quanto importante fosse l’esegesi come attività letteraria, intellettuale e talora pneumatica, essa fu più volte messa al servizio della pratica rituale, cioè dell’approfondimento di particolari connessi all’osservanza dei precetti.1198 La crescente ritualizzazione della vita religiosa raggiunse il suo apice nel quadro della fioritura del pensiero e dei riti cabbalistici nella Safed cinquecentesca, e la dottrina cabbalistica fornì in molti casi motivazioni teosofico-teurgiche per i dettagli della prassi. Questa dimensione più attiva della vita dei cabbalisti come ebrei seguaci della tradizione ridusse il ruolo dell’articolazione sistematica di sistemi coerenti, che furono strutturati solo successivamente. È interessante notare, ad esempio, come Vital registrasse scrupolosamente i particolari del comportamento rituale di Luria, diverso dal proprio, per comprendere l’importanza di questo tema per il cabbalista, il quale fornì anche la più articolata descrizione del sistema generale della dottrina luriana.1199

Non vi è alcun dubbio che nella Qabbalah l’esegesi come la prassi potessero essere considerate tipologie esperienziali di attività. Così, la pratica del rituale è intesa anche come modo apotropaico di vita che salvaguarda il cabbalista dall’attacco delle forze del male. Mentre nelle forme più popolari del giudaismo, così come nel cristianesimo, il male è una forza personificata, che interferisce attivamente nella vita quotidiana della gente comune e dell’élite, i cabbalisti di cui abbiamo parlato si interessarono di teogonie e cosmogonie, che, per quanto influenti per la creazione della realtà ordinaria, si preoccupavano poco delle rappresentazioni personificate del male.

Al centro del loro interesse dunque non è tanto la necessità di abbracciare un sistema teosofico coerente che spieghi, ad esempio, l’origine e la natura del male, quanto l’adempimento di un certo tipo di vita finalizzata teurgicamente a unificare la divinità e a neutralizzare il male. La teoria può spiegare il funzionamento di certi meccanismi ma non c’è alcun effetto della conoscenza senza la pratica. Per una religiosità performativa, fondata su dromena collettivi e sincronici, l’introduzione di un fattore aggiuntivo, il male nelle sue diverse manifestazioni, arricchisce le dinamiche potenziali e aumenta la tensione associata al rito. Di conseguenza, l’inserimento di temi associati al male nella più ampia sequenza di eventi all’interno del sistema teosofico esaltò il ruolo dei cabbalisti nella più ampia cornice del dramma cosmico. Sia la propensione esegetica, con le sue dimensioni esperienziali, sia quella performativa, che coinvolge il cabbalista in un’intensa attività di vita, creano centri di gravitazione diversi da quelli presi in considerazione dalle letture «sistematiche» degli studiosi di Qabbalah.1200 Occuparsi dell’imperativo della procreazione o dell’interpretazione specifica di un testo non implica la volontà di offrire un sistema indipendente o originale. In fondo, quanti sistemi originali si possono derivare dalla Bibbia per mezzo di un’esegesi lineare?

Inoltre, su scala più ampia, la storia biblica interpretata dal punto di vista del male diventa una narrazione di una sorta di purificazione progressiva, che trasforma gli Israeliti in «seme santo», «nazione eletta» o «popolo eletto» o che dà importanza al «figlio» nella religione ebraica. Essa comprende inoltre espressioni rabbiniche del processo di purificazione nazionale secondo le quali figli primogeniti negativi assorbirono e in tal modo purgarono la progenie successiva. La costituzione di una struttura divina pura e santa, il mondo sefirotico, è pertanto simbolizzata dal processo di purificazione dei patriarchi e dunque della nazione ebraica. Il vettore verticale della teosofia divina viene proiettato sul vettore orizzontale della storia nel tempo e nello spazio. In altri termini, i cabbalisti di cui abbiamo parlato e che appartengono a uno specifico orientamento nella dottrina esoterica ebraica, costruirono quella che può essere definita un’«etno-teosofia», cioè una teosofia che corrobora la natura e la storia specifiche di una certa nazione.1201 La struttura teosofica è, in fondo, costituita da una configurazione maschile, che varia nei suoi particolari a seconda delle diverse scuole cabbalistiche, ma che è coniugata con l’ultima sefirah, Malkhut, la Comunità d’Israele: l’obiettivo della loro relazione, secondo i cabbalisti teosofi, è la loro unione sessuale e la conseguente generazione di anime. La Qabbalah intensificò temi che erano concepiti come valori nella visione del mondo rabbinica, tra i quali la conservazione del seme, mentre il suo spargimento vano fu considerato una grave colpa, origine delle potenze malvagie, controparte cabbalistica a tutti gli effetti del peccato originale (meno importante nel giudaismo rabbinico che nel cristianesimo).

