9. «L’esuberanza del Ventesimo secolo»

Un pomeriggio di dicembre del 1961, Cassius Clay andò a pattinare con alcuni amici al Broadway Roller Rink, una struttura di Louis­ville solo per neri all’angolo tra la Broadway e la Nona. Nonostante la crescente popolarità, non aveva ancora vent’anni (li avrebbe compiuti di lì a poche settimane) ed era ancora un ragazzo spensierato a cui piaceva la compagnia dei vecchi amici del West End e della Central High.

Quando verso le sei uscì dal palazzetto, era già buio.284 Uomini e donne tornavano a casa dal lavoro guidati dalla luce dei lampioni. Clay notò un drappello di persone sul marciapiede opposto e decise di dare un’occhiata, sperando di trovare «una bella ragazza con cui parlare», come avrebbe ricordato anni dopo in una lettera. Quando attraversò la strada, capì subito cosa stava accadendo. La piccola folla stava ascoltando un nero in abito scuro che predicava la saggezza dell’onorevole Elijah Muhammad, il leader della Nation of Islam.

«Fratello,» disse l’uomo voltandosi verso Clay «vuoi comprare “Muhammad Speaks”, per poter leggere di quelli come te, la tua vera storia, la tua vera religione, il tuo vero nome prima di quello che ti hanno affibbiato i bianchi durante la schiavitù?».285

Clay conosceva la Nation of Islam. Era capace di recitare il testo della canzone di Louis X A White Man’s Heaven is A Black Man’s Hell, e aveva ascoltato un discorso simile a un angolo della strada di Harlem prima di partire per Roma, ma il giornale probabilmente era una novità per lui, anche perché il «Muhammad Speaks» era solo al secondo numero. Accettò una copia e l’uomo vestito di scuro lo invitò a un incontro che si sarebbe tenuto quella sera alle otto tra la Ventisettesima e Chestnut Street.

«Ok, ci sarò» rispose.

Prese il giornale e si allontanò, senza avere la minima intenzione di partecipare a quel raduno. Più tardi, però, sfogliandolo, a pagina trentadue il suo sguardo si posò su una vignetta. Una decina di anni dopo avrebbe descritto l’impatto di quell’immagine in una lettera scritta a mano. La missiva in questione, di cui sono rimasti solo dei frammenti, è rivelatrice per l’onestà e l’innocenza con cui fu scritta. Anziché esplorare alcuni dei motivi più profondi che lo avevano attratto nella Nation of Islam, Clay spiegava passo per passo in che modo il messaggio di Elijah Muhammad aveva cominciato a fare presa su di lui. Con un’ortografia incerta scrisse:

La vignetta era sui primi schiavi arrivati in america, e la vignotta mostrava gli Schiavi Neri che fuggivano dalle Piantagioni per pregare in Arabo rivolti verso Est, e lo schiavista gli correva Dietro con una frusta e colpiva il povero piccolo schiavo sulla Schiena dicendo Perché preghi in quella Languida, sai come ti ho detto di parlare, e lo schiavo diceva sì signore sì Padrone, pregherò Gesù, signore Gesù, e mi piacque quella vignetta, mi ha fatto qualcosa.286

Era sul punto di diventare indipendente, di allontanarsi da Louis­ville e dai genitori, ed esplorare cos’altro il mondo avesse da offrire. Nel 1961 Clay si era già imbattuto tre volte nella Nation of Islam, il che dà un’idea della velocità con cui il messaggio di Elijah Muhammad si stava diffondendo attraverso il paese. Se eri un nero in una prigione o in una città americana, la Nation of Islam stava diventando ineluttabile. Con l’avvento del giornale, Elijah Muhammad conquistava un pubblico più ampio e trasversale, oltre a una nuova fonte di guadagno.

