Non mi accorsi di niente, finché un braccio robusto non mi cinse la vita e mi trascinò lontano dal forno. Tornai in me mentre piombavo su una seggiola e Tess si scostava per scrutarmi in volto.
«State bene, Mrs. H.? Avevate la mano proprio sul fuoco!»
Io mi guardai il palmo, che in effetti si stava arrossando, però ero convinta che Tess esagerasse. Avevo una certa dimestichezza con le scottature e quella non sembrava grave.
La sguattera entrò di corsa con una pezza umida, sgocciolando acqua sul pavimento appena lavato. Lei e Tess, agitandosi e lanciando esclamazioni, mi avvolsero la mano nel panno fresco, che mi dava un certo sollievo, dovevo ammettere. Quindi Tess andò a recuperare il pane tostato, ormai ridotto a una massa annerita. Mi dovevo alzare per prepararne altro.
Tuttavia non riuscivo a muovermi. Mi figuravo Daniel a faccia in giù sul pavimento sudicio della bottega, in una pozza di sangue che si andava coagulando. Morto, ucciso da chiunque si dovesse presentare per offrirgli antichità rubate nei musei.
Non poteva essere lui, mi ripetevo. Daniel, con il suo sorriso caldo e i suoi occhi blu, che si accendevano quando mi vedeva. Che mi aveva baciata sotto il ponte, in Cornovaglia, in un modo che non avevo mai sperimentato in vita mia. Con la sua voce capace di rasserenare anche il giorno più cupo e la sua risata che sapeva annientare tutti i miei problemi.
Gli occhi castani di Tess erano sbarrati nel volto pallido, e le efelidi spiccavano come cannella sulla panna. «Non può essere lui, Mrs. H. Non il nostro Mr. McAdam. È troppo furbo per farsi ammazzare, vero?»
Il tono era fin troppo deciso, come se avesse tentato di convincere se stessa. Ci scambiammo un'occhiata inquieta.
Mr. Davis si chinò su di me con il parrucchino di traverso. Il giornale gli pendeva dalla mano e i cordini con cui legava le maniche della camicia tremavano.
«Leggetemelo» lo esortai. «Presto. L'intero articolo.»
«Non è lungo» notò. Gli occhi azzurri erano turbati. «Però è un po' raccapricciante.»
«Vi prego, Mr. Davis.»
Lui aprì il quotidiano e lo perlustrò con lo sguardo finché non ritrovò la notizia.
CORPO SENZA VITA SULLO STRAND
Un ragazzo che effettuava consegne a tarda sera, il giorno diciassette, ha notato la porta socchiusa di una bottega e avvisato un poliziotto. Questi, all'arrivo, ha trovato, con orrore, un uomo steso al suolo, davanti al bancone carico di strumenti musicali, libri e armi della guerra di Crimea. Il defunto indossava un completo di lana marrone, stivali pesanti e guanti logori e aveva folti capelli bruni. Il viso era troppo maciullato per essere riconoscibile. Le forze dell'ordine incoraggiano chiunque possa aiutare a identificare il poveretto a rivolgersi a un agente, oppure a presentarsi alla sede della Polizia Metropolitana.
Il mio cuore batteva forte. Poteva essere la descrizione di Daniel, oppure di uno dei suoi clienti, o anche dell'uomo che gli aveva fatto visita quel pomeriggio, Varley. Lo avevo solo intravisto, ma era abbigliato proprio così. Daniel era molto bravo a passare inosservato camuffandosi tra quelli che frequentava, quindi non potevo essere certa che fosse lui senza vedere il corpo.
Mi levai in piedi... e mi ritrovai di nuovo sulla sedia.
«Piano, Mrs. H.» mi raccomandò preoccupato Mr. Davis.
Tess mi teneva le mani, anche quella fasciata con la pezza umida. «Andiamo, Mrs. Holloway. Così vediamo.»
«Sì.» La mia voce era ridotta a un sussurro. «Sì. Non resterà anonimo, sepolto senza identità, senza amici...»
«Non capisco cosa dite» ammise costernata lei. «Sbrighiamoci, allora. Si va a Scotland Yard.»
«Un momento» intervenne Mr. Davis. «Non potete uscire tutte e due. E la colazione del signore?»
