Mr. Davis, cupo in volto, segnalò il problema ai piani superiori, poi scese in cucina mentre io e Tess completavamo l'abituale colazione a base di uova, bacon, pane tostato e patate.
«Mi credono incapace di distinguere una porta sbarrata da una aperta» si lamentò, infuriato. «L'avevo controllata per assicurarmi. Vado subito a chiamare qualcuno per sistemarla. Avrei provveduto ieri, ma la signora si è rivolta a un nostro stalliere per risparmiare. Dovevo avvisarla che quei ragazzi sono bravi a strigliare i cavalli e ad aggiustare i finimenti, però di ferramenta non si intendono affatto. Dannata spilorcia...» borbottò, precipitandosi di nuovo fuori.
Tess era impegnata a togliere le fette di pane tostato dalla griglia appena levata dal forno, impilarle in un piatto e farvi sgocciolare sopra altro burro fuso. Non aveva alzato lo sguardo su Mr. Davis, ma io avevo notato il suo volto pallido di paura.
«È soltanto un chiavistello difettoso» tentai di rassicurarla. «Facile da riparare.»
«Non mi piace questa storia» mormorò lei con voce arrochita.
Anch'io trovavo strano che avessimo trovato la porta spalancata, ma in casa non mancasse niente. Almeno che si sapesse. Sistemai la pancetta e le patate nei piatti di portata d'argento, chiusi i coperchi a cupola per tenere le vivande al caldo e poi, d'impulso, mi recai in dispensa.
I ladri londinesi non cercavano sempre l'argenteria o le antichità greche. I poveretti a cui offrivo gli avanzi erano disperati, alcuni così affamati o ubriachi di gin da non farsi scrupoli a intrufolarsi in un'abitazione per rubare cibi e bevande.
Mr. Davis teneva chiusa a chiave la cantina del vino. Lui e io avevamo le uniche copie. Se la serratura fosse stata forzata, lo avrebbe denunciato subito.
Invece la dispensa era il mio dominio e la conoscevo come il palmo della mia mano.
Quello che mancava non era evidente a prima vista. Qualche mela era sparita da un canestro, le carote erano impilate in modo da sembrare più di quante non fossero e pezzi di carta imbottivano il fondo del cesto delle fragole per mascherare che ne restava un solo strato. La diminuzione della carne cotta e salata era più difficile da occultare: il piatto coperto era stato spinto in fondo a una credenza.
Nel complesso il locale era pulito e ordinato, il pavimento ben spazzato. Nessuna impronta rivelatrice sulle lastre di pietra, niente fuori posto. Il ladro aveva saputo di preciso dove cercare e come nascondere il crimine.
Emersero pensieri sconcertanti. Scartai l'ipotesi che fosse stato Daniel. Quand'anche avesse deciso di entrare di soppiatto e procurarsi provviste, avrebbe trovato un sistema per lasciare il denaro corrispondente e, soprattutto, non avrebbe mai dimenticato la porta aperta. Nessuno si sarebbe reso conto del suo passaggio.
In casa, l'unica persona nuova era Tess, che aveva dimostrato di essere quasi ridotta alla fame prima di arrivare. Tuttavia da allora mangiava bene. E perché non limitarsi a chiedere qualcosa in più, se non fosse stata sazia? Ormai sapeva che glielo avrei dato.
Tuttavia non si poteva escludere che fornisse le vivande a qualcuno. Un amante? O magari un parente. Aveva dichiarato che i familiari non erano brave persone, ma forse era costretta a procurare il cibo per loro.
Ma anche in questo caso, Tess era abbastanza sveglia da non annunciare a tutti quanti che era uscita, lasciando la porta aperta. Inoltre non avrebbe avuto bisogno di manomettere la sbarra: le sarebbe bastato aprire, passare la refurtiva e richiudere.
Strano e sempre più strano, come avrebbe detto Alice di Mr. Carroll.
Il mio interesse per la faccenda aumentò qualche ora dopo, quando terminai di preparare il pranzo e lo mandai al piano di sopra. Proprio allora arrivò il fabbro per sistemare la sbarra. Vidi Mr. Davis condurlo lungo la via e poi entrare, esponendogli il problema.
Mi asciugai le mani e varcai la soglia del retrocucina mentre l'uomo affermava: «Non temete, Mr. Davis. La riparo in un batter d'occhio».
Aveva i capelli scuri sotto il berretto di panno, un completo stropicciato di tela ruvida, stivali dalla suola spessa, occhi blu, voce allegra e sorriso pronto.
«D'accordo, Mrs. Holloway?» mi chiese Daniel mentre, per sostenermi, mi appoggiavo allo stipite della porta. «Spero che abbiate in forno un po' di quelle focaccine deliziose.»
Era in piena forma, spensierato come sempre, con il viso pulito e rasato. Sembrava ben nutrito e riposato, come se avesse passato la notte in un letto morbido e gustato una sostanziosa colazione. Accidenti a lui!
Posò la cassetta degli attrezzi e si accovacciò per esaminare il danno.
