16

Mi raddrizzai all'istante. «Io? Per quale motivo?»

Senza fretta, Daniel cominciò a fissare l'ultima vite. «Perché rispetto la vostra opinione. Vedete cose che gli altri non notano. Vorrei il vostro parere su quell'uomo.» Terminò, poi le strinse a fondo tutte e quattro. «Potreste restare nascosta e ascoltare, se preferite non mostrarvi a un malfattore, come quando Varley è entrato nella bottega.»

Ormai Mr. Varley mi aveva vista, tuttavia non poteva sapere che, quel giorno, ero là con Daniel. O almeno lo speravo di tutto cuore.

«Ci penso» promisi.

«Finite di preparare per il pomeriggio» mi esortò. «Vi aspetterò e andremo insieme, se gradite.»

Ripose il cacciavite e riprese ad armeggiare sulla serratura con i suoi attrezzi, assumendo di nuovo l'aspetto da tuttofare efficiente. Non ne avrei tratto altro, conclusi.

Scombussolata, tornai in cucina. Mi ero affezionata a Tess, se però rubava in casa, seppur per aiutare qualcuno, era imperdonabile. Non l'avrei denunciata, ma non le avrei nemmeno permesso di lavorare con me.

Mi chiedevo chi desiderasse proteggere, al punto di andare in tribunale al posto suo. Si trattava di un uomo, ne ero certa. Tess avrebbe anche potuto difendere una donna, ma ne dubitavo. Aveva l'età tipica in cui le ragazze facevano follie in nome dei sentimenti.

La sentii chiacchierare con Emma in corridoio. La voce era energica, la risata spensierata.

Se fosse stata colpevole, avrebbe avuto un tono così allegro? Oppure, quella mattina, si sarebbe tanto spaventata per la porta aperta? Mi auguravo che Daniel sbagliasse, ma temevo di no.

Non avevo molto gradito la visita precedente alla sede della Polizia Metropolitana, tuttavia ero sempre più incuriosita mentre finivo di preparare la torta al limone e la infornavo. Chi aveva ucciso quell'uomo al banco dei pegni e perché? Aveva qualche relazione con il furto di antichità? Oppure si era trattato di una banale lite tra ladri? Infine decisi di accompagnare Daniel. Se avessi aspettato che tornasse per riferirmi l'accaduto, sarebbe stata una lunga attesa e avrei appreso solo quello che avrebbe scelto di raccontarmi.

Tess entrò in cucina a passo di danza, ma si fermò di colpo quando mi vide appendere il grembiule e dirigermi alla saletta della governante per recuperare cappello e soprabito.

«Tra un'ora togliete dal forno la torta» le indicai mentre mi seguiva. «Non lasciatela bruciare. Poi pelate le patate e sbollentatele per circa trenta minuti. Al ritorno vi insegnerò a preparare una crema fredda al tè. È squisita.»

«Al tè?» ripeté dubbiosa. «Dove andate?»

«A Scotland Yard» risposi infilandomi il soprabito.

L'allegria scomparve e tornò la paura. «Per la porta di servizio?»

«No, no. Per l'omicidio al banco dei pegni. Mr. McAdam desidera che valuti un sospetto.»

Tess si rilassò, ma poi si abbracciò il busto, colta da un tremito. «State attenta con i criminali, Mrs. H. È gente pericolosa. Mio padre era uno di loro, che la sua anima marcia riposi in pace. Secondo voi esiste l'inferno? Se c'è, è di sicuro là» concluse con rabbia.

«Credo che Dio sia più disposto al perdono di noi umani» le assicurai. «Ricordate il figliol prodigo? La parabola ci spiega che il Signore accoglie nel suo regno anche i peccatori peggiori.»

Tess mi fissò perplessa, come se non avesse mai sentito la storia. «Quindi mio padre è su in cielo?» Ebbe un altro brivido. «Allora non ci voglio andare.»

Le diedi una piccola pacca sul braccio mentre la superavo, diretta all'uscita. «Non temete. Le anime del paradiso sono diverse da chi sta sulla terra.»

«Se lo dite voi.» Non sembrava molto convinta. «Spero di non scoprirlo mai.»

La lasciai, tornai in cucina e attraversai il retro.

