Tess si era espressa nel tono categorico di chi aveva raggiunto la saggezza e compativa gli altri.
La risposta affossò la mia teoria secondo cui aveva rubato nella dispensa per un amante. Avevo notato che era brava a mentire, ma si capiva con chiarezza quando era sincera.
Mi resi conto, inoltre, che era più prudente di me alla sua età. Io non avevo prestato molta cautela quando un uomo si era mostrato dolce e gentile.
Tuttavia, se fossi stata saggia, non avrei avuto Grace. Non potevo certo dispiacermi di essere la madre della bambina più bella del mondo. Sono le complicazioni della vita: non è mai una cosa o l'altra.
Lasciai cadere l'argomento e, come promesso, insegnai a Tess a preparare la crema al tè. Al mattino avevo messo a scaldare qualche casseruola di latte fresco e a quel punto la panna, in superficie, era piuttosto spessa. La schiumai, la feci bollire in un pentolino pulito, aggiunsi foglie di tè ancora verdi – cioè non arrotolate e seccate, operazione che le rendeva nere – e, per addensarla, misi anche un po' di zucchero e di gelatina di pesce.
Pescai quindi una cucchiaiata di crema e la mostrai a Tess. Lei l'assaggiò con esitazione, ma poi afferrò il cucchiaio e se lo mise in bocca. «Niente male» commentò leccandosi le labbra. «Quelli di sopra mangiano bene con voi in cucina, eh?»
Mandammo in sala il tè con gli scones e la crema al tè, poi ci dedicammo alla cena. Tess mi chiese cosa avessi scoperto a Scotland Yard e io le fornii un resoconto tagliato, escludendo la reazione di Daniel a Mr. Pilcher e le sue confidenze.
«Spero che trovino chi ha fatto fuori quel tizio» dichiarò lei in tono cupo. «Sono preoccupata per Mr. McAdam. È troppo spericolato.»
Ero di sicuro d'accordo.
Le insegnai a confezionare il burro alla maître d'hotel, un composto di burro, prezzemolo, sale, pepe e succo di limone, mescolato con un cucchiaio di legno. Tess mi chiese perché prendesse il nome da un signore che lavorava in un albergo e le confessai di ignorarlo.
Quando fu ora di cena, lo servimmo come antipasto, insieme al pesce cotto alla griglia.
Tess continuava a informarsi sulla mia uscita pomeridiana mentre finivo di cuocere l'arrosto, che sarebbe stato contornato da patate e insalata alla maionese fresca. «Allora chi deruba le case di Park Lane? Lo avete scoperto?»
Il tono era solo curioso. Niente suggeriva che, riguardo ai furti, sapesse qualcosa di più di quanto comunicato da Mr. Davis.
«No» risposi, «ma ne ho l'intenzione.»
La faccenda era andata avanti fin troppo a lungo. Quella sera Daniel si sarebbe incontrato con Lady Cynthia e Mr. Thanos al pub presso Bedford Square per fare il punto. Mi sarebbe piaciuto assistere alla discussione, ma ero troppo indaffarata per spingermi così lontano da casa. Se fossi uscita troppo spesso, Mr. Davis si sarebbe adirato, e a ragione, poiché era già oberato di impegni per la gestione della dimora. Inoltre rischiavo il licenziamento. E poi Mrs. Bywater avrebbe tentato di risparmiare promuovendo Tess a cuoca a pieno titolo. Un vero disastro.
«Ooh!» esclamò lei mentre sbatteva i tuorli. «Cosa state combinando, Mrs. H.?»
«Al momento preparo la cena» replicai con freddezza. Intanto versai il sugo della carne sulle patate, sistemate nella casseruola. «Ma domani vi presenterò alle mie colleghe delle cucine di Mayfair. Dovete conoscere le persone giuste, se volete farvi un nome.»
Senza dare segni di entusiasmo, Tess annuì e continuò a montare i tuorli, finché non li giudicai pronti per ricevere l'olio che li avrebbe trasformati in maionese.
Comunque erano affari miei se accompagnavo la mia aiutante nelle dimore svaligiate e poi mi guardavo in giro. Senza dubbio Lady Cynthia e Mr. Thanos si impegnavano al massimo, però nessuno conosceva i segreti delle case signorili come i domestici. Era ora che mi dessi da fare per conto mio.