Mr. Davis lo osservò per qualche istante a braccia conserte, poi mi lanciò un'occhiata. «Dategli pure da mangiare, Mrs. Holloway. McAdam è il solo che sia riuscito a trovare all'istante e che si intende di serrature. Per mia fortuna era passato a salutare il capostalliere.»
Era davvero fortuna? Daniel aveva deciso per puro caso di aggirarsi per le stalle dietro Mount Street proprio quando Mr. Davis cercava un artigiano? Oppure era al corrente che Mrs. Bywater aveva bisogno di qualcuno per sistemare la porta e si era assicurato di essere l'unico reperibile? Ignoravo come facesse, ma sembrava conoscere tutti quanti a Londra. Se aveva sparso la voce che nessun fabbro doveva intervenire nella dimora di Lord Rankin, era stato senza dubbio obbedito. Probabilmente quando Mr. Davis aveva saputo che si trovava nella scuderia, si era affrettato a chiamarlo, sapendo di poterlo retribuire molto meno di un vero chiavaio. Mrs. Bywater sarebbe stata contenta.
«Cosa sapete di serrature?» domandai secca a Daniel.
Lui sollevò la staffa di ferro dal pavimento e la esaminò. «Tanto, Mrs. H.» mi assicurò. «Ho avuto una giovinezza dissoluta, no?»
Mr. Davis alzò gli occhi al cielo e tornò in cucina.
Avrei dovuto imitarlo. Scuotere il capo per l'impertinenza e andare a infornare il pane per la giornata. Invece mi soffermai a guardare Daniel mentre prendeva dalla cassetta un ferro lungo e sottile e lo infilava nel meccanismo.
«Siete davvero un uomo dai mille mestieri» commentai.
«In effetti.» Tenne lo sguardo puntato sull'attrezzo. «Aggiungerei provetto in niente, ma non sarebbe vero. In qualche ambito ho esperienza.»
«Le serrature, per esempio?»
Lui ridacchiò. «Sono la mia prima specialità. Per il resto, come la carpenteria, la cura dei cavalli e la riparazione delle carrozze, mi sono dovuto applicare. Le serrature, invece, mi vengono naturali.»
«Capisco. Quindi se aveste deciso di aprire per rubare cibo dalla dispensa, ci sareste riuscito.»
Daniel mi lanciò un'occhiata. «Sì, ma non l'ho fatto. È questo che è successo?»
«È ciò che vi occorre sapere. Ho visto la porta sprangata. Era anche chiusa a chiave, come dichiara con sicurezza Mr. Davis. Tuttavia qualcuno ha forzato la sbarra.» Indicai la staffa, di norma avvitata alla parete, ma al momento gettata al suolo.
Dopo avere riposto l'utensile, lui la prese di nuovo in mano per studiarla. «Ecco perché vi siete lasciati ingannare, pensando che la porta fosse sprangata» dichiarò dopo qualche istante. «Le viti che la fissavano al muro sono state sostituite da altre, molto più corte.» La collocò al suo posto, chiuse il battente e vi fece scorrere con cautela la sbarra. «È un trucco degli scassinatori. Così, quando si spinge dall'esterno la porta...»
Diede una dimostrazione pratica tirando con uno strattone il battente. L'estremità del paletto fece cadere la staffa e lui la prese al volo.
Io fissai con orrore crescente il ferro nella sua mano inguantata. «Soltanto una persona di casa potrebbe avere rimpiazzato le viti.»
Daniel annuì. «Oppure un operaio chiamato per una riparazione. O anche un fattorino o simili. Ieri non è venuto qui nessun estraneo, lasciato solo abbastanza a lungo per manomettere la staffa?»
E sistemare le vivande nella dispensa in modo che non si vedesse subito quello che mancava? «Questo non spiega perché la porta sia rimasta aperta» notai. «Perché darsi tanto da fare per entrare di soppiatto e poi trascurare di richiudere il battente, annunciando a tutti che si è stati in casa?»
Lui rifletté. «Magari il ladro ha sentito avvicinarsi qualcuno ed è scappato.»
«Forse, ma per due giorni di fila?»
«Due giorni?» ripeté battendo le palpebre. «Perché ieri non avete fatto sistemare la porta?»
Io avvampai. «L'altra notte non era stata forzata. Non era necessario.» Mi chinai per sussurrargli: «L'avevo lasciata aperta io per consentire a Lady Cynthia di rientrare».
Daniel annuì, comprensivo. «Tuttavia il ladro, o i ladri, non potevano essere certi che accadesse una seconda volta. Quindi hanno cambiato le viti.» Guardò la staffa con tristezza. «Mi spiace dirlo, però vi conviene interrogare Tess sulla faccenda.»
«Tess?» Spiai in cucina, ma per il momento era deserta. «Perché? Mi ha raccontato che l'avete salvata dalla condanna per furto. Non lo avreste fatto, se fosse stata colpevole. Come mai adesso affermate che potrebbe essere coinvolta in una violazione di domicilio?»
