Nel 1976, Muhammad Ali era ovunque. Un nome che un tempo sembrava così estraneo da essere incomprensibile adesso era diventato un marchio immediatamente riconoscibile. C’erano libri su Muhammad Ali, film su Muhammad Ali, giocattoli di Muhammad Ali, poster di Muhammad Ali, perfino una nuovissima catena di fast food chiamata Ali’s Trolley.246 E, ovviamente, c’erano ancora i match di pugilato di Muhammad Ali. Tuttavia, era chiaro che la fama di pugile di Ali fosse durata più a lungo delle sue abilità pugilistiche.
Per riuscire a riempire il palazzetto di Monaco di Baviera per il match contro Richard Dunn, Ali regalò i biglietti ai militari di stanza in Germania. Quando il reporter del «New York Times» Mike Katz gli domandò se non ci vedesse un che di ironico nel fatto che un obiettore di coscienza invitasse dei soldati a vederlo combattere, Ali rispose con una delle sue frasi preferite: «Non sei così stupido come sembri». Poi, aggiunse: «Io ero contro la guerra, non contro i soldati».247
Per l’incontro, Ali perse quattro chili in tre settimane. Sconfisse a mani basse Dunn, ma la sua prestazione fu tutt’altro che memorabile. In cinque round, mandò a segno solo dodici jab. Quel colpo gli era sempre stato utile sia per difendersi sia per attaccare. Era così veloce e bravo a usarlo che gli avversari non avevano mai il tempo di ribattere. Il jab gli permetteva di prendere il controllo dei match, di tenere i rivali a distanza rimanendo comunque abbastanza vicino per riuscire a portare i suoi colpi. Ma Dunn, che era un mancino, non era così vulnerabile di fronte al jab di Ali. Senza il suo pugno migliore e la velocità di gambe del passato, Ali aveva meno capacità di proteggersi. Quando sferrava larghi pugni potenti, Dunn faceva lo stesso e in almeno un paio di occasioni lo sfidante lo fece barcollare. Alla fine il campione riuscì ad avere la meglio, mandando al tappeto il rivale quattro volte nel corso della quarta ripresa e ponendo fine all’incontro con un ko alla quinta. Ma anche ai profani, era chiaro che ormai Ali fosse un pugile totalmente diverso. Non era più in grado di uscire indenne da un match, nemmeno contro illustri sconosciuti. I colpi alla testa erano lo scotto che avrebbe dovuto pagare per proseguire la sua carriera.
Nell’intervista televisiva concessa dopo il combattimento ringraziò Allah, Wallace D. Muhammad, la sua guida spirituale, il presidente Gerald Ford, Dick Gregory, che stava battendo in lungo e in largo l’America per sensibilizzare la popolazione sul problema della fame, e i maestri di karate che lo stavano preparando per la sfida contro Antonio Inoki. Poi salutò «tutta la mia famiglia a casa» senza citare nessuno in particolare.
Il frenetico calendario di incontri di Ali del 1976 rifletteva la natura frenetica della sua vita. Dopo nove anni, il suo matrimonio era ormai poco più che una reminiscenza di matrimonio, una traccia di ciò che era stato, e si stava avvicinando alla sua conclusione.
Belinda aveva da poco cambiato il suo nome in Khalilah, sostenendo che le fosse stato assegnato da Wallace D. Muhammad in persona. Nel corso di un’intervista a «People» dichiarò: «Non c’è più alcun matrimonio. Ormai è il passato».248
Adesso Khalilah, Veronica e Muhammad vivevano in appartamenti separati a Chicago, e Veronica era incinta di Ali.249
Anche i genitori del pugile si erano separati. Odessa era rimasta a Louisville e si era sistemata in una nuova casa compratale dal figlio, mente Cash girava il mondo, godendosi i benefici di essere il padre del campione – benefici che includevano un sacco di bevute gratis e le attenzioni di donne che in condizioni normali non si sarebbero mai interessate a un uomo che aveva il doppio della loro età.
