Londra, maggio 1881
Lo schianto di stoviglie infrante sul pavimento di pietra mi spezzò il cuore. Sapevo, senza nemmeno voltarmi, che si trattava del piatto di portata con un intero maiale arrosto, il coronamento del pasto sontuoso che preparavo da giorni per la cena con numerosi invitati e che si teneva al piano di sopra della lussuosa dimora di Mayfair.
Una cuoca meno esperta sarebbe scoppiata a piangere con il viso nascosto nel grembiule, oppure avrebbe attraversato di corsa il retrocucina per lanciarsi urlando nella notte. Ma poiché ero piuttosto sensata, benché avessi meno di trent'anni, rimasi calma e composta, anche se stoica era forse l'aggettivo più adeguato.
«Lasciate stare» ordinai ai lacchè, impegnati a rincorrere le cipolle ai chiodi di garofano che rotolavano per il pavimento. «Mando su il pollame, e poi ci sarà il montone. Elsie, smettetela di gridare e pulitemi quelle pastinache. Ne basterà qualche dado, ma bisogna sbrigarsi.»
La sguattera, che aveva strillato e rivolto insulti osceni ai domestici perché aveva ricevuto gli schizzi dell'arrosto, chiuse la bocca, afferrò la ciotola di carote bianche e tornò all'istante al lavello.
Avrei dovuto vergognarmi di servire un taglio di montone con pastinache saltate al banchetto della zia di Lady Cynthia, in quell'elegante casa di Mount Street. Tuttavia ero troppo stanca per il duro lavoro, non ancora concluso, e troppo esasperata dall'incompetenza del personale per preoccuparmene al momento. E se fossi stata licenziata... ebbene, avevo bisogno di riposare.
Ma innanzi tutto occorreva portare a termine quel pasto. Era inutile piangere sul... maiale versato.
Il mio compito era reso ancora più difficile dal fatto che Mary, l'aiuto cuoca, da me addestrata con grande cura per l'intera primavera, se ne era andata qualche giorno prima... per sposarsi, nientemeno.
Avevo tentato di fare capire a quella sciocca che occuparsi di un marito era molto più difficile e faticoso che stare a servizio. Tanto per cominciare, i consorti non pagavano lo stipendio né accordavano giorni di riposo. Esigere qualche soldo in più per le piccole spese, oppure un'ora di libertà, rischiava di scatenare la loro ira e di spedire la poveretta dal medico, sia per curare le lesioni sia per valutare se avesse qualcosa di sbagliato nel cervello. Una vera moglie era un angelo pronto al sacrificio, che non chiedeva mai niente per se stessa.
Avevo dedicato tempo ed energie a spiegarlo a Mary, però nulla era riuscito a penetrare la nebbia d'amore dalla quale era avvolta. Comunque il suo giovanotto si presentava piuttosto bene, almeno a prima vista, e alcune coppie sposate andavano abbastanza d'accordo, anche se non era stato il mio caso.
Non le avevo proprio dato la mia benedizione, però non l'avevo nemmeno ostacolata, se quella era la sua volontà. Lady Cynthia, su mia richiesta, le aveva offerto come dono d'addio qualche ghinea. O meglio, aveva preso in prestito la somma dallo zio, poiché lei non possedeva nemmeno un penny.
Per quanto mi fossi dimostrata generosa verso Mary, la sua partenza mi aveva lasciata a corto di personale. L'agenzia non aveva ancora mandato una sostituta valida, e le altre domestiche di casa avevano già troppi impegni per rendersi utili in cucina. Non avevamo governante, poiché la donna che in passato aveva ricoperto quel ruolo era andata in pensione in marzo in seguito a un grave lutto. Nessuna aspirante al lavoro aveva ottenuto il posto dopo il colloquio con la zia di Lady Cynthia, tanto da temere che le agenzie avrebbero smesso del tutto di proporne.
Quindi io e Mr. Davis, il maggiordomo, ci sforzavamo di svolgere le mansioni della governante oltre alle nostre. E, come ovvio, Mary aveva scelto proprio quel periodo per abbandonarci.
Tuttavia in quel preciso momento non avevo tempo per pensarci, poiché dovevo salvare il banchetto.
