Dopo pranzo Elizabeth e Molly vanno alla ricerca di oggetti utili, lasciandomi da sola con i ragazzi.
“Quindi ora che succede? Cosa dovremmo fare tutto il giorno?” Oltre a mangiare cibo disgustoso e raccogliere immondizia un paio di notti a settimana, non ho idea di cosa succede all’interno del PIT. Dubito che Cardinal organizzi ricevimenti mondani mensili.
“Quello che vuoi, in realtà.” Daniel si porta dall’altra parte del cortile, e senza avere un altro posto dove andare, io ed Eric lo seguiamo. “Se hai un lavoro, ci vai. Se non l’hai, fai qualche altra cosa. Direi che l’unica regola qui è non uccidere nessuno, ma non è vero. Non gli importerebbe lo stesso se ci uccidiamo tra noi.”
“Allora perché non lo fanno loro?”
Daniel si ferma per guardarmi in faccia. “Perché non fanno loro cosa?”
Guardo altrove così da poter dare voce al pensiero che si trova nella mia testa da quando sono arrivata qui. “Perché non ci uccidono semplicemente?”
Eric si irrigidisce, ma Daniel si limita ad annuire.
“Perché Cardinal ha bisogno di noi.” Indica tutto ciò che ci circonda che si trova in stato pietoso. “Abbiamo bisogno di guardie, amministratori, e lavoratori. Senza contare tutto il personale che serve per organizzare il trasporto del cibo guastato e dei vestiti donati. Il PIT è una piccola città, che dà lavoro a chissà quante persone. Con così tanti lavori automatizzati, a Cardinal serviamo vivi. Ma giusto un poco vivi.”
Come se avessi bisogno di una motivazione per andare via da qui. “Cosa farai oggi?”
“Sto andando al mio nascondiglio segreto per vedere se posso trovare alcuni accessori per divertirmi con il nuovo giocattolo che mi hai portato. Puoi venire con me se vuoi.”
“Ci piacerebbe vedere il tuo nascondiglio segreto.” Eric passa il suo braccio sotto il mio, ma sembra più un gesto possessivo che romantico.
Daniel sembra si sia pentito dell’invito, ma è troppo tardi ora per ritirarlo. “Andiamo, allora. Solo cercate di non attirare troppo l’attenzione. Un nascondiglio segreto non è segreto se lo scopre tutto il PIT.”
Daniel ci guida attraverso una parte del PIT dove gli edifici sono stretti l’uno accanto all’altro finché non raggiungiamo un’area dove i palazzi sono più vecchi e più lontani tra loro.
I miei piedi stanno pulsando e sono sul punto di chiedere una pausa, ma lui si ferma e ci indica ciò che ci circonda. “Questo è il confine sud del PIT. E quella,” punta dritto davanti a lui, “è la recinzione.”
Non ho mai visto una cosa del genere. Una rete metallica di acciaio almeno alta due edifici, ci sovrasta. Riparo gli occhi dal sole e scruto fino in cima. Anche se qualcuno decidesse di scalarla, la sporgenza di un metro richiederebbe impressionanti mosse acrobatiche per evitare una caduta libera di sei metri e diverse ossa rotte. Arrivare sino alla sporgenza sarebbe una sfida a se stante considerata la quantità di filo spinato che attraversa gli ultimi metri del muro. Non c’è da chiedersi perché non ci sono guardie. Con un muro del genere, Cardinal non ha bisogno di lasciarle lì.
Fuori dalla recinzione non c’è altro che una pianura aperta senza fine fino a che l’occhio riesce a vedere. Proprio in fondo all’orizzonte occidentale delle montagne costellano il paesaggio. Fisso fuori e immagino di correre lungo l’erba alta fino a diventare niente più che un piccolo puntino distante.
“Stai bene?” la mano di Daniel sul mio braccio mi fa svegliare dal sogno ad occhi aperti.