Al mattino mi svegliai più allegra e vivace di quanto non mi capitasse da giorni. Era mercoledì, il che mi metteva sempre di buon umore. L'indomani sarebbe stato giovedì, la giornata di Grace.
Insieme a Tess, approntai la solita colazione per Mr. Bywater, ma fui più fantasiosa per il personale. Riempii una crosta di torta con uova, spinaci, pancetta affumicata, panna e qualche pezzetto di formaggio e la misi nel forno per imbrunirla. La servii a fette, insieme a patate e fragole alla panna fresca. Notai con piacere che i domestici divoravano fino all'ultima briciola, senza lagnarsi.
Dopo colazione, incaricai Tess di iniziare i preparativi per il pranzo mentre io stendevo la lista della spesa. Per mezzogiorno era previsto un pasto freddo, a base soprattutto di arrosto e di montone avanzati. Lasciai istruzioni a Mr. Davis per servirlo. Tess e io, gli spiegai, dovevamo fare acquisti per la prossima settimana, e la cena sarebbe stata semplice, poiché i Bywater intendevano uscire. Dopo avergli strappato l'assenso, presi scialle e cappellino, permisi a Tess di indossare il mio soprabito leggero e uscii con lei, canestri al braccio.
Dovevo fare qualcosa per il suo abbigliamento, riflettei mentre camminavamo. Al momento portava un vestito nero che era appartenuto a una delle domestiche, riadattato in fretta alla sua figura più esile. Aveva bisogno di indumenti suoi, di preferenza grigi per distinguerla dalle altre. L'abito che aveva sfoggiato all'arrivo non andava bene per lavorare e le sarebbe servito per la giornata libera.
«Il venerdì» decisi mentre percorrevamo Mount Street, verso Park Lane.
«Eh?» mi chiese lei da dietro. La via era troppo affollata per camminare affiancate. «Cosa dite, Mrs. H.?»
«Vi andrebbe il venerdì come giorno di riposo?» le chiesi girando appena la testa. «Vanno esclusi il giovedì e il lunedì, poiché sono miei, e non possiamo restare assenti allo stesso tempo. Il mercoledì sono troppo impegnata a preparare per il giovedì e nei fine settimana ci sono spesso ospiti, che richiedono cene più complesse.»
Da dietro mi giunse solo il silenzio. Strano da parte di Tess. Scansai un ragazzo che portava a spasso un cane e, quando mi voltai, la vidi a occhi sbarrati. «Giorno di riposo?» ripeté. «Insomma, posso lasciare il lavoro per una giornata intera, come voi?»
«Sì, certo. Ogni membro del personale ne ha una libera. Siamo in Inghilterra, non in un Paese selvaggio dove i servitori vengono sfruttati a morte.»
Tess affrettò il passo per prendermi il braccio e premersi contro di me mentre aggiravamo un gruppo di carri. «Siete troppo buona con me, missus. Non lo merito, no.»
Avrei dovuto essere lieta per la gratitudine, invece mantenni un tono secco. «Non sono io buona; è la pratica comune. Allora vi va bene il venerdì? Oppure preferite il martedì?»
«Venerdì, se non vi spiace. Va benissimo.»
«Come ovvio, mi devo consultare con Mr. Davis e Mrs. Bywater» notai. «Però sono abbastanza sicura che saranno d'accordo con me.»
«Certo.» Tess sfregò la spalla contro la mia. «Potete convincere tutti. Siete una maga.»
Questo mi toccò il cuore. Tess sapeva dimostrare l'affetto, tuttavia non potevo ammorbidirmi nei suoi confronti finché non avessi scoperto se tradiva la mia fiducia. «Sciocchezze.»
Arrivammo alla prima destinazione: una grande dimora di Park Lane, poco più a sud dell'ex ambasciata del Regno di Sardegna, un po' arretrata rispetto alla via, in fondo a un vialetto affiancato da olmi. Mentre ci avvicinavamo, Tess si guardava intorno con timore reverenziale. Io venni colta dall'apprensione. Se era davvero una ladra, le stavo indicando la strada per residenze piene di beni da rubare.
D'altro canto ero convinta che l'ipotesi di Lady Cynthia e Mr. Thanos fosse fondata: i malfattori avevano obiettivi ben precisi, non arraffavano a caso oggetti di valore. Era la chiave per risolvere l'enigma e me ne persuadevo sempre più.
Condussi Tess dietro il palazzo, lungo un sentiero infangato dalla pioggia della notte. In fondo a una breve rampa di scale c'era l'ingresso della cucina.