Infine convinsi i lacchè a rinunciare a tentare di rimettere nel piatto il maiale arrosto e a correre invece nella sala da pranzo a prendere i due capponi con carote e verdure in foglia, che avevo appena sistemato nel montavivande. Mentre le addette alla cucina giravano la manovella per azionarlo, io mi dedicai a tagliare le pastinache pulite da Elsie e a buttarle nell'acqua bollente. Nel giro di un quarto d'ora sarebbero diventate abbastanza morbide per essere rosolate con cipolle e carote e quindi utilizzate per guarnire il montone. Una salsa di menta e limone avrebbe accompagnato la carne. La cena si sarebbe conclusa con un assortimento di dolci e leccornie.
Almeno questi li avevo preparati in anticipo e aspettavano già al piano di sopra, sul buffet: una crostata di lamponi con un sottile strato di cioccolato, una torta alla crema pasticciera con limone e mirtilli, gelati alla frutta fresca, un piatto di formaggi prelibati, un gâteau al cioccolato ricoperto di panna e un syllabub. Questo dessert freddo era piuttosto vecchio stile, ma poiché era imbevuto di sherry o brandy, era ancora molto gradito dalle signore e dai gentiluomini di Londra.
Ero a metà della preparazione del montone, con il sudore che gocciolava dal collo e bagnava il colletto, quando Mr. Davis si presentò nel vano della porta della cucina.
Era stato per anni il maggiordomo di Lord Rankin, il cognato di Lady Cynthia, e nei piani superiori si mostrava assai altezzoso. Nel seminterrato, invece, rinunciava ai modi superbi, si sedeva dove capitava in maniche di camicia e spettegolava come una vecchia bisbetica. Quella sera era in alta uniforme da maggiordomo, con gli occhi sbarrati per la costernazione e il parrucchino di traverso.
«Mrs. Holloway.» Il suo sguardo atterrito si posò sul maiale spellato, abbandonato sul pavimento in una pozza di salsa alle spezie, e sulle due domestiche che, sedute al tavolo, tagliavano verdure come se ne fosse andata della loro vita. Una era l'inserviente di cucina che aveva aiutato a mandare su i capponi e l'altra era Sara, la cameriera addetta ai piani superiori. L'avevo reclutata al volo per dare una mano quando era stata così imprudente da scendere in cerca di qualcosa da mangiare.
«Cosa diavolo è successo?» domandò Mr. Davis. «Avevo annunciato il piatto forte a Mr. e Mrs. Bywater, Lady Cynthia e i loro ospiti, che comprendono, debbo aggiungere, Sua Grazia il Duca di Guildford e il Vescovo del Dorset, e mi ritrovo con due polli. La stessa pietanza che hanno mangiato a casa, al pranzo di domenica.»
Dopo un'occhiataccia nella sua direzione, non mi curai più di alzare lo sguardo. «È evidente cosa è accaduto. I vostri lacchè sono degli idioti maldestri. E vi ringrazierei se non paragonaste la mia blanquette de poulet à l'estragon con un qualsiasi pasto domenicale. Giudicheranno il cappone molto tenero e lo dichiareranno il migliore che abbiano assaggiato da anni. Adesso, a meno che non vogliate mettervi il grembiule e pelare le carote, vi prego di uscire dalla mia cucina.» Vedendolo rimanere là in piedi, a bocca aperta, brandii lo sbucciatore. «Subito, Mr. Davis.»
Intendevo soltanto porgerglielo e invitarlo a occuparsi delle carote, se insisteva nel fissarmi, invece lui adocchiò la lama, arretrò di un passo e scappò subito via, inciampando quasi nel mucchio di carne arrosto.
Non ricordo di preciso come terminammo il pasto. In qualche modo, io e le due domestiche riuscimmo a pulire le verdure, tagliarle, saltarle e condirle, insaporire il montone con la salsa, presentarlo in maniera gradevole e infine caricarlo nel montavivande.
Sara, al principio infastidita dal lavoro in cucina, sorrise radiosa quando l'ultimo piatto venne mandato in sala e, d'impulso, abbracciò tutte le aiutanti. Sembrava volere fare lo stesso con me, ma io mi allontanai prima che cedesse alla tentazione. «Non dubiterò mai più di voi, Mrs. Holloway» dichiarò. «Avete fatto un miracolo. Siete come un generale.»