Comunque la sua domanda suscitò una riflessione: se persino i peccatori andavano in paradiso, allora c'era anche mio marito. Benché avessi tentato di rinfrancare Tess affermando che lassù erano tutti diversi – capaci di volare e di suonare l'arpa, per esempio – non avevo alcun desiderio di rivederlo, in forma angelica o altro. Non potevo biasimarla per la riluttanza a raggiungere chi le aveva fatto del male.

Daniel mi venne incontro all'angolo di South Audley Street e mi porse il braccio. Camminammo lungo il viale trafficato, oltre Grosvenor Chapel, dove lo avevo scorto nel vicolo.

«È stato gentile il parroco ad aiutarvi» commentai.

Lui lanciò un'occhiata alla chiesetta. «È un vecchio amico.»

«Non dovrei stupirmene, immagino.»

La sua risata mi scaldò il cuore. «Avete abitato a Londra tutta la vita, no? Scommetto che conoscete un sacco di gente: cuoche, governanti, pescivendoli, mercanti, ortolani, fornai, lacchè, cameriere, maggiordomi... Da Cheapside a Mayfair e tutte le zone intermedie. Io ci ho vissuto altrettanto a lungo. È ovvio che abbia molti conoscenti.»

«Già» convenni. «Io però non ho rapporti con gente di ogni sorta, dai ladri ai geni, dagli ufficiali di polizia ai pastori.»

«Se resteremo amici abbastanza a lungo, li avrete.» Daniel mi avvicinò un poco a sé per evitare che venissi travolta da un landò, ma dopo che fu passato non allentò la pressione sul mio braccio.

«Mi racconterete altro riguardo alla vostra giovinezza dissoluta?» lo esortai in tono gaio.

Lui mi scoccò un'occhiata di traverso. «Non è una storia edificante. Voglio piacervi, e non credo che apprezzereste il ragazzo che ero un tempo.»

A quel punto ero ancora più incuriosita. «Non eravate malvagio, immagino. Eravate soltanto capitato con le persone sbagliate.»

«In effetti è vero» ammise. «Ma in realtà ero un monello scatenato, felice di aiutare i furfanti che mi avevano preso con loro. La mia unica scusante era che non sapevo chi diavolo fossi. Ero convinto che uno dei delinquenti fosse mio padre, capite.» Scrollò le spalle. «Magari lo era davvero. Ancora non lo so con certezza, ma per quale altro motivo sarebbe stato così premuroso con me? Mi nutriva, mi vestiva e si assicurava che non venissi sfruttato come capitava spesso ai ragazzini.»

«Per pulire i camini?» Gli spazzacamini facevano spesso ricorso a fanciulli piccoli e magri, in grado di calarsi nelle canne fumarie e scrostare i punti più difficili da raggiungere. Lo ritenevo pericoloso e crudele. Ai ragazzi che venivano a casa offrivo ogni volta panini e focaccine dolci e li esortavo a mangiarli lontano dai padroni, sempre pronti a privarli del cibo. Infilavo anche monetine nelle loro tasche, sussurrando di tenerle nascoste.

Daniel mi scoccò un'occhiata cupa. «Intendo come amanti di uomini disgustosi. Molti sono nobili e abitano nei dintorni.» Rivolse lo sguardo alle dimore signorili intorno a noi.

Mi rifiutavo di pensarci. «Non tutti» mi affrettai a ribattere. «Non sono tutti cattivi, Daniel.»

Mi ritrovai ancora più stretta al suo fianco. «Per questo vi apprezzo, Kat. Mi strappate dalla disperazione.»

Detto da un uomo che rideva più di chiunque altro di mia conoscenza. «Ebbene, allora è meglio che la smettiate di sparire e veniate più regolarmente a gustare il tè con i miei scones

Tornò il largo sorriso. «Ci proverò.»

Proseguimmo in silenzio fino a Curzon Street, dove Daniel fermò una vettura di piazza. Passando per le vie secondarie, questa ci portò fino a Piccadilly e Haymarket, oltre Trafalgar Square, dove il giorno prima mi ero interrogata sul da farsi, fino a Whitehall.

Daniel non entrò dall'ingresso principale dell'imponente edificio di Scotland Yard. Come era ovvio, del resto. Mi condusse invece lungo un passaggio maleodorante fino a un piccolo slargo e bussò tre volte a un vecchio uscio malconcio. Venne aperto circa cinque minuti dopo da un tipo robusto in divisa da sergente, che ci diede accesso a una saletta minuscola dalle pareti scrostate.