Nonostante quei primi contatti, Clay non aveva sentito l’esigenza di unirsi all’organizzazione. La sua mente era occupata principalmente dalla boxe, e non da questioni razziali o religiose. Cash Clay aveva assunto un avvocato nero per esaminare il primo contratto da professionista del figlio, e lo aveva convinto a optare per un preparatore di colore, Fred Stoner. Ma quelle scelte si erano dimostrate irrilevanti. Il pugile Cassius Clay era interessato alla strada più breve per raggiungere fama e gloria, e non ai gesti filosofici o politici, ed è per questo che aveva affidato la sua carriera al Louisville Sponsoring Group, composto solo da bianchi, e aveva poi preferito un bianco come allenatore. Nelle decine di interviste concesse ai giornalisti tra il 1960 e il 1961, Clay non parlò né espresse mai solidarietà per i Freedom Riders che stavano attraversando il Sud a bordo di un autobus, con il rischio di essere arrestati e aggrediti, per far valere una recente decisione della Corte Suprema che aboliva la segregazione sui trasporti interstatali. E la sua voce non si alzò mai nemmeno in difesa degli studenti che protestavano nei ristoranti o del reverendo Martin Luther King Jr, aggredito da una folla di bianchi armati di pietre dopo aver parlato in una chiesa di Montgomery, Alabama. Se era a conoscenza di quegli eventi, non li considerava importanti oppure non sapeva come commentarli. Ma a furia di imbattersi nella Nation of Islam, il messaggio di Elijah Muhammad iniziò a fargli capire cosa significasse essere nero in America nel 1961. Per dirla con le parole del fratello Rudy: «Gli diede fiducia nel suo essere nero».287

La prima pagina del numero di «Muhammad Speaks» che Clay teneva in mano in quel giorno di dicembre includeva un articolo proprio del fondatore dell’organizzazione, identificato come il «Messaggero di Allah».288 Il pezzo iniziava così: «Io e i miei seguaci siamo stati accusati di essere antiamericani. Noi in realtà non sappiamo cosa sia americano e cosa antiamericano, visto che la costituzione degli Stati Uniti non ci ha insegnato cosa rende qualcuno un americano o un antiamericano». L’editoriale in questione si riferiva alla decisione di una sottocommissione del Senato della California che aveva etichettato come antipatriottici i «negri musulmani» e accusato la Nation of Islam di usare le sue scuole per predicare l’odio razziale. «Un’accusa totalmente falsa» scriveva Muhammad «perché insegniamo loro solo chi SIETE davvero. Possono odiarvi o amarvi, spetta a loro deciderlo». Aggiungeva poi che erano i bianchi a usare il loro sistema scolastico per instillare nei bambini bianchi l’odio nei confronti dei neri, e che i bianchi «erano i principali assassini dei negri».

Molti degli articoli della seconda edizione di «Muhammad Speaks» accentuavano il pensiero centrale della Nation of Islam: si stava avvicinando una «guerra apocalittica». Allah aveva permesso all’America e alle altre nazioni cristiane di schiavizzare gli africani – «pasteggiando con le ossa degli uomini per trecento anni» come diceva Muhammad. Secondo lui le sofferenze erano state un test, e gli uomini e le donne neri che erano pronti ad assumersi la responsabilità e abbracciare l’islam sarebbero stati ricompensati quando i bianchi sarebbero scomparsi e i neri avrebbero governato la terra. Rimproverava i suoi seguaci: «Tu sei l’uomo dormiente» scrisse in un altro numero del giornale. «Il bianco è bello sveglio. Ed è tutt’altro che sprovveduto. Ha costruito un mondo. Le sue conoscenze e la sua saggezza stanno aprendo un dialogo attraverso lo spazio».289

Clay non era una persona riflessiva. Non aveva condotto una vita di povertà e stenti. E non era nemmeno stato esposto al mondo delle idee attraverso libri e insegnanti. Ma il richiamo alla disciplina e al miglioramento personale di Elijah Muhammad toccò qualche corda nel giovane che beveva acqua con aglio, correva a scuola sfidando gli autobus ed evitava le nottate a base di alcol con gli amici. E il proclama secondo cui i cosiddetti negri erano il popolo prescelto da Dio di sicuro incontrò il favore di chi già si definiva «il Migliore». E poi c’era la vignetta. Era facile capire perché gli africani trasportati con la forza da una parte all’altra dell’oceano dovessero guardare con sospetto la religione degli uomini che li avevano schiavizzati e qualificati come subumani. Alla fine, sebbene non fosse mai stato vittima di nessuna aggressione razziale, Clay comprese che i bianchi avevano l’autorità per infliggergli ogni sorta di sofferenza. Aveva sentito il padre ripeterlo un’infinità di volte. I bianchi avevano il potere, e finché la situazione non cambiava, ogni nero avrebbe vissuto nel terrore. L’obiettivo principale dei neri era la sopravvivenza – non l’illuminazione e nemmeno l’arricchimento. La sopravvivenza era il meglio a cui si potesse ambire, perché a ogni angolo di strada e in ogni contatto con la società bianca, i neri rischiavano di affrontare la rovina economica, il carcere e la morte.