Io abbandonai il campo, lasciando ai lacchè il compito di pulire il pavimento dai resti dell'arrosto, che di sicuro avrebbero divorato oppure portato a casa alle loro famiglie, non appena me ne fossi andata. Se non li avessi visti, non avrei potuto fermarli, no?
Quella sera avevo mangiato poco, tuttavia attraversai il corridoio per sedermi al tavolo della saletta riservata alla servitù, esausta e disgustata dal cibo. Rimasi accasciata sulla sedia per qualche istante, finché non cessò il tremore, poi estrassi il taccuino dalla tasca del grembiule e iniziai ad annotare le mie considerazioni sulla cena.
Lo facevo quasi ogni sera, soprattutto dopo un pasto impegnativo. Gli appunti mi servivano come riferimento e magari, in futuro, per istruire l'aiuto cuoca, se mai ne avessi trovata un'altra.
Sara mi portò una tazza di tè, per la quale la ringraziai di cuore. Mi guardò con ammirazione: finalmente, dopo tre mesi di permanenza in quella casa di Mount Street, cominciava a rispettarmi.
Per un po' lavorai in relativa pace, indicando ciò che era andato bene e ciò che occorreva perfezionare. Facevo del mio meglio per ignorare i rumori provenienti dalla cucina. Tuttavia sentii infrangersi altri piatti e annotai che dovevo chiedere fondi per rimpiazzarli.
Mr. Davis mi trovò là un'ora dopo. Avevo ormai smesso di scrivere, la penna giaceva inerte sul foglio e i miei pensieri erano ben lontani dal pasto e dai suoni che mi attorniavano.
All'inizio della settimana, nella mia mezza giornata libera, mi ero recata in un vicolo presso il camposanto di St. Paul per passare qualche ora con mia figlia. Era cresciuta di un pollice da quando avevo ottenuto l'impiego e, ogni volta che la vedevo, diventava sempre più una signorina. Mi ripromettevo che un giorno avrei usato i risparmi accumulati grazie agli stipendi per stabilirmi insieme a Grace in una bella casa, dove prenderci cura l'una dell'altra.
Quando ci incontravamo, facevamo sempre un'escursione speciale, e quel giorno eravamo andate a visitare le esposizioni del British Museum. Parecchi reperti archeologici erano arrivati a Londra dagli scavi in Egitto, in Grecia, a Roma e nel Medio Oriente, e signore e gentiluomini accorrevano in massa per ammirarli: mummie, sarcofagi e bamboline che avevano accompagnato gli antichi Egizi nella tomba, oltre a oggetti più ameni come vasi, monili, barattoli di terracotta e pettini della civiltà greca e romana, e tavolette scritte, decifrabili soltanto dagli studiosi.
Mentre aspettavamo in coda di entrare nel palazzo, avevo avuto la netta impressione di scorgere un gentiluomo di mia conoscenza. Si chiamava Daniel McAdam e, in passato, lo avevo considerato un amico... piuttosto intimo.
Recentemente, però, avevo cambiato idea. Lo avevo frequentato molto all'inizio della primavera, ma negli ultimi due mesi non lo avevo più visto. Nemmeno un segnale da parte sua, una rapida comparsa, una parola, un cucù, come mi sarei espressa da bambina. Mentre facevo la predica a Mary riguardo al matrimonio, mi ero ripromessa di non rendermi mai più ridicola a causa di un uomo. Avevo giurato a me stessa di scacciare Daniel dalla mente.
Tuttavia, quando avevo notato quel gentiluomo in completo sobrio che usciva da un'altra porta del museo, con i folti capelli bruni coperti a malapena dalla bombetta nera, la mia determinazione si era dissolta. Mi ero ritrovata a spostarmi di un passo dalla coda, allungare il collo per vederlo meglio e girarmi per seguirlo con lo sguardo mentre camminava in direzione di Bedford Square, accidenti a lui!
Soltanto la voce di Grace, che mi chiedeva perplessa: «Dove andate, mamma?», mi aveva riportata in me.
Mr. Davis si schiarì la gola e io trasalii, riaprendo gli occhi. Mi aveva creduta assopita. «Lady Cynthia desidera parlarvi» annunciò in un tono troppo compiaciuto. «Adesso vedrete, Mrs. H.»
