«Dov'è?» chiese Daniel con voce gelida.
Pilcher lo fissò in volto per la prima volta e deglutì. «Non lo so mica, io» mormorò, stranamente mite.
Intervenne Moss. «Se ignorate dove si trovi il vostro capo, come può fornirvi un alibi? Oppure delle referenze?»
L'uomo scrollò le spalle. Nel giro di pochi istanti aveva perso la fiducia in se stesso. «Di solito mi trova lui.»
«Be', gli conviene rintracciarvi in fretta, lad» lo avvisò l'ispettore capo. «Siete diretto a Newgate. Se il processo sarà abbastanza rapido, magari inizierete una nuova vita a Botany Bay nel giro di una settimana, ma solo se il giudice sarà clemente.»
Pilcher era bianco come un cencio. «Aspettate...»
«Altrimenti penzolerete dalla forca» proseguì Moss, ma Daniel lo interruppe alzando una mano.
«Lasciatelo parlare.»
L'omone lo sogguardò con nervosismo. «Mr. Naismith non ha niente a che fare con il delitto, lo giuro. Mi aveva mandato a comprare dei vecchi gingilli. Era d'accordo con il tizio del banco. Spedisce me o un altro a prenderli, e poi li paga se gli piacciono.»
«Questa volta cosa gli dovevate portare?» si informò Daniel.
«Non lo so di preciso» gli rispose con una scrollata di spalle. «Ritiro i pacchi e impedisco agli altri di rubarli. Non ci guardo dentro. Me ne infischio. Ci guadagno qualche soldo e mi basta.»
Moss si protese in avanti. «Vi interessa sapere che abbiamo arrestato quel prestatore su pegno? Sta al fresco in cella per avere ricettato beni rubati. Presto verrà processato.»
Pilcher alzò di nuovo le spalle, tentando di allargare le braccia, ma venne frenato dalle manette. «Cosa ci posso fare? Mi hanno detto di prendere un pacco e io ci sono andato. Però quando sono entrato, ho trovato quel tizio secco sul pavimento.»
«Lo conoscevate?» chiese Daniel. «Il morto?»
«Mai visto.» Strinse i pugni. «È la pura verità, capo. Non lo conosco e non l'ho ammazzato. Ho girato sui tacchi e sono uscito più in fretta che potevo.»
Gli credevo. Era terrorizzato, pronto a dichiararsi innocente. Tess assumeva lo stesso tono quando si indignava perché veniva accusata ingiustamente.
«Quindi avete avuto sfortuna» notò Moss. «È questo che affermate?»
«Esatto.»
«Saranno il giudice e la giuria a deciderlo» dichiarò compiaciuto l'altro. «Il magistrato ha già stabilito che sarete processato, quindi non compromettete le vostre possibilità ribellandovi ai carcerieri. Ci vediamo al banco degli imputati, vecchio mio.»
«Ma non ho fatto niente!» gemette Pilcher.
Moss si alzò per dirigersi alla porta, tuttavia venne fermato dalla voce pacata di Daniel.
«Ditemi dov'è Naismith» stava intimando a Pilcher, «e magari vi salverete.»
«Vi ripeto che non lo so!» esclamò il criminale a occhi sbarrati. «Peccato, però. Se no mi tirava fuori di qui e vi faceva a pezzi.»
Daniel guardò Moss. Il gelo dello sguardo era inquietante. «Lasciatelo andare. A condizione che dica a Naismith di parlare con noi. Con me.»
Prima ancora che terminasse la frase, l'ispettore capo scosse la testa. «Occorre un colpevole per l'omicidio. Pilcher è un assassino; ha già ucciso in passato, ma è stato salvato dall'avvocato. Potrebbe avere commesso anche questo delitto, oppure no. Anche se, in questo caso, è innocente, per me non cambia.»
Pilcher avvampò. «Non potete. Siete un poliziotto.»
«E voi un omicida. Combatto contro questa gente. E anche contro i ladri che fanno la bella vita, mentre persone molto migliori soffrono la fame.»
«Lasciate che torni dal suo capo» insistette Daniel. «Prima o poi lo arresterete per qualcos'altro. Per quanto riguarda questo omicidio, indagherò in giro. Tenetemi lontani gli agenti e vi consegnerò il responsabile.»
«Ascoltatelo.» Pilcher indicò Daniel con un tintinnio di catene. «Sa di cosa parla.»
Moss si lisciò i baffi brizzolati. «Umm. Ci rifletterò. Grazie per il disturbo, Mr. Pilcher.»
«Al diavolo!» imprecò lui, abbassando la grossa testa sulle mani.