Anche le finanze di Ali erano in pieno caos. Gene Kilroy pagava le fatture e cercava di tenere lontani gli avvoltoi. Herbert Muhammad si occupava di negoziare gli accordi. Bob Arum e Don King organizzavano gli incontri. Ma, spesso, Herbert, Arum e King finivano per trovarsi in competizione tra loro per chiudere i contratti. Se Ali avesse svolto le funzioni di direttore generale, fissando le strategie, definendo gli obiettivi a lungo termine e approntando un piano per garantirsi una tranquillità economica in prospettiva, avrebbe potuto benissimo già ritirarsi. Ma non andò così. Invece, nell’autunno del 1976 nominò Spiros Anthony, un avvocato di Fairfax, Virginia, suo amministratore fiduciario. Quest’ultimo affittò un ufficio e assunse un piccolo staff per vagliare le proposte di affari che arrivavano. «Era letteralmente la celebrità più corteggiata al mondo» spiegava Anthony. «Le lascio immaginare come lo bombardasse la gente, per convincerlo a comprare qualcosa o a sostenere progetti con la sua immagine. Orologi, tappeti da preghiera. Era sommerso da offerte di ogni tipo».250 Anthony investì il denaro del pugile nel settore immobiliare – soprattutto palazzi destinati a uffici e condomini. Ben presto però Ali lo accusò di sottrargli soldi per pagare i suoi debiti di gioco, un’accusa negata da Anthony. Il pugile gli fece causa. Pur continuando a dichiararsi innocente – affermando inoltre che gli investimenti immobiliari consigliati da lui avevano fatto guadagnare ad Ali milioni di dollari – Anthony accettò di chiudere la vertenza versando 390.000 dollari.251
Anthony fece diversi investimenti oculati per il pugile e coinvolse un contabile rispettato nel tentativo di ridurre i suoi debiti con il fisco. Ma dopo aver dato una breve occhiata alla documentazione, il contabile in questione, Richard W. Skillman della Caplin & Drysdale, trovò impossibile distinguere tra le spese professionali legittime e l’elenco in apparenza interminabile di prestiti e investimenti per gli amici di Ali. «Penso che fosse consapevole di buttare al vento il suo denaro».252
I guai economici del pugile proseguirono.
«Voglio davvero smettere» disse. «Ma se ti offrono dieci milioni, non è così facile».253 Dichiarò di volere abbandonare quando era ancora all’apice, ancora in salute, ma che voleva abbandonare con dieci milioni in buoni del Tesoro americano, «in modo che ogni mese possa ricevere nella casella delle lettere un bell’assegno da 85.000 dollari esentasse». Se i suoi affari fossero stati gestiti in maniera appropriata fin dall’inizio, se avesse fatto ricorso a espedienti fiscali o avesse investito in maniera oculata, dopo il ritiro avrebbe potuto ricevere un assegno ben superiore a 85.000 dollari. Ma non era andata in quel modo, e la fine della sua carriera si stava avvicinando a grandi passi. Adesso, aveva bisogno di guadagnare il più possibile finché era ancora in grado di battersi, per recuperare il tempo perso, per compensare le decisioni sbagliate, i matrimoni dispendiosi e le occasioni perse. Anche parecchi componenti del suo entourage – inclusi il padre, il fratello, Bundini e altri – contavano su di lui per potersi arricchire il più a lungo possibile.
«Forse non mi lasceranno smettere fino a quando non sarò più in grado di combattere».
Il match contro Inoki – sempre se si poteva definire un match – era stato un’idea di Herbert. I promoter giapponesi avevano promesso ad Ali sei milioni di dollari per vedere che cosa poteva succedere se sullo stesso ring si mettevano un campione di boxe e uno di catch. Ma via via che l’incontro si avvicinava, nessuno sembrava sapere se si sarebbe trattato di un combattimento con un copione già scritto, e quindi una semplice esibizione, oppure una vera sfida che mischiava le regole delle due discipline.