Quella vulnerabilità diede forza a un certo numero di uomini e donne di colore e ricordò loro che erano coinvolti in un’eterna battaglia. Ora, via via che si sentiva sempre più a suo agio nel suo ruolo di personaggio pubblico, è possibile che Clay stesse tentando di prendere posizione in segno di solidarietà verso i neri che soffrivano, accollandosi il fardello dal padre. Se il potere è la moneta dell’esistenza umana, Cassius Clay stava flettendo i muscoli nel senso più ampio del termine, saggiando la sua capacità di influenzare gli altri e modellare il mondo intorno a sé.

La filosofia di Elijah Muhammad offriva a un nero la possibilità di ottenere dignità e potere. Gli offriva un senso di sé. E l’approvazione dei bianchi non era richiesta. «La mente sta in sé stessa» dice Lucifero in Paradiso Perduto di Milton «e in sé stessa può fare dell’inferno un paradiso, o viceversa».290 Per Muhammad i neri non dovevano restare all’inferno solo perché erano i bianchi ad averli relegati lì. Possedevano la forza per forgiare la propria identità, per trasformare le condizioni che venivano imposte loro, e non avevano bisogno del permesso di nessuno e di nessun ordine della Corte Suprema. Potevano farlo grazie ai propri pensieri, al proprio potere e alle proprie azioni. Cassius Clay non era particolarmente interessato alla religione, ma il messaggio di Elijah Muhammad non era strettamente religioso. L’islam era una «facciata», spiegava Bennett Johnson, che lavorò per la Nation of Islam e conobbe il pugile nei primi anni Sessanta, «una struttura».291 Era una narrazione che offriva a Elijah Muhammad un mezzo per insegnare ai neri americani ad affrancarsi.

E, sempre secondo Johnson, incontrò il favore di Clay perché lui era un combattente nato.

Tra la fine del 1961 e l’inizio del 1962 Clay si divise tra Louisville e Miami. Un giorno, a Miami, all’angolo tra Second Avenue e la Sesta scorse un uomo con un abito spigato a righe che vendeva il «Muhammad Speaks».292 Questa volta, prima che il venditore facesse la sua mossa, Clay urlò dall’altra parte della strada: «Perché ci chiamano negri? Perché siamo sordi, sciocchi e ciechi?». Stava citando le parole della canzone di Louis X.293

L’imbonitore era un appassionato di pugilato e lo riconobbe all’istante. Si presentò come Captain Sam, sebbene il suo vero nome fosse Sam Saxon e in seguito lo avrebbe cambiato in Abdul Rahman. Saxon si era ritirato da scuola, faceva uso di droghe ed era un giocatore d’azzardo incallito – a suo dire «il terzo miglior giocatore di biliardo di Atlanta» – prima che la Nation of Islam lo rimettesse in riga.294 Quando non smerciava copie di «Muhammad Speaks», lavorava negli ippodromi cittadini – Hialeah, Gulfstream e Tropical Park – dove passava il tempo nei bagni degli uomini, porgendo asciugamani, lucidando scarpe e sperando nelle mance della clientela bianca.

Clay non vedeva l’ora di mostrargli il suo album di ritagli, e così i due salirono nella vecchia Ford di Captain Sam e si diressero all’hotel. Lungo la strada, Clay si dedicò alla sua solita routine, raccontando che voleva affrontare prima Ingemar Johansson e quindi Floyd Patterson, per diventare il più giovane campione dei massimi nella storia del pugilato. Saxon fu colpito dalla sua energia e dalla sua sicurezza: «Pensai: “Sì, quest’uomo diventerà campione. Ha fegato!”».

Tra i due nacque subito un’amicizia, e Saxon decise che avrebbe portato Clay nella Nation of Islam. «La conosceva, ma non ne faceva ancora parte». Parlarono del messaggio di Elijah Muhammad, dei nomi da schiavo e del significato della parola “negro”, il termine rivendicato da molti uomini e donne di colore durante il Ventesimo secolo, usato con orgoglio per riferirsi a individui che erano stati a bordo di aerei nel corso della Seconda guerra mondiale, che avevano messo in piedi le proprie attività, che erano entrati nelle leghe di baseball e che avevano fondato università, ma anche un termine che nella prima parte degli anni Sessanta sembrava perdere la sua forza, come se avesse fatto il suo corso, e che appariva inadeguato a gente come Captain Sam, che cercava un nuovo modo per definire sé stessa.