Tess mi aiutò ad alzarmi e a recuperare l'equilibrio. «Non può andare da sola» protestò. «Non vedete in che stato è? La devo accompagnare. La colazione è pronta. Ci sono un sacco di fette già tostate. Non potete portarle voi a Sua Signoria? Siete il maggiordomo, no? Vi sentite troppo importante per servire a tavola e fare arrivare il cibo nella sala?»
Mentre parlava, mi sospingeva verso l'uscita del retro, afferrando intanto il mio soprabito e il mio cappello, mentre Mr. Davis borbottava alle nostre spalle.
«Tenete a bada quella lingua, ragazza» intimò a Tess. «Vi darò due schiaffoni, sciagurata.»
«Prima mi dovete acchiappare» gridò lei di rimando, poi mi portò fuori e mi trascinò su per la scala.
Mount Street era animata, come sempre il sabato mattina. Anche se i nobili erano ancora a letto, i lavoratori erano impegnati a procurare il combustibile, il cibo, le bevande e tutto il possibile per rendere facile e comoda la vita dei ricchi. Se si aggiungeva l'abituale traffico di veicoli, c'era una gran confusione.
Dovevo trovare una vettura di piazza, poiché non avevo la pazienza di aspettare l'omnibus. Dunque mi diressi verso South Audley Street, un'arteria più importante, dove era più probabile incrociarne.
Udii un grido, rauco e lacerante, il mio nome nel vento. Con la mente annebbiata, mi girai e vidi il giovane James avanzare a zigzag tra la folla, tentando di farsi largo a gomitate senza guadagnarsi un pugno.
«Mrs. Holloway!» chiamò ancora, rincorrendoci. «Aspettate!»
Mi fermai mentre il figlio dell'uomo che temevo morto si lanciava verso di me. Sentii il cuore sprofondare quando colsi sul suo volto il mio stesso terrore.
«Sta bene, James?» gridai.
Nel medesimo istante lui mi piombò quasi addosso e mi chiese: «Lo avete visto, Mrs. H.?».
«No» rispose Tess al posto mio. «Dio, è stato ucciso?»
Gli occhi di James erano umidi e sbarrati. «Ieri sera non è rientrato a casa. L'ho aspettato per un po', poi sono tornato alla mia pensione. Stamattina la padrona mi ha mostrato sul giornale che un uomo è stato ammazzato. Non so cosa pensare. Non può essere lui, vero?»
«Non lo so» ammisi. «James, trova una vettura di piazza. Andiamo alla bottega e vediamo cosa riusciamo a scoprire.»
«Ci sono stato. Avevano già portato via il corpo e non mi hanno lasciato entrare. Poi sono andato all'alloggio di papà a Southampton e la sua affittacamere ha detto che non era tornato.»
Mrs. Williams, la proprietaria della casa dove Daniel, a volte, affittava le stanze, era un'osservatrice attenta. Si sarebbe accorta se fosse rientrato durante la notte e poi fosse uscito presto. Di sicuro lo avrebbe riferito al figlio. Se non lo aveva visto, significava che era rimasto fuori.
La mia mente turbinava. Il banco dei pegni non era lontano dalla sede della Polizia Metropolitana, in Great Scotland Yard, vicino al punto in cui Charing Cross Road diventava Whitehall. Era probabile che il cadavere fosse stato portato all'obitorio laggiù, ma in caso contrario mi avrebbero indirizzata alla centrale giusta.
«D'accordo, allora, andiamo alla polizia. James, la vettura. Presto!»
Lui corse via, ma Tess mi conficcò i polpastrelli nel braccio. «La polizia! Non ci posso andare, missus.»
Io mi girai, troppo agitata per essere gentile. «Perché no? Siete ricercata?»
Non me ne sarei stupita. Daniel conosceva gente di ogni sorta.
Lei scosse la testa. «L'ultima volta che mi hanno presa gli sbirri, mi hanno quasi impiccata. Non li voglio vicino a me.»
Quelle parole mi riscossero in parte dal terrore. «Impiccata per cosa, bambina? Di cosa state parlando?»
Tess strinse la presa sul mio braccio. «Furto. Ecco, adesso lo sapete. Sono una ladra.»