Tutti i 14.000 posti del Budo¯kan, il palazzetto dello sport di Tokio, erano stati venduti per l’incontro previsto il 26 giugno. Negli Stati Uniti, quasi 33.000 persone pagarono dieci dollari a testa per assistere alla trasmissione via cavo allo Shea Stadium di New York. Il pubblico dello stadio newyorchese avrebbe anche visto un incontro dal vivo tra il pugile Chuck Wepner e il wrestler professionista André the Giant. Ali, come sempre maestro di autopromozione, spiegò agli intervistatori che si sarebbe trattato del suo match più seguito. Promise che si sarebbe trattato di un combattimento vero e con ogni probabilità pieno di sangue.
A mano a mano che la sfida si avvicinava, quando divenne chiaro che Inoki voleva battersi e vincere in maniera legittima, lo staff di Ali propose regole che in buona sostanza avrebbero impedito al lottatore qualunque possibilità di infliggere sofferenza fisica all’avversario. Ali avrebbe indossato guanti leggeri da quattro once, mentre Inoki avrebbe combattuto a mani nude. Non sarebbero stati consentiti né ginocchiate né colpi sotto la cintura. Così come non si sarebbe potuto colpire l’avversario a terra. I calci erano autorizzati, ma a condizione di tenere un ginocchio a terra. Le regole non furono comunicate al pubblico prima dell’incontro. Se lo avessero fatto, c’è da scommettere che nessuno avrebbe pagato per assistere a una sfida che ricordava più una partita di Twister che le arti marziali.
Quando il match iniziò, Inoki attraversò di corsa il ring lanciandosi con i piedi in avanti contro Ali, nel tentativo di usare le proprie gambe per placcarlo. Lo mancò, ci provò di nuovo, lo mancò di nuovo. Invece di rialzarsi, però, Inoki rimase al tappeto, muovendosi come un granchio, cercando di tanto di tanto di attaccarsi agli arti inferiori di Ali per tentare di afferrarlo alla parte posteriore delle ginocchia e farlo cadere. Inoki era consapevole del fatto che il rivale sapesse combattere in un solo modo: con i pugni. E finché lui fosse rimasto a terra, l’altro non avrebbe potuto usarli. Mentre Inoki si muoveva avanti e indietro sferrando calci, Ali saltellava in giro per il ring, come qualcuno che cerca di calpestare un serpente.
Round dopo round, Inoki restava sulla schiena tentando di prendere a pedate i polpacci e le cosce dell’avversario. Nella quarta ripresa Ali saltò sulle corde per sfuggire all’assalto del giapponese, gridando in preda al terrore. Nella sesta, cercò di afferrare la gamba di Inoki, ma quest’ultimo ribaltò la situazione a suo vantaggio chiudendo l’altra gamba intorno al polpaccio del rivale e rovesciandolo al tappeto, per la prima volta della serata.
A quel punto, il giapponese si inerpicò sul petto di Ali e si accovacciò sul suo viso.
A che grado di umiliazione ci si può spingere per sei milioni di dollari? Ali aveva appena fornito la risposta.
Quello sarebbe stato il miglior momento dell’incontro.
Ali irrise Inoki, dicendogli di alzarsi e combattere. «Un pugno! Voglio soltanto un pugno!» urlò. Inoki, che preferiva evitare di essere colpito, rimase giù. Ben presto le gambe di Ali erano gonfie e sanguinanti. Dundee pretese che il lottatore coprisse le scarpe con del nastro adesivo, per non provocare ulteriori tagli alle gambe del suo assistito.
Una battaglia di cuscini sarebbe stata più spettacolare. Alla fine del match, Ali avrebbe tirato in tutto sei pugni inefficaci. «Un milione a pugno» si sarebbe vantato in seguito.254 In realtà, la sua borsa era ancora più alta. Aveva infatti mandato a bersaglio solo due pugni, il che voleva dire che era stato pagato tre milioni a pugno. O meglio, è quello che avrebbe ricevuto se l’incontro avesse generato l’incasso sperato.
I tifosi fischiarono e tirarono di tutto sul ring. I giudici sancirono un pari; gli spettatori paganti si concessero un linguaggio più profano.
