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Il coltello scivolò dal fungo che stavo affettando. Subito, però, mi ripresi e ricominciai a tagliare, mandando a vuoto un solo colpo. «Sì?» chiesi con la maggior noncuranza possibile.

«Sul serio» confermò Mr. Davis. «Ho lanciato un'occhiata mentre passavo, ed eccolo là dietro il bancone, tranquillo e disinvolto, che vendeva articoli di ogni genere. Mi fa piacere che abbia trovato un impiego, ma per un misero prestatore su pegno? I clienti non erano del tipo più rispettabile, devo aggiungere.»

Deglutendo, spinsi da parte i funghi e li sostituii con una cipolla. «Dobbiamo pur guadagnarci da vivere, Mr. Davis.»

Lui spostò il giornale per sbirciarmi. «Non aveva un debole per voi, Mrs. Holloway? Come sostenevo ai tempi, potreste aspirare a molto meglio.»

«Non cerco di meglio, Mr. Davis.» Divisi la cipolla in due con un colpo deciso. «Insomma, non voglio un uomo da sposare.» Affettai in fretta una metà, poi passai la lama in senso orizzontale. Quindi ruotai di nuovo la cipolla e la tritai ad angolo retto rispetto ai primi tagli. Dadini perfetti caddero sul tavolo e i miei occhi cominciarono a lacrimare.

«No? Quindi ogni giovedì non scappate via per incontrarvi con un giovanotto?» mi chiese con un lampo di curiosità negli occhi.

Non avevo intenzione di spiegare al peggiore pettegolo di Londra dove mi recavo il giorno di riposo. Gli scoccai un'occhiata gelida. «Proprio no. Vado a trovare amiche, faccio una sana passeggiata, visito posti e tento di sviluppare la mente.»

«Ho capito, Mrs. H.» Senza offendersi, il maggiordomo tornò a concentrarsi sul giornale. «Non sono affari miei.»

Credeva che mentissi. Era vero, ma solo in parte.

Mentre lui continuava a leggere, io finii di tagliare, saltai in padella funghi e cipolle, vi versai sopra brodo caldo in abbondanza e aggiunsi un pezzo di prosciutto. «Sobbollirà per l'intera mattinata e diventerà una buona zuppa per il vostro pasto» gli spiegai. «Avvisate Sara di mettere le verdure in foglia solo all'ultimo momento, altrimenti diventano amare. Sono già lavate e croccanti nella dispensa.»

«Sara non vuole lavorare in cucina, sapete» fece notare lui, girando pagina.

«Allora speriamo che l'agenzia ci mandi un'altra ragazza. Buona giornata, Mr. Davis.»

Mi levai il grembiule e la cuffia e salii le scale di servizio per andare in camera mia, dove indossai il vestito migliore e coprii i capelli castani con un grazioso cappellino di paglia, adorno di piume e nastri scuri.

Presi con me i guanti e scesi le sei rampe di scale per uscire di casa, determinata a non rivolgere la parola a nessun domestico: mi rifiutavo di perdere anche un solo minuto della preziosa giornata con mia figlia. Attraversai la cucina, notando che Mr. Davis se ne era andato, passai dalla porta di servizio, salii i gradini e sbucai per strada.

Maggio era giunto in città, scaldandola in maniera assai gradevole, senza eccesso. Il calore soffocante sarebbe arrivato in seguito, alla fine della Stagione, e i più fortunati si sarebbero ritirati in campagna. Lady Cynthia non aveva ancora reso noti i suoi piani per i mesi più caldi, e io ignoravo se avrei dovuto rimanere nella casa di città, oppure seguirla insieme ai Bywater nella dimora estiva. O magari sarei stata costretta a procurarmi un nuovo posto di lavoro. Speravo di no, poiché mi ero ben sistemata in Mount Street e non avevo voglia di spostarmi. Tuttavia i domestici non potevano sempre contare sull'affidabilità dei padroni.

Accantonai la preoccupazione mentre uscivo da Mayfair a bordo di un omnibus affollato, che procedeva con lentezza lungo Piccadilly, oltre i palazzi dei più ricchi. Poi ne presi un altro per recarmi a Haymarket e superare Trafalgar Square, fino allo Strand.

Mentre lo percorrevo, spiai dal finestrino, interrogandomi su quanto raccontato da Davis riguardo a Mr. McAdam. Si era sbagliato? Cosa diavolo ci avrebbe fatto Daniel in un banco dei pegni?

Forse aveva soltanto bisogno di un lavoro. A seconda dei momenti, sembrava avere un sacco di soldi oppure nemmeno il becco di un quattrino; inoltre, cambiava aspetto e mestiere a piacimento.

Ero abbastanza sicura che ci fosse altro. Daniel aveva a che fare con la polizia, anche se non sapevo come, perché non mi aveva raccontato i particolari della sua vita. L'ultima volta che avevamo parlato, mi aveva addolcita con un bacio o due e promesso di rivelarmi tutto, un giorno o l'altro. Quel giorno non era ancora arrivato e, come notavo, non ci vedevamo da parecchio tempo.