«Lo feci diventare quello che noi chiamiamo un “musulmano registrato”»295 raccontò Saxon, ricordando che la conversione non comportò alcun sotterfugio o stratagemma psicologico. «Per un nero non è complicato uscire dalla religione cristiana, dove non c’è nulla per lui. I bianchi ci avevano schiavizzato e affibbiato i loro nomi, e anche per lui era lampante. Non è difficile convincere un nero. La maggior parte della gente che non cambia ha il terrore nel cuore. Lui non aveva paura. Io non avevo paura… Non impiegò molto a credere. Cominciò a venire agli incontri e a partecipare come chiunque altro, pensando nel modo giusto, mangiando nel modo giusto».

A Louisville Clay non era stato pronto a presenziare alle riunioni della Nation of Islam, ma ora, forse per via dell’indipendenza regalatagli dalla lontananza da casa e dai genitori, passò dal Tempio 29, un negozio dismesso convertito in moschea – e rimase impressionato dalle parole che sentì.

«Il ministro cominciò a predicare, e fui davvero colpito da ciò che disse» avrebbe confidato anni dopo allo scrittore Alex Haley.296 «Il fatto che noi, venti milioni di neri in America, non conoscessimo la nostra vera identità, o nemmeno i nostri veri cognomi. E che eravamo i diretti discendenti di donne e uomini neri strappati a un ricco continente nero, portati qui e spogliati di tutte le informazioni che li riguardavano, a cui era stato insegnato di odiare sé stessi e i loro simili. Ed è così che noi, i cosiddetti negri, avevamo finito per essere l’unica razza del genere umano ad amare i propri nemici. Io sono sempre stato uno che afferra le cose al volo. E così pensai: “Senti qua, quest’uomo ha qualcosa da dire!”».

Mentre si avvicinava il suo ventesimo compleanno, Clay si stava preparando per il suo primo incontro da professionista al Madison Square Garden, il tempio per la boxe più importante del paese. Il suo sfidante, Sonny Banks, non era niente di che, con un record di dieci vittorie e due sconfitte contro una serie di rivali mediocri. Nonostante ciò, Clay lo vedeva come un momento cruciale, non solo perché avrebbe combattuto al Garden, ma anche perché avrebbe avuto la possibilità di autopromuoversi a New York, la capitale nazionale della stampa. Nel corso del suo primo soggiorno nella Grande Mela da quando era tornato dalle Olimpiadi, Clay fu più impertinente e sfacciato che mai. I giornalisti abboccarono, anche se ovviamente non sapevano che c’era una cosa di cui lui non parlava mai: la sua recente immersione nella Nation of Islam.297

Il 6 febbraio del 1962, Cassius Clay fu l’oratore principale nel corso di un pranzo che si tenne presso la Metropolitan Boxing Writer’s Association. «La boxe non è colorita come in passato» disse. «Abbiamo bisogno di gente capace di vivacizzarla e io penso di poter essere d’aiuto».298 In quell’occasione predisse che avrebbe mandato al tappeto il rivale al quarto round.

La sera dell’incontro un vento gelido sferzava Manhattan, e molti appassionati decisero di restare a casa a guardarlo davanti al televisore. Quando il nome di Clay venne annunciato, gli spettatori paganti del Madison Square Garden fischiarono, anche se non si trattò delle vigorose e rabbiose grida a squarciagola che accoglievano Gorgeous George. Le persone venute per vedere se Banks fosse in grado di mettere fine ai giochetti di Clay vissero un momento di eccitazione nel primo round quando Banks scattò da una posizione di difesa e colpì l’avversario con un gancio sinistro corto. Clay cadde, finendo col sedere a terra, anche se praticamente rimbalzò, rimanendo giù meno di un secondo. Tuttavia, era la prima volta che finiva al tappeto da professionista. Nel corso del round Banks sferrò altri ganci sinistri, nella speranza di aver trovato il punto debole del rivale, che però comprese subito le sue intenzioni e resistette. Sam Langford – un vecchio saggio della boxe e un poderoso picchiatore – una volta aveva dato ai colleghi il seguente consiglio: «Qualunque cosa l’altro voglia fare, voi impediteglielo».299 Clay restituiva i colpi e si allontanava, e Banks non riuscì più a fargli male. Nel secondo round Clay era ormai in totale controllo, l’attimo passato col fondoschiena a terra apparentemente dimenticato, e nel terzo usò l’avversario come un punching ball. Banks ciondolò e barcollò finché l’arbitro fermò l’incontro nei secondi iniziali della quarta ripresa. Dopo il match Harry Wiley, il secondo di Banks, spiegò: «Di colpo, la situazione si è messa sempre peggio».