“Sì, sto bene.” Non è vero, ma non c’è niente in più che Daniel possa fare. Non starò bene finché non saremo fuori di qui.
“Continuiamo a camminare. Siamo quasi arrivati.”
Passiamo un paio di edifici abbandonati e Daniel si ferma di fronte ad uno che salta all’occhio. Il tetto è di metallo invece che di legno marcio come gli altri. Non so nulla di architettura, ma questo palazzo sembra più resistente di quelli che lo circondano, come se qualcuno ci avesse messo più impegno nel costruirlo. Daniel spinge la porta, la sua mano proprio sotto il cerchio di rami d’ulivo ancora visibile pitturato di un rosso scolorito.
“Questo è un ufficio dell’Amministrazione,” dice Eric fermandosi fuori dalla porta.
“Lo era, anche se non ha visto un’uniforme rossa da decenni.” Daniel tiene aperta la porta e agita la sua mano libera. “È sicuro, lo prometto.”
Dentro è buio, ma la luce del sole che filtra dalla finestra sporca ci procura abbastanza illuminazione per camminare senza inciampare su nulla. L’edificio formato da una sola stanza sembra esattamente come il dipartimento tecnologico in cui ho fatto irruzione la scorsa notte. L’unica differenza è che dozzine di monitor sono appesi alle pareti qui.
“Che cosa è questo posto?” chiedo, passando le dita su una scrivania e rimuovendo un sottile strato di polvere.
“Il vecchio edificio della sicurezza.” Daniel è raggiante. Questa stanza è un paradiso pieno di tecnologia. “Quando tutte le telecamere intorno al PIT erano ancora attive, era qui che le guardie monitoravano i movimenti di tutti. Quando le telecamere sono state spente, hanno abbandonato la stanza e lasciato indietro le attrezzature.”
“Quindi all’improvviso, hanno smesso di guardarci?” Non ha molto senso.
“È successo un po’ di tempo fa. Allora il PIT era più piccolo, più facile da controllare. Quando la popolazione è cresciuta è diventato più difficile osservare ciò che accadeva.” Daniel si passa una mano sopra i capelli corti scuri. “Guardare le telecamere era un compito che richiedeva troppe guardie. Cardinal aveva bisogno di quelle risorse da un’altra parte.”
“Perché? A cosa gli servivano?”
Un fragoroso schianto allontana la mia attenzione da Daniel. Mi giro per trovare Eric in piedi davanti ad una pila di scatole e una nuvola di polvere.
“Peccato abbiano lasciato dietro solo un mucchio di spazzatura obsoleta.” Eric prende un cavo che è tagliato lungo la giuntura, i suoi fili colorati fuoriusciti.
“Obsoleta, sì. Spazzatura, solo per un occhio non allenato.” Daniel prende il cavo rovinato dalle mani di Eric. “Ci sono pietre preziose nascoste qui dentro ed è il mio compito trovarle.”
Questo posto sembra più un cimitero per le apparecchiature elettroniche. Gusci vuoti di computer coprono la maggior parte del piano di lavoro e un angolo è stato occupato da una famiglia di roditori.
“Quindi cosa stiamo cercando esattamente?” Non che abbia idea di ciò che c’è qui, ma almeno posso far finta di essere utile.
Daniel alza una mano ed elenca la sua lista dei desideri contando con le dita. “Un chip per navigare, cavi di connessione, un disco rigido e un lettore di tessere.”
“Cosa farai con tutte quelle cose?” chiede Eric, setacciando il contenuto di un cassetto.
“Questo è ciò che serve per violare la rete di Cardinal.”
Ridacchio, una piccola esplosione di allegria che dura poco. È serio. “Cosa? Non puoi... come farai... cosa?”
“A meno che non decidiamo di vivere tra i boschi e mangiare bacche, ci serviranno nuove identità una volta scappati.” Daniel mette in tasca un arnese e mi fa un sorrisetto inquietante. “Prometto che sembra più complicato di quanto sia in realtà.”