Io la squadrai da capo a piedi. «Siete venuta nella dimora di Lady Cynthia per derubarla?»
«No, certo che no!» Nei suoi occhi sgranati si coglieva la paura. «È per darvi una mano, come mi aveva detto Mr. McAdam. È stato lui a tirarmi fuori, a convincerli a lasciarmi andare.»
Non mi meravigliava, tuttavia era un particolare che avrei preferito conoscere da James. «Non possono arrestarvi per un reato dal quale siete stata assolta» le assicurai. «È la legge.»
«Sì, però magari mi incastrano per qualcos'altro.»
Non avevo alcuna voglia di discuterne in mezzo alla strada. In quel momento James agitò il braccio dal predellino di una vettura di piazza in attesa.
«Restate qui, oppure venite con me» le dissi. «Dipende da voi.» Sollevai l'orlo della gonna e mi diressi a passi rapidi al veicolo. Prima di arrampicarmi a bordo, farfugliai la destinazione al vetturino.
James porse la mano a Tess, che mi aveva seguita con lentezza, ma lei esitò, incerta.
«Tess» la chiamai in tono secco. «Decidetevi. Non permetterò che vi trattengano, promesso.»
Lei prese un lungo respiro. Era in preda a un'oscura paura che comprendevo bene. Una volta ero stata sbattuta a Newgate dalla polizia e ne ero uscita solo grazie all'intervento di Daniel.
«Al diavolo» ringhiò. Raccolse le gonne e si lanciò a capofitto a bordo, sfiorando appena la mano di James. «Dannazione, devo essere pazza.»
Una volta che fummo dentro tutti e tre, ci stringemmo nell'angusto abitacolo mentre il vetturino spronava il cavallo.
James lanciò a Tess un'occhiata supplichevole. «A Mrs. Holloway non piace il linguaggio forte. Ti ritroverai senza lavoro.»
Lei si limitò a raddrizzare il vestito. «È una situazione speciale. Siamo tutti scom... scom... Uff, qualcosa che comincia per scom.»
«Scombussolati» le suggerii. «Adesso tacete tutti e due. Sono già abbastanza distratta.»
Per fortuna rimasero entrambi in silenzio mentre avanzavamo nella ressa di South Audley Street. Avevo sperato che il conducente fosse un amico di Daniel, magari in grado di dirci se stesse bene, invece non lo riconobbi.
Proseguimmo a scossoni fino a Piccadilly, poi a est, lungo la trafficata Haymarket, fino a Cockspur Street e Charing Cross, oltre Trafalgar Square e la colonna altissima con in cima l'Ammiraglio Nelson. Appena una settimana prima avevo detto per scherzo a Grace che non avrei riconosciuto Lord Nelson se, tornando indietro nel tempo, lo avessi incontrato di persona, poiché non avrebbe avuto addosso nessun piccione.
Lei aveva ridacchiato e io mi ero riproposta di ripetere la battuta a Daniel per vedere se avrebbe riso anche lui. Al pensiero mi si spezzò il cuore.
Il vetturino ci lasciò davanti al palazzo dell'Ammiragliato. Io lo pagai con le poche monete che avevo in tasca, chiedendomi in modo vago con che soldi saremmo tornati a casa.
Guidai i ragazzi oltre l'ingorgo di veicoli, fino alla viuzza chiamata Great Scotland Yard e all'edificio che ospitava la Polizia Metropolitana.
Ricordavo che Mr. Davis aveva letto in uno dei suoi giornali che ormai quella sede non era più sufficiente e che la polizia si sarebbe presto trasferita in una nuova, nei pressi dell'Embankment. Al momento, comunque, quel palazzo mi sembrava enorme. Piani su piani di mattoni bruni si elevavano verso il cielo, cupi e severi alla luce tetra della giornata nuvolosa.
Un'arcata sovrastava l'ingresso principale. Alcuni agenti vi facevano la guardia, forse per impedire ai criminali di fare irruzione e creare scompiglio. Passai oltre, fingendo di sapere dove andavo, seguita da James.
Tess indugiò fuori dalla porta, ma appena un poliziotto in divisa blu, con lustri bottoni d'ottone, fece per avvicinarsi, lei gli girò le spalle e si affrettò a raggiungerci.