Per la precisione, la teoria del male non è l’unico caso in cui si rivela cospicuamente una siffatta tendenza nazionale: possiamo osservare un analogo fenomeno nelle discussioni delle nazioni gentili concepite nel loro insieme come concubina del divino a confronto della nazione d’Israele, identificata con la moglie legittima.1202 Anche in questo caso pare che la forte propensione a pensare in termini dicotomici abbia creato strutture di pensiero che riflettono l’autopercezione biblica di un popolo eletto rispetto a tutto il resto dell’umanità. L’ipotesi scientifica di una correlazione tra un evento storico specifico, l’espulsione degli ebrei dalla Spagna, e la nascita di nuove teorie sulla natura e l’origine del male nel mondo divino, non tiene conto né di tutto il pertinente materiale cabbalistico attestato nella Qabbalah spagnola a partire dal Duecento in poi (comunque molto prima del Cinquecento) né delle propensioni etnocentriche di alcune scuole cabbalistiche.1203 Ci possiamo chiedere se sia il pensiero cabbalistico a creare un atteggiamento specifico degli ebrei nei confronti di se stessi o degli altri o se siano percezioni ebraiche precedenti relative all’identità nazionale a formare la struttura delle loro speculazioni teosofiche. Nei fatti potremmo parlare di interazioni complesse tra modalità di pensiero precabbalistiche attestate nelle fonti ebraiche e temi teosofici costruiti secondo parametri influenzati da mitologemi ebraici precedenti ma anche in reazione alle sfide poste da tali identità, almeno in alcuni casi. Eventi storici, come persecuzioni, pogrom o semplicemente l’assai diffuso antisemitismo religioso, hanno indubbiamente incoraggiato alcune tipologie di pensiero dicotomiche, inclusa la demonizzazione dell’altro,1204 mentre altre tipologie di pensiero, anch’esse attestate nelle letterature ebraiche, furono trascurate e la loro adozione seguì strade diverse in circostanze socio-religiose differenti, come ad esempio nell’illuminismo tedesco.

D’altro canto, la letteratura cabbalistica è in grande misura anche una reazione ad alcune interpretazioni filosofiche del giudaismo, soprattutto quelle di temi esoterici, anche se ha fatto uso – certo sporadicamente – di termini filosofici. Questo è il caso della Qabbalah delle origini, degli scritti di Yosef ben Shalom Ashkenazi e, a mio parere, anche di alcuni aspetti della dottrina elaborata a Safed.1205 La natura «reattiva» di questa tradizione non facilita la creazione di modi sistematici di pensiero né di strutture profonde continue. Si tratta di una modalità importante anche da un altro punto di vista: le concezioni del male discusse nei capitoli precedenti possono difficilmente essere considerate il risultato dell’influenza degli ambienti in cui si sviluppò la Qabbalah, quanto piuttosto l’effetto di rielaborazioni di tradizioni precedenti, utilizzate talora per reagire a concezioni diffuse nel cristianesimo.1206

