Daniel fermò una vettura a nolo per accompagnarci a casa. Io mi incamminai al suo fianco mentre lui teneva in braccio con tenerezza James, semiaddormentato a causa dell'oppiaceo somministrato dal medico.
Viaggiai con loro fino a South Audley Street, dove Daniel mi aiutò a scendere e mi salutò. Poiché eravamo su una pubblica via, io mi limitai a rivolgergli un cenno prima che risalisse a bordo e si dirigesse a ovest, lungo Piccadilly, verso Kensington.
Proseguii a piedi, stancamente. L'ansia per James si era alleviata, ma l'avventura, subito dopo la notte insonne, mi aveva spossata. Il tragitto lungo South Audley Street, oltre Grosvenor Chapel, fino a Mount Street rischiò di annientarmi.
Tuttavia ero una cuoca, non una padrona di casa, quindi non potevo andare a letto a riposare. Il giorno prima era stato libero e, a quel punto, dovevo tornare al lavoro.
Quando entrai a passi pesanti in cucina, trovai i fornelli accesi e una pentola d'acqua bollente, con le uova che vi danzavano dentro. La pancetta sfrigolava in padella e un mucchio di fette di pane, spalmate di burro, tostava sulla griglia. In un'altra padella cuocevano patate e salsicce. Tess stava coprendo con un panno due filoni di pane, pronti da infornare.
«Eccovi!» esclamò appena mi vide. «Io e Lady Cynthia siamo arrivate a casa senza problemi. Ho avviato la colazione, come vi avevo promesso. Sedetevi, Mrs. H., vi verso una tazza.»
Agitò con orgoglio la mano per indicare i preparativi in corso, compresi i piatti ovali coperti, disposti in fila, in attesa di essere riempiti. Mr. Davis entrò con brio in cucina, in perfetta tenuta da maggiordomo e con il parrucchino a posto.
«Buongiorno, Mrs. Holloway. Tess ci ha raccontato di James. Povero lad. Sta bene?»
Mi chiesi cosa avesse raccontato di preciso Tess, ma il suo volto rimase inespressivo e innocente.
«Si riprenderà» risposi. «Riceve buone cure.»
«Sono contento» dichiarò lui con sincerità. Era un uomo di buon cuore, ormai lo avevo capito. Malgrado la rigidezza per quanto riguardava il protocollo domestico e lo svolgimento del lavoro di tutti noi, si dimostrava ragionevole e io cominciavo a considerarlo un amico.
Tess versò il tè, un chiaro e gustoso oolong, e mi mise davanti una fetta di pane imburrato. Mi ci avventai famelica. Era tostato alla perfezione, con il burro caldo e ben sciolto.
«Brava, Tess» mi complimentai masticando. «Forse i miei servizi non sono più richiesti qua dentro.»
Lei mi guardò impietrita. «Niente paura. Me ne vado. È il mio giorno libero. Non bisogna mai rinunciarci, come dite voi.»
«È così. Scherzavo. Ve la siete cavata a meraviglia e siete gentile a concedermi qualche minuto di riposo.»
Il sorriso tornò. «Va bene, allora. Sono felice per James. È in buone mani con il suo papà.»
«Lo è davvero.» Terminai la colazione e aiutai a sistemare le vivande nei piatti di portata, che Tess spedì al piano di sopra.
Mi diressi quindi alla dispensa e tornai con un cestino pieno. «Prendetelo.» Glielo misi in mano. «Avete una persona di cui occuparvi e, come ho affermato, qui riceverete sempre aiuto.»
Lei mi fissò sbalordita. «Ma non potete rubare dalla cucina di Sua Signoria.»
«Non è un furto» replicai indignata. «È cibo che ho comprato con i miei soldi. Scelgo sempre qualcosa per me stessa al mercato, un regalino dopo una dura giornata di lavoro. Però voglio che portiate questo a vostro fratello. Ha qualcosa di decente da indossare?»
Tess annuì. «Lo avrà.»
«Senza dubbio possiamo trovare in casa qualche indumento di scarto della sua misura, se gli occorre. Accertatevi solo che abbia un posto sicuro per dormire.»
«Adesso abbiamo una stanza. Pago l'affitto per lui» mi informò e aggiunse con voce tremante: «Siete troppo buona con me, Mrs. H.».
Io sollevai il mento, allarmata. «Vi prego, non scoppiate a piangere. Ho avuto una mattinata lunga.»
Con un sorriso solare, lei afferrò il cestino. «Avete ragione. Ho già avviato il pranzo, quindi riposate quanto volete. Tornerò in tempo per aiutarvi per la cena.»