Io gli scoccai uno sguardo sdegnoso. «Sono impegnata, Mr. Davis. Devo preparare per domani.»
Il lavoro di una cuoca non finiva mai. Mentre tutti gli altri, in casa, si riposavano, toccandosi la pancia piena, io restavo in cucina a impastare la farina per il pane dell'indomani, stendere la lista degli ingredienti per i pasti del giorno dopo, approntare tutto il possibile e assicurarmi che la sguattera avesse finito di lavare le stoviglie.
Mr. Davis si era levato la giacca e macchie di sudore segnavano la camicia, sotto le ascelle. Inarcò le sopracciglia. «Pretendete forse che salga ad avvertire Sua Signoria che siete troppo occupata per parlare con lei?»
«Capirà.» Provavo simpatia per Lady Cynthia, con tutte le sue eccentricità, però al momento non ero disposta a conversare con nessuno.
Lui mi scrutò con attenzione, ma io girai la pagina del taccuino e, con un gesto enfatico, impugnai la penna. Mentre mi chinavo sugli appunti, lo sentii emettere un profondo sospiro e poi allontanarsi. Si diresse al suo ripostiglio, probabilmente per recuperare la giacca, quindi salì le scale. Appena se ne andò, calò una deliziosa quiete.
La pace venne infranta pochi minuti dopo da un rapido ticchettio di tacchi sul pavimento di pietra e da un impaziente fruscio di taffetà. Un soffio di brezza mi colpì quando Lady Cynthia fece irruzione nella saletta della servitù e piantò i pugni sul tavolo, in modo assai poco signorile.
Aveva lineamenti fini e capelli molto chiari; assai graziosa, se si apprezzava la versione pallida e aristocratica della bellezza. L'abito accollato, dalle maniche lunghe, era grigio scuro, con galloni ornamentali neri: portava il lutto per la sorella, mancata di recente.
Io scattai in piedi.
Lei si raddrizzò all'istante, con una piega tra le sopracciglia e gli occhi celesti in tumulto. «È importante, Mrs. H» dichiarò. «Mi occorre il vostro aiuto. Clementina è fuori di sé per l'angoscia.»
Non avevo idea di chi fosse Clementina; una delle sue tante conoscenti, supponevo.
«Scusate, milady, ma cosa è successo?»
«Era qui stasera, molto turbata.» Lady Cynthia indicò con impazienza le seggiole. «Oh, sediamoci. Davis, portatemi una tazza di tè per calmare i nervi, da bravo.»
Il maggiordomo, che l'aveva seguita nel seminterrato, puntò il naso in aria perché gli venivano impartiti ordini come a un lacchè, e rispose altezzoso: «Sì, milady». Uscì a passi leggeri dalla saletta e gridò in cucina, dalla soglia, di preparare il tè per Sua Signoria e di sbrigarsi.
Non mi era capitato spesso di vedere Lady Cynthia da quando Lord Rankin si era ritirato nella propria tenuta di campagna per consolarsi. Aveva permesso alla cognata di rimanere a vivere nella residenza di Londra, dando prova di una generosità che mi aveva sorpresa. Cynthia non disponeva di denaro suo, come ho accennato, e non aveva molta scelta su dove recarsi. I genitori, il Conte e la Contessa di Clifford, vivevano impoveriti e isolati nell'Hertfordshire e, come sapevo, lei non aveva alcuna voglia di tornare da loro.
Una donna nubile non poteva abitare da sola senza dare scandalo, quindi gli zii ? il rispettabile Mr. Neville Bywater, fratello minore della madre di Cynthia, e la moglie Isobel ? si erano stabiliti a casa di Lord Rankin per prendersene cura. La zia era ben felice di stare a riposo e godersi la lussuosa dimora di Mount Street mentre il marito lavorava nella City. I Bywater non erano poveri, ma oculati, desiderosi di risparmiare approfittando di vitto e alloggio gratuiti, offerti dal barone.
«Clemmie è sposata con un baronetto» esordì Cynthia appena ci fummo sedute. «È ricco in maniera spaventosa e ha opere d'arte dal valore inestimabile appese alle pareti. Anzi, aveva. Hanno infatti iniziato a scomparire, con la cornice e tutto. Sir Evan Godfrey, dannazione a lui, incolpa Clemmie.»