Per Ali quell’incontro non fu soltanto imbarazzante. Dopo aver esaminato la sua gamba gonfia, Ferdie Pacheco lo esortò a rimanere a letto per qualche giorno. Invece, l’indomani Ali preferì partire subito alla volta di Seul, dove partecipò a un match di esibizione di quattro riprese per i militari americani. Quando tornò negli Stati Uniti, fu costretto a ricoverarsi per diverse settimane per dei coaguli formatisi nelle gambe.255
E se questo non era abbastanza, Inoki intentò una causa nei suoi confronti sostenendo che il cambio di regole dell’ultimo minuto lo avesse penalizzato nel combattimento e fosse stato all’origine degli scarsi profitti rispetto alle attese.256
Un mese circa dopo il suo ritorno dal Giappone, Veronica partorì una bambina chiamata Hana. Tre settimane più tardi, il 2 settembre 1976, Khalilah chiese il divorzio, invocando l’adulterio e «l’estrema e ripetuta crudeltà mentale».257 La causa venne chiusa in fretta, e Ali accettò di versare all’ex moglie 670.000 dollari in cinque anni. Ai soldi, il pugile aggiunse anche un appartamento in un condominio di Chicago e diversi altri beni. Promise inoltre di mettere un milione in un fondo fiduciario per i quattro figli.
Ora Ali aveva un’altra bimba da mantenere e una nuova ex moglie da risarcire, un incentivo ancora più grande per continuare a combattere. Tuttavia, la sua disciplina era sempre più claudicante. Quando si sentiva tonico, si svegliava alle 5,30 del mattino, lasciava la residenza di Woodlawn Avenue al volante della sua Stutz Blackhawk e, dopo aver percorso un chilometro e mezzo fino a Washington Park, correva intorno al perimetro del parco per un’oretta.258 Ma non si più sentiva tonico come in passato e la maggior parte delle mattine saltava del tutto gli allenamenti. Visto che Veronica non cucinava spesso, Ali mangiava pollo fritto e patatine fritte inondati da una salsa speziata arancione, acquistati in un ristorante della catena Harold’s Chicken Shack.259
Mentre si preparava per affrontare Ken Norton allo Yankee Stadium, Ali non parlava più di ritiro. Si mise inoltre a cercare nuove opportunità commerciali. Firmò un contratto per promuovere le lenzuola «Ali African Feelings», sulle cui confezioni sarebbe comparsa una sua foto in smoking. «Abbiamo anche copriletto, asciugamani e piumoni/lenzuola per neri, bianchi o marcantoni» rimò Ali durante la conferenza stampa di presentazione dell’accordo.260
Il pugilato diventa ogni giorno più duro per un vecchio come me
Vendere lenzuola è facile come bere un bel tè
Le fantasie sono belle, l’idea è un incanto
E non ci crederete, ma per farlo mi pagano tanto!
Una società di nome Mego International produceva i bambolotti di Muhammad Ali (così come quelli con le sembianze di Cher, Farrah Fawcett Majors e Fonzie di Happy Days). Il pugile aveva il suo cartone animato, The Adventures of Muhammad Ali, nel quale affrontava alligatori, combatteva bracconieri nella giungla africana e sfidava guerrieri venuti dallo spazio. C’era perfino una canzone intitolata Black Superman, in cui si parlava di «ferite» e di «re del ring», che ebbe un grande successo fuori dagli Stati Uniti. Di lì a poco avrebbe sponsorizzato la propria linea di abbigliamento sportivo, i concessionari Toyota in Arabia Saudita, la sua marca di lucido da scarpe, la catena di fast food Gino’s, gli orologi Bulova, i saponi Muhammad Ali rope-a-dope, le barrette di cereali al burro di arachidi Muhammad Ali, i cheeseburger Birds Eye (il cui lancio in Inghilterra fu accompagnato dallo slogan «ci vuole una boccaccia per mangiare un grande hamburger»), le frittelle di patate Ore-Ida, Pizza Hut e l’acqua di colonia Brut («Fluttua come una farfalla, pungi come un’ape, il profumo di Brut, il pugno di Ali»). Entrò in società con un’azienda saudita che aveva intenzione di vendere bibite Mr Champ’s, vernici e altri prodotti in paesi in via di sviluppo.261 Diede anche il suo assenso a un fumetto di Superman contro Muhammad Ali, e firmò per diventare il testimonial della d-CON, in televisione e sulle riviste. La sua immagine sarebbe apparsa su ogni scatola del produttore di trappole e spray per scarafaggi.