Le scale a cui ci condusse erano strette, ripide, puzzolenti, buie e prive di corrimano. Poiché mi rifiutavo di toccare con i guanti i muri sudici, salii con lentezza, alzando l'orlo della gonna per non sfiorare i gradini polverosi.

Daniel, alle mie spalle, mi sosteneva a tratti, prendendomi per un gomito. Invece il sergente, davanti a noi, procedeva in fretta, malgrado la notevole stazza. Dopo tre rampe, aprì la porta del pianerottolo.

Posai i piedi su un pavimento un po' più pulito; almeno veniva spazzato di tanto in tanto, anche se le pareti avevano bisogno di una rinfrescata. Ma poiché stavano per chiudere quella sede e trasferirsi altrove, era probabile che avessero deciso di non perdere tempo per le pulizie, secondo la tipica logica maschile.

Daniel continuò a tenermi il gomito mentre percorrevamo il corridoio. Non aveva più bisogno di guidarmi, comunque non mi spiaceva stargli così vicino lungo quel passaggio pieno di echi.

In fondo, il sergente ci fece entrare in una stretta anticamera. Al nostro ingresso, si aprì una porta sul lato opposto e ne emerse l'Ispettore Capo Moss.

Dietro di lui scorsi un'altra stanzetta, che conteneva solo poche sedie e un tavolo. Un uomo enorme, che pareva sostenuto a malapena dalla seggiola, era incuneato tra la parete e il tavolo, al quale erano incatenate le manette che aveva ai polsi. Il bordo gli premeva contro la pancia. Era così grosso e pesante che il muro alle sue spalle pareva sul punto di crollare per la pressione, rispedendolo per le strade di Londra, tre piani più in basso.

Alzò lo sguardo. Colsi in un lampo gli occhi azzurri, così freddi da raggelarmi, il viso duro e butterato e una massa di capelli rossi. Emanava minacce, che riempivano ogni particella d'aria. Nemmeno Mr. Varley era così ammantato dal male.

Un attimo dopo l'Ispettore Capo Moss chiuse la porta, ma io non mi rilassai. Anche se era ammanettato, quell'uomo era grosso e forte. Chi lo avrebbe fermato, se avesse deciso di spezzare le catene e fuggire?

L'autorevolezza che avevo notato in Moss tornò evidente mentre si girava verso di me. La pelle aveva il tipico pallore di Londra, ma l'aspetto coriaceo suggeriva che un tempo era stata abbronzata, prima che i capelli e i baffi iniziassero a ingrigirsi. Forse era stato un sergente maggiore, o comunque un ufficiale, in qualche remoto avamposto dell'Impero, dove tribù ribelli si opponevano al dominio britannico. Aveva l'aria di avere assistito a combattimenti brutali. Dubitavo che avesse passato gli anni di servizio dietro una scrivania durante il giorno e, la sera, ai ricevimenti delle mogli dei comandanti.

Quando mi vide, inarcò le sopracciglia. «Perché avete portato qui una signora, McAdam? Con lui.» Indicò il battente chiuso.

«È molto acuta e conosce la gente» spiegò Daniel, senza lasciarmi il tempo di affermare che ero venuta di mia spontanea volontà. Ebbi il sospetto che l'ispettore capo mi preferisse in silenzio.

«Questo è un vero criminale» lo mise in guardia Moss. «Se lo dovessimo rilasciare, tenetela ben lontana da lui.»

«Rilasciare?» ripeté sorpreso Daniel. «Credevo fosse di sicuro il colpevole.»

L'altro si accigliò. «L'incertezza esiste sempre. I testimoni non sono mai del tutto affidabili. Per favore, Mrs. Holloway, mettetevi qui.»

Si diresse a uno sportello a metà della parete. Lo aprì, rivelando una grata dietro la quale c'era la stanzetta con l'omone.

Questi alzò di nuovo lo sguardo nel sentire il cigolio dei cardini. Anche se parecchie barre si incrociavano nell'apertura, ero consapevole di venire trapassata dagli occhi che avevo scorto prima; occhi da coccodrillo, mentre io ero una capra tanto stupida da tagliargli la strada.

