Miami, 1964
PRIMO ROUND. LO SFIDANTE: CASSIUS CLAY
Una lunga Cadillac nera1 costeggia le palme ondeggianti e parcheggia davanti al Surfside Community Center. Il sole pomeridiano scintilla sul paraurti cromato dell’auto. Cassius Clay scende. Indossa una giacca di jeans su misura2 e fa oscillare un bastone dandy da passeggio.
Si guarda attorno per vedere se qualcuno l’ha notato.
Non ancora.
Grida: «Sono il più grande evento della Storia! Sono il re!».3
È alto e di una bellezza sorprendente, con un sorriso irresistibile. È una forza di gravità, capace di attirare in un attimo la gente nella sua orbita. Si sentono dei colpi di clacson. Su Collins Avenue alcune macchine accostano. Le donne si sporgono dalle finestre degli hotel e gridano il suo nome. Uomini in bermuda e ragazze con pantaloni aderenti4 si accalcano per osservare il pugile spaccone di cui hanno tanto sentito parlare.
«Fluttua come una farfalla! Pungi come un’ape!»5 urla. «Combatti, ragazzo, combatti! Ahhh!».
Mentre la folla aumenta di minuto in minuto, arriva il capo della polizia che tenta di convincerlo a spostarsi in un parcheggio, dove creerebbe meno disagi. Il fotografo di un giornale punta verso di lui il suo apparecchio, ma invece di sorridere Clay apre la bocca mimando un urlo. Sferra un jab che si ferma a pochi centimetri dall’obiettivo.
«Sono bello e mi muovo alla velocità della luce»6 dice col suo dolce accento del Kentucky. «Ho solo ventidue anni e farò un milione di dollari!».
SECONDO ROUND. IL CAMPIONE: SONNY LISTON
La mano sinistra di Sonny Liston è un ariete, la destra un martello. Bum! Bum! Bum! Colpisce così forte il sacco che le pareti tremano e le mani dei cronisti ballonzolano cercando di scarabocchiare un sinonimo di «pauroso».
Liston è il pugile più devastante che si sia visto da oltre una generazione, i suoi pugni hanno una circonferenza di trentotto centimetri e il suo petto sporge come la parte anteriore di un carrarmato M4 Sherman. È impavido e feroce. Quanto feroce? Una volta, durante una rissa, ha messo giù un poliziotto, lasciandolo a terra incosciente, gli ha sottratto la pistola, l’ha sollevato e gettato in un vicolo, per poi andarsene sorridendo con in testa il cappello dell’agente.
Liston non si limita a sconfiggere gli avversari: li spezza, li umilia, li perseguita, e loro continuano a schivare i suoi pugni anche in sogno. Sonny Liston è la maledizione dell’America. È la minaccia nera scaturita dagli stereotipi razzisti dei bianchi. E a lui piace così.
«Ci devono essere sia i bravi che i cattivi ragazzi»7 dice, paragonando il mondo a un film di cowboy. «I cattivi dovrebbero essere quelli che perdono. Beh, io questa cosa la cambio. Io vinco».
Quando viene a sapere che il giovane con cui dovrà presto combattere per il titolo dei massimi è fuori dal centro in cui si allena, Liston esce per affrontare il piantagrane. Allontana le mani protese dei tifosi8 e cammina fino a trovarsi a distanza di pugno da Cassius Clay.
A quel punto si ferma e sorride.
«Clay» dice a un reporter «è soltanto un ragazzino che ha bisogno di una sculacciata».9
TERZO ROUND. IL MINISTRO: MALCOLM X
È notte. In un’angusta camera d’hotel10 vicino all’aeroporto John F. Kennedy di New York, il trentottenne Malcolm X racconta a un giornalista la storia della sua vita. Malcolm è un uomo alto e slanciato, con una mascella volitiva, e indossa occhiali con la montatura di corno. Anche quando sorride, ha un’espressione austera.