Avrei dovuto dimenticarlo. Nessuna donna aveva bisogno di un uomo che spuntava fuori di tanto in tanto, come un coniglio dal cappello, e si trasformava in un batter d'occhio da fattorino a gentiluomo ad assistente di usuraio a comandante di una squadra di agenti. La mia esistenza era stata tranquilla finché non vi aveva fatto ingresso Mr. McAdam.

Erano idiozie, e me ne rendevo conto. Avevo vissuto drammi in abbondanza anche prima di conoscerlo. Il motivo per cui difendevo come una leonessa i miei giorni liberi era che mi permettevano di andare a trovare il frutto di questi drammi. Grace rappresentava l'unica costante nel mio mondo, il bene sorto dal dolore.

Nessuno nella dimora di Mount Street, nemmeno Lady Cynthia o Mr. Davis, sapeva che avevo una figlia di dieci anni. Non ero davvero sposata quando l'avevo data alla luce ? cosa che avevo ignorato, finché non era diventato troppo tardi ? e una ragazza sola con un pargolo non poteva sperare di lavorare per una famiglia rispettabile. Holloway era il mio nome da nubile, che avevo ripreso appena avevo scoperto che il mio presunto marito era già coniugato con un'altra quando mi aveva ingannato davanti all'altare. Ero Mrs. Holloway, poiché tutte le cuoche e le governanti erano Mrs., che fossero o meno sposate. Era un segno di rispetto, proprio come tutti i maggiordomi e i valletti erano Mr. per gli altri domestici.

La rispettabile Mrs. Holloway al momento correva lungo Fleet Street e Ludgate Hill e intorno al maestoso edificio di St. Paul. Era una magnifica cattedrale, così imponente da sembrare destinata a durare per sempre. Scesi poco oltre e, in una piccola traversa di Cheapside, bussai alla porta della modesta abitazione in cui vivevano la mia amica Joanna e suo marito Sam Millburn. Erano persone care e buone e allevavano mia figlia. Benché avessero già quattro bambini, l'avevano accolta in seno alla famiglia e la trattavano come se fosse stata loro. Grace era cresciuta con gli altri bimbi e li considerava veri fratelli e sorelle.

La sentii lanciare un grido di entusiasmo e mi lasciai sopraffare dalla gioia. Quando ci abbracciammo come se non ci fossimo viste per mesi, ogni preoccupazione svanì. Succedeva sempre, e anche per questo lottavo con le unghie e con i denti per difendere le ore insieme a lei. La mia Grace, mia figlia, il mio porto sicuro.

Quel giorno Grace e io visitammo la Torre di Londra. Dopo avere pagato il biglietto, ammirammo con meraviglia le sale medievali e gli splendidi gioielli della Corona, poi ascoltammo una conferenza sui fantasmi. Strette l'una all'altra, restammo con gli occhi bene aperti, nel caso ci fossero stati spettri nascosti nelle ombre, tuttavia non ne scorgemmo neanche uno. Non capitava mai.

Sulla via di casa ci fermammo per un tè, un piacere che ci concedevamo ogni volta. Mangiavamo troppi dolci, cosa che avrebbe infastidito Joanna, però Grace meritava qualche birichinata. Ci cacciavamo in bocca biscotti e focaccine al miele, ridacchiando come pazze.

Erano le quattro del pomeriggio quando la riportai dai Millburn e la salutai. Avevo il cuore pesante, come sempre alla fine delle nostre giornate insieme. Ogni giovedì mi svegliavo con un senso di leggerezza e andavo a letto con il desiderio di cancellare tutti i giorni che mancavano a quello successivo, quando l'avrei ritrovata.

I miei risparmi erano scarsi, ma in costante aumento. Li conservavo per quando mi sarei ritirata dal servizio e sarei andata a vivere con Grace. Magari avrei aperto una casa da tè e preparato i pasticcini migliori di Londra; mia figlia sarebbe rimasta nel retro a studiare.

La fantasia era così entusiasmante e realistica, che per poco non finii sotto un tram, lungo lo Strand.

Mi scostai con un balzo e scoprii con una certa sorpresa di trovarmi nei pressi della chiesetta di St. Clement Danes. Mi ero spinta lontano senza accorgermene, con la testa tra le nuvole.

Riportai i miei pensieri sulla terra e continuai a camminare a passi rapidi, tenendomi alla larga dal traffico. Intanto studiavo le insegne dei negozi. In quale dei tanti banchi dei pegni Mr. Davis aveva scorto Daniel?

Ogniqualvolta notavo tre sfere dorate appese sopra una porta, entravo con il cuore che martellava. Fingevo di frugare tra i beni in vendita mentre mi guardavo in giro in cerca di Daniel, però non lo scorsi da nessuna parte. Finché, all'estremità occidentale dello Strand, appena prima della stazione di Charing Cross, identificai la bottega giusta. Era davvero misera, con una piccola vetrina sudicia e tre sfere sopra l'ingresso ossidate e annerite dalla fuliggine.