«Non vi può vedere» mi sussurrò all'orecchio Daniel. «La grata è troppo fitta.»

Io non mi tranquillizzai. Quell'uomo guardava dritto verso di me... o forse udiva il battito del mio cuore impaurito.

Presi fiato e annuii. Daniel mi rispose con un cenno, confermando che mi capiva, poi seguì l'Ispettore Capo nell'altra stanza.

Chiusero la porta a chiave. Non era tanto rassicurante. Se l'omaccione avesse attaccato, c'era il rischio che Daniel e Moss non riuscissero ad aprire in tempo per salvarsi. Potevo solo sperare che le manette fossero robuste.

L'ispettore capo prese posto davanti al furfante. Daniel si sedette in fondo al tavolo, lontano dai suoi grossi pugni. Vedevo la sua faccia, ma soltanto la nuca di Moss.

L'omone tirò su con il naso e puntò il mento verso Daniel. «Chi è?»

«Non ha importanza» gli rispose Moss. «Questo è Simon Pilcher» spiegò a Daniel. «Mai sentito?»

Lui scosse la testa e Pilcher lo squadrò da capo a piedi. «E io non ho mai visto lui» dichiarò con voce possente quanto il corpo.

«Sapete perché siete stato arrestato, vero?» gli domandò l'ufficiale di polizia.

«Accusato di avere fatto fuori un tizio.» Aspirò di nuovo con il naso, come se avesse avuto il raffreddore. «Non è vero.»

«Perorerete la vostra causa in tribunale» dichiarò Moss con durezza. «Siete già stato dietro il banco degli imputati e ve la siete cavata solo grazie alla fortuna e a un buon legale.»

Pilcher scrollò le spalle. «Per questo lo pago.»

Dunque era un fuorilegge che si poteva permettere un bravo avvocato difensore. Tutto ciò non mi piaceva. Era probabile che un tipo simile lavorasse per un criminale ancora più feroce, abbastanza ricco da potere salvare i suoi scagnozzi dalla forca o dalla deportazione.

«Siete stato visto entrare e uscire dal banco dei pegni un'ora prima che venisse rinvenuto il corpo» dichiarò Moss.

Pilcher lo guardò accigliato. «Ci ero andato per affari legittimi. Quel tizio era già morto stecchito.»

«Lo potete provare?»

«No, e lo sapete» ribatté irritato l'omaccione. «Se no gli sbirri mica mi acciuffavano e mi sbattevano dentro.» Le grosse mani si muovevano con nervosismo, producendo un tintinnio di catene.

«Cosa facevate al banco dei pegni?» domandò con calma Daniel.

Pilcher puntò lo sguardo su di lui. «Perché devo dirlo a voi?»

«Vi conviene, se volete tenere la testa fuori dal cappio.» L'accento era colto, senza tracce del sud di Londra.

L'uomo batté le palpebre. Mi accorsi che rifletteva, pensando forse che Daniel, malgrado gli indumenti modesti, fosse venuto per aiutarlo, magari in qualità di avvocato. Quando rispose, il tono era più tranquillo. «Mi avevano pagato. Per prendere delle cose. Le dovevo comprare. Niente di male, no?»

L'ispettore capo sbuffò. «Dove sono i soldi che vi avevano dato per l'acquisto? Non li avevate in tasca, quando siete stato perquisito.»

«Li aveva il capo. Gli porto le merci e lui paga. Non si fida a darmi la grana.» Ridacchiò, compiaciuto di essere inaffidabile.

«Come si chiama?» domandò Daniel. «Parlerò con lui.»

Pilcher rise ancora. Non apprezzavo tanta ilarità. «Naismith. Julius Naismith.»

Il nome non mi diceva niente, tuttavia vidi Daniel immobilizzarsi. Moss fece per intervenire, ma colse la sua espressione e si zittì.

Sotto il mio sguardo, il viso di Daniel divenne duro quanto quello di Pilcher e gli occhi si fecero così freddi che avrebbero potuto rivestire di ghiaccio le pareti. Non lo avevo mai visto in preda a una simile rabbia, emersa dai recessi dell'anima, dove era nascosta a tutti, me compresa.

In quel momento mi resi conto che la persona più pericolosa nel locale non era il bruto in manette e nemmeno il potente Ispettore Capo Moss.

Era Daniel McAdam.