Detta le parole camminando, sedendosi soltanto per scarabocchiare qualche appunto su dei tovaglioli. Non può aspettare di essere vecchio per scrivere la propria autobiografia. Di recente, è stato sospeso dalla Nation of Islam per aver disobbedito al leader di quell’organizzazione radicale, Elijah Muhammad, e non sa se sarà mai riammesso. Qualche mese prima, Elijah Muhammad aveva ordinato ai suoi ministri di non rilasciare commenti sull’assassinio del presidente Kennedy, in segno di rispetto verso una nazione in lutto, ma lui aveva parlato comunque, dichiarando che l’attentato era il prodotto della violenza americana in Vietnam, in Congo e a Cuba. «Essendo io stesso un ex ragazzo di campagna» aveva detto «ho sempre pensato che uno raccoglie ciò che semina».11 Ci sono altri problemi, altre forze che stanno intaccando il rapporto tra il discepolo e il maestro. Malcolm ha scoperto che Elijah Muhammad ha avuto numerosi figli con giovani impiegate della Nation of Islam, e ha raccontato agli altri membri dell’organizzazione del suo pessimo comportamento. Ora Elijah Muhammad è furioso, e secondo le voci giunte fino a New York lo vuole morto.
Malcolm X ha passato la vita a sopravvivere. È sopravvissuto alla povertà, al carcere, a risse con i coltelli. E ha intenzione di sopravvivere anche questa volta.
È qui che comincia la sua lotta per la sopravvivenza: in una camera d’albergo vicino all’aeroporto, mentre lavora alla sua autobiografia, perché le parole sono una fonte di potere. E non permetterà a nessuno di descriverlo con parole che non siano le sue, né a Elijah Muhammad, né all’Fbi di J. Edgar Hoover, né alla stampa bianca o a chiunque altro. Sarà lui a farlo, con le proprie parole, con il proprio credo, alle proprie condizioni. In America si sta preparando una grande rivoluzione. L’ordine razziale predominante è sotto attacco con una rabbia che non si vedeva dai tempi della Guerra Civile. Le donne e gli uomini neri si stanno risvegliando e lottano per il potere. Il cambiamento sta arrivando, finalmente, e lui è determinato a sostenerlo – a forzarlo, se necessario – a dispetto di cosa ne pensino Elijah Muhammad o altri.
Sono le due del mattino12 quando Malcolm lascia l’hotel e parte verso la sua casa nel Queens. Un agente dell’Fbi monitora ogni suo movimento. Più tardi, quello stesso giorno, Malcolm, la moglie e le tre figlie si imbarcano su un volo per la prima vacanza della loro vita. Anche questo fa parte del suo piano. Vuole che il mondo veda che non è un bombarolo pazzo, ma un padre, un marito, un ministro di Dio che crede che l’America possa e debba cambiare. Ha intenzione di scattare delle foto e di buttar giù degli appunti per un articolo di giornale dal titolo Malcolm X, il padre di famiglia.
Quando l’aereo atterra a Miami, una macchina li attende per portarli nel loro hotel per soli neri di Miami Beach. Secondo un informatore dell’Fbi,13 l’autista è Cassius Clay.
QUARTO ROUND. LO SFIDANTE: CASSIUS CLAY
Clay urla come se fosse posseduto dal demonio: «Non hai nessuna possibilità, non potrai mai battermi e lo sai!».14
È la mattina del match, per i pugili il momento di incontrare la stampa, mettere in mostra i loro possenti fisici e salire sulla bilancia per controllare il peso. La stanza puzza di sigarette, sudore e acqua di colonia scadente. I giornalisti non hanno mai visto un atleta professionista comportarsi in maniera così poco professionale. Alcuni sostengono che Clay sia fuori di sé, che la paura di Sonny gli abbia fatto perdere la testa.
I presenti nella stanza parlano, ma Clay sta parlando più forte di tutti.
«Nessuna possibilità! Nessuna possibilità!» grida, ignorando le minacce dei dirigenti della federazione di boxe di multarlo se non chiude il becco. Come Malcolm X, rifiuta che siano gli altri a dirgli come comportarsi. Ribalterà i pronostici e sfiderà chiunque cerchi di controllarlo o sfruttarlo.