L'ispettore capo aprì la porta e uscì dal locale. Nel farlo non si accorse, a differenza di me, che Daniel sussurrava qualcosa all'orecchio dell'omaccione. Questi si sollevò di scatto, guardandolo con un misto di sgomento e speranza.
Moss venne da me, chiuse lo sportello della grata e, tenendo a freno l'impazienza, cercò di mostrarsi gentile. «Mi spiace che abbiate ascoltato, Mrs. Holloway. Avevo avvisato McAdam che sarebbe stato sconcio.»
Aspettai che Daniel fosse uscito dalla stanzetta dove era rimasto Pilcher e che avesse chiuso a chiave la porta dietro di sé per parlare.
«Non credo che Mr. Pilcher sia colpevole dell'omicidio» affermai. «Magari ha qualche collegamento con i beni rubati che Mr. McAdam aveva l'incarico di intercettare, però non ha ucciso quell'uomo. Ne sono abbastanza certa.»
Moss annuì. «Forse avete ragione, madam. Tuttavia è un criminale. Se lo rilascio, commetterà altri reati.»
«Fatelo pedinare» suggerì Daniel. Lo sguardo gelido era svanito, ma il tono era ben determinato. «Vi porterà al pesce più grosso.»
Lui inarcò le sopracciglia. «Pensate che questo Naismith abbia a che fare con i furti? Magari sì. A quanto so, è il suo genere di traffici.»
«Non ha importanza» dichiarò Daniel. «È un bastardo malvagio. Usate Pilcher per collegarlo a questo delitto, in qualunque modo, e farete un arresto che inserirà il vostro nome nei libri di storia.»
Moss scosse la testa, riluttante. «Se non ha alcun rapporto con questo caso... Siete incaricato di aiutarmi a rintracciare i reperti rubati al British Museum, non di dare la caccia a tutti i delinquenti di Londra.»
Intervenni prima che Daniel potesse protestare. «Affidate all'Ispettore McGregor il compito di seguire Mr. Pilcher.»
Moss mi guardò sbalordito. «McGregor?»
«Sì. Sembra ansioso di rendersi utile. Magari riuscirà anche ad arrestare questo Naismith.»
I due uomini mi fissarono. Daniel con una sorta di ammirazione, Moss come se fossi stata un cane che aveva iniziato all'improvviso a parlare. Io scrollai le spalle, fingendomi indifferente.
Comunque la proposta era sensata. Se McGregor avesse dato la caccia a malfattori come Pilcher e il suo mandante, che sembrava ancora più pericoloso, non avrebbe assillato cuoche rispettabili nelle loro cucine. Inoltre, ancora più importante, avrebbe lasciato in pace Daniel.
«Un altro argomento su cui riflettere» concluse Moss. «Grazie per il disturbo, Mr. McAdam.»
Aveva detto la stessa frase a Pilcher. Non mi andava molto.
«Scoprirò chi ha ammazzato quell'uomo nella bottega» dichiarò Daniel. «Ve lo prometto. E continuerò a cercare di capire dove spariscano le antichità. Scusate se in questo non mi sono ancora reso molto utile.»
Moss si raddrizzò, assumendo di nuovo l'atteggiamento da comandante. «A volte le indagini non portano frutti, purtroppo. Uomini come Pilcher mi danno la nausea. Ricordate un ispettore capo che è andato in pensione qualche anno fa, Turland? Lavorava meglio di chiunque altro e aveva ricevuto un encomio dal capo della polizia. L'ultima volta che l'ho visto abitava con la sorella in un alloggio minuscolo dell'Est End e si nutriva di cavoli e fagioli. Intanto Naismith e i suoi scagnozzi cenano con l'arrosto e il buon vino. Vorrei vederli tutti penzolare dalla forca, ma non prima di avere consegnato i loro guadagni disonesti a gente come Turland.» Rimasto senza fiato, scosse la testa. «In ogni caso, McAdam, vi sono grato per l'aiuto. Qualunque cosa scopriate potrebbe rendersi utile.» Mi lanciò un'altra occhiata, tentando di stabilire come mai Daniel avesse pensato di portarmi con sé, poi distolse lo sguardo. «Vi faccio scortare fuori.»
«Conosco la strada» gli risponde Daniel con il solito sorriso, che però non coinvolse gli occhi. «Andiamo, Mrs. H.? Che ne dite di una bella tazza di tè, prima che vi accompagni a casa?»
Sapevo che non aveva intenzione di svolgere un'attività banale come andare a bere il tè. Mi prese per un gomito e mi guidò fuori dall'edificio, lungo lo stretto passaggio e di nuovo per strada.
