Pavia

Ornamento di separazione

MOLTI STUDENTI PORTANO CON SÉ NELLA VITA IL DOLCISSIMO RICORDO DELLE NOBILI STRADE DI PAVIA, DELLE SUE GAIE PIAZZE, DEI SUOI SPLENDIDI MONUMENTI E INFINE DELLE TRANQUILLE E SUGGESTIVE SPONDE DEL TICINO.

Nella geografia popolaresco-alimentare in voga nell’Ottocento, secondo la quale i popoli vengono catalogati in base alle preferenze in fatto di cibi, noi italiani figuriamo come macaroni, i tedeschi mangiatori di salsicce, patate e crauti, gli inglesi ben più ricchi avevano il simbolo nei guardiani della Torre di Londra, chiamati beefeaters ossia mangiatori di (carne di) manzo. La Francia, nonostante la si consideri maestra di raffinatezze gastronomiche, viene indicata come Paese poco civile in cui si mangia (e con piacere) una specie animale quasi ributtante: le rane. Il pregiudizio è talmente diffuso da indurre Betsy Belcombe, la giovinetta che rallegrava Napoleone nelle lunghe giornate dell’esilio a Sant’Elena, a chiedergli se non fosse un tremendo sacrificio rinunciare ai piatti a base di rane.

Stando ai testi fondamentali, da Plinio ad Apicio, non sembra che i Romani, dai quali abbiamo ereditato il nome latino di “rana” (ben diverso dal francese grenouille e dall’inglese frog), apprezzassero molto questo alimento. Quasi ignote nel Centro-Sud d’Italia, le rane erano cibo da barbari della Pianura Padana e delle Gallie. Non pare però, ripercorrendo le tappe salienti della storia, che di Pavia si possa parlare come di una città barbara, dando a questo aggettivo un’accezione negativa, anche se i pavesi rimangono per eccellenza consumatori di carne anfibia e maestri nella preparazione di raffinati piatti a base di rane.

Pavia, chiamata dai Romani Ticinum, è città d’origine gallica. Si ritiene che il politico romano incaricato di organizzare il municipium appartenesse alla gens Papia e che lui stesso nei testi non ufficiali definisse la fondazione urbs Papia. Da qui il nome di Ticinum-Papia.

Proprio per la sua posizione sul fiume Ticino, navigabile, e sul paesaggio di grandi strade, Pavia è per molti secoli al centro di importanti vicende storiche. Infatti, di volta in volta, è sede di Teodorico, re dei Goti, fortezza dei Bizantini, capitale longobarda e infine, con il nome di Papia, sede centrale del Regnum Italicum istituito da Carlo Magno.

Durante secoli di miserie e carestie, che vedono il largo ricorso al cosiddetto incolto, vale a dire a tutto ciò che si può catturare a fini mangerecci in brughiere, boschi, praterie, stagni e paludi, i pavesi scoprono la carne di rana. In parallelo con i gamberi di fiume, le rane sono un disperato rimedio alla fame. Stagni, paludi e risaie rappresentano un habitat adatto alla riproduzione di questi anfibi, e gli abitanti di Pavia vanno oggi fieri di numerose preparazioni gastronomiche: rane fritte, con erbe, in guazzetto, in frittata, oltre che del famoso risotto alla certosina. La tradizione vuole che i pavesi si impegnino a preparare il riso con le rane proprio il giorno dopo Pasqua, il lunedì dell’Angelo. Ha fama di essere il piatto dei miracoli, da quando san Siro salvò dalla morte una mondina offrendogliene un assaggio.

Per rimanere in tema pasquale, a Pavia ritroviamo anche la colomba sotto forma di dolce. Quando, verso la metà del VI secolo, i Longobardi di re Alboino dopo un assedio durato tre anni prendono la città, la eleggono a loro capitale. Alboino vi si insedia proprio nel giorno di Pasqua e pretende l’omaggio dei cittadini più influenti davanti alla basilica di San Michele. Tra i tanti doni imposti vi sono dodici ragazze, ma qualcuno pensa anche di offrire come simbolo di pace un dolce a forma di colomba, identico a una scultura esistente nella basilica. Alboino ne rimane colpito e si impegna ad avere il massimo rispetto per le colombe. Grande è però il suo stupore quando le ragazze, una volta interrogate, dicono tutte di chiamarsi Colomba. Alboino rinuncia allora alle sue pretese e rimanda le fanciulle alle loro famiglie mantenendo così la promessa fatta. In ricordo di questo stratagemma, che salvò la reputazione delle ragazze pavesi nonché l’onore di una città fiera e dignitosa, il dolce a forma di colomba viene da allora consumato in tutta la Lombardia e via via diffuso nel resto d’Italia.