Non si era trattato certo di uno scontro tra titani.300 Dopotutto, Clay era nono nella classifica dei massimi, e Banks non era nemmeno presente in graduatoria. Ma sopravvivendo a un ko e mettendo al tappeto il rivale, Clay si era almeno guadagnato dei punti tra i cronisti che lo consideravano «fragile di costituzione», per dirla con le parole di A.J. Liebling. Alcuni scrissero quella che poteva sembrare un’osservazione ovvia: al di là di tutte le chiacchiere a proposito della sua velocità e dei suoi riflessi, in realtà era anche più alto e più forte di gran parte dei suoi avversari.

Clay continuò a vincere per tutto il 1962, perlopiù contro pugili solidi ma non spettacolari come George Logan e Don Warner, uomini che combattevano soprattutto per soldi, e non per mantenere le promesse di gloria; uomini ben felici di incontrare uno sbruffone, la cui crescente fama significava un pubblico più numeroso rispetto alle loro abitudini. L’unico a dargli qualche grattacapo fu il ventiquattrenne di New York Billy «The Barber» Daniels, che ondeggiando sul tronco e utilizzando il jab costrinse Clay ad arretrare. Il pugile newyorchese, che si presentava con un record di 16 vittorie e nessuna sconfitta, mandò a segno colpi pesanti. Sembrava in controllo quando subì due ferite all’occhio sinistro, che indussero l’arbitro a interrompere il match durante la settima ripresa per salvaguardare la sua salute. Clay vinse così per ko tecnico.

Infine, a luglio, Clay salì sul ring contro un pugile nella top ten della classifica, l’argentino Alejandro Lavorante, che un anno prima aveva vinto per ko contro Zora Folley. Davanti ai dodicimila appassionati della Los Angeles Sports Arena, Clay partì subito colpendo con i jab lo sfidante più grosso e più alto, e impiegò solo due minuti per provocargli un taglio sull’occhio sinistro. Nel secondo round sferrò così tanti pugni che l’avversario ebbe a malapena il tempo di replicare. Uno di questi – un diretto destro – trovò la mascella dell’argentino e lo fece barcollare. Nel quinto, un altro destro si abbatté sul lato sinistro del volto di Lavorante, che crollò a terra. Quando si rimise in piedi traballando, Clay lo investì con un tremendo gancio sinistro rispedendolo al tappeto. La caduta fu così improvvisa che la testa di Lavorante rimbalzò sulla prima corda e finì sull’ultima, rimanendovi appoggiata come su un cuscino. L’arbitro, preoccupato per le sue condizioni, non lo contò nemmeno e alzò subito la mano in aria, dichiarando concluso l’incontro e facendo segno a un medico o un allenatore di intervenire (due mesi dopo Lavorante avrebbe combattuto di nuovo, finendo ancora ko e scivolando in un coma da cui non si sarebbe mai più risvegliato).

Quattro mesi più tardi, il 15 novembre 1962, Clay affrontò Archie Moore. Di lì a poco avrebbe compiuto quarantasei anni (o quarantanove, secondo alcuni), era un pugile attempato, con uno sbalorditivo record di 185 vittorie, 22 sconfitte e 10 pareggi, in una carriera iniziata nel 1935, quando Babe Ruth giocava a baseball e Franklin Delano Roosevelt lanciava il Social Security Act. Moore deteneva anche il primato assoluto di vittorie per knock out.

«Questo tizio mi suscita emozioni contrastanti» disse di Clay.301 «È come uno che sa scrivere benissimo ma non conosce la punteggiatura. Ha l’esuberanza del Ventesimo secolo, ma da qualche parte in lui c’è un retrogusto amaro… Certo, è comparso quando c’era bisogno di un nuovo volto nel mondo della boxe. Ma la sua ansia di voler incarnare quel volto potrebbe farlo esagerare, denigrando gli altri. È disposto a tutto pur di mettersi in mostra».

Moore annunciò che avrebbe colpito Clay con un nuovo pugno chiamato «il tappa-bocca», un riferimento al recente soprannome appiccicato all’ex pupillo: La bocca di Louisville.

Clay non si fece problemi a rispondere per le rime: «Moore deve andare giù alla quarta».