Non eravamo lontani dallo Strand. Superammo la stazione di Charing Cross e l'angolo del banco dei pegni.
Le sfere dorate erano annerite come prima e la vetrina altrettanto sudicia. Daniel pescò una chiave dalla tasca e aprì la porta. Mi sospinse dentro, poi chiuse di nuovo a chiave e abbassò le tende fino in fondo.
Nella triste bottega filtrava ben poca luce solare. Daniel andò dietro il bancone, aprì la porta del retro e vi entrò, forse per accertarsi che non ci fossero intrusi. Tornò senza dire una parola, dunque era tutto a posto.
Accese quindi una lampada a cherosene e la posò sul largo bancone. La fiammella, schermata dal vetro, proiettava un bagliore giallastro sulla stanzetta e i suoi beni polverosi.
«Siamo venuti qui per scoprire chi abbia ucciso quel poveretto, suppongo» azzardai.
Daniel si avvicinò. «Poiché, con ogni probabilità, era venuto per ammazzare me, non lo definirei un poveretto. Comunque sì, voglio capire chi è stato. Non Pilcher. In questo concordo con voi: non è colpevole del delitto.»
«Chi è Mr. Naismith?» chiesi di punto in bianco.
La gelida rabbia aveva abbandonato gli occhi di Daniel, ma a quella domanda riaffiorò per un istante. «Un nome che dovreste dimenticare.»
«È improbabile, no?» Il mio tono era ragionevole. «Vi siete infuriato nel sentirlo menzionare da Pilcher.» Con un sorrisino, aggiunsi: «Vi conviene dirmelo, sapete, per evitare che indaghi da sola».
«Oh, Kat...» Daniel mi prese le mani, chiudendole tra le sue, forti e calde. «Ho sbagliato a portarvi con me, oggi. Volevo fare bella figura. L'astuto Daniel che convince un delinquente e spifferare i suoi segreti, sotto gli occhi di Mrs. Holloway. Non avevo idea che serbasse quello.»
«Che non mi avete ancora chiarito.»
Lui mi strinse le dita e, d'improvviso, venni colta dai dubbi. Avevo notato che, durante l'interrogatorio, il potere era passato dal malvivente dagli occhi da rettile a Daniel, in preda a una gelida furia. Mr. Pilcher, malvagio com'era, aveva avuto paura di lui.
Mi trovavo in una bottega in cui era stato commesso un omicidio e soltanto Daniel lo sapeva. Magari era stato proprio lui a uccidere quel tizio... anche se, in questo caso, non sarebbe tornato a cercare indizi. D'altro lato, forse era venuto per accertarsi di avere coperto le proprie tracce.
Speravo di avere troppa fantasia. Daniel era furibondo, pericoloso, quando aveva inseguito i criminali intenzionati ad assassinare la regina e, in quell'occasione, mi aveva salvato la vita.
Chiuse gli occhi. Quando li riaprì, esprimevano rassegnazione e calma risolutezza.
«Naismith è, con ogni probabilità, responsabile della morte dell'unico padre che abbia mai conosciuto» sussurrò. «In vent'anni non sono mai riuscito a inchiodarlo con una sola prova.»
Nel silenzio, la lampada sibilò e una voce maschile, attutita, echeggiò fuori dalla porta chiusa. Presto venne coperta dal calpestio degli zoccoli dei cavalli e dal frastuono dei veicoli.
«Vent'anni fa eravate un bambino» azzardai.
«Avevo dieci anni.» Daniel chiuse le dita sulle mie. «La banda di Naismith fece irruzione nel nostro alloggio e massacrò tutti quanti, poi mascherò il crimine incendiando la casa. Io ero nascosto dietro la cassa della legna, in cucina, e non mi videro, oppure mi giudicarono indegno di attenzione. Tentai di soccorrere mio padre, di trascinarlo fuori, ma alla fine dovetti scappare per salvarmi la vita, appena prima che l'edificio crollasse. Non smisi di correre per tanto, tanto tempo.»
Le poche parole che riuscii a concepire si bloccarono nella gola, formando un groppo che mi mozzava il fiato.
Mi immaginavo Daniel, piccolo e minuto, rimpiattato al buio, dietro la legna da ardere, che assisteva alla strage di tutti coloro che conosceva. Costretto ad abbandonarli per sopravvivere. In fuga da solo nella notte per le brutali vie di Londra, senza un posto dove recarsi. Aveva dieci anni, l'età attuale di Grace.