Era un segno? Un’anteprima di come sarebbe stato il prossimo capitolo della sua vita? Ali aveva già rinunciato a battersi per questioni razziali, religiose e politiche. E ben presto avrebbe anche smesso di prendere a pugni le persone. A quel punto, sarebbe diventato un imbonitore di prodotti e avrebbe smesso di essere il prodotto. Ma sarebbe stato solo così? Sarebbe bastato? Ali non lo diceva, e non sembrava avere alcuna fretta di scoprirlo.
Nel loro primo match, Norton gli aveva rotto la mandibola. In occasione della rivincita, Ali si era salvato grazie a una decisione contestata. Norton non demoliva gli avversari come Frazier, non picchiava con la stessa potenza di Foreman, ma era un pugile forte, intelligente e capace di difendersi bene, e Ali sapeva che avrebbe dovuto essere al meglio per vincere. Ma la domanda restava: il suo meglio sarebbe bastato?
In previsione di quell’incontro Ali non si allenò a Deer Lake, ma al Concord Resort Hotel nella regione dei Catskills, nello stato di New York. Fece i guanti solo per un centinaio di round – grosso modo la metà della sua preparazione normale per un match – e in generale suscitò più di un dubbio nei giornalisti riguardo alla sua etica per il lavoro.262 Tanto che uno di loro si lasciò andare a una battuta: «L’unica cosa che fa con la stessa ferocia di prima… è guardarsi allo specchio».263 Un giorno, tra una seduta e l’altra, portò a spasso Veronica su una golf car e tentò – perlopiù invano – di tirare qualche pallina sul green.264 In un’altra occasione, accolse un gruppo di sergenti che gli chiesero di posare per una campagna di reclutamento dell’esercito, che nel frattempo non si basava più sulla leva obbligatoria.265 Lui, con indosso una vestaglia bianca sopra i pantaloncini da boxe, accettò di buon grado, e se anche fece qualche commento ironico sulla faccenda, nessun cronista la riportò. Un altro giorno partì alla volta di Port Jervis per vedere un terreno che sosteneva di aver comprato da poco, ma durante il viaggio si perse e non riuscì mai a trovarlo.
Sebbene per il match fosse dimagrito, appariva ancora un po’ flaccido. I pettorali non erano scolpiti e intorno alla vita aveva cuscinetti di grasso. Aveva il fisico di un uomo che si era allenato per perdere qualche chilo di troppo, non per diventare più forte. Eppure, continuava a vantarsi di essere più potente che mai, che il suo nuovo stile di combattimento non richiedeva né velocità né leggiadria. «Sono quasi due volte meglio rispetto al primo match con Norton» dichiarò. «Se Frazier e Foreman non sono riusciti a fermarmi, come potrebbe mai farlo Norton?».266
La vendita dei biglietti andava a rilento, anche nelle sedi dove la sfida sarebbe stata trasmessa a circuito chiuso. Ali-Norton prometteva di essere un bell’incontro, sarebbe stata la bella, ma non suscitava la stessa eccitazione di Ali-Frazier o Ali-Foreman. Il campione non si prese nemmeno la briga di schernire il rivale. «Voglio lasciarlo tranquillo. Non mi stimola» disse.267
Durante la cerimonia del peso tentò di stimolarsi, ringhiando «ti voglio, negro!» e «non dimenticarti di presentarti all’incontro, negro!».268 Ma l’altro mantenne un atteggiamento indifferente.