Non ne dubitavo. Ero consapevole che avrebbe anche potuto sparire per sempre con quel canestro, ma ero anche certa che sarebbe rientrata. Quella dimora non ci apparteneva in senso proprio, tuttavia era per noi una casa, almeno per il momento. La baciai sulla guancia e la salutai. Lei uscì dal retrocucina e corse su per le scale con un'energia invidiabile.
Mr. Davis tornò dopo colazione, proprio mentre i piatti vuoti scendevano con l'elevatore. La sguattera e Charlie li portarono al lavandino per lavarli e io mi sedetti a bere un'altra tazza di tè. Un'aiutante efficiente era preziosa.
«Lady Cynthia è stata rimproverata con asprezza per essere andata in giro tutta la mattina in pantaloni» mi riferì il maggiordomo. «Secondo me gli zii sono troppo severi con lei. Considerato quello che combinano tante giovani al giorno d'oggi ? scappano insieme a libertini, giocano d'azzardo fino all'ultimo penny, bevono persino liquori ? i calzoni mi sembrano l'ultima delle preoccupazioni.»
Ero abbastanza d'accordo. Tuttavia Mr. e Mrs. Bywater si stavano impegnando al massimo per trovare marito alla nipote e liberarsi così della responsabilità. Più Cynthia si mostrava eccentrica, più difficile diventava l'impresa.
Ricordai quando aveva affermato che la vedovanza era la condizione migliore per una donna. Le restrizioni imposte dalla società alle nubili e alle coniugate lo rendevano vero. Era incredibile che le mogli non avvelenassero sempre i mariti, dopo essersi assicurate un buon appannaggio vedovile, pensai mentre bevevo un altro sorso di quel tè squisito.
Mr. Davis chiuse la bocca quando Lady Cynthia in persona scese con leggerezza le scale di servizio.
Quel mattino indossava un completo nero fumo con panciotto grigio chiaro. In mano aveva un cappello a cilindro e un paio di guanti di capretto grigio. «Davis» chiamò in tono piuttosto secco. «Mi spiace che abbiate dovuto assistere a quella scena nella sala da pranzo. Mia zia non si è ancora resa conto che maggiordomi e lacchè sono persone.»
Lui le rivolse un inchino formale. «Figuratevi, Lady Cynthia. Lo intendo come un complimento. Significa che la famiglia è in confidenza con me. Vi garantisco che niente uscirà da queste mura.»
All'interno, però, non esitava a discutere fino alla nausea di quanto veniva detto a tavola, tuttavia tenni per me l'osservazione.
Cynthia ridacchiò. «Siete un brav'uomo, Mr. Davis. Mrs. Holloway, avreste un minuto da dedicarmi?»
Il maggiordomo si allontanò, canticchiando mentre si dirigeva al suo ripostiglio.
Lei indugiò, tastando il cappello. «Credete che Mr. Thanos sia in grado di ricevere visite?» chiese quindi. «Vorrei vedere come sta... Anche il giovane James, ovvio. Sono eroi, in un certo senso.»
Io mi alzai. «Sì, credo sia un'ottima idea andarli a trovare. Vi posso accompagnare? Tess ha organizzato tutto così bene che non ci sarà bisogno di me per qualche ora.»
Lei inarcò le sopracciglia. «Intendevo proprio chiedervelo. Non l'ho detto? Sarebbe disdicevole se mi recassi da un gentiluomo celibe, per giunta a letto malato, senza chaperon, no? Dio mio, rischierebbe di crollare la casa.»
Annuii, divertita. «Meglio evitarlo.»
Riempii un cestino con pane fresco, torta di semi di cumino, pan di Spagna, mele, uva spina, un vasetto di cagliata al limone e uno di panna rappresa da portare a Mr. Thanos e James. A volte la medicina migliore era qualche assaggio di buona cucina. Cynthia mi aveva aiutata a scegliere le vivande, invitandomi a prendere quello che desideravo e assicurandomi che avrebbe affrontato lei la zia Isobel.
Indossai cappello e soprabito e uscii con lei. Cynthia si cacciò in testa il cappello a cilindro e si infilò in fretta i guanti, proprio come avrebbe fatto un uomo.
Aveva già noleggiato una carrozza, poiché non voleva prendere il lussuoso landò del cognato né viaggiare fino a Kensington in una scomoda vettura di piazza. Salimmo a bordo. Avevo estorto l'indirizzo preciso a Daniel lungo il tragitto dall'ambulatorio del medico, quindi indicai al cocchiere di lasciarci davanti a una certa casa di Campden Hill Road.
Questa si rivelò piuttosto modesta, alta tre piani, inserita in una schiera di simili edifici di mattoni, bruni nella parte superiore e imbiancati a calce a pianterreno. Due finestre quadrate segnavano ogni piano. La facciata era così stretta da indurmi a sospettare che ogni livello ospitasse una sola stanza. Una porta verniciata di verde, con batacchio lustro, era accanto alla rampa di scale del seminterrato.