Clay indica Liston, dicendo di essere pronto a combattere contro il campione anche in quel momento, lì su due piedi, senza guantoni, senza un arbitro, senza un pubblico pagante, da uomo a uomo. Il suo volto non tradisce alcuna traccia di umorismo. Si strappa via la vestaglia bianca, esibendo il suo corpo scuro, lungo e slanciato, gli addominali e i pettorali scolpiti. Poi scatta verso il rivale, mentre i componenti del suo entourage lo trattengono e lo fermano.
Forse non è pazzo. Forse, per istinto o perché segnato dall’esperienza di essere cresciuto con un padre prepotente e violento, sa che la cosa peggiore che un uomo minacciato può fare è mostrare paura.
«Sono il MIGLIORE!»15 grida. «Sono il CAMPIONE!».
QUINTO ROUND. IL CAMPIONE: SONNY LISTON
Liston mette in guardia gli avversari dalla potenza dei suoi colpi, e dai loro effetti a breve e a lungo termine. Spiegando i pericoli a un reporter, infila le enormi nocche di una mano tra quelle dell’altra, altrettanto enormi, e argomenta: «Vedi, le diverse parti del cervello stanno in tazzine come questa. Quando ti becchi una bordata – pop! – il cervello fuoriesce da quelle tazzine e sei ko. Poi il cervello ricade nelle tazzine, e riprendi conoscenza. Ma dopo un po’ di volte che accade, e in certe occasioni anche dopo una sola se il colpo è abbastanza potente, il cervello non torna nelle tazzine, ed è lì che cominci ad aver bisogno dell’aiuto degli altri per camminare».16
Cassius Clay potrebbe anche scappare per un round o due, ma Liston promette che prima o poi prenderà il suo giovane avversario, e quando succederà, lo colpirà così duro che il suo cervello uscirà dalle tazzine.
SESTO ROUND. SUL RING
Un fumo grigio volteggia sotto le luci sfavillanti del ring, offuscando tutto. I giornalisti battono sulle loro macchine da scrivere portatili strofinandosi via la cenere dalle cravatte. Tra la stampa non ci sono troppe discussioni su chi vincerà. La domanda – l’unica, per quasi tutti – è sapere se Cassius Clay uscirà dal ring incosciente o morto.
Quello è più di un match di pugilato, e almeno una piccola percentuale del pubblico del Miami Beach Convention Center lo ha capito. Sentono che forze violente e romantiche si stanno accumulando sotto la superficie placida della società statunitense, e che Clay è il messaggero dei futuri cambiamenti, un radicale sotto le fattezze di un tradizionale atleta americano. «Li sta prendendo in giro»17 dice di lui Malcolm X prima dell’incontro. «Spesso ci si dimentica che anche se un pagliaccio non imita mai un saggio, un saggio può imitare un pagliaccio».
Seduto in prima fila con il cantante Sam Cooke e il pugile Sugar Ray Robinson, Malcolm X alza gli occhi verso le luci del ring. Girano voci che abbia intenzione di portare Cassius Clay con sé tra i Black Muslims.
A bordo ring c’è anche l’ex campione dei massimi Joe Louis, che chino su un microfono descrive l’azione per gli appassionati che si preparano ad assistere al match sugli schermi in bianco e nero dei cinema sparsi per il paese. Louis, noto come il «Bombardiere nero» quando era in attività, è stato il miglior massimo della sua generazione, un nero capace di conquistarsi l’ammirazione dei bianchi per aver prestato servizio durante la Seconda guerra mondiale, per aver sconfitto il tedesco Max Schmeling nel 1938 e per l’umiltà messa in mostra, accettando il fatto che nemmeno un campione nero potesse comportarsi come un bianco qualunque.
Clay sale sul ring e si toglie l’accappatoio rivelando dei pantaloncini bianchi di raso con strisce rosse. Danza su lunghe gambe slanciate e sferra jab a vuoto per allentare la tensione. Liston lo fa attendere, poi attraversa lentamente e silenziosamente l’arena fino al ring.
I due si squadrano.
La campanella suona.