Il match si svolse in una serata fredda e piovosa, davanti a una folla di circa ventimila persone allo Yankee Stadium. Uno dei tabloid cittadini lo definì lo «Yankee Afraidium», mentre «Sports Illustrated» propose «Junkie Stadium». La città di New York era in piena crisi, il tasso di criminalità era in continuo aumento e l’amministrazione era a un passo dalla bancarotta. Il resto del paese stava appena meglio. La più grande superpotenza mondiale era sempre più dipendente dal petrolio straniero, e in quel periodo si trovava di fronte a un’estrema penuria di combustibile. Il prezzo di benzina e olio da riscaldamento era aumentato vertiginosamente. Molti americani furono costretti a dar via le loro Cadillac e Oldsmobile, che ciucciavano carburante che era un piacere, per auto giapponesi dai consumi più bassi, ma non fecero certo i salti di gioia. Sembrava un’ammissione di debolezza. Per la prima volta dopo decenni, l’America dava l’idea di essere una nazione in declino. L’inflazione galoppava e l’economia balbettava. I telegiornali della sera raccontavano storie di paura e frustrazione.
Il Bronx era pericoloso ogni notte della settimana, ma quella dell’incontro lo fu in particolar modo, mentre i poliziotti manifestavano fuori dallo Yankee Stadium contro i nuovi orari di lavoro e il ristagno dei salari, bloccando il traffico, incitando i giovani senza biglietto a scavalcare e guardare il match senza pagare e, in buona sostanza, dichiarando ai quattro venti che nessuno sarebbe stato arrestato. Furono rubate limousine.269 Ci furono aggressioni. Red Smith del «New York Times» fu borseggiato.270 Tuttavia Odessa Clay riuscì ad assistere all’incontro. Indossava un lungo abito da sera nero e si sedette distante dal marito. C’era lo stuntman Evel Knievel, con anelli di diamanti e stivali da cowboy fatti con pelle di boa.271 Tra il pubblico c’erano anche il pittore LeRoy Neiman, Telly Savalas, la stella del tennis Jimmy Connors, Caroline Kennedy e Joe Louis. L’inizio dell’incontro subì un leggero ritardo perché i pugili fecero fatica a raggiungere lo stadio.
Quando finalmente il match cominciò, Ali andò alla ricerca di un rapido ko. Ormai combatteva come se fosse Sonny Liston, come un picchiatore che vuole chiudere in fretta la pratica. Ma non possedeva la potenza di Liston, e quando si piantò al centro del ring per lanciare i suoi colpi, Norton li bloccò o li schivò quasi tutti. Lo sfidante non si ritrovò mai in difficoltà. Nemmeno Ali, peraltro, anche se fu Norton a sferrare più pugni. Lo sfidante fu il più attivo, il più aggressivo e il più abile dei due. Il campione utilizzò molti dei suoi consueti trucchetti, ormai noti a tutti, agitando il sedere, caricando le braccia all’indietro prima di colpire e dando il massimo nei secondi finali di gran parte dei round per lasciare una buona impressione nelle menti dei giudici. Nell’ultimo minuto del match fece in particolare un gran bel lavoro, preparando e scagliando una marea di pugni, mentre l’avversario combatteva come se fosse certo della vittoria e non volesse correre ulteriori rischi.
I jab di Ali arrivavano fiacchi a destinazione. Non scossero mai Norton, non lo ferirono e non lo rallentarono. Nel corso di quindici round tutt’altro che elettrizzanti, Norton mandò a segno 286 pugni contro i 199 del campione, 192 a 128 tenendo conto solo dei colpi più pesanti. I numeri non sempre danno la misura del dolore e dei danni inflitti, ma in questo caso erano assai eloquenti. Norton era il migliore e il più forte dei due. Andò a bersaglio più volte, con una percentuale di riuscita più alta e pugni più incisivi.
Al gong finale, lo sfidante ringhiò all’indirizzo di Ali: «Ti ho battuto!».272
Non avendo nulla da replicare, Ali si voltò e si diresse verso l’angolo, la testa china, le spalle curve.
Ma Norton si stava sbagliando. Non aveva battuto Ali – o almeno non per i giudici. Con una delle decisioni più controverse nella storia della boxe, Ali fu dichiarato vincitore.
«Sono stato rapinato» dichiarò singhiozzando lo sfidante mentre lasciava il ring.273
In seguito, nello spogliatoio, Ali ammise di aver probabilmente vinto grazie al suo stile. «Ai giudici piace sempre vedere qualcuno che danza. Ho cambiato atteggiamento perché la tattica di combattere al centro del ring non stava funzionando».274 Lungi dall’autoproclamarsi il più grande, Ali sosteneva di aver trionfato perché nei suoi confronti ormai c’erano meno aspettative. «Considerando la mia età e tutte le mie traversie… quella di stasera è stata una prestazione perfetta».