Gli occhi mi bruciavano. Lo abbracciai in silenzio.
Lui trasalì, colto di sorpresa dalla compassione, poi si rilassò contro di me, appoggiando la testa alla mia spalla. Sentivo la carezza dei suoi capelli sulla gota, il respiro che gli gonfiava il petto.
Restammo così per qualche minuto, mentre il traffico passava con indifferenza per strada e le nuvole si addensavano e lasciavano cadere le prime gocce di pioggia.
Poi Daniel si raddrizzò lentamente e, con lentezza ancora maggiore, ruppe il mio abbraccio. Mi baciò a turno i palmi attraverso i guanti e, per un lungo istante, tacque tenendomi le mani, a occhi bassi.
Compresi la folle rabbia che lo aveva pervaso nell'udire quel nome da Pilcher. La disperazione del fanciullo si era mutata nell'uomo in spietata determinazione.
Infine mormorò: «Se Pilcher lavora per Naismith, li incastrerò tutti e due».
«Siete sicuro che sia stato Naismith a ordinare l'incursione a casa dei vostri?» gli chiesi.
Lui scosse la testa. «No, poiché avevo dieci anni ed ero soltanto terrorizzato. Però mio padre era in conflitto con lui da tanto tempo. Una guerra territoriale. Sì, lui era un fuorilegge, ma non un bruto. Era allegro e anche buono, benché fosse un ladro. Comandava nei quartieri sud di Londra, tutte le famiglie criminali rispondevano a lui. Come ho detto, non so se fossi davvero suo figlio, però mi trattava come tale. Mi definiva il suo erede e si prendeva cura di me. Tutto ciò scomparve nel giro di un'ora.»
Il tono era piatto, ma era chiaro che Daniel teneva a freno le emozioni. Ero tentata di abbracciarlo e confortarlo ancora, ma ero incerta se lo avrebbe gradito. «Cosa faceste?» gli chiesi. «Un lad così giovane... Chi vi aiutò?»
«All'inizio nessuno.» Scrollò le spalle. «Imparai a sopravvivere. Mio padre mi aveva insegnato bene, sia a procurami il necessario, sia a dimostrare una sincera riconoscenza verso le persone gentili.»
«Avete appreso a ingraziarvi le persone. Siete diventato il simpatico Daniel.»
«Se fossi divenuto malvagio, sarei morto» affermò convinto. «Mi avrebbero arrestato per un reato o per l'altro, impiccato o spedito ai lavori forzati. Dovevo scegliere.»
Aveva scelto di imparare di tutto, anche a sedurre. In vent'anni era diventato molto bravo.
«Grazie per avermelo raccontato» sussurrai. «Lo terrò per me.»
Lui si limitò a guardarmi. «Siete una persona rara, Kat Holloway.»
Avvertii una vampata di calore al viso. «Lo avete già affermato. Adesso dovremmo cercare indizi, suppongo.»
Con un cenno d'assenso, Daniel mi lasciò le mani. Lo vidi prendere fiato mentre si girava per sollevare la lampada ed esaminare il posto dove forse era stato trovato il corpo senza vita.
Io mi spostai da un lato per evitare di calpestare quella parte del pavimento e osservai le cianfrusaglie in vendita.
Intanto mi chiedevo se a crescere Daniel fosse stato il vero padre. Lui stesso aveva dubbi. Magari era figlio di un amico, oppure un orfano o un trovatello che si aggirava per strada. Quell'uomo aveva forse deciso che era abbastanza maturo per renderlo un apprendista ladro.
Questo spiegava perché fosse così bravo a forzare le serrature. Aveva imparato da piccolo ad aprire le porte e a muoversi in silenzio, passando inosservato. La capacità di strigliare cavalli, condurre carri, lavorare come falegname o idraulico e coordinare squadre di agenti per salvare la regina era frutto della ferrea volontà di sopravvivere.
O forse era davvero figlio di quell'uomo, nato al di fuori del matrimonio, proprio come James. Daniel aveva ignorato a lungo l'esistenza del ragazzo, e magari lo stesso valeva, rispetto a lui, per chi lo aveva allevato.
«Si chiamava McAdam?» domandai continuando a esaminare le merci. Presi in mano un orribile portagioie, del genere che si metteva sui tavolini da toeletta. Cherubini, coperti da pudiche tuniche, svolazzavano per un giardino con rose sproporzionate, dove signore dal viso troppo largo si mostravano i denti a vicenda sopra la tazza da tè. I bordi erano ornati da svolazzi dorati e argentati, scintillanti, inutili e brutti.