«È stata l’unica volta in cui ho avuto paura sul ring»18 racconterà Clay diversi anni più tardi, dopo aver conquistato e perso il titolo mondiale tre volte; dopo aver giurato fedeltà alla Nation of Islam e aver preso il nome di Muhammad Ali; dopo essere diventato uno degli uomini più odiati d’America e, quasi simultaneamente, uno dei più amati; dopo essere stato tutto e il contrario di tutto, dal renitente alla leva all’eroe americano; dopo essersi consolidato come uno dei migliori massimi di tutti i tempi: un pugile con una impareggiabile combinazione di velocità, potenza e resistenza, con un’insolita abilità a incassare e a restare in piedi; dopo essere diventato l’essere umano più famoso al mondo, «lo spirito stesso del Ventesimo secolo»19 come ha detto di lui uno scrittore; dopo che il Parkinson e circa duecentomila colpi alla figura e alla testa20 lo hanno privato di tutto ciò che lo aveva reso sbalorditivo: la rapidità, la possenza, il fascino, l’arroganza, i giochi di parole, la grazia, la virilità della forza della natura, e quel luccichio infantile negli occhi che comunicava di voler essere amato a dispetto dei suoi eccessi.
La fama di Cassius Clay supererà l’èra dei diritti civili, la Guerra Fredda, la guerra del Vietnam, gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 inoltrandosi nel Ventunesimo secolo. Vivrà abbastanza a lungo per vedere la casa della sua infanzia di Louisville trasformarsi in un museo e, dall’altro capo della città, vedere sorgere un museo ancor più grande per onorare la sua eredità. La parabola della sua vita ispirerà milioni di persone, anche se in alcuni susciterà adorazione e in altri disgusto.
Gran parte della sua vita si svolgerà in mezzo ai tormenti di una rivoluzione sociale che lui stesso avrebbe contribuito ad alimentare, mentre i neri obbligheranno i bianchi a ridefinire il significato di cittadinanza. Conquisterà fama via via che le parole e le immagini viaggeranno più rapidamente per il mondo, permettendo agli individui di essere ascoltati e visti come mai prima di allora. La gente canterà canzoni, scriverà poesie, sceneggiature cinematografiche e teatrali su di lui, raccontando la storia della sua vita con uno strano miscuglio di verità e finzione, anziché riflettere come un vero specchio la sua anima complessa e ardente, invisibile a prima vista. Il suo desiderio di affetto si rivelerà insaziabile, spingendolo ad avere relazioni con innumerevoli donne, incluse quattro mogli. Toccherà i soldi che un tempo spettavano solo a petrolieri e a magnati del settore immobiliare, e la sua straordinaria ricchezza e la sua natura fiduciosa lo renderanno una facile preda degli approfittatori. Si guadagnerà da vivere deridendo crudelmente gli avversari prima di picchiarli a sangue, eppure diventerà un simbolo universale di tolleranza, benevolenza e pacifismo.
«Sono l’America» dichiarerà con orgoglio. «Sono la parte che non volete riconoscere. Ma vi conviene abituarvi a me. Nero, sicuro di me, vanitoso; il mio nome, non il vostro; la mia religione, non la vostra; i miei obiettivi e solo i miei; vi conviene abituarvi a me».
Il suo incredibile dono per la boxe avrebbe cementato la sua grandezza e reso possibili molte contraddizioni della sua vita. Eppure, questa sarà anche la più amara ironia di una vita che non ne è mai stata sprovvista: il suo straordinario dono provocherà anche la sua caduta.
Nei secondi iniziali dell’incontro, Liston fa partire destri e sinistri potenti, alla ricerca del rapido ko che si aspetta, da cui dipende. Clay schiva, si abbassa e si piega all’indietro come se avesse una spina dorsale di gomma. Liston avanza pesantemente, costringendo Clay alle corde, dove i suoi colpi poderosi di solito distruggono avversari più agili di piedi. Ma proprio mentre sgrana gli occhi in previsione di un omicidio, Clay scarta di lato evitando il gancio sinistro dell’avversario, che finisce per colpire solo l’aria.