Se quella era la sua idea di perfezione, beh, allora i suoi standard si erano fin troppo abbassati. Dopo il match, Paul Zimmerman del «New York Times» chiese ai colleghi chi avesse vinto secondo loro. Su ventuno, diciassette risposero Norton. Anche Frazier era del loro parere: «Pensate davvero che avrebbero fatto vincere Norton, con tutti i soldi che guadagnano grazie ad Ali?».275
Un giornalista rivolse la seguente domanda al campione: «Per quanto tempo pensi di poter combattere ancora grazie a quella boccaccia?».
«Sei davvero un fottuto negro Zio Tom a chiedermi una cosa simile» replicò Ali.
«Ti sto chiedendo» insistette il coraggioso reporter «quanto tempo pensi di poter combattere ancora grazie a quella boccaccia».
«Abbastanza per prendere a calci il tuo culo negro».276
Nel 1976 Ali aveva combattuto quattro volte (escludendo l’esibizione farsesca con Inoki), e se non fosse stato per la generosità dei giudici, con ogni probabilità avrebbe perso due match su quattro. Perfino i suoi ammiratori della stampa cominciavano a definirlo cotto. «Ormai è incontestabile,» scrisse Mark Kram su «Sports Illustrated» «Ali come pugile è finito. La fatica, la battaglia senza esclusioni di colpi di Manila, l’incessante sfilata di donne procurategli da quegli idioti del suo entourage, tutto questo l’ha svuotato».277
Pochi giorni dopo il match, Ali volò in Turchia con Wallace Muhammad per incontrare alcuni dignitari musulmani. In un’intervista concessa all’aeroporto di Istanbul, disse che si sarebbe ritirato dopo un’ultima sfida con Foreman. Ali e Wallace, in compagnia del vice primo ministro turco Necmettin Erbakan, parteciparono alla preghiera di mezzogiorno nella celebre Moschea Blu. Subito dopo, il pugile fece il grande annuncio: «Su richiesta del mio grande leader, Wallace Muhammad, da oggi rinuncio alla boxe e mi dedicherò a lottare per la causa islamica. È sempre stato il mio sogno diventare campione, per poi ritirarmi e mettere la mia influenza e la mia fama al servizio dell’islam e di Allah. Molti mi consigliano di ritirarmi, mentre altri mi spingono a combattere ancora qualche incontro. Non voglio perdere, e se continuassi rischierei di perdere. Certo, potrei guadagnare altri soldi, ma l’amore dei musulmani e l’amore della mia gente valgono più dell’arricchimento personale. E quindi lascerò mentre sono tutti felici, e lascerò da vincitore. Lui è il mio leader,» dichiarò indicando Wallace Muhammad «lui è la mia guida spirituale nell’islam, e in ogni caso voglio ritirarmi. Mi ha consigliato di farlo adesso, perché sarebbe una scelta saggia. Nella mia testa non ci sono dubbi».278
Sotto la tutela di Wallace, Ali stava imparando di più sull’islam ortodosso. Si prostrava ogni giorno per pregare e spesso invitava i suoi amici non musulmani a farlo con lui. Era felice di insegnare il significato e l’importanza delle preghiere. Spiegava che la parola islam significa sottomissione, o abbandono, e che tutti i musulmani sanno che è fondamentale sottomettersi alla volontà di Dio per poter vivere in pace. Le preghiere giornaliere servivano a rafforzare il suo legame con Allah, a ricordargli di continuo che Allah è onnisciente, misericordioso ed eterno. Ali non era mai stato particolarmente portato a sottomettersi alla volontà di altri uomini, una caratteristica che aveva contribuito a renderlo grande. Ma un conto era mettere in discussione l’autorità di un governo, un altro era mettere in discussione l’autorità di Dio. Trovava conforto nelle parole del Corano. Diceva agli amici che pregare gli trasmetteva la sensazione che ci fosse un ordine nell’universo.