Dentro trovammo un corridoio pieno di echi, con una scala e un bancone in fondo. Dietro questo passavano parecchi uomini, mentre altri salivano e scendevano i gradini, ma nessuno ci prestava attenzione. Alcuni erano in divisa, altri in borghese, altri portavano fasci di documenti e altri ancora erano a mani vuote. Comunque tutti quanti dimostravano una gran fretta.
A testa alta, mi avvicinai al banco. James rimase un passo dietro di me, e Tess, con la testa girata, restò alle sue spalle.
Temevo quel posto quanto lei. Mi avevano arrestato senza alcuno scrupolo quando un uomo mi aveva additata, accusandomi niente meno che di omicidio. Ero stata sottoposta a un processo ridicolo, presieduto da un magistrato che si credeva arguto, e sbattuta in galera nel giro di poco tempo. Dovevo la vita a Daniel.
Rimasi in attesa almeno cinque minuti senza che nessuno mi prestasse attenzione. Gli agenti e gli impiegati mi lanciavano occhiate distratte, però, a quanto pareva, tutti speravano che fosse un altro a rivolgermi la parola.
Infine battei un colpetto con le nocche, fissando con durezza un sergente in uniforme, seduto a una scrivania. «Scusate, giovanotto.» La collera e l'impazienza avevano ridato vigore alla mia voce.
Il sergente, con riluttanza, distolse lo sguardo dalle carte che aveva di fronte e mi domandò annoiato: «Sì? Che c'è, tesoro?».
«Ho saputo che un uomo è stato ucciso sullo Strand.» Deglutii, temendo che quelle parole mi strozzassero. «In un banco dei pegni. Forse lo conosciamo.»
L'ufficiale si alzò e si lisciò con il palmo i capelli scuri. «L'omicidio del banco dei pegni?» Spostò qualche foglio sul tavolo, poi annuì. «Sì, il corpo è qui. Lo sta esaminando il medico legale.» Spinse avanti le labbra, come per fischiare. «Era un tizio conosciuto, quel prestatore di denaro. Non siete i primi a venire per lui. Forse aveva venduto i biglietti per lo spettacolo.»
Un altro che faceva lo spiritoso. «Potrebbe essere il padre del ragazzo» chiarii in tono gelido. «Abbiate un po' di compassione.»
Lui lanciò uno sguardo a James, che si era levato il berretto e lo rigirava tra le mani ossute, e si ammorbidì. «Scusate, tesoro... voglio dire, missus. Allora, se volete vedere quel poveraccio, firmate qui e venite con me.»
Sollevò un registro e lo girò verso di me, posandovi accanto una penna e un calamaio. Io intinsi la punta nell'inchiostro e scrissi con cura il mio nome sotto gli scarabocchi illeggibili dei visitatori precedenti.
Il sergente non chiese ai ragazzi di firmare, e per questo vidi Tess rilassarsi. Si limitò ad annotare il numero tre accanto al mio nome, a riporre il registro e a indicarci di seguirlo.
L'unica centrale di polizia che avessi mai visto era quella di Bow Street, un'antica dimora convertita nel corso dei secoli in tribunale e prigione. Circolavano tante storie riguardo agli agenti di Bow Street, coraggiosi cacciatori di ladri del passato.
Un tempo questa era un'ala di Whitehall Palace, quando era un vero palazzo, non solo una sede di uffici governativi. Scotland Yard era così chiamata perché gli ambasciatori scozzesi alloggiavano nelle case intorno. Ormai quell'edificio freddo, aperto sulla strada di Great Scotland Yard, ospitava il chiasso e la confusione degli agenti che trascinavano criminali in galera. La gente comune non chiamava più la Polizia Metropolitana con il suo nome, ma con quello del luogo, Scotland Yard. Mi chiedevo se, dopo il trasferimento degli uffici principali in riva al Tamigi, avremmo cominciato a definirla Embankment.
Il sergente ci accompagnò oltre una porta sul retro, lungo un altro corridoio e giù per una rampa di scale. A mano a mano che scendevamo, l'aria diventava sempre più fredda, lontana dal dolce tepore di maggio. Nel seminterrato sembrava di essere in novembre, notai mentre mi affrettavo dietro la nostra guida, sforzandomi di non pensare a quello che avrei trovato alla fine del tragitto.