Bussai e venne ad aprire una sguattera, che spiò fuori con sospetto. Si illuminò in volto appena mi riconobbe e spalancò il battente. «Entrate, Mrs. Holloway, presto. Mrs. Hemming ha bisogno di essere rallegrata.»
Feci ingresso in una cucina tre volte più grande della mia. Benché fosse nel seminterrato, non era in basso come nella casa di Mount Street e aveva ampie finestre, dalle quali filtrava luce in abbondanza.
La saletta della servitù era separata dal locale da una parete finestrata per metà. Tutti i muri di quel piano erano in parte vetrati, il che andava a scapito della riservatezza, ma dava un'impressione di spazio. Soltanto la cantina e la dispensa erano ben chiuse, e solo perché il vino e certi alimenti avevano bisogno di stare al buio.
Mrs. Hemming era la governante. Si alzò dal tavolo della saletta, dove era intenta a cucire, e venne a salutarmi. La cuoca, invece, non provava molta simpatia per me; era una donna anziana che spesso mi accusava, borbottando tra sé, di montarmi la testa. Forse aveva in parte ragione, tuttavia era sempre troppo critica e non mi rivolgeva mai la parola.
Persino allora mormorò contro le serve che si credevano gran signore e se ne andavano di qua e di là, mentre la brava gente lavorava. Tess le scoccò un'occhiataccia, ma per fortuna tacque.
Mrs. Hemming, in impeccabile abito nero accollato, con un grosso mazzo di chiavi appeso alla cintura, aveva circa quarant'anni e capelli biondi raccolti in una severa crocchia che lasciava scoperto il viso pallido.
Era stata la governante di una delle prime case dove avevo lavorato, prima che il padrone vedovo, un marchese sulla soglia della vecchiaia, sposasse una giovane piuttosto insipida. Mrs. Hemming si era licenziata dopo essersi scontrata con lei in ogni colloquio. Io mi ero dimostrata più tollerante, dispiaciuta per la marmocchia che si era ritrovata di colpo, senza esperienza, a gestire una ricca dimora. Tuttavia mi ero stancata quando aveva cominciato a ordinare piatti esotici, come ghiri e formiche, e a scoppiare a ridermi in faccia se protestavo. La poveretta si era ammalata di tisi poco dopo la mia partenza, avevo sentito. A quanto sapevo, il marchese l'aveva accompagnata in Italia per godere del clima migliore e non l'aveva più portata indietro. L'aspetto positivo di quel posto era stato conoscere Mrs. Hemming, ormai un'amica.
«Buongiorno, Mrs. Holloway» mi salutò guidandomi verso il proprio salottino. «È sempre un piacere rivedervi.»
«Questa è Tess Parsons» la presentai, dopo che ci fummo accomodate nelle morbide poltrone. «La mia nuova aiutante. Tess, questa è Mrs. Hemming, una donna saggia e competente.»
Mrs. Hemming si compiacque del commento e prese un po' di colore. Gli occhi blu aiutavano a mitigare il pallore del viso. «Piacere di conoscervi, Tess. Siete fortunata. Mrs. Holloway è una cuoca di grande talento.»
«Eh, lo so!» esclamò con entusiasmo lei, poi si mostrò contrita. «Non dovevo rispondere? Mica conosco le regole.»
Notando che Mrs. Hemming inarcava le sopracciglia, intervenni. «Poiché si tratta di una visita tra amiche, è giusto che partecipiate alla conversazione. Tess è un po' rozza» spiegai quindi, «però impara in fretta e presto si esprimerà bene. Ero uguale a lei a diciotto anni.»
«Tutte noi.» Mrs. Hemming rivolse a Tess un cenno rassicurante. «Dunque, Mrs. Holloway, ho ricevuto il vostro messaggio. Di che si tratta?»
Avevo scritto brevi missive ai membri del personale che intendevo vedere quel mattino; di sicuro erano tutti indaffarati, e presentarsi a sorpresa sarebbe stato scortese. Inoltre avrebbe forse mandato in collera i datori di lavoro.
«Avete subito un furto, vero?» domandai. «Mr. Davis e io stiamo cercando un sistema per proteggere casa nostra, quindi abbiamo pensato di chiedervi cosa è accaduto.»
Tess mi lanciò un rapido sguardo, sapendo che non ne avevamo discusso. Comunque rimase zitta.