Nonostante tutto, non era sicuro di essere pronto ad appendere i guantoni al chiodo. Durante il viaggio di ritorno dalla Turchia iniziò a tentennare. Raccontò a Wallace che aveva già speso gran parte dell’assegno intascato per il match con Norton, e che avrebbe subìto enormi pressioni per continuare a salire sul ring, specie da Bob Arum, Don King e Herbert Muhammad.
Di ritorno negli Stati Uniti, Wallace elogiò la decisione di Ali di lasciare la boxe in un discorso a suoi discepoli a Chicago. Disse che comprendeva che Ali avrebbe incontrato delle difficoltà ad abituarsi a una vita senza pugilato e che avrebbe potuto affrontare pressioni di natura economica. «Se dovesse perdere la sua ricchezza a causa del cambio di vita» disse «gli offrirò tutta la mia ricchezza». Ma il mentore religioso di Ali si mostrava fiducioso, aggiungendo di essere fiero che il pugile d’ora in avanti si sarebbe dedicato a combattere per Dio anziché per i soldi.
«Muhammad Ali, mi felicito con te per aver fatto questa scelta, che tu riesca a mantenerla o meno».279
246. Foto e didascalia, «Jet», 8 gennaio 1976.
247. Intervista dell’autore a Mike Katz, 17 maggio 2014.
248. The Ali-Belinda Split Is Made Official — and Mysterious Veronica Turns up Pregnant, «People», 19 aprile 1976.
249. Ibid.
250. Intervista dell’autore a Spiros Anthony, 9 marzo 2016.
251. Ibid.
252. Intervista dell’autore a Richard W. Skillman, 12 dicembre 2016.
253. Ali Admits Decline, but “They Won’t Let Me Quit”, «The New York Times», 26 maggio 1976.
254. Ali Punches More for Army, «The New York Times», 28 giugno 1976.
255. Ali Hospitalized, «The New York Times», 2 luglio 1976.
256. Ali Confident in Bout with Norton Tonight, «The New York Times», 28 settembre 1976.
257. Notes on People, «The New York Times», 5 ottobre 1976.
258. Intervista dell’autore a Tim Shanahan, 15 luglio 2014.
259. Tim Shanahan, Running with the Champ, Simon & Schuster, New York, 2016, p. 98.
260. Ali Extends Reach to Sheets, «The New York Times», 4 agosto 1976.
261. Ali’s New Drink: “Mr. Champs” Soda, «The New York Times», 9 maggio 1978.
262. Ken Spars 225 Rounds; Ali 100, «New York Daily News», 26 settembre 1976.
263. Ali Now Talking Comeback on Title MerryGo-Round, «New York Daily News», 23 settembre 1976.
264. Ali Is up to Par, «New York Post», 23 settembre 1976.
265. Busy, Like a Bee, «New York Post», 25 settembre 1976.
266. How Ali, Dundee United, «New York Post», 22 settembre 1976.
267. Ali Set to Slam in the Rubber Match, «Sports Illustrated», 27 settembre 1976.
268. The Champ’s Show, «New York Post», 24 settembre 1976.
269. Police Flout Writ by Blocking Traffic at Ali-Norton Fight, «The New York Times», 29 settembre 1976.
270. Intervista dell’autore a Mike Katz, 17 maggio 2014.
271. The Fight Crowd Finery, «New York Post», 29 settembre 1976.
272. This Was for Auld Lang Syne, «The New York Times», 29 settembre 1976.
273. “I Was Robbed”, «New York Post», 29 settembre 1976.
274. Ali Finds Non-Believers in His Dressing Room, «The New York Times», 29 settembre 1976.
275. What’s Ali Got Left? Not Much, «New York Post», 29 settembre 1976.
276. Ibid.
277. Mark Kram, Not the Greatest Way to Go, «Sports Illustrated», 11 ottobre 1976
278. Ali Declares He Is Retiring to Assist “the Islamic Cause”, «The New York Times», 2 ottobre 1976.
279. Raise New Doubt over Ali’s Future, «Manchester (CT) Journal-Inquirer», 4 ottobre 1976.