Daniel scosse la testa. «Era innocente. Un tizio per strada era stato derubato e aveva chiamato un agente. Tess si trovava nei pressi. Quando è stata avvicinata dal poliziotto, convinto che fosse l'unica testimone, ha creato un tale scompiglio che la vittima del furto ha deciso di accusarla e si è scagliato contro di lei. La guardia l'ha presa in consegna, soprattutto per sottrarla alla furia di quell'uomo. Tess si è dichiarata innocente di fronte al magistrato, ma in modo tale da convincerlo che mentisse. E quindi Newgate e processo.»
«Come sapevate tutto ciò?» gli chiesi. «Tess ha affermato di non avervi mai visto finché, al tribunale, non vi siete alzato e l'avete difesa. Eravate mascherato da avvocato? Parrucca e tutto quanto?»
Lui sorrise, divertito. «Niente di così comico. Un sergente di Bow Street è mio amico. Conosceva Tess dai suoi precedenti arresti ed era certo che non avesse commesso il furto. Non era il suo stile, a quanto pareva. Mi ha riferito l'accaduto, così come il poliziotto che l'aveva fermata. Il sergente sapeva che mi interessano sempre i casi insoliti. Quindi sono andato al processo e l'ho osservata al banco degli imputati: era terrorizzata, ma determinata a non arrendersi. Ho concluso che copriva qualcuno. La scena per strada, quando aveva visto arrivare l'agente, era probabilmente servita per accordare al ladro il tempo di scappare. E non era stata convincente con il magistrato proprio per farsi imprigionare ed evitare che la polizia cercasse il vero colpevole.» Sospirò. «Mi spiace tanto, Kat. Speravo che lavorando qui si sarebbe liberata di quel furfante, chiunque sia, invece forse lo aiuta ancora.»
«Ho capito.» Avvertii una fitta al cuore: provavo una sincera simpatia per Tess. «La devo mettere alle strette, immagino.»
«È meglio, altrimenti la faccenda andrà avanti. Assicuratele che l'aiuteremo, senza condannarla.»
«Quindi adesso siamo riformatori, giusto?» borbottai, accigliata.
«Ha bisogno di una persona come voi. Una donna buona e generosa che la guidi sulla retta via.»
Oppure un'idiota totale, pensai io. «Mi fa piacere che le vogliate dare una mano, ma devo domandarvi perché. Cosa vi ha spinto a intervenire a favore della povera Tess, al banco degli imputati? Perché lei e non tutte le altre anime perse che girano per il tribunale?»
«Una sensazione» mi rispose con un'alzata di spalle. Estrasse parecchie viti lunghe dalla cassetta degli attrezzi e provò a infilarle nei fori della staffa, finché non ne trovò una dello spessore giusto. «O anche qualcosa di più. Magari mi rammentava me stesso alla sua età. Tess è intelligente: prendeva in giro il pubblico ministero, con grande spasso di tutti quanti, nell'aula. Lui non capiva metà delle battute e si innervosiva per le risate.» Trovò altre tre viti uguali e sistemò il ferro contro lo stipite. Quindi, tenendolo in equilibrio, pescò un cacciavite e infilò la punta nel taglio della prima vite. «Quella ragazza è a un bivio» proseguì. «Se sceglie la strada giusta, andrà a meraviglia, perché è in grado di fare tutto ciò che desidera. Se invece imbocca quella sbagliata...» Iniziò ad avvitare con energia. «Se la caverà per un po', ma poi finirà male. Molto male.»
Mi lanciai un'altra occhiata alle spalle, ma non vidi ancora nessuno in cucina. Cominciavo a domandarmi dove fossero andati tutti quanti.
«Avete detto che anche voi vi siete ritrovato a un bivio?» gli chiesi.
«Sì, sul serio. Ho rischiato grosso, Kat, credetemi.»
«Come mai vi siete salvato?» Mi chinai un poco, ansiosa di scoprire i suoi segreti.
Daniel diede un ultimo giro alla prima vite, poi prese la seconda. «Ho conosciuto persone buone. Come Thanos e uno dei suoi docenti. Anche altri. Hanno colto in me il bene potenziale, non solo il male, come tanti altri.»
«Santo cielo!» esclamai per scherzo. «E dire che vi ho dato accesso alla mia cucina.»
«Non lo avreste fatto dieci anni fa, tesoro» dichiarò convinto. «Ve lo assicuro.» Finì di avvitare la seconda vite e si dedicò alla terza.
La confidenza animò la mia brama di sapere di più. Daniel era generoso, intelligente e affettuoso. Come avevano potuto giudicarlo malvagio?
«Ho notato che non state più nascosto.» Mantenni un tono neutro. «Niente più pustole.»
«Come vedete.»
«Avete avvisato James?»
Lui mi guardò sorpreso. «Certo. È il primo da cui mi sono recato, appena mi è sembrato sicuro.»
Bene. «Quindi adesso siete al sicuro?»
«In un certo senso.» Inserì la quarta vite. «Almeno non rischio più l'arresto. Gli agenti hanno catturato, o così pensano, l'assassino del tizio al banco dei pegni. L'Ispettore Capo Moss mi permette di parlargli. Ed è là che andrò, dopo avere finito qui.» Mi lanciò un'occhiata interrogativa. «Mi volete accompagnare?»