Il puzzo di cadavere mi colpì le narici prima ancora di arrivarci. Facevano del loro meglio, immaginavo, per tenere i corpi al fresco e portarli a seppellire il più in fretta possibile, tuttavia l'odore di morte e decomposizione permaneva e permeava le pareti.
Mi fermai fuori dalla porta alla quale ci condusse l'agente. Una piccola targa indicava: Camera mortuaria.
«James, dovresti aspettare qui» gli raccomandai. Non volevo che, per quanto fosse avvezzo ai bassifondi, restasse sconvolto dagli orrori di quel posto. Se l'uomo ammazzato fosse stato davvero Daniel, mi sarei occupata di lui da allora in poi. Avrei iniziato risparmiandogli la vista del corpo martoriato del padre.
James scosse con ostinazione il capo. «Voglio sapere.»
«Lo dovrà identificare» intervenne l'agente, senza farsi scrupoli. «È meglio che sia il parente più prossimo a farlo.»
Lui e il ragazzo mi fissarono in volto, uniti dalla testardaggine maschile. Io strinsi i pugni. «D'accordo. Però, James, tu resti indietro finché non ho guardato io. Anche voi» aggiunsi, rivolta a Tess.
Lei si limitò ad annuire. La loquacità era scomparsa. Il mio rispetto per il suo coraggio crebbe. Aveva paura in quel posto, eppure ci era venuta perché era preoccupata per Daniel, James e me.
«Entriamo, dunque» esortai il sergente. «Affrontiamo la faccenda.»
Lui ci condusse in una stanza in penombra, rischiarata da finestre situate molto in alto, affacciate sull'esterno. Qui il puzzo di morte era più intenso. Su una parete c'era una porta grande e robusta con una grossa maniglia, chiusa da un catenaccio. Non osavo pensare a cosa ci fosse dietro.
L'obitorio non era spaventoso come avevo immaginato: malgrado l'oscurità, notai che era piuttosto pulito e ordinato. Un alto tavolo era addossato a un muro, ingombro di fiale e recipienti di vetro, alcuni vuoti, altri pieni di liquidi di vari colori. Tavoli bassi erano allineati al centro dell'ampio locale, tra i pilastri che sostenevano il soffitto. Erano tutti vuoti, tranne uno, in fondo alla fila. Il corpo che vi giaceva era coperto da un lenzuolo. Il mio cuore sobbalzò quando distinsi la forma maschile sotto il telo, poi il battito rallentò all'improvviso, fino a diventare impercettibile.
C'era Daniel, là sotto. Daniel, la cui risata sapeva scaldare una giornata invernale, che era capace di fare accadere l'impossibile, che conosceva gente di ogni sorta a Londra, dai magistrati ai vetturini ai ladri. Daniel, che si sentiva a proprio agio nel consegnare casse di patate in cucina, così come nel fare visita a un marchese.
Ricordai quando mi aveva tenuta nascosta, al banco dei pegni, facendomi aspettare finché quel tizio non se ne era andato per davvero. Si era preoccupato per me e non per se stesso, quello stupido. Forse Varley era tornato la sera prima, aveva scoperto che Daniel lavorava per la legge e lo aveva eliminato.
Tess e James rimasero indietro mentre seguivo il sergente lungo la fila di tavoli, con i tacchi degli stivaletti che risuonavano sul pavimento. Mentre aggiravamo il pilastro vicino all'ultimo, mi accorsi che c'era accanto un uomo, a capo chino e intento a contemplare il corpo coperto.
Aveva i capelli molto scuri, resi lustri dalla luce del sole che filtrava dalle alte finestre. Indossava un completo elegante, ma stropicciato, con la giacca di traverso. Le grandi mani inguantate si aprivano e richiudevano, come incerte sul da farsi.
La postura, le mani e i capelli mi erano noti. Girai in fretta intorno al pilastro e lo guardai. Lui mi diresse un'occhiata miope, ma un attimo dopo mi riconobbe e si raddrizzò di scatto.
«Buon Dio!» esclamò Mr. Thanos. «Voi! Voglio dire... Santo cielo, se siete qui, Mrs. H., deve essere proprio lui sotto il lenzuolo.»