Io battei le palpebre. «Per quale motivo? Mi pare una supposizione piuttosto strana.»
«Perché lei è sempre immersa nei debiti. Gioca a carte, spesso, e punta troppo. Per giunta, di tanto in tanto scommette sui cavalli. Di conseguenza, i creditori si rivolgono al marito. In passato, lui pagava come un agnellino, ma qualche mese fa ha annunciato che ne aveva abbastanza. Le ha vietato di giocare d'azzardo, ma, come ovvio, lei non riesce a trattenersi.»
«Il marito è convinto che abbia venduto i quadri per pagare i debiti» conclusi mentre Sara entrava a passi rapidi con il tè e lo posava con cautela sul tavolo. Dopo una riverenza, attese altre istruzioni da Lady Cynthia e si allontanò in silenzio quando venne congedata.
Alzai la teiera e versai una tazza di infuso fumante e profumato per lei, poi riempii la mia, ormai vuota. L'aroma di oolong, il mio preferito, mi stuzzicò le narici.
«Esatto, Mrs. H. Tuttavia Clemmie giura che è falso. Sostiene che non avrebbe idea di dove vendere i dipinti, quand'anche li rubasse, e io le credo. È un'anima innocente.» Cynthia sospirò, facendo scorrere l'indice sull'orlo della tazza. «Afferma che non ci sono segni di scasso né di violazione di domicilio. I quadri sono appesi al muro la sera e non ci sono più il mattino dopo.»
Interessante. Il problema solleticò il mio cervello esausto. Tuttavia evitai di lanciarmi in congetture: si rischia di complicare una situazione chiara con elucubrazioni inutili e di ritrovarsi nella confusione più totale. Le spiegazioni semplici sono in genere le più assennate.
«Forse un maggiordomo intraprendente si occupa di pulirli» azzardai. «A quanto so, i vecchi dipinti si riempiono di sporcizia, soprattutto qui a Londra.»
Cynthia agitò una mano dalle lunghe dita. «Ci ho pensato, però Clemmie afferma di avere interrogato il personale e che nessuno li ha toccati. Le sono tutti affezionati, quindi sono certa che l'avviserebbero se fossero a conoscenza di qualcosa.»
«Umm...» O uno dei domestici mentiva con disinvoltura, oppure qualcuno riusciva a insinuarsi nella dimora del baronetto nel cuore della notte e a depredarla. Tentai di figurarmi un uomo che entrava con tranquillità, toglieva un quadro dal muro e usciva tenendolo sottobraccio, completo di cornice, però mi fu impossibile. Nelle case signorili di Londra c'erano servitori che si aggiravano a qualunque ora del giorno e della notte, quindi lo avrebbero sorpreso.
«Siete incuriosita» notò trionfante lei. «Avete una scintilla negli occhi.»
«Ammetto che è insolito» risposi con cautela. Lady Cynthia aveva la tendenza a lanciarsi nella mischia in maniera un po' avventata. «Anche se sono sicura che esiste una spiegazione semplice.»
«Clemmie sarebbe felice di averne una di qualunque genere. Quella sciocca è devastata perché il marito non le crede, terrorizzata dall'idea che l'abbandoni senza uno scellino. Vuole a tutti i costi identificare il colpevole per presentarlo al baronetto su un piatto d'argento.»
«In questo caso, si deve rivolgere alla polizia» dichiarai con fermezza. «Oppure intende catturarlo da sola, legarlo e aspettare che il consorte torni a casa?»
«Bah. Sir Evan è un tipo arido e prepotente. Non voglio che vada in giro a raccontare che Clemmie lo deruba. L'unico motivo per cui non la trascina in tribunale è che morirebbe di vergogna.» Posò la tazza con un tintinnio di porcellana e si protese verso di me. «Dite che mi aiuterete, Mrs. H. Vi offrirò un salario extra, anche se è Rankin ad avere in mano i cordoni della borsa e i miei zii sono parsimoniosi.» Si rischiarò in volto. «Comunque Clemmie vi premierà. Magari suo marito vi abbraccerà e vi offrirà una ricompensa da capogiro, se recupererete i suoi preziosi dipinti. È ricco sfondato. Ha un locale pieno di opere d'arte e oggetti antichi, provenienti dal mondo intero. Mi domando perché il ladro non tocchi quelli.»