In ogni caso, la natura esegetica di tanti passi analizzati in questo volume non è solo ragione della loro incoerenza ma anche della loro ampia ricezione e delle loro rielaborazioni in alcune delle principali forme di Qabbalah. La presentazione di ciò che i cabbalisti indicavano come un’interpretazione «più profonda» di molti episodi biblici, a partire dal primo capitolo della Bibbia, assicurò l’accettazione e la disseminazione di quei modi di pensiero molto più che se avessero fatto parte di una vasta teosofia sistematica. Il ruolo svolto dall’aforisma della scorza che precede il frutto e la sua ricezione apodittica sono molto istruttivi. A differenza della moderna appropriazione di idee associate all’esperienza del male all’interno della divinità veicolate dalla Qabbalah luriana, cioè il suo impatto su Schelling e Hegel e, attraverso di essi, su Thomas J.J. Altizer,1207 assai meno esegetici e certo minimamente interessati ai riti, i cabbalisti ebrei considerarono il male primordiale non tanto un problema di perfezione divina da comprendere o contemplare, quanto piuttosto una sfida religiosa e forse un destino per il cabbalista che dovrebbe occuparsene attivamente per migliorare la condizione propria e del mondo.1208 Nel nostro caso, il rilievo attribuito all’idea del male originato da una dislocazione del seme divino, che generò scorze invece che una progenie antropica, proprio come potrebbe accadere a livello umano, dovrebbe essere preso maggiormente in considerazione nell’interpretazione delle principali forme cabbalistiche, soprattutto quelle zohariche e safediche. Non è la natura di per sé negativa dello sperma che viene messa in risalto da tali tradizioni, ma il motivo della sua trasformazione in potenze demoniche, che dipende dalla circostanza, cioè la sua dislocazione.

Le varie forme di discorso cabbalistico mostrano ciò che ho definito una «fluidità concettuale», cioè la propensione di molti cabbalisti ad abbracciare più di un’unica concezione su uno stesso tema1209 – nel nostro caso il male primordiale – da un punto di vista sia sincronico sia diacronico. Quest’interpretazione polivalente differisce dalla più ovvia, ormai non più oggetto di discussione accademica, secondo la quale nella Qabbalah intesa come fenomeno unitario esisterebbero diverse risposte alle stesse domande o dalla tesi della fluidità testuale della letteratura cabbalistica.1210 Essa può significare due cose diverse: che un autore cambiava idea, e che i suoi scritti – in un’ottica diacronica – potevano svelare opinioni diverse, come nel caso delle prime e delle ultime opere di Yosef Giqatilla e di Mosheh de León. Inoltre, è possibile servirsi di un’interpretazione di tipo midrashico per comprendere come lo stesso cabbalista potesse abbracciare simultaneamente concezioni diverse, anche in opposizione tra loro. Questo è evidente nella letteratura zoharica e negli scritti di Yitzḥaq da Acco, David ben Yehudah he-Ḥasid, David ibn Avi Zimra, Cordovero e Luria, per citare solo alcuni esempi. Tali autori non sono assolutamente eccezionali nella letteratura mistica ebraica, come ho tentato di dimostrare anche per altri, come El‘azar da Worms,1211 Yiśra’el Ba‘al Shem Ṭov o Avraham Abulafia.1212

Nel nostro caso specifico la confluenza di diverse forme di immaginario, come quello vegetale, riferito alle scorze, rappresentate come rivestimento delle scintille – parte della polarità luce/tenebre – e quello organico, riferito al seme, è solo un esempio della natura eclettica della concettualizzazione cabbalistica. Tale fluidità è connessa anche a ciò che ho definito tipologia di espressione simbolica, che appare in un così vasto numero di scritti cabbalistici. Benché ritenga che nella letteratura esoterica operino diverse forme di simbolismo, la fluidità nell’uso di termini biblici e talmudici è evidente e varia da cabbalista a cabbalista. Inoltre una teosofia dinamica, come sono la maggior parte delle teosofie cabbalistiche, sottolinea il significato dei suoi simboli.1213 Da vari punti di vista, i problemi che devono affrontare gli studiosi di Qabbalah non sono diversi da quelli che mettono alla prova chi tenti di decifrare il pensiero di Böhme.1214

Non vorrei essere frainteso: quelle forme di fluidità differiscono dalla fluidità del significato testuale di Jacques Derrida. A mio parere, le discussioni cabbalistiche precedenti, esegetiche e performative, venivano associate ad altre forme di discorso e il loro significato era fondato, adeguato o limitato dai testi canonici interpretati o dai particolari delle pratiche rituali. Ecco uno dei motivi per cui la différence di Derrida è meno operativa nei testi tradizionali, consumati e compresi da un certo gruppo o società, e non è tanto un problema del singolo lettore.