Certo, non è per niente complicato violare quella che è forse la rete più sicura al mondo. Un po’ troppo per la nostra semplice gita in barca verso la libertà.
***
L’edificio dell’Amministrazione al buio mi fa venire i brividi. Anche se le camere non sono più funzionanti, non posso scacciare via la sensazione di essere sotto una stretta sorveglianza. Passo attraverso il lettore la mia tessera e le porte si aprono per la mia prima notte di lavoro.
Una guardia si alza dalla scrivania principale, un Noteboard in mano. Non mi guarda nemmeno, ma sarà sicuramente quello che mi dirà cosa fare.
“Salve, il mio nome è Rebecca...”
La sua mano destra scatta verso l’altro e mi tira un ceffone su un lato della mia testa. Macchie brillanti di luce lampeggiano dietro le mie palpebre.
“In nome di Cardinal cosa ti fa pensare che mi interessa conoscere il tuo nome?” Prende la tessera che pende dalla mia collana di fortuna e mi trascina più vicina. Un bip dal computer e mi spinge via indietro di un passo. “Sesto piano. Metti il cestino di nuovo nell’atrio quando hai finito e sbrigati. Pensi che voglia rimanere qui tutta la notte aspettandoti, scansafatiche?”
Mi sento ancora un po’ stordita dal colpo alla testa, ma mi affretto verso la porta delle scale. Le luci di sopra sono spente, rimangono solo le luci di emergenza e i cartelli di uscita che mi guidano su per le scale gelide. A quanto pare i lavoratori del PIT non sono degni dell’energia che serve per lasciare le luci accese. Non c’è dubbio che non siamo degni neanche dell’energia per riscaldarle. Grazie al cielo saremmo da tempo andati via prima di lavorare con il freddo dell’inverno.
Come promesso, Elizabeth ha tirato fuori una borsa polverosa da sotto uno dei materassi quando siamo tornati tutti nel dormitorio. Sembra che il cane di qualcuno l’abbia usata come un giocatolo, ma Molly ha cucito tutti i buchi più grandi. Qualsiasi cosa possa servire al gruppo la metterò all’interno e passerò poi la borsa a Elizabeth dopo il mio turno. È lei che sta coordinando le provviste per la nostra fuga. Ovviamente il cibo non sarà incluso. Secondo lei, camminare in giro per il PIT con del cibo è come chiedere a qualcuno di essere attaccato.
Dopo un’altra cena mediocre, il cibo è tutto ciò che sto sognando. Solo una settimana fa sarei stata disgustata dall’idea di mangiare il pranzo mezzo mangiucchiato da qualcuno direttamente dalla spazzatura. Ma non stanotte.
Spingendo l’enorme cestino della spazzatura con le rotelle attraverso le scrivanie, svuoto i cestini e cerco tesori nascosti. Daniel mi ha dato dei consigli sulle cose da cercare. Il cibo è in cima alla mia lista, insieme a carta e strumenti per scrivere. Dovrei anche stare attenta a vestiti abbandonati, specialmente accessori come guanti e sciarpe. Dubito troverò qualcosa di simile dato il tempo caldo primaverile, ma non si sa mai.
Il suo ultimo suggerimento era di cercare oggetti che potessero essere trasformati in armi. Tagliacarte, forbici, fermacarte; qualsiasi cosa tagliente o pesante. Ma nulla che venisse dalle scrivanie. Daniel era stato inflessibile su quest’ultimo punto. Gli altri lavoratori potevano forse rubare dalle scrivanie, ma secondo lui, “noi non lo facevamo.” Elizabeth aveva alzato gli occhi al cielo quando aveva fatto questo discorso, ma non potevo che essere d’accordo con lui. Non siamo criminali, e solo perché viviamo con loro non significa che dobbiamo comportarci come tali. Le armi improvvisate erano solo l’ultima spiaggia nel caso succeda qualcosa durante la fuga. Non stiamo progettando di usarle per creare un regno del terrore dentro il PIT. Non ho mai tenuto in mano un’arma, ma dopo tutto ciò che ho visto qui, averne una sarebbe ottimo.