Il mio istinto era di scenderle per recarmi in cucina, ma Lady Cynthia andò subito all'ingresso principale e picchiò il batacchio.
Venne ad aprire lo stesso Daniel. Indossava semplici calzoni di panno e una camicia di lino, senza panciotto. Sopra aveva una giacca sbottonata, forse indossata in fretta mentre si dirigeva alla porta. Non erano indumenti da lavoro e nemmeno un completo da gentiluomo, e io mi domandai se si abbigliasse così quando era libero di essere se stesso.
A quanto pareva, Daniel occupava l'intera casa. Avevo immaginato che affittasse soltanto un paio di stanze, invece entrò un istante nel salotto d'ingresso per piegare i giornali che stava leggendo, poi ci condusse al primo piano, dove c'erano due camere, una affacciata sulla strada e una sul retro.
In questa giaceva James. Dormiva, con un braccio bendato appeso al collo e l'altro posato sul guanciale, accanto alla testa. Russava piano. Il volto aveva ripreso colore intorno ai lividi.
Mi rilassai all'istante. Era giovane e forte, e aveva Daniel a occuparsi di lui. Vederlo a terra, per strada, aveva instillato in me un terrore profondo, ma ormai ero certa che sarebbe guarito.
Mr. Thanos, nella camera di fronte, era sveglio e vigile. Sedeva a letto contro un mucchio di cuscini, con addosso una veste da camera rosso porpora. Era attorniato da libri, quotidiani e taccuini, tutti aperti e sparsi sulle coperte e il comodino, alcuni gettati sul pavimento. Quando Daniel aprì la porta, si lasciò cadere in grembo un grosso tomo e ci guardò con gioia.
«Grazie a Dio!» esclamò. «Ditegli, vi prego, di tirarmi fuori da questo letto, signore. Sto benissimo, ma McAdam gioca a fare l'infermiere. Siamo a pochi passi da Kensington Palace Gardens e Holland Park, però non mi permette di passeggiare per ammirare le meraviglie della botanica. Morirò qui dentro, sapete.»
Il colorito era accesso, gli occhi scintillanti. In effetti aveva un bell'aspetto, ma la prudenza mi pareva opportuna.
«L'avvelenamento non va preso alla leggera» lo avvisai. «Soprattutto se si tratta di arsenico. A volte permane nell'organismo per qualche tempo. Occorre accertarsi che sia stato eliminato e che non vi faccia stare male perché vi alzate troppo in fretta.»
Lui si rattristò, perdendo le speranze. Cynthia trascinò una sedia vicino al giaciglio, prese posto, si appoggiò allo schienale e puntò gli stivali sul telaio del letto. «Non temete, Mr. Thanos, sono venuta a rallegrarvi. Mio zio si augura che stiate meglio e afferma che sarà pronto ad accompagnarvi al museo, appena vi riprenderete.»
«Ah, bene» mormorò Thanos, un po' addolcito. Quindi mi lanciò un'occhiata. «Per Giove, non immaginavo che foste così informata riguardo ai veleni, Mrs. Holloway.»
«Sono una cuoca» gli rammentai. «Mi sento in dovere di conoscere tutto ciò che un corpo può ingerire. Purtroppo l'arsenico è presente in molti aspetti della vita.»
«Rincuorante» commentò Cynthia. Mi prese di mano il cestino, lo posò sul letto e iniziò a frugarvi dentro. «Vi abbiamo portato qualche bella torta, Mr. Thanos, e l'ottima cagliata al limone di Mrs. Holloway. Li gusteremo mentre mi spiegate su cosa state lavorando.»
Lui si rischiarò in volto. «Ah... Si tratta di un nuovo modello dell'universo conosciuto. Non si sa con certezza se gli oggetti chiari, ma nebulosi, visibili con i telescopi più potenti, siano nubi di gas della nostra galassia, oppure si trovino al di là. Tuttavia dimostrare questa seconda ipotesi è infernale. Ho calcolato...»
Radunò alcune carte e le passò a Cynthia, che le scorse come se ne comprendesse il senso.
Daniel e io li lasciammo soli. Quando uscii, tenni la porta della camera aperta, altrimenti avrei mancato al mio dovere di chaperon.
Dopo un'altra occhiata a James, ancora addormentato, scendemmo la stretta rampa di scale per recarci in salotto. Era un locale accogliente, anche se piccolo e un po' in disordine; era una tipica abitazione da scapolo.
«Scusate se non ho preparato il tè.» Daniel mi indicò un sofà libero dai giornali. «Non prevedevo che arrivaste così presto.»
«Era ovvio che venissimo» risposi sedendomi. «Lady Cynthia e io eravamo preoccupate per i nostri amici.» Il sole si riversava dalla finestra affacciata sulla via e rischiarava la stanza. «Mi auguro che abbiate una cuoca o una governante.»