D’altra parte, la fluidità concettuale è evidente nello stesso corpus letterario, quando appaiono diverse letture riguardo ai modi di affrontare il male. Tishby riteneva, in accordo con la sua visione compatta di Luria, di dover tener conto di un’unica visione del destino delle scorze alla fine dei tempi: la loro distruzione totale. Invece, un cabbalista luriano direbbe che le scorze dovrebbero essere separate dalle scintille sante, per essere liberate e non eliminate.1215 Però qualcun altro potrebbe sostenere tale cancellazione,1216 mentre alcuni opteranno per la possibilità di trasformare il male mitigandolo, elevandolo cioè alle sue fonti più alte. Si tratta di un modello che differisce dai primi due, che può essere definito «conciliatore».1217 Vorrei osservare che tutte e tre le concezioni appaiono nella stessa opera di Naftali Bakharakh, che non tenta di conciliarle, nonostante il fatto che la sua opera ‘Emeq ha-melekh sia una delle presentazioni più sistematiche della Qabbalah luriana. Va da sé che nel trattato di grande influenza di Yesha‘yahu Horowitz, Ha-Shelah, si possono discernere interpretazioni diverse delle scorze nell’eschaton. Se queste tre diverse soluzioni del raggiungimento dello stato ideale siano logicamente associate a narrazioni diverse dell’origine del male è una domanda di per sé interessante che richiede però una trattazione separata. In effetti, in alcune delle strutture decadiche discusse nel capitolo 2 la scomparsa della decade malvagia pare poco plausibile, persino nell’eschaton.

6. Eclettismo e fluidità concettuale

Se ho ragione di attribuire rilievo alla propensione alla fluidità, le interpretazioni dominanti nella ricerca cabbalistica di Gershom Scholem e dei suoi seguaci hanno impoverito lo spettro del pensiero cabbalistico, semplificandolo e limitandolo notevolmente, per tentare con ogni mezzo di estrapolare una struttura teosofica della Qabbalah, ammettendo una tipologia di pensiero omogenea per ogni cabbalista o per ogni scuola. Questo è accaduto anche nel caso della priorità attribuita alla teoria della catarsi divina associata al male, rispetto a quella della perfezione che comportava anche la componente dell’elemento negativo. Anziché fabbricare teologie sistematiche e speculare sulle loro implicazioni filosofiche e psicologiche, propongo di analizzare in maniera più approfondita e seria i dettagli dei testi cabbalistici nelle loro formulazioni originali, sforzandomi di comprendere le preoccupazioni spirituali degli autori, mettendone in rilievo la pluralità. Solo allora il compito gravoso e difficile di sistematizzare e interrogare i risultati di tali complesse discussioni potrà forse rivelarsi fruttuoso e si potrà ricorrere a categorie quali «serie di modelli», «ordini» o «sistemi».1218

Per concludere, una delle principali tesi formulate in questo volume è che determinati temi zurvanici aiutino a comprendere alcuni aspetti del male primordiale, benché non tutti. La mia proposta dovrebbe essere compresa all’interno di una tesi più ampia, che postula l’esistenza di un flusso estremamente variegato di materiali speculativi trasmessi dal Vicino Oriente all’Europa medioevale. Le molteplici interpretazioni di temi biblici, così come l’esegesi rabbinica, ancor più significativa, non si interfacciarono solo con le opere di Platone, Aristotele o Plotino ma anche con una combinazione di motivi ricorrenti nel sufismo, nelle dossografie greche, nelle fonti ermetiche, in forme neopitagoriche, nel cristianesimo, forse anche nell’orfismo e nell’induismo, certamente in corpora letterari diversi e influenti, relativi alla magia e all’astrologia.1219 Anche il neoplatonismo rappresenta un amalgama che talora contiene aspetti pitagorici e magici. Alcuni degli incontri con questi materiali meno «classici» furono altrettanto importanti di quelli con le discussioni più articolate, come accadde, a mio parere, nel caso dell’astrologia.1220 Ecco perché le rielaborazioni di temi zurvanici dovrebbero essere considerate un ulteriore esempio che complica il quadro che pone la filosofia greca e la Bibbia ebraica come i due poli compatti degli incontri speculativi nel Medioevo.1221 Certamente fu anche l’eclettismo speculativo caratteristico delle culture mediterranee a contribuire, fin dall’epoca ellenistica, alla fluidità concettuale delle fonti cabbalistiche.