Dopo un paio di file, ho preso il ritmo. Mi fermo alla scrivania, svuoto il contenuto dei cestini per terra. Cerco prima il cibo e lo mangio subito. Quindi setaccio il resto, mettendo tutto ciò che è utile dentro la borsa e buttando il resto nel cestino. Elizabeth a casa ha insistito molto perché pulissi bene dopo aver creato confusione. Se dovessi lasciare anche un po’ di immondizia per terra, potrei perdere il lavoro e tutti i suoi benefici.
Dopo aver pulito bene per terra, ho nella borsa un bottino decente. Diversi pezzi di carta e due matite rotte insieme a una cuffia rotta e un coltello di plastica. Non sono sicura che il coltello di plastica vada conservato, ma non voglio rischiare che Elizabeth mi urli contro per averlo lasciato indietro.
Il grande cestino che spingo indietro verso le scale è per lo più pieno di contenitori vuoti di cibo e trucioli di matita. Tutto ciò che va dalle carte di caramelle ai contenitori dei noodles si può combinare insieme per creare il collage intitolato “Cibo che non mangio più.” Afferro la carta di una caramella un’ultima volta per vedere se c’è ancora qualcosa, ma rimango congelata sul posto sentendo il fruscio della porta delle scale.
La guardia della lobby non ha menzionato altre persone che lavoravano su questo piano, ma ho visto solo una guardia che aspettava al mio arrivo. Non c’è motivo per cui un altro lavoratore debba venire qui. Muovendomi il più velocemente e silenziosamente possibile, cammino quasi strisciando fino al cubicolo più vicino e mi metto giù sotto la scrivania. Trattengo il fiato e ascolto i passi sul pavimento grigio. O nessuno sta camminando e ho immaginato l’apertura delle porte, o chiunque sia lì fuori si muove con circospezione.
Conto fino a cento, ma non ci sono altri indizi sul fatto che ci sia qualcuno. Qualcuno si deve essere sbagliato e ha capito l’errore solo quando ha aperto la porta. Smetto di tenermi le ginocchia sotto la scrivania. Quando mi alzo una spalla si scontra contro la scrivania e fa cadere una cornice. È una foto della moglie e di due bambini seduti all’aperto, sorridono alla telecamera, felici di sapere che tutti i criminali sono rinchiusi sotto chiave.
L’ultima cosa di cui ho bisogno è finire nei guai il mio primo giorno. Per fortuna, la cornice non è rotta. Ci metto solo un secondo a sistemare la foto al suo posto. Faccio per andarmene e mi scontro contro il petto caldo e solido di qualcuno.
Urlo più forte che posso, le mie mani si agitano contro il mio aggressore. Braccia forti si stringono attorno al mio torace, bloccando le mie braccia lungo i fianchi. Le uniche parti del mio corpo ancora libere sono le gambe, quindi tiro un calcio alle sue ginocchia e pesto i suoi piedi. Qualsiasi cosa pur di andare via.
“Dove credi di andare?” Mani imponenti mi spingono contro la scrivania, facendo cadere cornici dappertutto. Le dita si intrecciano ai miei capelli corti, tirando la mia testa indietro e spingendomi verso il pavimento. Non ho l’opportunità di vedere la faccia del mio aggressore prima che il suo ginocchio si infili sulla mia schiena, bloccandomi sulla moquette grigia del pavimento.
Prende la borsa dalla mia spalla e tutto ciò che ho raccolto stanotte finisce sul pavimento.
“Dove è il cibo?” Il suo ginocchio pesante si spinge più forte contro la mia schiena, premendo la mia schiena tremante verso il pavimento. Tra un secondo le mie costole si spezzeranno.