Ancora più interessante.
Ero soddisfatta del mio stipendio, poiché Lord Rankin pagava una cifra equa per una cuoca con le mie capacità e la mia esperienza. Il pensiero di qualche soldo in più, da mettere da parte per mia figlia, era sempre gradito, però non fu per questo che annuii. L'enigma risvegliava davvero la mia curiosità. Inoltre cercare dipinti rubati sembrava molto meno pericoloso che dare la caccia ad assassini o a feniani.
A volte sono davvero troppo fiduciosa.
Cynthia fissò la data per l'incontro con Clementina per il giorno successivo all'indomani. Non l'indomani, dichiarai con fermezza, poiché era giovedì, la mia giornata libera. Nessuno, nemmeno un ricco baronetto derubato, neanche la regina in persona!, mi avrebbe convinta a rinunciarvi.
Cynthia si mostrò contrariata per l'attesa, tuttavia sapeva che ero irremovibile. Ci saremmo andate venerdì dopo colazione, concordammo, poi lei si alzò in piedi. Stava per uscire, mi avvisò con un'occhiata d'intesa.
Io repressi un sospiro. Intendeva che avrebbe indossato abiti maschili e si sarebbe incontrata con le amiche che amavano travestirsi così. Se la sarebbe spassata tentando di avere accesso a club poco raccomandabili, frequentati da gentiluomini. Mi preoccupavo per lei, convinta che una volta o l'altra avrebbe dovuto essere ripescata dallo zio in un sudicio carcere, rovinata per sempre.
Mi rendevo conto che era impossibile dissuaderla, perché ci avevo già provato in passato.
Lo sguardo che mi aveva rivolto significava che la porta del retrocucina andava lasciata aperta. Cynthia era in possesso di tutte le chiavi, ma dopo mezzanotte, se erano tutti a casa, l'ingresso principale e quello del retro venivano sbarrati. Quindi non sarebbe riuscita a rientrare senza svegliare ogni abitante della casa e rivelare la propria assenza ingiustificata agli zii. Questi erano buoni e affettuosi con lei, ma in evidente disagio con la sua vena ribelle.
Anche i genitori di Cynthia, soprattutto il padre, erano stati scatenati da giovani. Lo erano ancora, a quanto pareva, anche se la madre era diventata quasi un'eremita dopo che il figlio maschio si era sparato, anni addietro.
Mr. Bywater, lo zio, sembrava avere ereditato il lato serio e posato della famiglia. Era convinto che Cynthia dovesse trovare un marito pronto a metterle la testa a posto. In seguito, un bambino o due l'avrebbero calmata ancora di più. Era lieto di invitare a casa giovanotti rispettabili, sperando che la nipote si innamorasse follemente di uno di loro e accettasse l'inevitabile proposta.
Di qui la cena di quella sera e l'attuale ribellione di Cynthia.
Dopo la promessa di aiutarla nell'inganno, la salutai.
Lady Cynthia rientrò sana e salva nelle ore piccole e andò di soppiatto a letto. O almeno così mi assicurò Sara, il mattino seguente. Preparai una colazione abbondante per tutti quanti, poi mi occupai del pranzo per il personale e per la famiglia. La sera, sarei tornata in tempo per cucinare per la cena.
Mentre organizzavo il pasto, che avrei lasciato pronto, Mr. Davis, come al solito, trovò il tempo per sedersi al tavolo in maniche di camicia e leggermi brandelli di notizie dal suo quotidiano.
Quel giorno era avvenuta l'incursione francese nelle terre del Bey di Tunisi. A quanto pareva, tribali tunisini erano sconfinati in Algeria, colonia della Francia, e si erano dedicati al saccheggio. Quindi i Francesi contrattaccavano. Mr. Davis lesse ad alta voce tutti i particolari dell'avvenimento, poi fece una pausa e alzò lo sguardo.
«Oh, tra l'altro ho visto il tizio che qualche mese fa lavorava qui. Come si chiamava? Daniel, ecco. Daniel McAdam. In un banco dei pegni sullo Strand, pensate un po'.» Scosse la testa. «Santo cielo, come è caduto in basso.»