Verso l’anno Mille Pavia raggiunge il massimo del suo splendore arricchendosi di palazzi e di chiese e dando vita a un’università fra le più famose del mondo. Vi insegnarono grandi maestri come Alessandro Volta, Vincenzo Monti, Ugo Foscolo. Ancora oggi molti studenti portano con sé nella vita il dolcissimo ricordo delle nobili strade di Pavia, delle sue gaie piazze, dei suoi splendidi monumenti e infine delle tranquille e suggestive sponde del Ticino.

In epoca comunale la città rivaleggia con Milano, e i Visconti la assoggettano. Ma è l’inizio di un periodo di splendore, che coincide con la costruzione del grandioso e imponente Castello Visconteo, con rinnovati studi nella sede universitaria e infine con quel meraviglioso fervore artistico che dà vita alla Certosa di Pavia. Iniziata sotto Gian Galeazzo Visconti, è portata a termine dopo un secolo di lavoro, in stile gotico ma con facciata rinascimentale. All’interno sono custodite le stupende statue tombali di Ludovico il Moro (così chiamato perché favorisce la coltivazione del gelso che, in Lombardia, è detto “moro” o murun) e di Beatrice d’Este.

Cinta da poderose mura e irta di torri: così si presenta Pavia il 25 febbraio 1525. Quel giorno i pavesi, fedeli a Carlo V, con spagnoli e tedeschi rompono l’assedio dei francesi di Francesco I e li travolgono in una battaglia campale. Davanti a Pavia si contano diecimila morti; lo stesso re nemico, Francesco I, è catturato. Sfinito, è condotto con la sua scorta in una cascina (detta da allora la Repentita perché lì il re si pente di aver dato vita a quella tremenda guerra). A una contadina viene ordinato di sfamare l’illustre prigioniero. Pensando di non essere in grado di preparare qualcosa degno di un re, la donna passa in rassegna i pochi ingredienti che ha in casa: uova, burro, formaggio, pane raffermo. Afferra del pane e dopo averlo fritto nel burro per farne una zuppa all’uso del paese, si prepara a friggere uova come secondo piatto, ma non ne ha il tempo, perché il re grida che ha fame, che non è più disposto ad aspettare. Così lei non trova di meglio che rovesciare le uova nella zuppa fumante. Francesco I è tanto entusiasta dell’improvvisata ricetta da inserire quella zuppa fra le vivande di corte una volta tornato in Francia dopo la prigionia. Ed è così che nasce la zuppa alla pavese.

La storia di Pavia risorgimentale è fatta di imprese gloriose, di coraggio, di sacrifici di gente nobile e semplice al tempo stesso. “Città delle cento torri”: così era chiamata. Torri che svettano eleganti e austere fino a toccare il cielo, su, su fino al paradiso… E se qualcuno non avesse ancora assaggiato una fetta di torta del Paradiso, vada a Pavia. Non perda l’occasione di provare il massimo in campo di rarefazione e sublimazione gustativa.

L’origine di questo dolce ha data e luogo certi: anno 1878, laboratorio-pasticceria Enrico Vigoni. Nasce dalla fantasia di un pasticciere che riesce a sfruttare sapientemente i prodotti locali, soprattutto burro e uova. Il limone viene aggiunto inizialmente per necessità più che per esigenza di gusto, serve infatti da conservante. La torta del Paradiso, che anticamente era preparata solo per le festività natalizie, ha ora una produzione continua. E la Pasticceria Vigoni è premiata nel 1993 dalla Camera di Commercio per aver prodotto ininterrottamente questo dolce dal 1878: nemmeno le due guerre mondiali l’hanno fermata. Forse perché a dirigere la produzione stava una donna.