Quando entrai, venni accolta dal cigolio della porta e poi dal silenzio. Era come tanti altri banchi dei pegni, con un lungo bancone lungo una parete, dietro il quale erano riposti al sicuro gli articoli più costosi: gioielli, strumenti musicali, piccoli dipinti, argenteria... In un posto simile, però, c'era da interrogarsi sul contenuto d'argento dei candelieri e sulla provenienza dei quadri.

Qualche tavolo esponeva oggetti più economici, come libri con parecchie pagine mancanti, soprammobili in gesso, scatolette di legno, candelieri di peltro ossidato o di legno graffiato, cornici vuote e sbeccate.

L'uomo dietro l'alto bancone sedeva su una sedia inclinata all'indietro, con lo schienale appoggiato al muro, ed erano visibili solo i capelli e la fronte. Lanciando un'occhiata oltre il banco, vidi che aveva i piedi appoggiati a una cassetta di legno e leggeva una rivista, il cui retro esibiva una pubblicità di sigari, con il disegno di una donna prosperosa e sorridente. Il completo scuro era impolverato e aveva un paio di strappi sulle maniche. Gli stivali, incrociati alle caviglie, erano sporchi di fango. Un berretto unto era posato su un tavolo al suo fianco e lasciava la chioma, folta e ribelle, esposta al mio sguardo. Era tanto che non vedevo un uomo così malandato.

Era ovvio che mi aveva sentita entrare, poiché voltò una pagina della rivista e, senza alzare gli occhi, disse: «Se trovate qualcosa che vi piace, missus, ve lo incarto».

Io tenni le mani ripiegate sulla borsetta, poiché preferivo non toccare quel bancone sudicio. «Se ai libri mancano pagine, costano meno?»

Ebbi il piacere di vedere Daniel McAdam sussultare. Mi era capitato così di rado di coglierlo alla sprovvista che sorrisi trionfante.

Lui sbatté in fretta la rivista sotto il banco e si alzò in tutta la sua statura, fissandomi a occhi sbarrati. «Diavolo, donna! Non c'è un solo posto in questa città dove mi possa girare senza incontrarvi?»

Lo sogguardai con sussiego, senza lasciare trapelare quanto fossi felice di averlo rintracciato. «Ne dubito» risposi. «Percorro sempre lo Strand nei giorni liberi, come sapete, a meno che non scelga la High Holborn. È così strano che, passando davanti alla bottega, vi abbia notato?»

L'espressione di Daniel divenne scettica. «Per puro caso avete lanciato un'occhiata dentro un sudicio banco dei pegni e avete deciso di curiosare? Oppure vendete qualcosa?»

«Non siate sciocco. Mr. Davis vi ha scorto qui dentro ed è incapace di tenere la bocca chiusa. Mentre, oggi pomeriggio, camminavo lungo questa strada, ho pensato di cercarvi.»

Lui si rilassò, con un fremito sulle labbra. «Bene. Mi spiacerebbe sapere che vi sporcate le scarpe in un posto simile per un motivo diverso. Sono contento di vedervi, Kat.» Per qualche momento mi guardò in un modo tale da fare scomparire gli indumenti logori e la bottega polverosa. Vidi soltanto gli occhi blu, il sorriso fascinoso, l'uomo avvenente nascosto dietro l'abbigliamento sciatto. Poi la gioia scomparve. «Apprezzo la vostra compagnia, come sapete, Kat, tuttavia avete scelto il momento peggiore per una chiacchierata amichevole. Adesso ve ne dovete andare. Ci possiamo incontrare più tardi, se volete.»

L'impazienza era sincera. Daniel sembrava davvero volermi parlare dopo avere svolto il compito per cui non gradiva la mia presenza, quale che fosse; eppure ero abbastanza sicura che non intendesse rivelarmi cosa stava combinando.

«Non posso uscire di casa per conversare con voi quando vi è comodo» replicai altezzosa. «Il mio giorno libero è terminato. Ora devo rientrare per preparare la cena.»

«Sì, sì, certo.» Il sorriso tornò, così come il seducente Daniel. «Un'altra volta, allora.»

«Non trattatemi con condiscendenza, Mr. McAdam» gli dissi. «Ormai vi conosco. Buon pomeriggio.»

Colsi la sua costernazione e quasi mi scusai per i modi bruschi, però mi faceva impazzire. Era chiaro che si trovava là per motivi interessanti e io ammettevo di essere seccata perché non soddisfaceva la mia curiosità.

Tuttavia, riflettei, non era il caso di andarmene sbuffando, poiché Daniel McAdam era la persona migliore con cui discutere del problema esposto da Lady Cynthia.

Quando stavo per offrirmi di tornare in un momento più opportuno, lui uscì di scatto da dietro il bancone, superando la porta che lo separava dal resto della bottega. Mi ghermì per un braccio e, senza spiegazioni, mi trascinò nel retro, spingendomi oltre l'uscio di un sordido ripostiglio.

«Restate qui» mi intimò. «E non fate rumore.»