Mrs. Hemming fremette. «È stato orribile. Il padrone tiene tanto alla sua collezione di antichità. È stato in Grecia, sapete, ad Atene e in un altro posto dove dissotterrano vecchi vasi. Li ha portati a casa con tanta cura e sistemati nelle vetrine. Invita sempre gli amici collezionisti, che restano a guardarli per ore. Non so proprio cosa abbiano di tanto affascinante quei cocci polverosi.»
«Credo di capirlo.» Ricordavo la visita al British Museum insieme a Grace. Avevamo ammirato una cucina egizia in miniatura, piena di figurine di terracotta che infornavano il pane e producevano birra. Era rimasta ammaliata. «È come se una persona ci mandasse un messaggio dal passato. Migliaia di anni fa creò quell'oggetto e noi lo osserviamo adesso.»
«Forse» tagliò corto lei. Non era mai stata un tipo sentimentale. «Ma che trambusto quando è scomparso qualche pezzo! Sua Signoria ha vietato a tutto il personale di uscire di casa. Ha perquisito le nostre stanze, pensate un po'.»
L'offesa era tangibile. L'equilibrio tra datore di lavoro e dipendenti era basato sulla fiducia reciproca, anche perché i servitori conoscevano i segreti più intimi della famiglia. Noi eravamo tenuti a custodirli e in cambio potevamo svolgere i nostri compiti senza ostacoli. Quando veniva a mancare questa fiducia, da una parte o dall'altra, il posto diventava sgradevole, a volte intollerabile.
«Però non ha trovato niente» indovinai.
«Certo che no.» Il petto di Mrs. Hemming si sollevò per l'indignazione e i bottoni neri, che chiudevano il corpetto fino al mento, brillarono. «Perché un lacchè o una cameriera dovrebbero rubare il vasellame del padrone? Non avremmo nemmeno idea di cosa prendere. Che ne sappiamo dei vasi greci? Tranne che non vanno toccati, nemmeno per spolverarli» concluse, aspirando con il naso.
A quel punto entrò una domestica con un vassoio contenente una teiera, tre tazze e un piatto di portata pieno di dolci. Tess nascose le mani sotto le cosce, come per impedirsi di afferrarli. Spalancò gli occhi deliziata quando la governante ci servì il tè, chiedendo prima a me e poi a lei quanto zucchero e latte desiderassimo.
«Chi invita Sua Signoria ad ammirare le collezioni?» mi informai mentre alzavamo le tazze. Tess aveva nel proprio piatto una fetta di pan di Spagna, che tagliò con cura con la forchetta. Se ne mise in bocca un pezzetto minuscolo e, sorridendo, lo masticò e inghiottì. Mi chiesi se intendesse dimostrarmi che era capace di mangiare da signora e non da mendicante affamata.
«Parecchi gentiluomini» rispose Mrs. Hemming. «Lord Chalminster, che adora tutto ciò che è egizio, compresi i frammenti di mummia, se mi credete. Un vescovo del Derbyshire, un vero galantuomo, anziano e gentile, un po' distratto. Oh sì, il parroco di Grosvenor Chapel. Lui e il vescovo sono vecchi amici. Vengono anche alcuni archeologi che Sua Signoria frequentava in Grecia; li pagava per scavare e loro gli davano gli oggetti migliori che trovavano. E poi Sir Evan Godfrey, un avido collezionista, che però si lamenta di non potersi permettere altri acquisti, poiché ormai ha una moglie giovane e graziosa.»
Un interessante spaccato di vita dei piani superiori, riflettei. «Qualcuno di loro è stato derubato?»
«Oh, sì. Lord Chalminster e il vescovo, dicono. Il primo abita accanto a Sir Evan Godfrey. Da casa del vescovo, nel Derbyshire, sono spariti parecchi oggetti. A quanto so, ha una raccolta sterminata di antichità greche, egizie e mediorientali.»
Mentre lei parlava, presi un boccone di dolce, non minuscolo come quello di Tess. Era secco e con troppa vaniglia, forse aggiunta dalla cuoca per contrastare il limone in eccesso. Il pan di Spagna doveva essere leggero e soffice, e lo diventava separando le uova e sbattendo il bianco fino ad avere male al braccio. Quello invece era troppo denso.