Clay danza in cerchio, veloce e leggero come un colibrì, e poi, all’improvviso, mira al volto di Liston con un jab sinistro. Il colpo va a segno. Migliaia di voci gridano all’unisono. Liston lascia partire un altro destro feroce, ma Clay si abbassa e scivola sulla sinistra, evitandolo. Si raddrizza e manda a segno un altro jab, e poi un altro ancora.
Manca meno di un minuto alla fine del round quando Clay sferra un destro deciso che produce un rumore sordo sulla testa del rivale. Clay danza, e poi pianta i piedi a terra per un istante prima di scagliare una raffica di pugni simile a una mitragliata, destro-sinistro-destro-sinistro-destro-sinistro. Ogni singolo colpo va a segno.
All’improvviso cambia tutto.
La folla ruggisce. Liston cerca di coprirsi abbassando la testa.
Clay sta finalmente facendo vedere quello che sa dall’inizio: ciò che sa fare è più importante di ciò che sa dire.
E ciò che Clay sa fare è combattere.
1. Clay’s Act Plays Liston’s Camp and Sonny Is a Kindly Critic, «The New York Times», 20 febbraio 1964.
2. Filmato Bbc News, www.youtube.com.
3. Ibid.
4. Clay’s Act Plays Liston’s Camp and Sonny Is a Kindly Critic, art. cit.
5. Ibid.
6. John Cottrell, Muhammad Ali, Who Once Was Cassius Clay, Funk & Wagnalls, New York, 1967, p. 127.
7. Nick Tosches, The Devil and Sonny Liston, Little, Brown, New York, 2000, p. 201 [Il diavolo e Sonny Liston, Mondadori, Milano, 2005].
8. Filmato Bbc News, s.d., www.youtube.com.
9. Clay’s Act Plays Liston’s Camp and Sonny Is a Kindly Critic, art. cit.
10. Malcolm Little (Malcolm X) HQ File, rapporto dell’Fbi, 5 febbraio 1964, Federal Bureau of Investigation, https://vault.fbi.gov/malcolm-little-malcolm-x (ormai Fbi Vault), sezione dieci.
11. Malcolm X Scores U.S. and Kennedy, «The New York Times», 2 dicembre 1963.
12. File dell’Fbi su Malcolm X, 5 febbraio 1964, sezione dieci.
13. File dell’Fbi su Malcolm X, 21 gennaio 1964, sezione nove.
14. Filmato Bbc, s.d., www.youtube.com.
15. The Champ and the Chump, the Meaning of Liston-Clay I, «New Republic», 7 marzo 1964, https://thestacks.deadspin.com/the-champ-and-the-chump-the-meaning-of-clay-liston-i-1440585986.
16. William Nack, My Turf: Horses, Boxers, Blood Money, and the Sporting Life, Da Capo Press, Cambridge, MA, 2003, p. 123.
17. George Plimpton, Author Notebook: Cassius Clay and Malcolm X, in George Kimball e John Schulian (a cura di), At The Fights: American Writers on Boxing, Library of America, New York, 2012, p. 190.
18. David Remnick, King of the World, Random House, New York, 1998, p. XII [Il re del mondo, Feltrinelli, Milano, 2008, p. 8].
19. Norman Mailer, King of the Hill: Norman Mailer on the Fight of the Century, Signet, New York, 1971, p. 11.
20. Su richiesta dell’autore, la CompuBox Inc. ha compilato una statistica esaminando i filmati completi disponibili di quarantasette incontri di Ali. In base allo studio in questione, durante la sua carriera professionistica Ali ha incassato 14,8 pugni a round (leggermente al di sotto della media per un peso massimo, che è di 15,2). La stima di duecentomila colpi si basa sul lavoro svolto dalla CompuBox e da interviste fatte dall’autore con sparring partner, avversari, allenatori e manager. Ali ha disputato 548 round da professionista e circa 260 da dilettante, a cui si aggiungono dodicimila round di allenamento e almeno cinquecento di esibizione. Probabilmente ha incassato meno di 14,8 colpi a round da dilettante e durante le esibizioni, ma di più durante le sessioni con gli sparring partner. Il seguente calcolo si può quindi considerare conservativo: 13.308 round per 14,8 colpi porta a un conteggio di 196.958 pugni.