Milano

Ornamento di separazione

QUI L’APPARIRE, IL SUCCESSO, L’ELEGANZA, SONO QUASI SINONIMO DI PATRIOTTISMO MUNICIPALE.

Mediolanum prende il nome da una scrofa medio lanea (semilanuta) che un condottiero celta avrebbe trovato in una radura paludosa, luogo scelto per fondare la città. A testimonianza del fatto, un curioso bassorilievo rappresentante una piccola e buffa scrofa pelosa fu trovato nel 1233 dai costruttori del palazzo della Ragione, dove tuttora fa bella mostra di sé.

Secondo lo storico Tito Livio il significato è un altro, quello di “terra di mezzo”. Scorrendo gli avvenimenti storici successivi, ritroviamo le invasioni barbariche che riducono la città a un villaggio di case di legno: nelle piazze pascolano mucche e razzolano galline.

In seguito, lasciano un segno Carlo Magno, Federico Barbarossa, lo splendore della corte di Gian Galeazzo Visconti e degli Sforza, Ludovico il Moro e Beatrice d’Este, Bramante e Leonardo. Importanti per Milano sono anche gli anni del periodo spagnolo e poi austriaco, con l’eredità di Maria Teresa.

Nel maggio del 1796 in terra milanese arriva Napoleone Bonaparte con il suo vento di libertà. Il costrittivo dominio dell’impero austriaco, le leggendarie Cinque Giornate del 1848, la battaglia di Magenta, Vittorio Emanuele II e i Savoia, Napoleone III scrivono gli ultimi capitoli di una gloriosa epopea risorgimentale.

Dal 1861 la storia di Milano coincide con quella dell’Italia, di cui diventa capitale economica e morale, amata e decantata dal Porta e dal Manzoni.

Via Manzoni con via Montenapoleone, via della Spiga e via Sant’Andrea formano il quadrilatero dell’alta moda internazionale. Qui è il regno dell’eleganza, il tempio della raffinatezza. In un’atmosfera di evasione, morbida e avvolgente, è d’obbligo sostare al Camparino, un bar in cui da sempre mosaici e colossali lampadari liberty di ferro battuto fanno da cornice al tradizionale brindisi dei futuri sposi…

Un altro gioiello brilla in galleria Vittorio Emanuele, sotto l’insegna dello storico ristorante Savini, un salotto per D’Annunzio, Hemingway, Chaplin, Toscanini e tutto il mondo dello spettacolo. Qui i piatti sono quelli tipici della cucina milanese: il risotto allo zafferano accompagnato dal gustosissimo ossobuco; la costoletta con l’osso, tagliata alta dal carré di vitello e cotta solo con burro.

Da qui il percorso obbligato conduce al tempio della lirica in piazza della Scala, non fosse altro che per ammirare lo strabiliante lampadario di cristallo ricco di ben 365 lampadine, una per ogni giorno dell’anno.

Continuando ad aggirarsi nel quadrilatero della moda, ci si imbatte nel vecchio Cova. Il nome della pasticceria risale ai primi dell’Ottocento, quando il locale apre i suoi battenti in via Verdi. A quell’epoca è il ritrovo di molti artisti e di patrioti, al punto che, durante il Risorgimento, i carbonari che lì si riuniscono sotto mentite spoglie sono chiamati “covoni”.

Percorrendo corso Venezia, sfilano come in passerella antichi palazzi aristocratici sapientemente restaurati e conservati secondo l’originale architettura, quattrocenteschi o liberty, simbolo della passata nobiltà cittadina e della ricca borghesia milanese. Qui l’apparire, il successo, l’eleganza sono quasi sinonimo di patriottismo municipale; voci e ritmi dell’esportazione internazionale danno vita a quell’affannoso rincorrersi nel traffico e a quella spietata etica del lavoro che contraddistingue la città. È una malattia, la cosiddetta “milanesite”, una sorta di calvinismo imprenditoriale.

Ma Milano è multiforme: altri volti, altre case, altre strade attendono poco più in là. Nel quartiere Ticinese, con le tipiche case di ringhiera che si specchiano nel Naviglio Grande. Vicino alla chiesa di San Lorenzo ecco via Pioppette, così chiamata per i pioppi che crescevano nelle fosse (le cantarane, per le rane che vi cantavano la sera e nei giorni di temporale), dove l’acqua piovana imputridiva. Qui si respira ancora un’aria genuina e d’altri tempi.

Milano conserva piccole fiere che sopravvivono sin dal Medioevo. Le più caratteristiche sono quelle degli Oh bej! Oh bej! in occasione della festa di Sant’Ambrogio, e la fiera di Sinigaglia che pullula di straccivendoli, venditori di anticaglie e robivecchi. Via Spadari, via Cappellari, via Speronari, via Orefici, via dei Piatti, strade milanesi che portano ancor oggi i segni degli artigiani di quasi mille anni fa.

A questo punto chi fosse preso dai morsi della fame e volesse assaporare cibi e atmosfere della Milano conviviale, povera e operaia, fra nebbia e freddo, potrà gustare una scodella di minestrone con infilato dritto nel mezzo il cucchiaio a mostrarne tutta la densità, o apprezzare il semplice piatto della festa: polenta con uova e gorgonzola. E per finire il panettone! Le origini di questo dolce si perdono tra storia e leggenda. Forse fu messer Ughetto, un panettiere del Quattrocento, il quale per soddisfare la sua innamorata creò un nuovo dolce dall’insolita forma a cupola. Ma, venendo più in qua con gli anni, una testimonianza arriva dal Vocabolario milanese-italiano di Francesco Cherubini. Nell’edizione del 1841 ecco il Panatton de Nadal, che viene presentato proprio com’è nella sua veste attuale. Attivi e attenti, alcuni pasticcieri milanesi intravidero nel panettone un dolce destinato a fare epoca. L’imballaggio diventa così la celebre scatola di cartone e cuoio a forma di tamburo, e il coperchio viene assicurato da uno spago collegato ad anelli o bottoni metallici.