Il giovane boxeur si divertì da matti aspettando la borsa e il pubblico più importante della sua carriera. In quasi tutte le interviste descrisse il lusso nel quale sarebbe presto vissuto – scarpe di coccodrillo da cinquantacinque dollari, cinquecento verdoni in tasca, una «coniglietta» avvinghiata a ciascun braccio, alla guida di una fiammante Cadillac rossa con telefono incluso e una casa da 175.000 dollari. Clay raccontava queste cose con aria romantica, come un pittore parla di catturare la luce perfetta al tramonto. Quando una volta gli chiesero se combattesse per i soldi o per la gloria, replicò senza esitazione: «I soldi si accompagnano alla gloria».302 Più le sue parole erano audaci e più diventava impopolare. Un giorno, mentre si allenava alla Main Street Gym di Los Angeles, venne fischiato così fragorosamente che dovette intervenire la polizia per evitare eventuali disordini.303 Jim Murray, l’editorialista del «Los Angeles Times», scrisse che «la relazione sentimentale di Clay con sé stesso ha proporzioni tali che se Shakespeare fosse vivo ne avrebbe scritto un’opera. È una storia di grandi passioni e l’amore di Clay per Clay è così estatico che nessuna ragazza potrebbe mettersi in mezzo. Il matrimonio sarebbe quasi una bigamia».304

Prima dell’incontro, Angelo Dundee spiegò ai cronisti che Moore era troppo vecchio per arretrare, che sarebbe solo andato avanti. L’allenatore predisse che i jab di Clay gli avrebbero impedito di avvicinarsi, e a quel punto il vecchio campione si sarebbe trovato indifeso, quasi immobilizzato. Dundee aveva ragione: mentre Moore si ingobbiva, Clay gli girava intorno azionando il jab. Moore assomigliava a una tartaruga, si piegava per coprirsi, cercando il suo aggressore prima di piegarsi di nuovo. Nello spazio di pochi minuti il volto del vecchio pugile era tumefatto. Alla metà del terzo round, assomigliava a un uomo ansioso di essere da qualche parte, da qualunque altra parte tranne nel posto in cui si trovava, e a un certo punto cominciò a fare delle smorfie ancor prima di essere colpito. Alla fine, Clay lo spedì al tappeto alla quarta ripresa. Moore si rialzò e poi cadde di nuovo, si rialzò e cadde per l’ultima volta.

«Adesso tocca a Sonny Liston» dichiarò Clay dopo il match «e lo finisco in otto round».305

Si trattava dello stesso Sonny Liston che aveva umiliato il campione dei massimi, Floyd Patterson, mettendolo ko in soli centoventisei secondi; lo stesso Sonny Liston che aveva battuto Wayne Bethea così duramente che all’angolo avevano dovuto staccare sette denti dal suo paradenti e avevano notato del sangue che gli usciva dalle orecchie.

Quella sera Clay incontrò per caso Liston in una sala da ballo del centro di Los Angeles.

«Sei il prossimo!» gli disse.

Il campione però non parve preoccupato.

284. Muhammad Ali con Khalilah Camacho-Ali, s.d., collezione privata dell’autore.

285. Ibid.

286. Ibid.

287. Intervista dell’autore a Rahaman Ali, 30 agosto 2014.

288. What is Un-American?, «Muhammad Speaks», n. 1, dicembre 1961.

289. Taylor Branch, Pillar of Fire: America in the King Years, 1963-1965, Simon & Schuster, New York, 1998, pp 3-4.

290. John Milton, Paradise Lost, Hackett Publishing, Indianapolis, 1997, Libro 1, p. 13, versi 254-255, [Paradiso perduto, Bompiani, Milano, 2009, Libro I, p. 73, versi 254-257].

291. Intervista dell’autore a Bennett Johnson, 22 gennaio 2014.

292. Intervista dell’autore a Abdul Rahman, 21 marzo 2014.

293. Intervista dell’autore a Abdul Rahman, 19 agosto 2016.

294. Ibid.

295. Ibid.

296. Alex Haley, Playboy Interview: Cassius Clay, «Playboy», ottobre 1964.

297. Remnick, op. cit., p. 135 [trad. it. cit., p. 144].

298. Clay Expects to Enliven Boxing as Well as Win World Crown, «The New York Times», 7 febbraio 1962.

299. A.J. Liebling, Ahab and Nemesis, «The New Yorker», 8 ottobre 1955.

300. Ibid.

301. Cottrell, op. cit., p. 83.

302. Einar Thulin, Coffee with Cassius, 30 dicembre 1962, Hank Kaplan Boxing Archives.

303. Cottrell, op. cit., p. 82.

304. Jim Murray, Cassius on Clay, «The Los Angeles Times», 20 aprile 1962.

305. Cottrell, op. cit., p. 87.