“Non c’è.” Non riesco a respirare e la mia voce scossa è appena un sussurro.
“Non mentirmi,” dice, stritolando una parte della mia faccia finché il mio zigomo è sul punto di cedere.
“Non sto mentendo.” Scuoto la mia testa di un centimetro, la moquette mi sta graffiando la pelle. “Il cibo è finito.”
Il peso si sposta dalla mia schiena e getta la borsa di tela contro la mia faccia. “La prossima volta, sarà meglio che tu abbia qualcosa di meglio di un paio di matite.” La sua scarpa consumata si sposta sul mio gomito, mi mordo la lingua per combattere il dolore che sta trafiggendo il mio braccio.
Sono congelata sul posto quando la porta si apre e si chiude dietro di me. Le lacrime che ho trattenuto mi lasciano senza fiato. Grossi singhiozzi mi scuotono le spalle, aggiungendo dolore al mio braccio, al petto e alla faccia.
“Becca?”
Salto come un gatto sotto la scrivania, pronta a graffiare chiunque sia lì per farmi del male di nuovo.
“Becca, sono io, Eric.”
Smetto di agitarmi abbastanza a lungo per vedere Eric rannicchiato di fronte a me, i suoi occhi socchiusi dalla preoccupazione.
“Eric?” Un cenno da parte sua e sono in piedi tra le sue braccia.
“Guarda la tua faccia. Cosa è successo?”
Non trovo la voce per rispondergli. Invece, lo stringo di più, alla ricerca disperata di protezione contro il male che non può raggiungermi ora che lui è qui con me. Il sangue mi pulsa nelle orecchie, il mio corpo ancora teso per via della lotta. Non capisco perché è qui, ma il sollievo di essere salva travolge le altre emozioni.
Mi stringe, massaggiando la mia schiena con movimenti circolari finché non smetto di tremare e posso raccontargli cosa è successo. Eric poggia le dita sulla mia guancia e sul braccio. Leggere pressioni sulle mie costole mi fanno sobbalzare, ma Eric proclama che non c’è niente di rotto. Mi aiuta a raccogliere ciò che ho trovato dentro la borsa e mette su tutte le cornici, rimanendo in silenzio per tutto il tempo.
Quando è tutto tornato al suo posto Eric alza il mio mento finché non incontro il suo sguardo. “Stai bene?”
Annuisco e mi sforzo di sorridere. “Sono felice che sei qui. Ma... cosa ci fai qui?”
“Beh, questo è il miglior lavoro del PIT, e avevo bisogno di qualcosa da fare per avere la mia OneCard. Sono venuto dopo cena quando il resto di voi parlava della spazzatura. Quel troglodita che se ne occupa mi voleva mettere in cucina, ma l’ho convinto a farmi lavorare come inserviente.” Passa una mano sui suoi capelli corti biondi e mi sorride. “Pensavo sarebbe stato carino riuscire a passare più tempo insieme. Ora, non ti perderò più di vista di nuovo.”
“Dobbiamo andare via.” Stringo la sua mano così forte che fa male, ma il dolore mi fa capire che sono ancora viva. “Non posso farcela, Eric. Non sono abbastanza forte per vivere qui.”
“Andremo via. Prima di quanto tu possa immaginare questo posto sarà solo un brutto sogno.”
“Lo prometti?”
Eric mi tende una mano come se fossimo al ballo dell’Accettazione e fosse sul punto di portarmi sulla pista da ballo per un romantico valzer. “Promesso. Ora torniamo a casa.”
Lo prendo sottobraccio e faccio finta di avere ancora il vestito blu di raso e i guanti bianchi. Per un solo momento felice sono la principessa viziata che sta camminando a braccetto con il principe che può realizzare tutti i miei sogni. Ma il momento poi passa. Eric spinge il cassonetto al suo posto nella tromba delle scale e ci facciamo strada per uscire dal palazzo buio, dalla mia spalla pende una borsa di rifiuti dal valore inestimabile.