Mrs. Hemming continuò: «A Sir Evan Godfrey è stato rubato qualche dipinto, ma niente di molto antico. Non si dispera troppo. A quanto pare, un quadro di un grande maestro per lui è meno importante di un vaso di polvere di mummia».
Tess storse il naso mentre addentava di nuovo il dolce. «Allora deve essere un ladro diverso.»
«Magari» convenne lei, poi tornò al discorso di prima. «Mi infastidisce che Sua Signoria sospetti di noi, mentre è chiaro che è opera di una banda. La signora, per fortuna, ha puntato i piedi per impedire che si frughi tra le nostre cose. Lui, però, è sconvolto.»
«Immagino» notai comprensiva. «Come è entrato il malfattore? Da una finestra? Dalla porta di servizio?»
Mrs. Hemming si accigliò sopra l'orlo della tazza. «Non si sa. Per questo il padrone giura che è stato un membro del personale. Nessun vetro rotto, nessuna porta forzata. Lord Chalminster ha riferito lo stesso, e anche il vescovo.»
«Un tizio che sa il fatto suo» intervenne Tess. «Deve essere un esperto di serrature.»
«In effetti» concordai. Oppure, come avevo già pensato, era entrato come ospite dall'ingresso principale, o magari da quello del retro in quanto servitore dell'ospite. Questo combaciava con l'idea di Lady Cynthia che i ladri fossero fanatici, intenzionati a riportare le antichità nel luogo d'origine. Il padrone di quella dimora invitava archeologi nelle sue stanze private, no? Forse occultavano reperti per trafugarli nei rispettivi Paesi, quando tornavano a scavare.
Tuttavia la mia ipotesi era più semplice. I collezionisti perdevano la testa per le loro carabattole, fino al punto di commettere crimini. Avevo lavorato in una casa il cui padrone raccoglieva fucili, uniformi, tamburi e simili delle guerre napoleoniche; oggetti francesi, non britannici. Perlustrava i mercatini e si recava a Parigi, felice di ingannare altri collezionisti sottraendo loro pezzi creduti di scarso valore, oppure smerciandone altri che sapeva falsi. Sedeva per ore nella sua stanza, attorniato dai resti dell'esercito di Bonaparte, senza mangiare né dormire, a fare chissà cosa.
Secondo la mia esperienza, i collezionisti erano pronti a tutto per acquisire un nuovo oggetto da esporre nelle teche di vetro. Si sarebbero abbassati a derubare un collega? Non si poteva escludere.
Una volta che Tess e io finimmo il dolce ? anche se la cuoca avrebbe dovuto vergognarsene ? rivolsi un cordiale saluto a Mrs. Hemming e me ne andai con la mia aiutante.
«Bella casa» commentò lei, camminando all'indietro per ammirarla mentre percorrevamo il sentiero accanto al viale d'accesso. «La cucina è molto più grande della nostra.»
«L'importante non sono le dimensioni, ma quello che ne esce» affermai. «Comunque sì, sarebbe piacevole avere più spazio.»
Proseguimmo lungo Park Lane. Una cuoca e un'assistente in giro a sbrigare faccende, come di sicuro pensavano i ricchi di Mayfair. Passando, diedi un'occhiata alla dimora che apparteneva forse a Lord Chalminster, un grandioso edificio bianco, nascosto in parte dai rododendri. Era coinvolto nell'ultimo fattaccio sul quale avevo aiutato Daniel a investigare. Era da incolpare anche per questo?
Tuttavia non ero diretta a casa sua, ma a quella di Clemmie, l'amica di Lady Cynthia. Girai intorno alla costruzione bianca, con le sue cupole in stile indiano e i suoi archi a punta – con Tess che guardava sbalordita la bizzarra architettura – fino alla porta della cucina. Mrs. Martin, la cuoca, era informata del mio arrivo, ma appena dentro la trovammo che correva qua e là sul pavimento di pietra, con l'assistente e parecchie cameriere che tentavano di aiutarla e, nel contempo, di evitare di intralciarla.
Pentole bollivano sui fornelli, il forno scaldava in maniera insopportabile lo spazioso locale e il tavolo era un disastro di farina, verdure tagliate, olio, panna e granelli di pepe sparsi. Nemmeno quando era caduto il maiale arrosto, la mia cucina era piombata in un simile caos.
«Mrs. Holloway!» Mrs. Martin si bloccò a metà di un passo, con gli occhi sbarrati per il panico. «Vi prego, se mi avete mai definita amica, salvatemi!»