«No» rispose Daniel. «Carter. Adottai McAdam perché temevo che Naismith cercasse chiunque avesse nome Carter per eliminare tutti quanti.»
Aveva tentato di arruolarsi nella polizia, come aveva raccontato, ma non era stato accettato. Era stato spinto dalla volontà di rintracciare Naismith e arrestarlo?
«A Londra ci sono un sacco di Carter» notai. Posai il cofanetto e osservai una cornice dorata contenente la foto sbiadita di un bimbo sul cavallo a dondolo. L'oro era scrostato e l'immagine si distingueva appena. «Non avrebbe potuto dare la caccia a tutti.»
«In ogni caso mi pareva più sicuro presentarmi come McAdam.»
«Quindi non è il vostro vero nome. E Daniel?»
Non mi rispose. Quando mi voltai, lo vidi appoggiato al bancone. «Sono sempre stato chiamato così. Non ne conosco altri.»
«Mi spiace» sussurrai con dolcezza.
«Accadde tanto tempo fa. Adesso sono Daniel McAdam. L'ho reso ufficiale quando sono diventato maggiorenne.»
«Vi si addice.» Sentivo il cuore battere forte. Lo avevo sempre conosciuto con quel nome e ora mi rivelava che era falso.
«L'ho reso adatto a me.» Accennò un sorriso. «Ebbene, qui non ho trovato niente che non prevedessi. I poliziotti hanno toccato tutto, calpestando ogni impronta e ogni fazzoletto caduto di tasca, con scritto il nome dell'assassino... Hanno deciso di incolpare Pilcher e così resta.»
«Sono convinta che è innocente.»
«Anch'io.» Daniel si lanciò un'ultima occhiata intorno, poi spense il lume con un soffio. «Torniamo a Mount Street? Mi è venuta fame e, se non sbaglio, mi avevate promesso qualche scone.»
Si era di nuovo chiuso in se stesso. Proprio come una lanterna, irradiava luce, ma il nucleo restava intoccabile.
La gentilezza e la bontà erano in gran parte spontanee, ne ero sicura. Tuttavia quel pomeriggio avevo scoperto cosa si celava nel suo animo, e nessuno di noi due lo avrebbe dimenticato.
Appena giunti in Mount Street, entrai nella dispensa e presi le focaccine dolci tenute da parte per lui. Le avvolsi in un tovagliolo e gliele passai in fretta, indicandogli di uscire dal retro.
Daniel mi ringraziò, elargì un sorriso a tutti i presenti e se ne andò fischiettando tra gesti di saluto.
Tess scosse la testa, seguendolo con lo sguardo. Al suo arrivo, gli era corsa incontro dichiarandosi tanto felice che fosse sano e salvo. Lo aveva abbracciato con energia, poi si era voltata per asciugarsi in fretta gli occhi. «È sempre un mistero dove va, eh?»
In effetti. Ero contenta che Daniel mi avesse raccontato una parte della sua vita, ma nel contempo turbata. Provava un dolore profondo, anche se aveva imparato a mascherarlo. Mi chiedevo quanto avesse influito su di lui la sofferenza patita da bambino. E se l'avermi rivelato un segreto avrebbe cambiato la nostra amicizia. Magari si sarebbe pentito della confidenza e sentito a disagio con me. Un peccato.
Un vero peccato, sussurrò una vocina nella mia mente.
Non era il momento di pensarci. Dovevo preparare il tè e poi la cena. Tess aveva predisposto bene tutto quanto, dimostrando ancora una volta la rapidità con la quale apprendeva. Era intelligente, come aveva notato anche Daniel.
Forse troppo per lavorare in cucina. Ma che alternative aveva? Una giovane povera, già arrestata una volta, non ne vantava molte. Non poteva sposare un uomo d'alta classe senza rovinarlo. I mestieri per le donne erano assai limitati, a meno che non fossero molto ricche o molto eccentriche... in genere tutte e due.
Le avrei insegnato tutto il possibile. E scoperto cosa sapesse della porta del retro.
Decisi di non accusarla apertamente. Se fosse stata innocente, si sarebbe offesa, e non volevo davvero ferirla. Se invece fosse stata colpevole, avrebbe tentato di mentire e preferivo evitarlo.
«Avete un fidanzato, Tess?» le domandai con apparente noncuranza. «Ne avreste ogni diritto. Sono solo curiosa.»
«Io? Un uomo? Dio, no!» Mi fissò sbalordita. «Non ti puoi fidare. Dolci dolci, e poi spariscono e ti mollano con il marmocchio da tirare su. È successo a troppe amiche. Io non ci casco, Mrs. H.»