Lui scrollò le spalle. «Una donna viene al mattino a preparare la colazione.» Si accomodò sul sofà, al mio fianco. «Altrimenti me la cavo da solo. In fondo alla strada c'è una buona locanda. Compro da mangiare là.»
«È una bella dimora» commentai guardandomi intorno. «Anche se un po' fuori mano. Perché non ci avete portato prima James? C'è spazio per tutti.»
Intima e accogliente, pensai. Due locali per piano, un giardinetto sul retro, alberi frondosi per strada.
«L'ho presa in affitto solo poche settimane fa» mi spiegò lui con un abbozzo di sorriso. «Non avevo previsto che diventasse una casa di cura.»
«Siete buono con Mr. Thanos» dichiarai con convinzione. «E con vostro figlio.»
«A voi piace, Kat?»
Il cambiamento di tono mi indusse ad acuire i sensi. «Non è male» risposi con apparente noncuranza. «Dovrei ispezionare la cucina per vedere se supera l'esame, ma nel complesso...» Annuii. «L'approvo.»
Un largo sorriso gli rischiarò il volto. «Grazie al cielo. Allora magari mi degnerete di una visita, di tanto in tanto?» Sembrava sperarlo davvero.
«Mentre Mr. Thanos e James sono in convalescenza, di sicuro. Altrimenti sarebbe sconveniente.»
Una scintilla si accese negli occhi blu. «Quindi troverò uno chaperon. Vi assicuro che con me non dovrete mai temere per la vostra reputazione.»
«Mi auguro proprio di no.» Era la risposta prevista.
Potevo essere biasimata se provavo un pizzico di delusione? Una signora non desiderava certo venire sedotta e rovinata, ma in certi casi le sarebbe piaciuto avere una possibilità di scelta.
«Cosa farete adesso?» gli domandai in fretta. «Ora che il mistero delle antichità rubate è risolto e i colpevoli sono stati arrestati. Darete la caccia a Pilcher?»
Lui tornò serio. «Non lo so. Vale la pena di rivangare il passato? Tuttavia i miei ricordi... Fu orribile, Kat. Massacrarono tutti quanti in quella casa, senza scrupoli né rimorsi. Posso permettere a uomini simili di cavarsela?»
«Avvenne tanto tempo fa» gli rammentai.
«Gli anni trascorsi non rendono il crimine meno efferato.» Daniel scosse la testa. «Ha segnato per sempre la mia vita. Girare l'angolo, imboccare una direzione diversa...» Negli occhi balenò un sentimento che non sapevo definire, ma forse era paura. «Non so se sono capace.»
«Adesso avete James.» Gli presi la mano. «E me.»
Lui mi guardò. «Davvero?»
«Certo» confermai. «Sono leale agli amici. Quelli veri.»
Daniel non rispose subito. Mi tenne la mano scrutandomi in volto. Nei suoi occhi, le emozioni affioravano e scomparivano troppo in fretta per essere decifrabili.
«Non so per certo se quanto mi attende dietro l'angolo sia un sentiero facile, oppure un inatteso dirupo.» Deglutì e serrò la presa. «Mi terrorizza.»
Colsi la sincerità di quelle parole, vidi la sua incertezza. Lo comprendevo. Quando avevo appreso che mio marito era defunto e, allo stesso tempo, scoperto di non essere una vedova, ma una donna nubile con una figlia illegittima, mi si era aperto davanti un abisso. Aggrappata a Grace, lo avevo aggirato per tornare a fatica sul terreno solido.
Gli strinsi le dita. «Resterò al vostro fianco, lo prometto.»
All'improvviso Daniel si chinò e mi baciò. Io chiusi gli occhi per celare tutto ciò che rivelava il mio sguardo.
Il bacio fu più rapido e delicato di quello che ci eravamo scambiati dal medico, ma pieno di gratitudine e di speranza.
«Che Dio vi benedica, Kat Holloway» sussurrò Daniel.
In risposta, gli premetti il palmo sulla guancia, ruvida di barba.
Un suono di passi echeggiò sulle scale, poi la voce affannata di Cynthia invocò: «Aiutatemi. Quel dannato uomo è pronto a salire sul tetto e costruirsi un osservatorio».
Daniel scattò in piedi e mi trascinò con lui. Senza lasciarmi la mano, si diresse in corridoio.
«Maledizione» gridò su per la rampa. «Vi debbo legare al letto, Thanos?»
La voce di Elgin rispose con debolezza. Io non potei trattenere una risata mentre salivo di corsa insieme a Daniel, pronta a offrire assistenza. Intanto ringraziavo la fortuna perché ero attorniata da amici che mi colmavano di felicità.